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    PARADISO CANTO 20 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI: DAVIDE, TRAIANO, EZECHIA, COSTANTINO (prima parte)

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    Il Sesto Cielo di Giove, descritto da Go Nagai: al posto dell'occhio dell'aquila (descritto in questo Canto) c'è l'occhio del pianeta Giove (la famosa macchia visibile sul pianeta)



    CANTO DEI BEATI; L'AQUILA RIPRENDE A PARLARE

    Dante paragona le luci dei beati che formano l'aquila alle stelle che appaiono in cielo alla sera (che è descritta da Dante come " ‘l giorno d’ogne parte si consuma"). Il Sole ("colui che tutto ‘l mondo alluma", cioè illumina) è ormai tramontato e la sua luce, dice Dante, si riflette negli astri.
    Infatti, era cosa comune nel 1300 pensare che le stelle brillassero della luce riflessa del Sole: se fino ad allora si pensava che il Sole fosse al centro dell'Universo, era normale credere che illuminasse di per sè tutte le stelle, visto che, in questa ipotesi, era l'unica luce del cosmo.
    I beati, paragonati alle stelle di Dante, non appena l'aquila (il "sole") ha smesso di parlare, aumentano il loro splendore, proprio come fanno le stelle dopo il tramonto, e intonano un canto, il cui ricordo è ormai svanito dalla memoria del poeta.

    Dante definisce l'aquila come " ‘l segno del mondo e de’ suoi duci", cioè il simbolo del mondo e dei suoi condottieri. L'ardore di carità degli spiriti beati che compongono l'aquila si manifesta nello scintillio delle loro luci. Quando smettono di cantare, Dante sente in quel momento una specie di mormorio, simile a un corso d'acqua, che scende dal monte; oppure, simile al suono della cetra che vibra; o ancora, alla zampogna, quando emette il suo soffio. L'aquila, infatti, sta riprende a parlare con questo tipo di suono, e stavolta il suono sembra uscire dal suo collo, come se fosse forato, trasformandosi poi in voce e in parole distinte.
    L'aquila, che si è trasformata nel simbolo araldico relativo, caratteristica dell'autorità imperiale, ora invita Dante a osservare con attenzione il suo occhio. Infatti, ora che ha la forma di uno stemma araldico, è vista quindi di profilo: si vede perciò solo uno dei suoi occhi.

    aquila


    E dice, riferendosi al suo occhio, che Dante deve guardare:

    "la parte in me che vede e pate il sole / ne l’aguglie mortali" (la parte di me che, nelle aquile mortali, vede e sopporta il sole)

    Infatti, si riteneva che l'aquila, che è l'uccello che vola più in alto di tutti, avesse la capacità di sostenere a lungo la vista del Sole.

    GLI SPIRITI GIUSTI: RE DAVIDE

    L'aquila dice che gli spiriti giusti che appaiono nel suo occhio sono, fra tutti gli altri che formano il suo corpo, i più degni in assoluto. Colui che è posto al centro dell'occhio, come se ne fosse la pupilla, è il re Davide.
    Davide (nato a Betlemme il 1040 a.C. circa e morto a Gerusalemme il 970 a.C. circa) fu il secondo re d'Israele (il primo fu Saul). Da Davide discende Giuseppe, il padre putativo di Gesù: per questo Gesù è chiamato "figlio di Davide". E' venerato come santo dalla chiesa cattolica e viene festeggiato il 29 Dicembre.

    Davide
    Davide: re, poeta, cantore, santo.


    Colui che luce in mezzo per pupilla, (Colui che splende in mezzo come la pupilla)
    fu il cantor de lo Spirito Santo, (fu il cantore dello Spirito Santo (re Davide)
    che l’arca traslatò di villa in villa: (che trasportò l'Arca Santa di città in città)

    L'aquila chiama Davide "cantor de lo Spirito Santo" perchè, tradizionalmente, è ritenuto l'autore dei 150 Salmi della Bibbia. Davide, in ogni caso, nella sua vita cantò davvero e compose versi: re Saul lo aveva nella sua corte proprio per le sue capacità di canto. Davide poi fu unto re dopo la morte di Saul. Riguardo al cenno de "l'arca traslatò di villa in villa" significa che Davide portò l'Arca dell'Alleanza, lo scrigno dove stava la Presenza Divina, in vari posti, fino a portarla alla fine a Gerusalemme, quando la conquistò.

    ora conosce il merto del suo canto, (ora conosce il merito del suo canto,)
    in quanto effetto fu del suo consiglio, (poiché fu effetto della sua volontà,)
    per lo remunerar ch’è altrettanto. (grazie alla beatitudine che è ad esso commisurata.)

    Qui Dante vuole dire che Davide, ora che è in Paradiso, comprende meglio l'importanza del suo dono di cantare, frutto ("merto") dello Spirito Santo e del suo "consiglio", cioè della volontà di Davide di seguire le ispirazioni divine, che gli davano la capacità di comporre i Salmi. Si tratta, in sostanza, della collaborazione tra Dio e l'uomo, che porta a grandi cose, di cui il canto è un simbolo. L'espressione "ora conosce" sarà ripetuta per sei volte, per ognuno degli spiriti indicati dall'aquila, sempre all'inizio delle due terzine dedicate a ciascuno di loro.

    GLI SPIRITI GIUSTI: L'IMPERATORE TRAIANO

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    L'imperatore Traiano che ascolta la vedova.


    L'aquila presenta poi gli altri cinque beati, che formano il ciglio (o contorno) dell'occhio. Quello più vicino al becco è l'imperatore Traiano, che fece giustizia alla vedova (ne ha già parlato Dante tra gli esempi di umiltà nella Cornice dei Superbi del Purgatorio, nel Canto 10).

    Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, (Dei cinque beati che formano il cerchio che mi fa da ciglio,)
    colui che più al becco mi s’accosta, (colui che è più vicino al mio becco)
    la vedovella consolò del figlio: (consolò la vedovella facendo giustizia del figlio (Traiano)

    ora conosce quanto caro costa (ora sa quanto costa caro)
    non seguir Cristo, per l’esperienza (non seguire Cristo, poiché ha sperimentato)
    di questa dolce vita e de l’opposta. (sia la vita in Paradiso sia quella all'Inferno.)

    L'aquila allude al fatto che Traiano, secondo una leggenda, rimase nel Limbo fino a quando fu portato in Paradiso grazie alle preghiere di un importante Papa del secolo 500: san Gregorio Magno. Infatti, il santo, avendo saputo della bontà di Traiano, che era morto da tempo (Traiano morì nel 117), con le sue preghiere lo avrebbe fatto risorgere, battezzare e mandare in Paradiso. Cosa c'è di vero in questa leggenda? Intanto, come già ho detto, la Chiesa non riconosce l'esistenza del Limbo: anche ai tempi di Dante non era una verità di fede. Ma Dante inserisce comunque il Limbo nella Commedia proprio per ricordare l'importanza del Battesimo, che rende il Cristiano parte del Corpo di Cristo e gli apre la Salvezza, e la differenza quindi tra essere cristiani e non esserlo. E' una cosa infatti che è facile da dimenticare. Il resto, cioè la risurrezione di Traiano e il suo battesimo, è assai forzato, anche se ci sono stati dei casi di risurrezione ottenuti grazie alla preghiera: negli Atti degli Apostoli San Pietro, con le sue preghiere, fece risorgere la cristiana Tabità. E ci sono stati altri casi di risurrezione, anche ai giorni nostri. Comunque, è più probabile che San Gregorio Magno abbia "semplicemente" visto Traiano già in Paradiso.

    San Tommaso d’Aquino nel De Veritate, a proposito delle persone che non hanno avuto occasione di sentire l’annuncio del Vangelo (sia prima che dopo Cristo), partendo dal principio che Dio vuole salvi tutti gli uomini (1 Tm 2,4), scrive:
    “Dal fatto che tutti gli uomini sono tenuti a credere esplicitamente alcune verità per salvarsi, non c’è inconveniente alcuno che qualcuno viva nelle selve o tra gli animali bruti (cioè: nessuno è destinato a vivere nell'ignoranza). Poiché appartiene alla Divina Provvidenza provvedere a ciascuno le cose necessarie per la salvezza: perciò, se uno, educato secondo la ragione naturale, si comporta in maniera da praticare il bene e fuggire il male, si deve tenere per cosa certissima che Dio gli rivelerà, per interna ispirazione, le cose che deve credere necessariamente (e qui lasciamo fare a Lui dirgli quali cose e in che modo) o (nel caso che sia vissuto dopo la resurrezione) gli invierà qualche predicatore della fede, come fece con S. Pietro e Cornelio (San Pietro andò a trovare Cornelio parlandogli di Cristo e rendendolo cristiano col battesimo)” (De Veritate, 14, 11, ad 1).

    Insomma, se un non cristiano è buono, poi Dio lo aiuterà, in vie che sa solo Lui. Non stupisce quindi che Dio, per interna ispirazione, abbia potuto infondere in Traiano, universalmente noto per la sua bontà e la sua rettitudine, le nozioni essenziali per la sua salvezza. È lecito anche supporre che tali persone avrebbero desiderato esplicitamente il Battesimo, se ne avessero conosciuta la necessità: si tratta di quello che la Chiesa chiama "battesimo di desiderio".

    Dante sapeva del fatto che quella di Traiano era una leggenda: ma inserendola ha indicato delle cose fondamentali. Prima di tutto, l'importanza della preghiera (quella di Gregorio Magno), che salva anche le anime degli altri, non solo la propria; e il fatto che chi non è cristiano può salvarsi. Quello che interessava a Dante era l'insegnamento della leggenda, non la sua veridicità.

    GLI SPIRITI GIUSTI: RE EZECHIA

    Ezechia
    Ezechia chiede a Dio di farlo vivere ancora per qualche tempo e viene esaudito.


    L'aquila poi presenta, sempre nel suo occhio, Re Ezechia. Era un re di Gerusalemme: visse tra il 700 e il 600 a.C. Fu un re giusto, che rimosse con forza il politeismo nel regno di Giuda e rinforzò la fede nel Dio unico. E' famoso perchè chiese una grazia a Dio: piangendo ("per vera penitenza" dice Dante ), supplicò Dio di differirgli la morte, che gli era stata annunciata dal profeta Isaia: alla fine ottenne la grazia di vivere diversi anni ancora (quindici, per l'esattezza). La Chiesa Cattolica lo venera come santo e lo festeggia il 28 Agosto.

    E quel che segue in la circunferenza (E il beato che lo segue nel cerchio (dell'occhio dell'aquila)
    di che ragiono, per l’arco superno, (di cui parlo, nella parte alta (cioè: la parte superiore dll'occhio)
    morte indugiò per vera penitenza (ritardò la propria morte con una vera penitenza (re Ezechia)

    ora conosce che ‘l giudicio etterno (ora sa che il giudizio eterno)
    non si trasmuta, quando degno preco (non viene mutato, quando la preghiera di un'anima degna)
    fa crastino là giù de l’odierno. (sulla Terra rimanda quello che è già stato pronunciato.)

    Dante qui vuole dire che il giudizio divino - la morte, cioè - può essere rimandata con la preghiera, come ha fatto Ezechia, ma alla fine avviene.

    GLI SPIRITI GIUSTI: L'IMPERATORE COSTANTINO

    Costantino
    Costantino, con la famosa scritta che vide in cielo: "In hoc signo vinces", "In questo segno (la croce) vincerai"


    Viene dopo di lui Costantino (274-337), l'Imperatore romano che promulgò la libertà religiosa dei cristiani con l'Editto di Milano e spostò la capitale da Roma a Costantinopoli.
    Prima che Costantino diventasse imperatore, ci fu un periodo di guerre civili: Massenzio, di origini imperiali, si proclamò Imperatore di Roma con l'appoggio di tutti: esercito, senato, popolo. Mentre Massenzio prendeva il potere a Roma, Costantino, nominato anche lui imperatore, ma solo di nome, stava combattendo contro i Britanni e i Franchi. Costantino aveva l'appoggio del suo esercito e dei barbari che gli si erano sottomessi: ma questo non sarebbe bastato per battere Massenzio, che aveva in mano Roma e tutta l'Italia, con un esercito di gran lunga superiore al suo. Incerto, Costantino stava marciando col suo esercito verso Roma. Un giorno, al tramonto, Costantino, alzando lo sguardo verso il sole calante, vide sul cielo una croce di luce, sovrapposta al sole, e sotto di essa la scritta "In hoc signo vinces", cioè “con questo segno vincerai”. E non fu solo Costantino a vedere quella visione: anche gli altri soldati con lui rimasero stupiti nel vedere quella misteriosa scena. Insicuro del significato di questa visione, quella notte, Costantino rifletteva nella sua tenda. Gli apparve Cristo, che gli ordinò di usare il segno della croce, sotto forma di cristogramma, contro i suoi nemici, e in questo modo vincerà. Un cristogramma è una combinazione di alcune lettere dell'alfabeto greco o latino che formano un'abbreviazione del nome di Gesù. Nel caso di Costantino, il cristogramma usato fu quello più famoso di tutti: il Chi-Rho. Ha infatti le lettere greche Chi e Rho. "Chi" è la lettera greca "C" di Cristo e "Rho" la lettera greca "R": sono le prime due lettere del suo nome. "Chi" in greco si scrive con una "X" (che richiama quindi la croce) e nell'alfabeto latino corrisponde a "ch"; "Rho" in greco si scrive con una "P" e nell'alfabeto latino corrisponde alla "r".

    cristogramma
    Cristogramma Chi-Rho. Ai lati ci sono le lettere Alfa e Omega, che sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Significa che Cristo è l'Inizio e la Fine, cioè è Tutto.


    Costantino seguì le indicazioni di Gesù e mise sul suo stendardo e sugli scudi dei suoi soldati il cristogramma Chi-Rho. Massenzio dispose i suoi soldati nei pressi di Saxa Rubra, cioè "grotte rosse" (il luogo era chiamato così per via della presenza di grotte di tufo rosso nella zona. Ma successivamente il luogo sarà chiamato così anche a causa dello scontro sanguinoso tra gli eserciti di Massenzio e Costantino, in cui la terra si tinse di sangue da ogni parte. Laggiù si trova attualmente il centro di produzione più importante della RAI). La zona di Saxa Rubra aveva il fiume Tevere alle spalle, e Massenzio fece costruire un ponte di barche alle sue spalle: il Ponte Milvio. Col fiume alle spalle, Massenzio era convinto che le truppe avrebbero combattuto con maggior furore; inoltre, la località poco pianeggiante avrebbe sfavorito la cavalleria di Costantino. Il 28 ottobre 312 avvenne la battaglia: Costantino attaccò furiosamente i fianchi dell'esercito di Massenzio, guidando personalmente la cavalleria. Il nemico andò in rotta, ritirandosi sul Ponte Milvio, che non poté reggere il peso di tanti uomini in fuga e crollò, facendo annegare tutti i soldati, compreso lo stesso Massenzio. Il giorno seguente, Costantino entrò trionfalmente a Roma, alzando la testa mozzata del suo avversario.

    Ponte-Milvio
    La battaglia di Ponte Milvio. Fu una svolta storica, sia per Roma, che per i cristiani, che per il mondo intero.


    Nel 313, Costantino promulgò l'Editto di Milano, che diede la libertà religiosa definitiva ai cristiani. Non si trattò di "Costantino che appoggia la maggioranza popolare approvando il Cristianesimo", come si dice spesso parlando dell'Editto di Milano: i cristiani a quel tempo erano ben lungi dall'essere la maggioranza. Anzi, erano reduci da una spaventosa persecuzione avuta da uno dei precedenti imperatori, Diocleziano: fu l'ultima, ma anche la più terribile, persecuzione romana dei cristiani, superiore persino a quella di Nerone. Lo stesso Costantino, che era pagano, scriveva di essere stanco e disgustato dalle crudeltà che i carnefici avevano commesso contro i cristiani sotto Diocleziano: infatti la ferocia dei persecutori era tale che anche gli altri pagani ne erano inorriditi. Costantino si fece battezzare sul letto di morte, nel 337.
    L'aquila così presenta Costantino:

    L’altro che segue, con le leggi e meco, (L'altro che vien dopo (Costantino)
    sotto buona intenzion che fé mal frutto, (in base a una buona intenzione che poi diede cattivi frutti,)
    per cedere al pastor si fece greco: (per lasciare Roma al Papa trasferì il governo imperiale a Costantinopoli)

    Costantino infatti trasferì il governo imperiale da Roma a Costantinopoli ("con le leggi e meco...si fece greco". "meco" significa se stesso), lasciando la città in mano al Papa. Una cosa, dice Dante, che diede amari frutti, perchè così l'Italia rimase senza un governo stabile. Infatti, col governo nella lontana Costantinopoli, l'Italia fu soggetta alle invasioni barbariche, fronteggiate con fatica dalla Chiesa e dai vari alleati che riusciva a trovare (Longobardi, orientali, ecc.)

    Tuttavia, la scelta di Costantino (che Dante chiama "bene operar") doveva essere stata fatta in base alle circostanze storiche di allora, perchè, come si vede, non c'è nessuna colpa per quello che ha fatto, visto che adesso è in Paradiso. Resta il fatto che un Impero lontano ha portato a dei pericoli vicini, come nota amaramente Dante ("avvegna che sia 'l mondo indi distrutto"):

    ora conosce come il mal dedutto (ora vede che il male scaturito)
    dal suo bene operar non li è nocivo, (dalle sue buone azioni non gli ha nuociuto)
    avvegna che sia ‘l mondo indi distrutto. (benché il mondo ne sia stato guastato.)

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xx.html
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    37 - RITORNO ALLA FABBRICA

    Peline ha un incubo: va alla villa Pandavoine, dove entra e chiama il signor Pandavoine, che è seduto sulla scrivania. Gli dice:
    "Nonno, sono io!"
    Il nonno si alza e cerca di vederla, ma non ci riesce, perchè è cieco. La porta si chiude dietro a Peline, tutto è buio e passano Toluel e Theodore, senza dire niente. Peline chiama il nonno, ma inutilmente. Poi si sveglia, e sente la persiana della finestra agitarsi, anche se è chiusa. Peline la apre e sente il vento che si agita.
    "Comincia a far freddo la notte" commenta lei.
    Infatti siamo in autunno inoltrato: l'inverno si avvicina.

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    Peline si veste e tossisce.
    "Faceva freddo stanotte, Barone. Mi spiace, ma credo che prima o poi dovremo lasciare questo posto."
    Va alla fabbrica e saluta Rosalie, e nel farlo starnutisce ancora.
    "Ti sei raffreddata?" chiede Rosalie.
    "Un pò, devo stare attenta."
    "Torni ai carrelli oggi?"
    "Sì, il lavoro di traduttrice è terminato."
    "Sei diventata famosa, sai? Tutti ne parlano."
    "E' un pò una seccatura" commenta Peline.
    "Ti facevi capire bene da loro, vero?"
    "Ma no, cercavo di cavarmela."
    "Non fare la modesta, sei la ragazza più in gamba della fabbrica" dice Rosalie, mettendole un braccio al collo.

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    Quando Peline raggiunge la fabbrica, il capomastro le dice:
    "Purtroppo ti abbiamo sostituito."
    "Allora potrei occuparmi delle macchine" risponde Peline.
    "Lo sai fare?"
    "No, ma prima o poi cominciano tutti, no?"
    "Mi spiace, ma non abbiamo bisogno adesso di te: tutte le macchine sono in uso."
    "Allora cosa posso fare?"
    "Perchè non ne parli al direttore Toluel?"
    Peline va da Toluel. Poco dopo arriva l'ingegner Fabry, che si rivolge al capomastro:
    "Dov'è Aurelie?"
    "E' andata dal direttore, perchè?"
    "Allora lei sa già la notizia?"
    "Che notizia?" chiede il capomastro.
    "Il signor Pandavoine le vuole parlare."
    "Eh? Non ne sapevo niente" risponde lui, sorpreso.
    "E allora perchè è andata da Toluel?"
    "Perchè non ha più nessun lavoro qui."

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    Peline viene ricevuta freddamente da Toluel, che le dice:
    "Aspetta che finisco di leggere questo."
    "Va bene" e la fa aspettare.
    Alla fine, il direttore si accende con calma una sigaretta e le dice:
    "Da adesso non c'è più un lavoro per te."
    "Ma non è giusto, sono andata a fare l'interprete per ordine del signor Pandavoine e adesso che l'ho fatto mi togliete il posto!"
    "Potrei licenziarti adesso, sai."
    Arriva l'ingegner Fabry, che dice che il signor Pandavoine vorrebbe parlare con Aurelie. Toluel sussulta e dice a Peline:
    "Ti accompagno dal presidente."
    "Ma ha chiamato solo lei..." obietta Fabry.
    Ma Toluel insiste: può aver bisogno di un intermediario. Soprattutto, vuole capire che sta succedendo e perchè il signor Pandavoine sia così interessato ad Aurelie.

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    Quando i due entrano nello studio di Pandavoine, lui dice seccato:
    "Avevo chiamato solo Aurelie, signor Toluel. Lei può andarsene."
    "Mi sono permesso di accompagnarla, perchè potrebbe aver bisogno di aiuto per capire la situazione..."
    "Non si preoccupi. La ragazza è una persona sveglia. Potete andare."
    Toluel esce, seccato, e origlia dalla porta. Ma viene beccato da Theodore, il nipote di Pandavoine, e lui sobbalza:
    "Sst! Il signor Pandavoine ha chiamato quella ragazza, Aurelie."
    "Eh? E perchè mai?"
    "Credo per farsi tradurre quelle lettere dall'inglese."
    All'improvviso si apre la porta e Pandavoine dice:
    "Cosa bisbigliate tra di voi qui fuori? Theodore, hai chiamato l'avvocato?"
    "Ecco, non ancora..."
    "Allora muoviti! Signor Toluel, torni nel suo studio" e chiude la porta, andando a sedere sul divano accanto a Peline.

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    Pandavoine inizia a parlare:
    "Con la perdita della vista, il mio udito si è raffinato molto, ma quello sciocco di Theodore non l'ha ancora capito. Ti chiederai perchè ti ho chiamato, vero?"
    "Ecco, sì..."
    "Ho deciso di prenderti con me come mia segretaria privata."
    "EH?"
    "Sei troppo giovane per lavorare nell'azienda. Ti dò l'incarico."
    "Ma io non so se ne sono all'altezza!"
    "Ho saputo della tua storia. Hai volontà e coraggio."
    "Avete un'opinione troppo alta di me."
    "No, non mi sbaglio. Avrai 90 franchi al mese."
    "90 franchi?"
    "Prima quanto guadagnavi al mese?"
    "8 franchi e 60 centesimi..."
    "Bene. Sai fare i conti alla svelta. Hai sommato tutte le tue paghe settimanali."
    (questo significa che Peline prendeva 2 franchi e 15 centesimi alla settimana, ndr)

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    Pandavoine si alza e va a sedersi alla sua scrivania.
    "Dovrai anche cambiarti d'abito. Come segretaria dovrai accompagnarmi, quindi dovrai essere ben vestita. Avrai un permesso per acquistare dei vestiti da madame Lachaise. Potrai scegliere quello che ti pare. Giudicherò il tuo carattere dai vestiti che indosserai."
    "La ringrazio, signor Pandavoine" dice Peline, ancora incredula.
    Poi Pandavoine chiama Toluel e gli dice che ora Aurelie è la sua nuova segretaria. Toluel è stupefatto, ma si congratula con Peline per l'incarico.

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    Intanto, Rosalie è preoccupata e dice a Fabry che teme che Peline venga licenziata.
    "Non credo, Rosalie: il signor Pandavoine l'ha chiamata, credo per farle leggere delle lettere in inglese" risponde lui.
    "Ehi, Rosalie, torna al lavoro!" dice il capomastro.
    "Dite ad Aurelie che l'aspetto al solito posto a pranzo" dice Rosalie prima di andarsene.
    "Va bene" risponde Fabry, e Rosalie torna alla macchina tessile.
    Poco dopo, Theodore vuole parlare a Fabry, che ne è infastidito.
    "Cosa volete, signor Theodore?"
    "Ingegner Fabry, il signor Pandavoine non ha più la testa a posto...vorrei sentire un vostro parere..."
    "Perchè, cos'ha fatto?"
    "Ha assunto quella ragazzina, Aurelie, come sua segretaria privata!"
    "Eh?"
    "Rideranno di lui!"
    "Non si preoccupi, sono sicuro che Aurelie se la caverà bene" e Fabry si allontana, soddisfatto.

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    Intanto, Peline è nello studio della segretaria, accanto a quella di Pandavoine, senza sapere cosa fare. All'improvviso bussano: è l'ingegner Fabry, e Peline è felice di rivederlo.
    "Ho saputo la notizia: congratulazioni, Aurelie!" Nota però che è preoccupata. "Ma cosa c'è?"
    "Ecco, ho una gran confusione in testa, non so cosa fare nè cosa dire...non mi sento all'altezza."
    "Non ti preoccupare, sono sicuro che diventerai un'ottima segretaria."
    "E' sicuro?"
    "Ma certo, hai tutti i numeri per farlo."
    Peline quasi piange: "Vi ringrazio."
    "Ma che ti prende? Sei sempre stata in gamba fino ad adesso, e ora sei in crisi?"
    "Dopotutto, sono solo una ragazza."
    "Coraggio, andrà tutto bene."
    "Farò del mio meglio."
    "Ci vediamo. Ah, Rosalie mi ha detto che ti aspetta a pranzo al solito posto."
    "Certo, ci sarò."

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    Dopo che Fabry è uscito, Peline va a sedersi alla scrivania della segretaria. Sta per suonare mezzogiorno.
    "Quanto dovrò aspettare qui?" si chiede.
    Intanto, Toluel e Theodore discutono con Pandavoine riguardo alla sua decisione su Peline.
    "Insomma, pensate che io sia rimbambito?" sbotta alla fine Pandavoine "Aurelie è in gamba, è intelligente, la ritengo all'altezza. Ma vedo che non ne siete convinti. Va bene, faremo una prova. Seguitemi."

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    Mentre Rosalie aspetta la sua amica, Pandavoine chiede a Peline di accompagnarlo, insieme a Theodore e Toluel, al magazzino del materiale grezzo, dove depositano il cotone da lavorare.
    "Vedo che è arrivata la canapa" dice Pandavoine, una volta arrivato.
    "Come fate a capirlo?" chiede Peline.
    "Lo capisco dall'odore. Aurelie, ascoltami: devi dirmi di che colore è la canapa che vedi. Vedi dei colori particolari?"
    "Ecco, mi sembrano tutti dello stesso colore."
    Pandavoine afferra una ciocca di canapa.
    "Guarda bene. Alcune sono rossicce, altre tendono al verde."
    "Ma zio, è inesperta..." obietta Theodore.
    "Silenzio!"
    Peline osserva con attenzione: "Sì, ci sono delle sfumature diverse."
    "Di che colore?"
    "Rossiccio."
    "Passamela."
    Porge la ciocca a Pandavoine, che l'annusa e dice: "Hai visto giusto. Vede, Toluel?"
    "Come ha fatto a capirlo?" chiede Peline.
    "La canapa rossiccia ha un odore caratteristico. Hai un buon spirito di osservazione. Osserva questa ciocca. Di che colore è?"
    "Tende al verde."
    "Ci sono diverse gradazioni di verde. Che tipo di verde è, Aurelie?"
    "Hmm...molto chiaro, con delle macchie diffuse."
    "Come? Delle macchie? Chiamatemi Jacques, il magazziniere!"
    Quando lui arriva, Pandavoine gli dice di togliere quella partita di canapa.
    "Hai visto giusto, Aurelie. Se ci sono delle macchie, significa che la canapa è di qualità scadente. Hai superato la prova."

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    Quando escono, Pandavoine ha un leggero capogiro e Peline gli chiede:
    "Vi tengo per mano?"
    "No, non è niente..." però poi ci ripensa e dice: "Aurelie, dammi la mano."
    Per la prima volta, Peline stringe la mano del nonno. Arriva Rosalie, che stava aspettando Peline.
    "Rosalie, sei tu?" dice Pandavoine "Adesso Aurelie è la mia segretaria. Scusa la sua assenza, aveva da fare fino ad adesso. Dopo che arriviamo all'ufficio, Aurelie, puoi andare da lei."
    Pandavoine e Peline attraversano la fabbrica, sotto gli occhi stupiti dei lavoratori. Con questo giorno, sono passati due mesi dall'arrivo di Peline a Maraucourt.

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    LA VESTIZIONE DI PELINE

    Come si vede, Peline ha una sottoveste bianca, sulla quale si mette una camicia grigia, piuttosto lunga. Poi aggiunge il corpetto marrone coi lacci e la gonna rosso scuro. Questo è il vestito tipico di Peline, che lei porta per quasi tutta la serie. Ma il prossimo episodio, col cambio di vestiti, sarà l'ultimo con Peline coi vestiti classici, per sottolineare il grande punto di svolta della sua vita.

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    29 - POMERIGGIO NEL BOSCO

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    Heidi e Clara sono nel prato del bosco di Francoforte: vedono una farfalla e Heidi cerca di prenderla per farla vedere a Clara. Due bambini su un ramo ridono perchè vedono della gente di città. Gareggiano con Heidi per prendere la farfalla. Clara è turbata, perchè vede Heidi e gli altri che corrono per prendere la farfalla, mentre lei deve restare sulla carrozzella.
    "Siete molto ricchi" dice un bambino a Heidi, indicando la carrozza.
    "Quella è la carrozza del papà di Clara" spiega Heidi.
    "E dov'è questa Clara?"
    "E' lì."
    "E perchè sta seduta?"
    "Perchè non può camminare".
    Clara è contrariata e imbronciata.
    "L'abbiamo presa!" dicono i bambini, una volta catturata la farfalla, poi uno di loro dice:
    "Andiamo, Klaus!" e se ne vanno.
    Heidi porta la farfalla a Clara, ma la bambina non la vuole più vedere.
    "Ero su questa stupida sedia e tu mi hai dimenticata" accusa lei "Potevi venire un pò più vicino, visto che non potevo venire da voi" e piange.
    "Ma Clara, io ti volevo solo prendere la farfalla" dice Heidi, preoccupata.

    a4 a5 a8


    Clara poi si riprende e dice a Heidi:
    "Scusa, è ingiusto quello che ti ho detto."
    "Ti porto dalla nonna" dice Heidi.
    La nonna sta arrivando con una collana di fiori: si accorge però che Clara è triste.
    "Rimanda Heidi in montagna" dice lei "Non voglio più vederla."
    "Non capisco" dice la nonna.
    "Prendevamo la farfalla, l'abbiamo lasciata sola" dice Heidi.
    "Su, non è successo niente" dice la nonna.
    "Voglio tornare a casa" esclama Clara. Heidi preferirebbe restare, ma va a chiamare la carrozza.
    "Siamo appena arrivate. Volete tornare a fare i compiti con la Rottenmeier?" dice la nonna a Clara, rimproverandola "Heidi ti è rimasta indifferente?"
    Clara è pensierosa, poi esclama a Heidi "Aspetta, torna qui, lascia stare, voglio rimanere."
    Heidi ritorna.
    "Clara è pentita. Erano solo sciocchezze" spiega la nonna e, rivolta a Clara, le dice: "Di' qualcosa di carino a Heidi, lei ti vuole bene" e le mette la ghirlanda di fiori.

    b2 b4 b9


    Una farfalla si appoggia su uno dei fiori.
    "Sembra un fiocco" dice Clara, contenta.
    Fanno il picnic. Heidi vede uno scoiattolo e porta Clara nel bosco per farglielo vedere. Ad un certo punto, la nonna le cerca: Clara dice a Heidi di nascondersi tutte e due, e mentre vanno vedono un laghetto. Si nascondono per fare uno scherzo alla nonna, ma lei le vede e fa finta di disperarsi dicendo:
    "Non me la perdonerò mai di averle lasciate andare, poverette, chissà dove sono?"
    Le due bambine si preoccupano e saltano subito fuori per tranquillizzarla: la nonna dice loro che stava facendo finta.

    c5 c7 d4


    All'improvviso vedono un battello sul laghetto e vi salgono sopra, mentre Giovanni, il carrettiere, li segue a terra con Sebastiano a bordo della carrozza. Dal battello vedono le mucche e anche delle capre.
    "Assomigliano alle tue?" chiede Clara.
    "Certo" risponde Heidi "Possiamo scendere a vederle?"
    "Certo" risponde la nonna. Scendono e Heidi insegue la capra.
    "Non far correre le mie capre, se no si stancano" dice la contadina che le custodisce.
    "Posso avere del latte di capra?" chiede Heidi, e la nonna paga la contadina, che inizia a mungere.
    "Posso mungerla io?" chiede Heidi.
    La contadina, scettica, le risponde: "Non sei capace."
    "Invece sì" risponde lei.
    Prende uno sgabello e inizia a mungere.
    "Perbacco, sei brava!"
    La capra bela e Clara sobbalza. Poi prendono il tè coi dolci e col latte di capra.
    "Oggi hai mangiato più di Heidi" commenta la nonna a Clara.
    Al tramonto, tornano a casa in carrozza e Heidi e Clara cantano.

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    "Siete tornate più tardi del previsto" osserva la Rottenmeier quando arrivano. Clara e Heidi dormono sulla carrozza.
    "Clara si è affaticata" aggiunge la Rottenmeier.
    "Ma no, non si preoccupi" la tranquillizza la nonna.
    Ma Sebastiano nota che Clara ha la fronte calda: ha la febbre. La portano subito dentro, mentre Heidi si sveglia.
    "Scendi" dice Giovanni, il conducente "Devo andare subito dal dottore, la signorina Clara si è ammalata!"
    "Clara si è ammalata?" chiede lei preoccupata.
    Mentre Clara è a letto, la Rottenmeier si sfoga:
    "La mia opinione viene sempre ignorata. Clara è malata e delicata, è stata un'idea sbagliata. Questa Heidi vi ha stregato tutti!"
    "Basta, signora Rottenmeier, ne parliamo più tardi" taglia corto la nonna.
    "Scusa, Clara, è colpa mia" pensa Heidi "Ti avevo lasciata sola mentre cercavo la farfalla. L'ho fatta ammalare io."
    Arriva il dottore, che ha sentito le preoccupazioni di Heidi.
    "Su, non credo proprio che sia colpa tua. Vedo quello che posso fare" dice lui.
    La nonna consola Heidi: "Ha solo un pò di febbre."
    "Posso fare qualcosa per Clara?"
    "Lo sta già facendo il dottore, vedrai."
    "Posso stare tranquilla?"
    "Certo."

    g9 h6 h7


    Il dottore esce e dice che la febbre scenderà. Clara vuole parlare con Heidi da sola, e senza la Rottenmeier.
    "Va bene" dice lei seccata "Si vede che qui si è persa la buona educazione."
    Clara dice a Heidi:
    "Sono stata cattiva con te. Mi spiace molto. Non pensavo quelle cose. Resta con me."
    "Certo, torneremo nel bosco quando guarirai."
    "Ci andremo tutti i giorni."
    Da allora Clara e Heidi diventano vere amiche. Clara però non guarisce subito.

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  4. .
    ANIME, MANGA, AUTORI GIAPPONESI LINK

    AnimeEManga



    MANGA
    ABASHIRI IKKA
    ASADORA N. 1-5
    ASADORA N. 6
    BLACK BUTLER N. 30
    BLACK BUTLER N. 31
    BLACK CLOVER QUARTET KNIGHTS
    BURN THE WITCH
    DIARI DELLA SPEZIALE N. 1-4
    DR. STONE 14-17
    EDEN'S ZERO
    FORZA SUGAR
    HARENKI GAKUEN
    KOMI NON PUO' COMUNICARE N. 14-24
    LA SCUOLA SENZA PUDORE
    MOGLIE DI UNA SPIA
    SPY X FAMILY 1
    SPY X FAMILY 1-3
    SPY X FAMILY 1-7
    UNDEAD UNLUCK
    YAWARA

    ANIME
    ANGIE GIRL
    BALDIOS
    BAXINGER
    BRYGER
    GOD SIGMA
    GOLION
    SASURAIGER
    VOLTRON
    YAWARA

    RIVISTE LINK
    ANIME CULT
    NIPPON SHOCK

    AUTORI GIAPPONESI LINK
    GO NAGAI: LA SUA FILOSOFIA
    GOSAKU OTA - in memoria
    JUNICHI HAYAMA (maestro del disegno)
    KAORU MORI (Emma, Otoyomegatari)
    KAZUHIRO FUJITA: Ushio e Tora, Karakuri Circus
    KAZUHIRO FUJITA: Black Museum Springald e altri
    KAZUO KOMATSUBARA: vita e opere
    KAZUO KOMATSUBARA: intervista
    NAOKI URASAWA
    OSAMU DEZAKI E AKIO SUGINO - 1: Il libro di Rumor
    OSAMU DEZAKI E AKIO SUGINO - 2: Filmografia, giochi di luce
    OSAMU DEZAKI E AKIO SUGINO - 3: Esempio con Rocky Joe
    SHINGO ARAKI: vita e opere
    SHINGO ARAKI: intervista
    SHINGO ARAKI: i suoi lavori su Goldrake
    SHINGO ARAKI: approfondimenti
    SHUICHI SEKI (Vickie il vichingo, Peline, Papà Gambalunga)
    YOSHIYUKI TOMINO: Gundam

    ALITA LINK

    image


    PRESENTAZIONE
    TRAMA
    ALITA: IL PERSONAGGIO
    ALITA: IL FILM

    DEVILMAN LINK

    D1


    1 - PRESENTAZIONE E TRAMA
    2 - LE OPERE PRECEDENTI: ABASHIRI IKKA, HARENCHI GAKUEN
    3 - MAO DANTE
    4 - IL SIGNIFICATO DEI NOMI
    5 - LE CONTRADDIZIONI DI DEVILMAN
    6 - DISPREZZO PER L'UOMO
    7 - MA DEVILMAN FU UN VERO SUCCESSO?

    SPY X FAMILY LINK

    SP1


    PRESENTAZIONE
    L'ANIME
    I NOMI "TWILIGHT" E "PRINCIPESSA SPINA"
    USCITE MANGA N. 7 E 8
    IL ROMANZO DI SPY X FAMILY
    INTERVISTA ALL'EDITOR
    LA SECONDA SERIE DELL'ANIME
    LA SECONDA SERIE DELL'ANIME (AGGIORNAMENTO 1)
    IL NUOVO FILM
    IL NUOVO FILM (AGGIORNAMENTO 1)
    SPY X FAMILY A TEATRO

    SPY x FAMILY BIBLIOGRAFIA
    Sito ufficiale dell'anime
    Sito Wiki di Spy x Family
    Sito spagnolo su Spy x Family
    Links Tumblr
  5. .
    YAWARA, LA NATA INVINCIBILE

    Autore: Naoki Urasawa
    Casa editrice: Planet Manga

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    Yawara! Una ragazza judoka alla moda è il titolo completo. Yawara Inokuma è il nome della protagonista, che richiama il judo: infatti, "judo" significa "via" (do) "dell'adattabilità, o cedevolezza, o gentilezza" (ju). Infatti, nello judo non si attacca, ma si usa l'attacco dell'altro, usando la sua stessa forza e la sua spinta per farla rivolgere poi contro di lui. Si chiama appunto "principio yawara", cioè "principio della gentilezza". Infatti "Yawara" significa "gentilezza". Solo che il cognome della ragazza, "Inokuma", significa "cinghiale orso"...Non solo: lo yawara è anche il nome giapponese del kongo/legno yawara, un'arma temibile. Si tratta infatti di un’asta di legno adattata alla mano del combattente: può causare fratture e blocchi muscolari. E' l'arma preferita di Modesty Blaise.

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    Quindi, la ragazza è dolce fuori, ma pericolosa dentro. Viene allenata al judo sin da piccola da suo nonno, l'autoritario Jigoro Inokuma, il più forte judoka del Giappone. Il vecchietto vuole fare di lei un'atleta a livello mondiale.

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    Ma Yawara vuole essere invece soltanto "una ragazza alla moda", come dice il titolo. In sostanza, vuole dei vestitini, vuole comprare dei trucchi e dei rossetti ultimo grido, vuole avere un fidanzatino tutto per lei, e fare un lavoro normale tipo la dattilografa, eccetera. Insomma, vuole la superficialità più assoluta, nonostante il suo eccezionale talento nello judo. Riesce a battere senza problemi gli judoka più forti, pensando nel frattempo al prossimo disco degli U2 da comperare assolutamente quando finirà questa stupida sfida. Abbatte l'avversaria Sayaka Honami, pensando intanto a quel delizioso rossetto color pervinca che le sta così bene che deve assolutamente comprarlo prima che scompaia dal negozio dove era andata prima.

    Insomma, talento 100, cervello zero assoluto. Come dire, tanto talento sprecato. Si innamora, sospirando, dei tizi più superficiali e donnaioli che trova e se ne frega altamente dei personaggi che sono veramente interessati a lei. Anche se vincesse tutti i tornei e diventasse la campionessa mondiale dello judo, non ha il minimo interesse a vincere. Si tratta, insomma, di vittorie immeritate, perchè nemmeno volute, nemmeno cercate. In sostanza, Yawara è una testa vuota: però è una testa vuota di talento.

    Yawara-1a-15
    "Devo sbrigarmi, ho un appuntamento alle tre con le mie amiche al bar Profiterol!" PIM PUM PAM "OK, fatto, adesso vado, ciao!" "Aspetti, lei ha vinto il record mondiale, le devo dare la medaglia!" "Me la mandi per posta, grazie"


    NAOKI URASAWA E LE SUE OPERE

    L'autore, Naoki Urasawa, è famoso per i suoi manga, molto elaborati psicologicamente e ricchi di significati sociali e morali. Con Monster e 20th Century Boys, per esempio, solleva questioni morali tipo la libertà di scelta e la confusione tra giusto e sbagliato. Sono opere che non fanno che suscitare delle domande, ma che non danno risposte, perchè l'autore non sa, o non vuole, darle. Solleva delle questioni, ma non propone delle soluzioni nè delle indicazioni. In sostanza, i manga di Urasawa sono provocazioni intelligenti sulle quali si può meditare a lungo, senza però venire mai a capo di niente. Sono fumetti "intellettualistici", più che altro: una delizia per chi ama fermarsi alle domande e non vuole trovare nessuna risposta. Per questo sono trattati come "lavori adulti". Io piuttosto li chiamerei "lavori da sofista", tipo Death Note: sono pieni di ragionamenti sottili e cavillosi che non portano da nessuna parte. Inoltre, mostrano una sostanziale sfiducia nell'uomo e nella capacità reale di realizzare il bene.

    L'ANIME

    Yawara ha avuto una versione animata nel 1989, con ben 124 episodi. Di questi, solo i primi 26 sono stati trasmessi in Italia, col titolo di Ginger, la principessa del Judo, poi cambiato con Jenny la ragazza del judo (un richiamo a Jenny la tennista?). In Italia, infatti, Yawara è stata chiamata Jenny Moore - un nome americano - e il nonno Theodore Moore. L'anime in Giappone ha avuto molto successo, provocando un boom del judo femminile. Anzi, alle Olimpiadi di Barcellona del 1992, l'atleta di judo Ryoko Tamura vinse la medaglia d'argento e fu addirittura soprannominata "Yawara" dai mass media giapponesi. Non solo: nel 2000, la stessa Tamura vinse la medaglia d'oro a Sydney, sfoggiando, in omaggio alla sua beniamina, lo stesso fiocco che porta Yawara nei capelli.

    IL MESSAGGIO DI URASAWA

    Urasawa con "Yawara" vuole prendere in giro i manga sportivi, dove si vince con lacrime, sudore e sangue. Il problema è che, così facendo, crea un personaggio assurdo. Imbattibile, invincibile, preponderante: anche se, praticamente, non fa niente (gli allenamenti ci sono, ma sono appena accennati: neanche si vedono nel manga) è impresa titanica anche per le atlete più qualificate starle al passo. Insomma, vince sempre senza fare alcuna fatica, ed è un controsenso. L'ironia di Urasawa si è ritorta contro la sua stessa opera: deridendo i manga sportivi, ha creato un manga assurdo.

    Urasawa riesce comunque a raccontare tutto in modo incalzante. Tutti i personaggi sono ben realizzati e molto espressivi: l'autore sa descrivere bene i loro sentimenti con pochi tratti (uno sguardo, un sorriso, una fronte corrucciata). Tuttavia, spesso hanno un tono caricaturale e vagamente antipatico (in particolare il nonno di Yawara: burbero, cafone, infido).

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    Prima della serie animata, uscì un film live action di 97 minuti, "Yawara!" interpretata da Yui Asaka

  6. .
    BENE E MALE, EROI E MALVAGI: UNA REALTA' NEGATA

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    L'eroe (Goku) contro il malvagio (Taobaibai)


    Oggi sono passati 750 anni dalla morte di San Tommaso d'Aquino (morì nel 1274): la sua filosofia e teologia hanno una logica ferrea e si fondano sulla realtà dei fatti. Per esempio, afferma quello che per lui era un'evidenza: nella società umana ci sono i virtuosi e i malvagi. Cioè, esistono le persone buone e le persone malvagie. Questo è un giudizio, un'affermazione che per San Tommaso e i suoi contemporanei del 1200 era innocua, ovvia: tanto era lapalissiana nel suo oggettivo realismo. Ma per noi del 2020 non lo è per niente.

    Infatti, oggi parlare di "virtù" e "malvagità" non è di moda, non è politicamente corretto, perchè si tratta di parole ritenute obsolete, superate, risibili. Anche un tantino bigotte. La virtù e la malvagità, si dice oggi, non esistono: sono solo concetti astratti. È solo la nostra personalissima griglia di valori a considerarle tali. Esistono solo delle scelte personali che, finché non offendono gli altri, sono lecite. Non ci sono dunque persone cattive: e, se ci sono, lo sono perchè sono persone fragili, in ricerca, ferite, poverine. E' tutta colpa della società, dei genitori, di chi lo aveva picchiato da piccolo, se sono diventati così. La colpa, insomma, è sempre di un altro. Mai che sia colpa del cattivo e delle sue scelte disgraziate.

    Ecco, questa visione dell'uomo, "buono sempre e comunque, semmai corrotto da sovrastrutture sociali", che va di moda oggi nell'Anno del Signore 2024 e da un mucchio di tempo, era esclusa da Tommaso, non solo dal punto di vista cristiano a motivo del peccato originale: ma anche perché era una cosa evidente, sia a lui che ai suoi contemporanei del 1200, che tutti noi compiamo il male, magari senza rendercene conto, e che, anzi, ci sono delle persone totalmente dedite al male.

    Cioè, in sostanza: gli uomini e le donne malvagi esistono. Un realismo inaccettabile oggi, per via del il buonismo imperante, nato da un approccio relativista, dove ogni scelta è insindacabile. Buonismo, però, solo di facciata, perché, nel privato, ciascuno di noi bolla gli altri spesso come spregevoli, mediocri, invidiosi, eccetera. In sostanza, il buonismo è quella vecchia cosa che si chiamava un tempo ipocrisia.

    Ma l'eroe (quello a cui si dovrebbe tendere) e il malvagio (tutto ciò che si dovrebbe evitare) sono modelli che esistono, fanno parte della nostra vita, in cui, nel nostro cuore, si combattono il bene e il male: e c'è chi sceglie il bene, come c'è chi sceglie il male. C'è l'eroe e il malvagio.

    L'EROE

    L'eroe è una persona che s'impone all'ammirazione di tutti per le sue virtù eccezionali di coraggio e abnegazione. L'abnegazione è la disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere i suoi propri istinti, i desideri e gli interessi personali, e lo fa per motivi superiori. L'eroe, in sostanza, è colui che è sempre disposto a sacrificarsi personalmente per gli altri.

    Nei fumetti esistono gli eroi e i malvagi: l'eroe è la persona buona. Non è un imbecille, nè un cretino, anche se spesso oggi viene considerato così. E' nella natura dell'eroe fare la cosa giusta. Non è perfetto, nè infallibile: può fare degli errori, può crescere, può avere dei dubbi. Ma, in definitiva, non mollerà mai e non sceglierà mai il male. E' di natura già buono: cioè ha scelto il bene sempre e comunque. Anzi, eroi come Superman, Capitan America, Son Goku sono tali da ispirare gli stessi altri comprimari delle loro storie a comportarsi come loro: oltre ad essere degli eroi, sono dei modelli per gli altri. Non accettano l'ingiustizia in nessun modo e ispirano, con le proprie gesta e il proprio esempio, la gente comune ad essere migliore; mostrano che si può essere migliori. Danno speranza.

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    L'eroe (Batman) contro il malvagio (Joker)


    IL MALVAGIO

    Il malvagio è l'antagonista. E' veramente malvagio. Cioè, gode nel fare il male. Non è senza raziocinio, non è pazzo: il malvagio ha degli obiettivi, ha dei piani precisi, ha molta scaltrezza. Ma, semplicemente, la sua motivazione profonda è quella di essere una grandissima carogna dal cuore nero come il carbone nero. La sua natura è quella ed è sempre stata quella. Ha scelto il male, ci gode e rimane nella logica del male. E' nato storto ed ha continuato ad essere storto.

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    "Butcher", il macellaio: un perfetto esempio di malvagio carogna.


    Caronte, il traghettatore dell'Inferno, lo chiamerebbe "anima prava", cioè "anima storta", e lo caricherebbe sul suo battello per portarlo all'Inferno. Per esempio, il Joker, l'Imperatore di Guerre Stellari, Crudelia Demon, Iron Man di Civil War, Hans Gruber di Die Hard-Trappola di cristallo, rappresentano il Male: una negatività primordiale, contro la quale ci si può solo opporre, altrimenti si verrà distrutti. Si potrebbe dire che sono il diavolo allo stato puro.

    PERCHE' I MALVAGI NON SONO CONSIDERATI MALVAGI?

    Si pensa sempre che questi due personaggi, l'eroe e il malvagio, siano solo dei personaggi bidimensionali e poco interessanti. Solo dai personaggi che ho citato ed altri che potrei nominare, penso vi siate resi conto di quanto questo luogo comune sia sbagliato. Sono tutti personaggi con lo stesso potenziale di complessità di qualsiasi altro: e, nello stesso tempo, sono semplicemente la massima rappresentazione del Bene e del Male che un personaggio di fantasia potrà mai essere.

    Allora perchè si sta cercando di negare questi due modelli? Perchè si tenta di distruggerli nella cultura popolare? Perchè si tenta di convincere la gente che gli eroi sono solo dei fetenti, come fa Alan Moore con Watchmen, e i malvagi invece sono solo degli antieroi incompresi?

    Perchè l'ideologia di oggi (la sinistra, la massoneria, il modo di pensare attuale, eccetera) credono nel relativismo. Per loro, tutto è relativo: la scienza è relativa, la biologia è relativa, la morale è relativa e il Bene e il Male sono relativi. O, per meglio dire, non esistono. Ma dire che il Bene e il Male sono relativi o non esistono è follia, perchè implica non solo una filosofia di vita sempre autoassolutoria, ma implica anche il fatto che il Giusto e lo Sbagliato non esistano: dipendono solo da noi. Invece, l'eroe e il malvagio esistono proprio per ricordare che invece il Bene e il Male esistono, sono sempre esistiti, così come, di conseguenza, il Giusto e lo Sbagliato esistono, sono sempre esistiti. E questo significa che chiunque può andare a dire loro che stanno sbagliando, che hanno torto per ragioni precise e concrete.

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    L'eroe (Capitan Marvel) contro il malvagio (Thanos)


    Questo, la sinistra, la massoneria, eccetera, non lo sopportano e non possono affrontarlo, perchè loro appoggiano il proprio equilibrio interiore (o psicologico, se preferite) su delle menzogne che si raccontano da soli, su una loro visione del mondo che non esiste, che viene frantumata in due minuti, se messa a confronto con la realtà e coi fatti concreti. E' un sostegno psicologico molto fragile e traballante e si tiene insieme solamente se nessuno lo mette in dubbio. Per fare sì che nessuno lo metta in dubbio, tutti devono esserne convinti ed accettarlo come nuova verità, e quindi tutto ciò che dimostra il contrario deve essere decostruito e stravolto (oppure distrutto) per appoggiare questa "nuova verità". E spesso questo lo si fa con violenza, con minacce, non certo col dialogo o col dibattito, che loro, sì, invocano sempre... ma solo per gli altri. Mai per se stessi. Perchè loro sono la Verità.

    Inoltre, per loro, i malvagi sono eroi e li trovano simpatetici (cioè si accordano perfettamente al loro modo di pensare e di sentire) perchè, sostanzialmente, impongono il loro egoistico bisogno e la loro personale visione sugli altri. Quindi non è colpa dei malvagi, ma della società (qualunque cosa voglia dire questo termine: ma in sostanza, sono "gli altri", mai loro), che si merita qualunque cosa di orribile questi personaggi possano commettere.

    Quindi abbiamo cose come il film su Crudelia Demon (mi rifiuto di chiamarla Cruella: in Italia è Crudelia da prima che io nascessi e solo perchè chi si occupa di adattare i film ormai segue ossequiosamente l'originale inglese non significa che io debba adattarmi a quello che scelgono loro). Ovvero un film che pretende di spiegarti le origini, le motivazioni, le scusanti e farti simpatizzare per un personaggio che sostanzialmente ha lo scopo di scuoiare 100 cuccioli di dalmata per farsene una pelliccia. Perchè ovviamente tutto è relativo e nessuno è davvero malvagio. Peccato che Crudelia Demon invece lo sia, malvagia: il personaggio è stato creato per essere malvagio e basta. Non ha bisogno di spiegazioni, nè di sapere la causa per la quale è diventata così, perchè non esiste. Crudelia è una vecchiaccia schifosa dal cuore nero e così è sempre stata. E Malefica? Uguale. E' il Male ed è lì per rappresentare il Male nella sua essenza, da contrapporre a ciò che rappresenta l'Eroe. Harley Quinn? E' una psicopatica omicida che sente le voci nella testa che ha scelto di seguire il Joker. Non è un personaggio eroico.

    Prendiamo un altro esempio: Norman Stansfield, il cattivo del film Leon magistralmente interpretato da Gary Oldman (e magistralmente doppiato dal nostro compianto Tonino Accolla: diamo a Cesare quel che è di Cesare). Il film ci fa capire che Norman è un poliziotto corrotto, coinvolto direttamente con lo spaccio di droga, drogato lui stesso, chiaramente instabile a livello psicologico e palesemente un individuo negativo e malvagio. C'è bisogno di sapere come è diventato così e renderlo più simpatico al pubblico o fargli dire: "poverino, non è colpa sua"? No, perchè Norman è lì unicamente per essere un essere malvagio e abietto. Un interessante malvagio e abietto, magari, ma pur sempre un malvagio e abietto. Un ruolo che viene svolto alla perfezione. E' un individuo malvagio fino al midollo, che entra nella vita dei protagonisti e la stravolge. Non c'è bisogno di sapere altro di lui. Si potrebbe dire lo stesso di Hans Gruber di Die Hard, già citato.

    Abbiamo poi Superman, che è il simbolo della Speranza (con la S maiuscola) ed è l'eroe per eccellenza. Superman è stato presentato perfettamente nel primo film di Richard Donner, interpretato da Christopher Reeve: aveva la gentilezza, l'altruismo, il costume dai colori brillanti, la determinazione, l'integrità...tutte cose che davano alla gente il desiderio di provare ad essere un pò migliori. Poi è arrivato Zack Snyder col suo Superman pessimista, che si è arreso ancora prima di iniziare e col suo costume dai colori spenti, morti e deprimenti. Un Superman che, tra l'altro, uccide. Lo so che è abbastanza inflazionato come argomento riguardo a quel film: però resta il fatto che Superman, quello vero, non lo avrebbe mai fatto. Piuttosto, avrebbe rischiato una mano per coprire gli occhi a Zodd, ma non lo avrebbe ammazzato, perchè Superman esiste per insegnare ad essere migliori.

    SUPERMAN-DOOMSDAY
    L'eroe (Superman) contro il malvagio (Doomsday)


    Vogliamo parlare di He-Man? Potrei dire molto, ma preferisco citare Mark Taylor, uno dei maggiori responsabili della creazione dei Masters: "...He-Man era un esempio per i bambini, era il loro migliore amico: un uomo buono ed onesto, in grado di sbaragliare qualsiasi nemico". Quanto bisogna essere perversi per voler smontare qualcosa di così positivo?

    Il Bene esiste. Il Male esiste. Esistono il Giusto e lo Sbagliato. Esistono la Ragione ed il Torto. E chi li determina? Qualcosa di superiore a noi: l'evidenza. Non si può dire Dio, perchè tanti non ci credono: e allora diciamo l'evidenza. Il buon senso. Il contatto con la realtà. Se io dico che le foglie sono verdi, non può saltare su uno a dirmi che invece sono blu, solo perchè a lui piacerebbe di più così e vuole credere che sia altrettanto giusto. Sono verdi e basta, scientificamente è spiegato e dimostrato il motivo per il quale sono verdi: questa è evidenza. Io ho ragione e lui ha torto, non ci sono scappatoie e se lui ci rimane male si arrangia, perchè alla realtà e ai fatti concreti non importa nulla dei suoi sentimenti. La realtà non muterà solo per farlo contento e reggergli la balla che si racconta da solo.

    CAP-TESCHIO
    L'eroe (Capitan America) contro il malvagio (Teschio Rosso)


    Allo stesso modo, queste idee innate, questi archetipi, sono quelli, sono sempre stati quelli e restano immutabili: saranno sempre così. Perchè, fin da quando, all'alba dei tempi, l'uomo ha camminato sulla Terra e ha iniziato a creare delle storie (e questo lo ha fatto subito), i concetti di Bene e di Male sono stati sempre presenti, in ogni parte del mondo e senza che nessuno li andasse ad insegnare.

    Basterebbe pensare alle fiabe con l'orco, o col lupo, o col drago. Sono usati spontaneamente, perchè stanno alla base del raccontare una storia. Vuoi stravolgerli o frantumarli? Ok, ma ti uscirà fuori una storia assurda, senza capo nè coda. E' la matematica della narrativa, se mi concedete questa definizione. Serve la consapevolezza del Bene e del Male, serve la consapevolezza che si può aver ragione e che si può avere torto: senza scappatoie, senza se e senza ma. E' così e non muore nessuno per questo. Anzi, si sta meglio a saperlo.

    THOR-MANGOG
    L'eroe (Thor) contro il malvagio (Mangog)



    BIBLIOGRAFIA
    Bastabugie
    Fantasia Errante
  7. .
    IL GIORNALINO COMPIE (MALE) CENT'ANNI

    COPERTINA-17118165194638
    Bob Kent di Giuliano Giovetti, autore completo (storia e sceneggiatura): quasi il Ken Falco italiano (anche se con tematiche completamente diverse), è stato uno dei fumetti più apprezzati del Giornalino.


    C'è stato un tempo in cui c'era la possibilità di riunire in una rivista i migliori autori di fumetti: prima col Corriere dei Piccoli, poi col Vittorioso e l'Avventuroso, poi col Corriere dei Ragazzi...il Giornalino fu l'ultimo, e possiamo dire che questo periodo finì in bellezza. Il Giornalino c'è ancora, ma è ben lontano dalle qualità dei lavori di un tempo.

    LE EDIZIONI SAN PAOLO

    Tutto iniziò ad Alba (Cuneo), nel Piemonte. Siamo nel 1914 ed è iniziata la Prima Guerra Mondiale: nonostante questo, il beato Don Giacomo Alberione, parroco e padre spirituale del seminario di Alba, fondò le Edizioni San Paolo, quelle che pubblicheranno Il Giornalino, in una riunione con altri sacerdoti e fedeli in una tipografia cattolica presso la chiesa di Alba.

    Don-Alberione
    Il beato Don Alberione, fondatore della San Paolo


    Ispirato da Don Bosco, Don Alberione fu il primo ecclesiastico contemporaneo ad occuparsi esclusivamente dei mass media. La San Paolo realizzò, oltre al Giornalino, Famiglia Cristiana, Jesus. Lo scopo della nuova casa editrice era, ovviamente, diffondere la fede cristiana a mezzo stampa. Il nome San Paolo si richiama all'omonimo santo, l'evangelizzatore per eccellenza. Dal secondo dopoguerra, la San Paolo si diffuse anche all'estero e si trasferì a Milano. Oltre alla buona stampa, si impegnarono anche nell'attività cinematografica, fondando la San Paolo film: realizzarono il film Abuna Messias (la vita del predicatore Guglielmo Massaia che andò in Abissinia e fu chiamato dalla gente "Abuna Messias", il suo nome in etiope), e nel 1950 "Mater Dei", il primo lungometraggio a colori realizzato in Italia, che parla della vita della Madonna. Infatti, "Totò a colori" fu realizzato dopo, nel 1952: quindi non è stato il primo film italiano a colori. Tra i film più famosi della San Paolo Film ricordiamo Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini, con Nino Manfredi, che ebbe un successo strepitoso, fino a diventare il "Pinocchio" definitivo.

    LA NASCITA DEL"GIORNALINO"

    Il Giornalino è il settimanale più longevo d’Europa: è nato infatti cent'anni fa, il 1° ottobre 1924, in formato giornale. Allora c'era già un certo numero di riviste destinate a bambini e ragazzi: il Correre dei Piccoli, i cattolici Italia Missionaria e Messaggero dei Ragazzi, e compagni. Ma a quei tempi non c'era ancora la stampa di massa e la diffusione del cinematografo come oggi: il concetto di "mass-media", cioè "cultura di massa". non c'era ancora.

    Però fu proprio negli anni Venti che iniziò il processo che vide l’editoria trasformarsi da fenomeno di élite (e anticlericale) di fine Ottocento a fenomeno di massa, grazie all’impulso di nuove tecnologie di stampa e grazie ai cambiamenti sociali di allora (eravamo al primo dopoguerra, tutto era ancora da ricostruire: questo diede stimolo a nuove iniziative). Iniziarono così i primi passi di quell’industria culturale che attraverserà tutto il Novecento fino ai giorni nostri. Per dire: nello stesso 1924, l'anno del Giornalino, fu fondata la Metro-Goldwyn-Mayer, il famoso leone ruggente della storia del cinema, nacque l’URI, l'Unione Radiofonica Italiana, che iniziò le prime trasmissioni radio dalla stazione di Roma, fu inaugurata la prima autostrada del mondo, la Varese-Milano.

    Don Alberione decise di investire sui ragazzi rivolgendosi direttamente a loro con un giornale, appunto il Giornalino, che unisca in sé elementi per una formazione integrale della persona, in un equilibrato mix di divertimento, formazione e informazione. Infatti, una caratteristica del Giornalino è sempre stata l'accompagnamento scolastico: una cosa che ci vorrebbe al giorno d'oggi. Per questo fu realizzato il famoso inserto “Conoscere Insieme”: lì c'erano le interviste ai personaggi famosi della storia, degli articoli su un aspetto della cultura, della geografia, della natura; tanti approfondimenti sulle opere famose, sui personaggi, scoperte, scienza, sugli eventi storici e così via, accompagnate da immagini di grande livello, realizzate dai migliori autori italiani. Roba che adesso se la sognano, Eppure a quei tempi c'era ogni settimana.

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    All'inizio, Il Giornalino era distribuito solo nelle parrocchie: aveva il formato grande da giornale come il Corriere dei Piccoli di un tempo, con tanto di immagini e fumetti con le rime in calce. Negli anni '50 iniziarono a comparire i balloon dei fumetti ed ebbe il formato rivista attuale. Il periodo d'oro iniziò negli anni '70: nel 1970, infatti, chiuse il Vittorioso, un importante settimanale cattolico, e i suoi autori - tutti di grande talento - passarono sulle pagine del Giornalino. Da allora furono pubblicate le serie a fumetti più famose: Larry Yuma, Il commissario Spada, Pinky, eccetera. Fecero anche le trasposizioni a fumetti di romanzi classici, tipo I promessi sposi e altri, che diventeranno una caratteristica della testata.

    DON TOMMASO MASTRANDREA, DETTO ZIO GIO': L'ANIMA DEL "GIORNALINO"

    Don-Tommaso-Mastrandrea
    Don Tommaso Mastrandrea (1942-2021), il redattore più famoso del Giornalino: lo gestì per vent'anni, dal 1976 al 1999.


    Il pugliese Don Tommaso Mastrandrea fu il direttore del Giornalino nel suo periodo d'oro (dal 1976 al 1999). Portava il soprannome di Zio Giò, al quale scrivevano i lettori nella rubrica della posta, parlando dei loro problemi e ai quali "Zio Giò" rispondeva. E' stato anche sceneggiatore: realizzò La Bibbia a fumetti negli anni '90, coi disegni di Marco Rostagno, e Il segreto dei quattro codici, disegnato da Sergio Toppi: era una storia sulla vita del beato Giacomo Alberione, fondatore del Giornalino e della San Paolo. La sua opera più famosa, però, è Paulus: una rivisitazione fantascientifica della vita di San Paolo, disegnata da Gianni de Luca. Mastrandrea fece il soggetto e Renata Gelardini si occupò della sceneggiatura. Appena mi sarà possibile ve ne parlerò.

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    UN MUCCHIO DI AUTORI

    Il Giornalino ha sempre cercato di coniugare avventura, fumetto ed educazione, accompagnando la crescita dei ragazzi, sempre nella logica del fratello maggiore, un po’ complice e un po’ punto di riferimento. Riguardo ai fumetti (e illustrazioni, l'ossatura del giornale nella sezione delle rubriche), l'elenco degli autori è sterminato. Abbiamo Attilio Mussino, per esempio, il più famoso illustratore di Pinocchio.

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    Oppure Antonio Rubino (autore liberty famoso per il personaggio di Quadratino del Corriere dei Piccoli); Sebastiano Craveri (autore di molte storie di animali umanizzati); Santo D’Amico (grande autore di storie come Guglielmo Tell; ha anche disegnato alcune avventure italiane dell'Uomo Mascherato); Ennio Zedda (famoso autore sardo); Lino Landolfi (suo il Padre Brown a fumetti); Ruggero Giovannini (realizzò i disegni di Capitan Erik e I biondi lupi del Nord); Gianni De Luca (di cui ho già parlato qui); Gino Gavioli (famose le sue riduzioni di romanzi e fiabe a fumetti); Franco Caprioli (autore dal tratto realista, fece molte riduzioni di romanzi, soprattutto di Giulio Verne); Rino Albertarelli (KIt Carson, Dottor Faust; sul Giornalino fece solo delle illustrazioni); Luciano Bottaro (autore di Pon Pon); Massimo Mattioli (autore del coniglio rosa Pinky, un personaggio simbolo del Giornalino). Ricordiamo tra gli illustratori anche Angelo Bioletto: tra il 1948 e il 1950 disegnò tre famose storie a fumetti di Topolino, scritte da Guido Martina: Topolino e il cobra bianco, Topolino e i grilli atomici, L'inferno di Topolino (1949): quest'ultima fu il capostipite delle "Grandi Parodie" della Disney in Italia. Successivamente, si dedicò all'illustrazione di libri per ragazzi.

    ANGELO-BIOLETTO
    Cenerentola illustrata da Bioletto


    Poi abbiamo: Giovanni Boselli (realizzò i fintomedievali Bellocchio e Leccamuffo, e il gangster fallito Gec Sparaspara, preso da Jak Mandolino di Jacovitti); Carlo Boscarato, il disegnatore ufficiale di Larry Yuma; Alfredo Brasioli, di cui ho parlato qui. E mi fermo, se no farei un libro. Ma ne parlerò meglio più avanti.

    SCRIVERE PER RAGAZZI NON E' ROBA DA BAMBINI, ANZI.

    "Scrivere per fanciulli" diceva don Alberione "è un'arte singolarmente difficile. Oltre a richiedere una vocazione speciale, richiede anche nell’apostolo (così lui chiamava i suoi collaboratori) una preparazione adeguata e un'attività sapiente". E' un lavoro affascinante, ma anche complesso, che richiede flessibilità e cultura.

    La grande produzione di personaggi e di serie a fumetti realizzata dal Giornalino lo mette in un posto di tutto rispetto nella produzione fumettistica italiana. Non sono mancate le incursioni all’estero (Asterix, i Puffi e Lucky Luke, per esempio), ma la produzione è stata tutta prevalentemente italiana.

    Oltre a questo, il Giornalino aveva presentato anche delle interviste, commenti, inchieste e reportage, invitando scrittori e giornalisti a realizzare degli articoli sul settimanale. Per esempio, tra i giornalisti che scrissero sul Giornalino abbiamo: Folco Quilici, Indro Montanelli, Piero Angela, Ambrogio Fogar, Piero Bianucci, Giancarlo Ligabue, Fulco Pratesi, Maurizio Leigheb, Alfredo e Angelo Castiglioni. Anche lo sport non è stato certo trascurato, con le firme di Gian Paolo Ormezzano a Giacinto Facchetti, Antonio Cabrini, Michel Platini, Paolo Maldini.

    Attualmente, il Giornalino di oggi, purtroppo, non ha più lo stesso livello di allora, e usa un linguaggio più adatto a bambini, che è diventato il nuovo lettore tipo a cui rivolgersi, non più il pubblico di ragazzi di allora. Torna anche ad avere una distribuzione limitata, a livello parrocchiale, anzi, forse meno ancora (ai tempi d'oro, il Giornalino era arrivato anche nelle edicole). Oggi, praticamente, lo si trova solo in qualche libreria delle Paoline, o in abbonamento. Diciamo che vivacchia: ha raggiunto i 100 anni, ma non so se andrà molto oltre.

    (continua)

    BIBLIOGRAFIA

    Fumettologica
  8. .
    PARADISO CANTO 19 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI - IL PROBLEMA DELLA SALVEZZA

    AQUILA
    L'aquila composta dai beati inizia a formarsi nel Cielo di Giove, quello dei Giusti. E' il Cielo dei Re e del Giudizio: per questo si parla qui del Giudizio Finale.


    L'AQUILA - CIOE' I MOLTI IN UNO - INIZIA A PARLARE

    Nel Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti, l'aquila di prima si staglia di fronte a Dante con le ali aperte: è composta da migliaia di spiriti giusti, che godono della visione divina. Ognuno di essi sembra un rubino che scintilla, colpito dai raggi del sole. Ad un tratto, tutte le anime iniziano a parlare insieme come se fossero una cosa sola. Un evento straordinario che Dante si sforza di descrivere: è come se a parlare fosse l'aquila col suo becco, dicendo "io" e "mio", anziché "noi" e "nostro". E' un'unità totale.

    Parea dinanzi a me con l’ali aperte (Appariva davanti a me, con le ali spiegate,)
    la bella image che nel dolce frui (la bella immagine (l'aquila) che, nella dolce visione di Dio)
    liete facevan l’anime conserte; (era formata dalle anime liete)

    "Frui" è "fruire": un infinito sostantivato che significa "godimento". Dal latino "frui", "godere".

    parea ciascuna rubinetto in cui (ognuna delle anime sembrava un rubino)
    raggio di sole ardesse sì acceso, (colpito da un raggio di sole, talmente splendente)
    che ne’ miei occhi rifrangesse lui. (da rifletterne la luce nei miei occhi.)

    E quel che mi convien ritrar testeso, (E ciò che ora devo descrivere)
    non portò voce mai, né scrisse incostro, (non fu mai pronunciato a voce, né scritto con l'inchiostro,)
    né fu per fantasia già mai compreso; (né mai concepito dalla fantasia umana;)

    ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, (infatti io vidi e udii anche il becco dell'aquila)
    e sonar ne la voce e «io» e «mio», (che parlava e diceva con la sua voce «io» e «mio»,)
    quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’ (volendo in realtà dire «noi» e «nostro».)

    Infatti l'aquila parla usando "io" come soggetto, ma per la verità stanno parlando tutti insieme i beati che la compongono, all'unisono:

    E cominciò: «Per esser giusto e pio (E iniziò: «Per essere stato in vita giusto e devoto,)
    son io qui essaltato a quella gloria (io sono qui innalzato a quella gloria)
    che non si lascia vincere a disio; (che non viene vinta da alcun desiderio mortale;)

    e in terra lasciai la mia memoria (e sulla Terra lasciai un tale ricordo,)
    sì fatta, che le genti lì malvage (che persino gli uomini malvagi)
    commendan lei, ma non seguon la storia». (lo lodano, anche se poi non lo seguono».)

    L'aquila - o i beati che la compongono, se preferite - afferma che gli spiriti che la compongono sono stati sulla Terra giusti e devoti: hanno cioè dimostrato le due virtù (giustizia e pietà) attribuite a Traiano nell'episodio del Purgatorio, in cui, nella Cornice dei Superbi, si facevano vedere i modelli di umiltà, come appunto l'imperatore Traiano che ascoltava una vedova. Per questo si pensa che i beati che compongono l'aquila siano soprattutto dei re e principi.
    Dopo questo, Dante sottolinea il fatto dei tanti che parlano come fossero uno solo, col paragone delle braci: come da molte braci promana un unico calore, così dalle molte anime di quell'immagine di aquila usciva un unico suono.

    IL DUBBIO DI DANTE: LA SALVEZZA DEI NON CREDENTI

    Dante si rivolge agli spiriti che formano l'aquila, e che gli sembrano dei fiori che emanano un solo profumo: vuole che gli chiariscano un dubbio, che lui chiama "gran digiuno": sulla Terra non è riuscito mai a chiarirlo (e, sempre in riferimento al digiuno, Dante lo spiega dicendo che questo dubbio-digiuno "lungamente m’ha tenuto in fame"). Si tratta del problema della salvezza per i non credenti. Dante precisa che la giustizia divina si riflette nella gerarchia angelica dei Troni: qui però siamo nel Cielo di Giove, dove c'è la gerarchia angelica delle Dominazioni. Solo nel Cielo successivo, quello di Saturno, c'è la gerarchia angelica dei Troni, che riflettono appunto la Giustizia Divina. Tuttavia Dante è certo che quegli spiriti beati conoscono la Giustizia Divina senza veli. Egli è pronto ad ascoltare la loro risposta, poiché essi conoscono già la sua domanda.

    GERARCHIE ANGELICHE

    Mi rendo conto che, con questi discorsi sui Troni e Dominazioni sia facile perdere un pò il filo del discorso. Per chiarirmi, interrompo un momento la Commedia e presento qui tutte le Gerarchie Angeliche, alle quali avevo già accennato qui:

    CHERUBINI


    - ANGELI: sono la gerarchia più bassa e più vicina agli uomini. Per esempio, ognuno di noi ha un Angelo Custode. Gestiscono il cielo della Luna, il più basso.
    - ARCANGELI: sono sopra gli Angeli: si occupano dei gruppi e delle nazioni. Ogni Nazione, o popolazione, o gruppo etnico, eccetera, ha il suo Arcangelo. Gestiscono il Cielo di Mercurio.
    - PRINCIPATI: sono sopra gli Arcangeli. Sono gli angeli della storia e del tempo, guardiani delle nazioni e delle contee (gruppi di nazioni), e di tutto quello che concerne i loro problemi ed eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo scambio. Gestiscono il Cielo di Venere.
    - POTESTA': sono sopra i Principati. Gestiscono la sapienza e quindi discipline come la filosofia, la teologia, la religione, e a tutti i documenti che appartengono a questi studi. Gestiscono il Cielo del Sole.
    - VIRTU': sono sopra le Potestà. Si chiamano anche "Fortezze". Gestiscono il coraggio saldo e intrepido in tutte le attività, accogliendo le illuminazioni donate da Dio. Sono gli Angeli combattenti e presiedono ai grandi cambiamenti della storia. Gestiscono il cielo di Marte.
    - DOMINAZIONI: sono sopra le Virtù. Sono Angeli che hanno l'incarico di regolare i compiti degli angeli inferiori: ricevono i loro ordini dagli Angeli superiori (Troni, Serafini, Cherubini o anche direttamente da Dio). Gestiscono il Cosmo: devono assicurarsi che il cosmo sia sempre in ordine. Sono gli angeli ai quali Dio affida la forza del dominare. Gestiscono il Cielo di Giove.
    - TRONI: sono sopra le Dominazioni. Il loro compito è quello di tradurre in opera la sapienza e il pensiero elaborato dai Cherubini (per questo riflettono anche la Giustizia Divina, come dice Dante). Gestiscono il Cielo di Saturno.
    - CHERUBINI: sono sopra i Troni. Sono perciò i guardiani della luce e delle stelle: rielaborano le intuizioni immediate dei Serafini traducendole in riflessioni e pensieri di saggezza, riguardanti l'evoluzione dei sistemi planetari. Sono Angeli dediti alla protezione, quindi sono posti a guardia dell'Eden e del trono di Dio. Ad essi è attribuita una perfetta conoscenza di Dio, superata soltanto dall'amore di Dio dei Serafini. Le sculture di due Cherubini contrapposti erano rappresentate sul coperchio dell'Arca dell'Alleanza. Gestiscono il Cielo delle Stelle.
    - SERAFINI: Sono l'ordine più elevato degli Angeli: gestiscono il Cielo Cristallino o del Primo Mobile, il più vicino a Dio. Dall'Empireo, cioè dalla Presenza Divina, ricevono in forma immediata le idee e le direttive con cui far evolvere tutto il complesso cosmico. La Bibbia li raffigura come angeli dotati di sei ali: due per volare, due per coprirsi il volto e due per coprirsi i piedi. Cantano continuamente le lodi di Dio: «Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della Sua gloria». Cantano la musica dei Cieli e regolano il movimento del cielo, così come loro comandato. Ardendo di amore e di zelo per Dio, emanano una luce così potente e brillante che nessuno, se non con occhi divini, può guardarli. Lucifero era un Serafino: dopo la sua ribellione a Dio, diventò satana, che significa "l'avversario", o diavolo (da "diabolos": "colui che divide") e cadde nell'inferno, cioè nell'assenza di Dio, nell'odio eterno.

    L'INIZIO DELLA RISPOSTA

    Nel rispondere alla domanda di Dante, l'aquila sembra un falcone al quale sia stato tolto il cappuccio: infatti, quando questo succede, il falcone inizia a muovere la testa e apre le ali, felice di librarsi in cielo ("Quasi falcone ch’esce del cappello, / move la testa e con l’ali si plaude, / voglia mostrando e faccendosi bello,"). Inoltre, le anime che la compongono intonano un canto che solo loro possono comprendere.

    L'aquila, successivamente, parla: vista la complessità dell'argomento, inizia da lontano. Dice che Dio ha creato l'Universo:

    "Colui che volse il sesto / a lo stremo del mondo"

    cioè "tracciò col compasso i confini dell'Universo". "Sesto" è il termine antico di "compasso". Dio ha creato le cose visibili e invisibili:

    "dentro ad esso / distinse tanto occulto e manifesto" (dentro l'Universo / fece le cose invisibili e visibili)

    Nella creazione, però, il Verbo di Dio (cioè, la sua Essenza, la sua Persona) resta infinitamente oltre ogni creatura. Cioè: nessuno, per quanto grande sia, può contenere Dio: Dio non può essere "contenuto" in una creatura, anche se fosse un Angelo. Per questo, Lucifero, chiamato dall'aquila " ‘l primo superbo", che fu la più alta di ogni creatura, si ribellò per la sua superbia e per non aver atteso la Grazia divina, cioè accettare l'azione amorevole di Dio su di lui. Nella sua superbia, Lucifero non solo si reputò come Dio, ma si credette addirittura superiore a Lui:

    E ciò fa certo che ‘l primo superbo, (E di ciò è prova il fatto che il primo peccatore di superbia (Lucifero)
    che fu la somma d’ogne creatura, (che fu la più perfetta di ogni creatura,)
    per non aspettar lume, cadde acerbo; (fu precipitato dal Cielo per non aver atteso il lume della grazia divina;)

    La visione umana, chiamata dall'aquila "vostra veduta", viene da Dio stesso:

    "convene / esser alcun de’ raggi de la mente / di che tutte le cose son ripiene" ("essa (la visione umana) / è solo uno dei raggi della mente divina / di Colui che è presente in tutte le cose")

    E la visione umana non è in grado, per sua natura, di comprendere il primo principio, Dio:

    "non pò da sua natura esser possente / tanto che suo principio discerna"

    Dio, infatti, è al di là della portata dei sensi dell'uomo:

    "molto di là da quel che l’è parvente"

    Ed è chiaro che qui Dante, per "sensi", non intende solo i cinque sensi, come la vista eccetera: intende anche tutte le capacità intellettuali dell'uomo.

    Per fare un paragone, l'aquila parla dell'occhio umano che vede la profondità del mare all'inizio, quando si trova alla riva. Ma, quando è in mezzo all'Oceano, questo è impossibile farlo. Eppure il fondo del mare c'è lo stesso, come alla riva, anche se non si vede. Allo stesso modo, l'uomo non può vedere la profondità della giustizia divina. Non nel senso che la giustizia divina possa essere ingiusta: anzi è assolutamente giusta. Però è al di là della comprensione dell'uomo.

    oceano
    Non si può vedere il fondo del mare: allo stesso modo non si può pretendere di vedere fino in fondo i giusti giudizi di Dio.


    Solo la luce che deriva direttamente da Dio può illuminare l'uomo:

    "Lume non è, se non vien dal sereno (Dio) / che non si turba mai"

    E questa luce è tale da non essere mai offuscata ("che non si turba mai"). Ogni conoscenza umana, invece, di per sè, essendo limitata, è imperfetta: è oscura ("tenebra"), è viziata dai sensi e dai limiti del corpo ("ombra de la carne") e può portare a credenze errate ("suo veleno"). L'uomo non è onnipotente nè onnisciente: Dio sì. Questo dice l'aquila, in sintesi. E' la prima cosa da tenere da conto.

    UN PROBLEMA SEMPRE SENTITO

    Dante, a questo punto, può capire la risposta al suo dubbio. Lo ripeto in sintesi: se qualcuno nasce in luoghi lontani

    "Un uom nasce a la riva / de l’Indo" (cioè in un luogo lontanissimo)

    dove non ha mai sentito parlare di Cristo

    "e quivi non è chi ragioni / di Cristo né chi legga né chi scriva" (cioè lì nessuno parla, o insegna, o scrive, di Cristo)

    e vive un'esistenza virtuosa senza commettere alcun peccato, insomma è una persona buona - per quanto sia possibile esserlo - e muore senza essere stato battezzato e quindi è privo della fede cristiana (condizione necessaria per essere salvati)...allora non può ottenere la salvezza? Non può salvarsi? Che colpa aveva lui nel non credere?

    "ov’è la colpa sua, se ei non crede?"

    Come può questo conciliarsi con la giustizia divina? Questa domanda se la chiedono anche gli uomini d'oggi: però, come si vede a leggere Dante, non è certo una cosa che l'uomo ha scoperto nel 2000. Il problema si sentiva già nel Medioevo: anzi, c'è già nel Vangelo di Giovanni (14, 22), per esempio, in cui l'apostolo Giuda Taddeo (non Giuda Iscariota, il traditore) chiede a Gesù: "Signore, che è mai successo che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?". Cioè, se tu sei Dio, perchè non ti riveli subito a tutti, visto che lo puoi fare? Perchè ti riveli solo a noi? E Gesù risponde senza dare una risposta diretta, perchè vuole sottolineare qual'è la cosa importante: seguirlo, non farsi delle domande sul suo operato. Chiede insomma fiducia in Lui, anche su questo problema. E la sua risposta è: "Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola". E questo vale per gli uomini di tutti i tempi (anche prima di Cristo) e di tutti i luoghi. E' in pratica la risposta che darà l'aquila a Dante.

    Giuda-Taddeo
    Giuda Taddeo, spesso confuso con Giuda il traditore. Apostolo e cugino di Gesù, è considerato il santo dei casi impossibili: ogni preghiera a lui è sicura di essere esaudita.


    LA RISPOSTA

    Per prima cosa, l'aquila spiega che Dante, in quanto uomo, non può certo ergersi a giudice di una questione così profonda, né pretendere di vedere con la sua vista limitata una verità che dista mille miglia da lui. Sono cose troppo alte da comprendere appieno. Non bisogna pretendere di capire ogni cosa: altrimenti saresti come il bambino che vuole capire tutto del padre, sia della sua vita che del mondo attorno a lui, compresi i problemi politici e sociali. Tipo Mafalda, la bambina di Quino, che pretende di capire tutto senza capire nulla.

    Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, (Ora chi sei tu, che vuoi ergerti a giudice)
    per giudicar di lungi mille miglia (e sentenziare a mille miglia di distanza,)
    con la veduta corta d’una spanna? (con la vista che a malapena arriva a una spanna?)

    L'aquila dice che chi fa dei ragionamenti elaborati e sottili sulla giustizia divina su questo problema, senza tenere da conto quello che dice la Bibbia, va a finire che sragiona. Per esempio, la Bibbia dice: "Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità." (Prima Lettera di San Paolo a Timoteo 2, 3-4). In sostanza, la Scrittura dice che è verità di fede che Dio vuole tutti salvi, anche quelli lontani: come, in che modo, questo lo sa Lui. E ognuno, credente o no, è libero di scegliere se accogliere la Sua salvezza o no. L'importante, però, è non preoccuparsi di questo problema, ma seguire Gesù e predicarlo con la propria vita agli altri. Esattamente quello che ha detto Gesù a Giuda Taddeo nell'esempio di prima.

    Certo a colui che meco s’assottiglia, (Certo colui che fa sottili ragionamenti ("s'assottiglia") su di me (cioè sulla giustizia divina: l'aquila qui si identifica con essa)
    se la Scrittura sovra voi non fosse, (se non ci fosse al di sopra di voi la Sacra Scrittura)
    da dubitar sarebbe a maraviglia. (potrebbe dubitare in modo sorprendente)

    L'aquila deplora la superficialità dei giudizi umani. La volontà di Dio è di per sé buona e non si è mai allontanata da se stessa: è come dire che Dio è buono, anzi "solo Dio è buono", e resta sempre tale. E quindi vuole, come un Padre, la salvezza di tutti i suoi figli. La risposta, però, spetta sempre a loro, che siano credenti o meno. Nel Giudizio Finale, Gesù giudicherà non chi è stato cristiano e chi non lo è stato, ma chi ha amato e chi no. "Venite, o benedetti del Padre mio: perchè ero affamato e mi avete dato da mangiare; ero assetato e mi avete dato da bere; ero nudo e mi avete vestito; ero malato e mi avete visitato; ero in prigione e siete venuti a trovarmi. E agli altri: Via, lontano da me, maledetti, perchè ero affamato e non mi avete dato da mangiare; ero assetato e non mi avete dato da bere; ero nudo e non mi avete vestito; ero malato e non mi avete visitato; ero in prigione e non siete venuti a trovarmi."

    Oh terreni animali! oh menti grosse! (Oh, creature terrene! Oh, menti grossolane!)
    La prima volontà, ch’è da sé buona, (La prima volontà (Dio), che è buona di per sé,)
    da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. (non si è mai mossa da se stessa che è il sommo bene.)

    Qui è la conclusione dell'aquila: la volontà divina è giusta, perchè è buona ed è da essa che viene la bontà delle azioni umane. Infatti, ogni buona azione dell'uomo viene da Dio, non dall'uomo: è Dio che ci fa buoni, non siamo noi a diventarlo con le nostre forze. Non significa però che siamo delle marionette: Dio ci ispira il bene, però siamo noi a rispondere liberamente alle sue ispirazioni, accettandole (quindi facendo il bene) o rifiutandole (quindi facendo il male):

    Cotanto è giusto quanto a lei consuona: (Tutto ciò che è conforme alla volontà divina è giusto: )
    nullo creato bene a sé la tira, (nessuna creatura è capace, da sola, di attirare a sé Dio, (cioè di fare il bene senza di Lui)
    ma essa, radiando, lui cagiona».(ma è Dio stesso che ci manda ("radiando") la grazia di amare e di essere buoni)

    Che c'entra questo con il problema dei non cristiani? C'entra, perchè è Dio che ispira tutti - cristiani e non - alla salvezza. Quindi, non bisogna stare a dire "poverini, quelli lì non conoscono Dio": piuttosto, è Dio che conosce loro. Per questo bisogna lasciar fare a Lui. Senza però, per questo, da parte nostra, trascurare quello che Gesù ha comandato a noi cristiani: la predicazione della fede cristiana ai non credenti.

    giustizia
    La giustizia divina è infinitamente più giusta e più misericordiosa della nostra. Perchè noi non vediamo tutto: Dio sì.


    L'IMPORTANTE E' CREDERE E AGIRE DI CONSEGUENZA

    Al termine del suo discorso, l'aquila inizia a volteggiare intorno a Dante, come fa una cicogna che ha appena sfamato i piccoli, e il poeta la guarda ammirato. L'aquila intona un canto che Dante non comprende: come lui non comprende il canto, così lui non può comprendere la giustizia divina, spiega l'aquila. Essa è giusta, ma è oltre la comprensione umana. Come dire: se te la spiegassi, non la capiresti. Proprio come faceva il padre di Mafalda - una bambina delle Elementari - che rispondeva in questo modo alle sue richieste di spiegarle la situazione della guerra in Vietnam:

    "Mafalda, anche se ti spiegassi il problema del Vietnam, non lo capiresti."

    Mafalda
    Il mondo, Mafalda, non è un mappamondo. Non puoi capire tutto.


    L'aquila riprende la sua posizione e torna ad essere simile al simbolo dell'Impero Romano, quindi ricomincia a parlare e dichiara che nessuno è mai asceso al Paradiso, senza aver creduto in Cristo venturo o venuto:

    esso ricominciò: «A questo regno (l'aquila, diventata il simbolo dell'Impero Romano riprese a dire: «In questo regno (in Paradiso)
    non salì mai chi non credette ‘n Cristo, (non è mai asceso chi non ha creduto in Cristo,)
    né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. (prima o dopo la sua crocifissione.)

    In Paradiso non ci va chi non crede in Cristo: nè prima della sua venuta, nè dopo di essa. E' come dire che quello che conta non è nascere prima o dopo Cristo, ma credere in Lui. E, in un modo misterioso, ci sono i pagani che hanno creduto in Cristo senza conoscerlo: "Chi è dalla verità ascolta la mia voce", dice Gesù a Pilato. Questo però significa che i cristiani, che hanno saputo la verità in modo diretto grazie alla Chiesa, davanti a Dio sono molto più responsabili di chi non ha potuto conoscere questa verità in vita. Infatti, poco dopo, l'aquila farà un monito severo a tanti cosiddetti "principi cristiani" che, invece, si sono comportati da pagani che non hanno mai conosciuto Cristo. E la loro punizione sarà più dura: "A chi è stato dato molto, sarà chiesto molto" dice sempre Gesù.

    Molti cristiani sulla Terra, dice l'aquila, hanno sempre il nome di Cristo sulle labbra: ma, nel Giorno del Giudizio, saranno a Lui molto meno vicini di tutti quegli altri uomini che non l'hanno mai conosciuto e sono morti senza battesimo, ma l'hanno amato senza conoscerlo. E un Etiope, morto senza la fede, potrà condannare quei falsi cristiani nel momento in cui il giudizio divino separerà in eterno le anime fra gli eletti, destinati alla salvezza, e i reprobi, destinati alla dannazione. Che diranno i Persiani (cioè, gli infedeli), aggiunge l'aquila, ai vostri re cosiddetti "cristiani", quando vedranno aperto il Libro della Vita, quel libro nel quale Dio ha scritto tutte le loro malefatte?

    I PRINCIPI CRISTIANI CORROTTI

    Nel presentare i cristiani corrotti, l'aquila userà dodici terzine (composizioni di tre versi: per esempio, "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai in una selva oscura / dove la dritta via era smarrita" è una terzina). Queste terzine si possono riunire in tre gruppi di quattro:
    - il primo gruppo inizia sempre con la "L" di "Lì si vedrà";
    - il secondo gruppo inizia sempre con la "V" di "Vedrassi";
    - il terzo gruppo inizia sempre con "E".
    Unendo le iniziali, si forma così LVE, cioè "lue", sinonimo di «peste». Dante così fa riferimento alla lue dei principi cristiani corrotti che sono di cattivo esempio, nonostante dicano sempre: "Signore, Signore".

    Nel Libro della Vita, inizia l'aquila, si leggeranno tutte le cattive azioni di re e sovrani che si dicono "cristiani" come:
    - l'Imperatore Alberto I Asburgo d'Austria, che nel 1304 invase la Boemia e la capitale Praga, provocandone la distruzione;
    - Filippo il Bello (il re di Francia famoso autore dello schiaffo di Anagni e della Cattività Avignonese, oltre al falso processo ai Templari), che causerà danno alla Francia, coniando monete false per sopperire alle spese della guerra contro le Fiandre. Morirà per il colpo di un cinghiale (il re infatti cadde da cavallo durante una battuta di caccia, perché un cinghiale si mise tra le zampe della sua cavalcatura);
    - i re di Scozia e d'Inghilterra, che non si rassegnano a restare nei propri confini e si fanno guerra tra di loro (Edoardo I qui è il re d'Inghilterra);
    - Ferdinando IV, re di Spagna, lussurioso e vizioso;
    - Venceslao II di Boemia, pure lui lussurioso; questo re e il precedente non conobbero mai, né vollero, alcun "valore", cioè fare azioni positive;
    - Carlo II d'Angiò, (chiamato con disprezzo "ciotto di Ierusalemme", cioè "lo zoppo di Gerusalemme": era zoppo e si era fregiato del titolo onorifico di "re di Gerusalemme") con pochissime buone azioni (indicate con una "I", uno in cifre romane, cioè pochissime), e moltissime malvagità (indicate con una M, mille in cifre romane: quindi tantissime);
    - Federico II d'Aragona re di Sicilia ("l’isola del foco, / ove Anchise finì la lunga etate", cioè, dove morì Anchise, il padre di Enea. "Isola del foco" per la presenza dell'Etna). Avaro e vile, le sue cattive azioni saranno scritte con caratteri abbreviati per mostrare la sua dappocaggine (cioè: si potranno scrivere le sue molte malefatte con caratteri piccoli, in un piccolo spazio, per risparmiare e metterli tutti).
    - Giacomo re di Maiorca, zio di Federico II, autore di varie empietà;
    - Giacomo II d'Aragona, fratello di Federico II: sia lo zio che il fratello hanno disonorato la loro famiglia e due corone.
    - Dionigi, re di Portogallo, autore di malefatte;
    - Acone V, re di Norvegia, autore di altre malefatte;
    - Stefano Uros, re di Serbia ("Rascia", il nome antico della Serbia), pure lui autore di malefatte: sostituì la moneta veneziana, diffusa in tutti i Balcani, con la propria, con un'operazione fraudolenta;
    - come eccezione, felice sarà l'Ungheria, perché conoscerà il buon governo di re Caroberto, figlio di Carlo Martello d'Angiò;
    - la Navarra, nonostante la difesa dei monti Pirenei, passerà sotto la monarchia francese, con suo grave danno.
    - come anticipo di questo si duole già l'isola di Cipro (Niccosia e Famagosta), sottoposta al governo di Arrigo II di Lusignano ("la lor bestia"), anch'egli appartenente alla casa di Francia.

    In pratica, non si salva nessuno. O quasi.

    COMMENTO

    Dante capisce che in Terra è necessario un garante della giustizia per tutti, non solo per i potenti e i ricchi. Questo garante è, nella sua visione, l'Imperatore. Oggi non c'è più un "garante per tutti", ma è necessario che ci sia un'autorità - democratica o regale - che faccia giustizia. Nel sesto cielo di Giove, come si è visto nel Canto precedente, alcune anime si dispongono di fronte a Dante, creando la scritta Diligite iustitiam, qui iudicatis terram ovvero «amate la giustizia voi che giudicate la terra». E' il primo versetto del Libro della Sapienza, redatto da Re Salomone. Quindi è stato scritto da un re, che avvisa agli altri re su come comportarsi. E questo è uno dei temi principali del Cielo di Giove: la giustizia terrena amministrata dai potenti.

    Il Canto affronta anche il problema della giustizia divina e della salvezza di chi non ha mai conosciuto Cristo, argomento che continuerà col Canto successivo. Per la prima volta, qui in Paradiso c'è...un "elenco dei cattivi". Cattivi cristiani regnanti, messi in contrapposizione con chi non conosce Cristo direttamente, ma, per grazia di Dio, lo può conoscere.

    La giustizia di Dio opera in modo misterioso con gli uomini vissuti in modo virtuoso, ma senza conoscere il messaggio cristiano: i pagani vissuti prima di Cristo, o quelli che non l'hanno mai conosciuto dopo la sua venuta. Oppure i bimbi morti senza battesimo. Dante presenta il Limbo per questo tipo di anime, nella Commedia: questo non è un dogma di fede, ma una supposizione. Comunque, vero o no che sia il Limbo, Dante, con quella realtà, aveva indicato la necessità del battesimo e della diffusione della verità cristiana a tutte le genti. Gesù infatti aveva detto agli Apostoli di diffondere il Vangelo e il Battesimo a tutte le genti: al resto ci pensava Lui, in modi che noi non sappiamo. Però i cristiani, intanto, devono fare la loro parte: diffusione del Vangelo e Battesimo.

    L'aquila sostiene l'imperfezione e la limitatezza della ragione umana al cospetto di quella divina; inoltre, dichiara che l'intelletto umano non può pretendere di capire la giustizia di Dio, che è sì giusta, ma nello stesso tempo è oltre le capacità limitate di comprensione dell'uomo, che è solo una creatura. Bisogna aver fede nella sua Potenza e nel Suo amore, come disse Dio a Giobbe. Poi l'aquila ammonisce gli uomini a non essere superbi come Lucifero, e a non pretendere di vedere con la propria vista limitata quelle verità che distano mille miglia da lui. Prende poi spunto dal suo discorso sulla giustizia divina per rivolgere un'aspra invettiva contro i cattivi principi cristiani, che, nonostante abbiano avuto il lume della fede, hanno commesso innumerevoli malefatte.

    Se nel Quinto Cielo di Marte prevaleva l’immagine della croce, simbolo della redenzione, nel Sesto Cielo di Giove si staglia l’immagine dell’Aquila, simbolo dell’Impero: all’Impero infatti la provvidenza di Dio ha affidato l’ordine universale. Dal cielo di Giove deriva quindi la giustizia umana, che l’Impero ha il compito di mantenere nel mondo. Oggi, al posto dell'Impero, ci sono i Governi: ma la sostanza - e la responsabilità, attenzione - non cambia.

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xix.html
  9. .
    ZAGOR 161-165: AFFONDATE IL DESTROYER! (analisi di Ivan)
    (Qui l'analisi di Joe7)

    Testi: Guido Nolitta (Sergio Bonelli) e Decio Canzio
    Disegni: Franco Donatelli e Francesco Gamba
    Pagine: 380
    Anno: 1979

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    Zagor edizione originale Zenith: n. 212-216 (usciti nel 1978-79). I numeri reali di Zagor sono 161-165. Infatti, l'edizione Zenith originale pubblicò Zagor a partire dal numero 52, quindi ha la numerazione sfasata che continua ancor oggi, con 51 numeri in più. Prima del numero 52, pubblicava storie di altri personaggi bonelliani come Hondo, Kociss, eccetera. Tutte le varie ristampe di Zagor, invece, seguono la numerazione reale, cioè coi numeri 161-165.

    TRAMA
    Nota: essendo una storia piena di colpi di scena, contiene quindi molti SPOILER. Chi legge è avvertito.

    Zagor e Cico vanno verso la zona dei Grandi Laghi, nel paese di Big Bay, per rispondere alla chiamata di Daniel Bowie, un amico di Zagor. Durante il viaggio, incontrano il colonnello Grant, che viene assalito insieme alla sua scorta da una banda di fanatici separatisti che vogliono ritornare ad essere governati dagli inglesi (siamo vicini al confine col Canada, territorio inglese). Zagor aiuta Grant a superare il blocco e alla fine incontra Daniel, al cimitero di Big Bay, dove commemora le lapidi dei suoi compagni uccisi dal "Destroyer", una corazzata galleggiante costruita dagli inglesi per compiere atti di pirateria e usurpare la proprietà dei Grandi Laghi agli americani, dando così sostegno ai separatisti. Il "Destroyer" è comandato dal generale Butcher "il macellaio", un uomo crudele e spietato, che non solo attacca le imbarcazioni, ma mette a ferro e a fuoco anche la città di Barley, vicino a Big Bay, attaccandola coi suoi cannoni. Per evitare una guerra aperta con l'Inghilterra, il generale Grant propone a Zagor e Daniel, insieme al trapper Mac Enroe, che conosce la zona, di inoltrarsi sotto falso nome nei boschi del Canada per distruggere quella fortezza galleggiante. Ma l'impresa, dopo molte difficoltà, finisce in un fallimento e quasi tutti finiscono ammazzati, compreso Mac Enroe, a causa del tradimento di Neal, un uomo del gruppo di Grant, che si rivela essere al servizio degli inglesi. Tutti diventano prigionieri di Butcher e Zagor viene torturato dallo spietato comandante. Quando tutto sembra perduto, Zagor, aiutato dalla pioggia, riesce a liberarsi e a uccidere Neal, liberando i suoi compagni. Approfittando della notte, salgono di nascosto sul Destroyer, catturando Butcher e gli altri. Preso possesso del Destroyer, Zagor e Grant lo usano contro la nave della marina inglese che aiutava Butcher. Successivamente, piazzano delle cariche esplosive e mettono Butcher e i suoi uomini su una scialuppa. Al momento della distruzione del Destroyer, Butcher sale, non visto, sul Destroyer, per avere la rivalsa, ma rimane coinvolto nell'esplosione.

    COMMENTO

    Buona storia del periodo "Silver Age", con la particolarità di essere stata scritta a quattro mani da Nolitta e da Canzio. Il risultato finale è più che buono, anche se è difficile attribuire i vari pregi & difetti ad un autore oppure all'altro.

    Sulla paternità di questa storia girano tante voci non confermate. A quanto pare, il soggetto è di Nolitta, che avrebbe scritto anche la sceneggiatura della prima parte (non si sa bene fino a quale punto) per poi venire completata da Canzio sulla base del soggetto nolittiano. Come che sia, si nota che non è una storia "nolittiana al 100%": in alcune sequenze, non possiede il suo tipico pathos...ma è difficile stabilire se ciò sia dovuto al cambio di mano con Canzio oppure al personale mutamento di stile che il Sergione stava già attuando da qualche tempo sulla testata Zagor. :=/:

    Tutta la prima parte (quella sceneggiata presumibilmente dal solo Nolitta) funziona piuttosto bene. Spiccano in particolare:
    - Le cruente azioni di guerra del Destroyer;
    - L'impotenza della flotta americana;
    - La prudenza delle autorità per evitare incidenti diplomatici tra USA e Inghilterra;
    - La conseguente decisione di organizzare un commando che sconfini in incognito sul suolo anglo-canadese per far esplodere la corazzata.
    Tutto molto dinamico ed avvincente (al netto di alcune lungaggini di troppo nel ritmo narrativo).

    La vera discriminante tra lo stile di Nolitta e quello di Canzio sta nei DIALOGHI. Nella seconda parte, è infatti possibile riscontrare molti dialoghi non in linea con quelli "tradizionali" del Sergione. Li definirei banalotti, freddamente funzionali, ma privi di quella enfasi tipicamente nolittiana.

    Anche le invenzioni per far procedere la trama sono ben poco nolittiane; probabilmente nel soggetto di Nolitta erano riportate solo delle indicazioni sommarie, e Canzio le ha risolte alla propria maniera (cioè più in stile "Piccolo Ranger" che in stile "Zagor"). :=/:

    (NOTA: Canzio è stato sceneggiatore di molte storie del Piccolo Ranger, dove capitavano spesso situazioni simili)

    Pure le gag di Cico, a volte, non sono coerenti con quelle tipiche del Cico nolittiano. Sembrano battute di un autore che ha studiato il personaggio solo superficialmente, e lo fa agire/parlare per semplice imitazione a grandi linee dell'originale, ma senza averne colto l'essenza di fondo. Ribadisco la mia idea che nessun autore può comprendere appieno il vero Zagor se non comprende anche il vero Cico. Per me questa è una regola imprescindibile.

    Daniel incarna bene lo stereotipo del patriota americano su una terra di confine. Di lui val la pena menzionare la struggente scena iniziale al cimitero, e la sua reazione indignata ad una frase "disfattista" di Cico:

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    Butcher (di nome e di fatto): decisamente una carogna come poche. Svolge bene il ruolo di antagonista, ed è odioso quanto basta per risultare indimenticabile...però, secondo me, il suo aspetto crudele è stato sovraccaricato oltremisura, al punto che, più che un fanatico revanscista, appare un sadico che si è unito alla causa inglese solo per poter sfogare liberamente i suoi istinti omicidi. A mio parere, avrebbe dovuto essere più caratterizzato dal punto di vista "ideologico", in modo da relazionare la sua crudeltà ad un preciso scopo militare. Intendo: sghignazzare compiaciuto mentre cannoneggia dei poveracci non ha nulla a che fare con un'ideologia politica, è solo gusto personale nel veder soffrire altri esseri umani. Lo avrei visto meglio più flemmatico (tipo il suo omologo Warwick in Fucilazione, che mai lo si è visto godere per i massacri commessi dal suo esercito). :=/:

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    Il (finto) giallo del traditore. Orsù, alzi la mano chi non aveva già capito con largo anticipo che la spia del gruppo era Neal (la inutilmente lunga – in apparenza – sequenza dell'accensione del sigaro avrebbe fatto nascere immediati sospetti persino ad un lettore ritardato.) :rolleyes:

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    I gialli di Nolitta sono sempre stati abbastanza all'acqua di rose, ma del resto non ha mai dimostrato molta passione per il giallo di tipo "whodunit" ("Chi l'ha fatto?"). Quindi Neal poteva benissimo essere mostrato fin da subito come il traditore, tanto l'importante è che non lo sapessero i suoi compagni di pattuglia (poiché la storia viene vissuta attraverso gli occhi dei protagonisti e non dei lettori).

    La scena della trappola nell'avamposto mi sembra realizzata male. I soldati inglesi aspettano allo scoperto i nostri eroi, gettando alle ortiche l'effetto sorpresa. Che tattica sarebbe? Quella di scambiarsi fucilate, sperando di sparare meglio degli avversari? Il difetto sta nella sua dinamica: il commando di Grant finisce in una trappola, vengono circondati dai soldati inglesi, hanno una dozzina di fucili puntati su di loro...e nonostante ciò, reagiscono facendo secchi tutti come se nulla fosse! :huh: Insomma, una situazione disperata risolta con una faciloneria disarmante, per nulla verosimile (cosa sono 'sti soldati inglesi, dei bradipi? Alla prima mossa sospetta dei circondati, dovrebbero ridurli tutti a un colabrodo in 1 secondo). =_= Lì ci voleva un'invenzione narrativa che riequilibrasse la posizione di estremo svantaggio degli assediati, tipo il minacciare di far esplodere la bomba se gli inglesi non avessero abbassato i fucili, o un qualche altro trucco a sorpresa...ma così come si è vista, la scena non convince proprio. :?

    Intensa la scena del confronto tra Butcher e Zagor appeso sottosopra. Lo stile dei dialoghi rivela che è opera di Canzio, tuttavia questa sequenza gli è riuscita in modo particolarmente...nolittiano. Raramente si è visto un cattivo così amorale e fiero di esserlo nella saga. Un approfondimento psicologico sublime ma che dura troppo poco, in particolare in quel che poteva uscire nel confronto con l'eroe.

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    Canzio aveva fatto tutto bene...ma ha rischiato di rovinare tutto con la replica finale di Zagor "Ho capito: sei un idiota!" =_=

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    No, Butcher non è affatto un "idiota". Questo potrebbe pensarlo solo una persona superficiale che ha bisogno di risposte facili facili sul PERCHE' certi individui commettono atroci nefandezze: "Fanno del male perché sono degli idioti, punto". E per Canzio non c'è da sprecare altro tempo in riflessioni (mentre invece di elementi su cui riflettere ce ne sarebbero eccome...ma non è questa la sede per approfondire l'argomento). Al posto di "Sei un idiota", sarebbe stato più appropriato se Zagor avesse risposto una cosa tipo "Certo che ho capito, Butcher...In realtà tu sei solo un sadico vigliacco che si nasconde dietro l'alibi della causa inglese per soddisfare il suo gusto di fare del male agli indifesi!" Non la trovate più funzionale?
    Butcher è un malvagio abbastanza particolare, dato che, di solito, i cattivi lo sono "funzionalmente": cioè, vogliono impossessarsi di qualcosa, o uccidere qualcuno. Lui invece lo era "a prescindere", proprio per come è fatto. Insomma, Butcher è l'uomo che alla domanda: "Perché fai tutto questo male?", risponde compiaciuto: "Perché posso". Infatti. Solo per quello, "perché può". E tanto gli basta. Mi sembra infatti che a Butcher non importi un granché della causa inglese, e che, se gli americani gli avessero offerto lo stesso incarico (cioè poter massacrare cittadini inglesi inermi) per lui non avrebbe fatto nessuna differenza. Del resto, lui stesso non ha mai detto "Io disprezzo gli americani", bensì "Io disprezzo la gente comune"...quindi, presumibilmente, anche la gente comune di cittadinanza inglese.

    Dopo la conquista del Destroyer, lascia perplessi la scelta del colonnello Grant di lasciare libero Butcher. :huh: Ma scherziamo? Il Macellaio deve rispondere di genocidio contro cittadini inermi, mica bruscolini! (Insomma...Ve li immaginate gli abitanti di Big Bay, se gli dicessero che il responsabile dei vili massacri è stato lasciato tranquillamente andare dopo la sua cattura? Se volessero impiccare Grant, non potrei certo dargli torto.) :angry:

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    Il contro-assalto di Butcher è un'ottima trovata, che rivitalizza una storia che sembrava ormai conclusa. Efficace il modo in cui Nolitta/Canzio gioca sul fattore tempo, facendo coincidere l'esplosione del Destroyer proprio con l'istante in cui Butcher stava per attivare il cannone che avrebbe spazzato via la barca di Zagor & C.

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    Altra perplessità nel finale, quando Zagor appare quasi rattristato per la fine di Butcher. :huh:

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    Personalmente l'ho trovato uno spreco di sentimentalismo, del tutto fuori luogo. Un commiato di omaggio ad un nemico può starci bene – ad esempio – per la morte di Ben Stevens...ma non certo per quella di Butcher, il quale non era altro che un folle assassino senza nessuna attenuante per i suoi crimini. <_< Qui probabilmente Canzio non ha studiato bene la filosofia con cui Zagor mostra pietas verso un nemico morto; secondo me, Nolitta non avrebbe mai fatto concedere da Zagor questo onore ad una carogna come Butcher. E se lo avesse fatto, è presumibile che avrebbe espresso lo stesso concetto con parole meno banali (diciamolo: il discorso di Zagor è scioccherello, da chierichetto mormone. "Chi siamo noi per giudicare?" Ma santo cielo, Canzio...Cosa dovremmo pensare, allora, della "giudiziosa" promessa fatta da Zagor a Nicholson, che in confronto a Butcher era un angioletto?)

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    IN DEFINITIVA:

    La storia è buona, ma non buonissima. Avrebbe potuto esserlo SE fosse stata interamente sceneggiata da Nolitta. E' il tipico esempio che dimostra che il COSA raccontare (il soggetto) conta assai meno del COME raccontarlo (la sceneggiatura). In questo caso, Canzio si è attenuto fedelmente al soggetto di Nolitta: ma le differenze di stile narrativo sul COME trasporre le medesime scene risaltano notevolmente (almeno qui sulla testata Zagor; probabilmente sul Piccolo Ranger sarebbero risultate invece meno stridenti). Insomma, nonostante che il risultato finale sia più che dignitoso, parlerei tranquillamente di occasione mancata per realizzare una storia da top ten. :=/:

    DISEGNI: Curioso lavoro in tandem tra Donatelli e Gamba, come già visto in Il cavaliere misterioso. Tuttavia, data la similarità del loro segno, il contrasto di stili non stona più di tanto. Sul piano delle copertine, magnifica quella di LA RESA DEI CONTI.

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    Storia: 7,5 (8 le parti di Nolitta, 7 quelle di Canzio)
    Disegni: 7 (Donatelli) 6,5 (Gamba)
  10. .
    36 - INVITO A PRANZO

    Arriva l'autunno. Peline asciuga i panni e se li toglie, mentre Barone abbaia agli scoiattoli. Arriva Rosalie, che le dice che l'ingegner Fabry è tornato dall'Inghilterra.
    "Ha chiesto di te, vuole invitarti a cena all'osteria" aggiunge.
    "Ci verrò volentieri. Oggi è anche una bella domenica."
    Rosalie osserva i panni di Peline che sono stesi e nota che sono ormai logori e consunti. Perplessa, le dice che ha un cappotto usato che non le serve più, potrebbe farle comodo.
    "Ti ringrazio, ma per ora non penso di averne bisogno."
    Rosalie resta in silenzio: per la prima volta ha capito che Peline è davvero povera, ben più di quello che pensava.

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    Più tardi, Peline è a tavola con l'ingegner Fabry: la ragazza gli racconta tutto quello che le è successo.
    "Fare l'interprete è pesante" commenta lei.
    Arriva il padre di Rosalie, che porta il piatto. Peline è contenta per l'arrivo di Fabry, anche se questo significa che non c'è più bisogno di lei come interprete, visto che Fabry conosce bene l'inglese. Domani dovrà ritornare a spostare i carrelli in fabbrica.
    Il giorno dopo, Guillaume, il conducente, porta ancora Peline a Saint-Pepoy. Guillaume, tra vari giri di parole, fa capire a Peline che, se non vuole ritornare ai carrelli, potrebbe spiare Pandavoine per conto di Toluel, come sta facendo lui (anche se questo non lo dice a Peline). La ragazza però si mostra indignata e dice a Guillaume di non parlarne più.

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    Quando Peline arriva, vede l'ingegner Fabry che parla con gli ingegneri inglesi e lei sta da parte, visto che il suo lavoro di interprete non serve più: ormai il suo lavoro è finito e, tra l'altro, si chiede cosa l'hanno portata lì a fare. Ad un certo punto, il signor Pandavoine, presente anche lui sul posto, chiede:
    "Come mai non ho sentito oggi la voce di Aurelie? Non l'avete portata qui?"
    "E' dietro di voi, signor Pandavoine. Non parla perchè non sa cosa fare. Anzi, le chiedo di non riportarla a muovere i carrelli" spiega l'ingegner Fabry.
    "Aurelie, perchè non parli?" chiede Vulfran.
    "Ecco, pensavo di non dover dire niente" spiega Peline.
    "Sentimi bene, Aurelie: non sei tu a decidere per conto tuo cosa fare. Devi agire secondo quello che ti dico di fare. Ingegner Fabry, quando mai ho detto di riportarla ai carrelli? Aurelie, vai nel mio studio: devi tradurmi delle lettere. Ti raggiungerò tra poco."
    "Sì, signor Pandavoine" Peline si allontana.
    "Continui, ingegner Fabry."
    "Sissignore."

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    Quando Pandavoine entra nello studio, porge delle lettere a Peline, ma, prima di toccarle, Pandavoine gli dice:
    "Ho saputo che hai perso tua madre, è così?"
    "Sì, è morta a Parigi qualche mese fa."
    "E tuo padre?"
    "E' morto anche lui, prima della mamma."
    "Ma come hai fatto a venire fin qui da Parigi a Maraucourt?"
    "Ecco, avevo preso un treno, ma non avevo abbastanza soldi e mi sono fermata alla prima stazione: da lì sono andata avanti a piedi."
    "A piedi? Fino a Maraucourt?" commenta Pandavoine sorpreso.
    "Sì."
    "Ma avevi dei soldi, almeno?"
    "Circa 5 franchi."
    "Assurdo. Raccontami come hai fatto a fare un viaggio simile."
    "Ma le lettere..."
    "Non mi interessano! Dimmi come hai fatto ad arrivare fin qui. Che razza di viaggio hai fatto a piedi? Raccontami."
    Peline inizia a raccontare: la storia della fornaia che l'aveva imbrogliata, il suo crollo, l'aiuto di La Rocquerie. Pandavoine ascolta tutto in silenzio.

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    h7 i2 i3


    Alla fine chiede: "Quanti anni hai?"
    "13 anni."
    Pandavoine non sa cosa dire. All'improvviso, suonano le sette.
    "Abbiamo fatto tardi, devo tornare a Maraucourt. Metti via le lettere, le leggerai dopo" dice Pandavoine, alzandosi.
    Quando scendono, si accorgono che la carrozza è senza il cocchiere, Guillaume.
    "Che significa, Benoix? Dov'è Guillaume?" chiede Pandavoine seccato.
    "Er...ecco...al momento non c'è, mi dispiace, potrebbe aspettare un pò?"
    "Sta scherzando? Devo andare adesso a Maraucourt! Trovi un altro cocchiere, subito!"
    "Ma...non ce ne sono" balbetta spaventato Benoix.
    Peline allora dice che lei è capace di guidare una carrozza.
    "Va bene. Allora sali alla guida" dice Pandavoine.
    Benoix protesta, dicendo che è imprudente far guidare una carrozza da una ragazzina, ma Pandavoine non replica nemmeno.
    "Parti."

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    La carrozza si avvia, e Pandavoine commenta: "Sei brava a guidare la carrozza."
    "Lo faccio da anni" risponde lei.
    A quel punto, esce Guillaume, ubriaco, dall'osteria e vede, sorpreso, la carrozza di Pandavoine, guidata da Peline. Si mette davanti al cavallo e Peline è costretta a fermarsi.
    "Che succede?" chiede Pandavoine.
    "E' il vostro cocchiere, signor Pandavoine. Si era messo davanti al cavallo" spiega Peline.
    "Adesso posso guidare io" le dice Guillaume "Grazie per aver guidato fin qui."
    Peline si alza per dargli il posto, ma Pandavoine, con un gesto, la ferma e chiede al cocchiere:
    "Hai bevuto di nuovo, vero, Guillaume?"
    "Ecco, signor Pandavoine..." replica lui, sudando freddo.
    "Ti avevo detto più volte di non farlo, vero?"
    "Sì, signor Pandavoine, mi dispiace."
    "Non ho più bisogno di te, Guillaume. Sei licenziato."
    "Cosa? Ma sono stato al vostro servizio per 15 anni, signor Pandavoine! Non potete..."
    Anche Peline replica a Pandavoine: "Ma..."
    "Non perdono chi mi tradisce. VIA!"
    Pandavoine colpisce il cavallo col bastone, che nitrisce e galoppa via. Guillaume si accascia a terra, vedendo la carrozza che si allontana:
    "Perdono, signor Pandavoine! Non lo farò mai più!"
    Ma ormai la carrozza è scomparsa.

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    Quando arrivano alla fabbrica, Toluel è sorpreso di vedere Peline alla guida della carrozza di Pandavoine.
    "Ma, signor Pandavoine, che è successo a Guillaume?"
    "L'ho licenziato."
    "Cosa?" Toluel è esterrefatto.
    "Puoi andare a casa, Aurelie" conclude Pandavoine.
    Peline torna alla sua casetta, sorpresa dalla severità del nonno: capisce che è meglio tacere sulla sua identità. Ma cosa può fare adesso, che c'è l'autunno alle porte e non potrà più stare nella costruzione di legno, che è una postazione per i cacciatori? Dove andrà?

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  11. .
    28 - GITA IN CAMPAGNA

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    Heidi sta leggendo la fiaba di Pollicino nel libro che le ha regalato la nonna: senza che se ne sia resa conto, ha imparato a leggere. La Rottenmeier la chiama: è ora di lezione. Nel frattempo, la nonna vorrebbe parlare con la Rottenmeier:
    "Vorrei parlarle di Heidi."
    "Ma adesso c'è la lezione" protesta lei.
    "Vorrei parlarle anche delle lezioni."
    Intanto, Heidi legge le parole seduta accanto a Clara e il maestro, quando arriva e la sente leggere, è stupefatto e non riesce a crederci.
    "La nonna le ha insegnato a leggere" spiega Clara.
    Il maestro è senza parole:
    "Questo smentisce le nuove teorie scientifiche...ho studiato invano!" e se ne va sconvolto per parlare con la Rottenmeier.
    "Ma cos'ha?" chiede Heidi, stupita.
    "E' sorpreso che tu sappia leggere" dice Clara.

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    Mentre la nonna e la Rottenmeier stanno prendendo il tè, arriva il maestro, dicendo loro che la bambina svizzera sa leggere. La nonna ne è felicissima, mentre la Rottenmeier è scettica:
    "Ci credo solo quando lo vedo."
    Ma deve arrendersi all'evidenza.
    "Sapevo che avrebbe imparato col libro giusto" commenta la nonna, e si complimenta con Heidi. "Ti meriti un premio. Ma sarà una sorpresa per tutte e due."
    La Rottenmeier, seccata, dice a Heidi di stare seduta: disciplina!

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    Dopo un pò, la nonna va da Heidi e le chiede se vuole giocare con lei. Fanno la morra cinese (sasso, forbici, carta), in cui scommettono il numero gli scalini da salire, e Heidi impara subito le regole (e, in questo modo, la matematica). La Rottenmeier interviene, dicendo di fare silenzio.
    "Adelaide, nelle ore di riposo tu devi stare in camera tua!"
    "Ma la nonna..." dice Heidi.
    "La signora! Tu sei un'estranea!"
    Heidi deve ritornare nella sua camera.

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    Apre la finestra e sale sul ciglio, dicendo alle nuvole di andare a dire al nonno che sa leggere. Sente bussare e scende subito giù. E' la nonna, e Heidi le dice:
    "La Rottenmeier mi dice che non la posso chiamare nonna e devo chiamarla signora."
    "Le parlerò. Vedi questa? E' una chiave. Una chiave segreta. Vieni con me" e vanno in biblioteca.
    Heidi è sorpresa nel vedere così tanti libri. La nonna, con la chiave, apre una porta nascosta dove ci sono molti dipinti, oggetti, armi, carillon, eccetera.
    "Da piccola venivo spesso qui."
    Heidi vede un quadro che le ricorda il nonno, Peter, le caprette, le Alpi, e inizia a piangere. La nonna se ne accorge e capisce:
    "Il quadro ti fa venire in mente le montagne, vero? Su, non piangere."
    La nonna capisce che Heidi ha bisogno di aria, di uscire, di tornare un pò a contatto con la natura. Si potrebbe fare un giro al parco fuori città.

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    Il giorno dopo, la nonna dice a Heidi e Clara che andranno a fare un picnic nel bosco. Heidi ne è felicissima, ma Clara è perplessa.
    "Io non posso venire con voi" dice lei.
    "Di cosa hai paura, Clara? E' solo una gita."
    "L'aria potrebbe farmi male."
    "No, ti farà bene. Vedrai."
    "Va bene."
    "Facciamo una promessa tutti insieme: o si va tutti insieme o non va nessuno, va bene?"
    Tutte e due le bambine acconsentono.

    l5 l9


    Heidi corre a prendere il suo cappello, mentre la Rottenmeier protesta. Ma la nonna non ci bada e cerca il suo parasole e i guanti.
    "Le manca un pò di buonumore" commenta la nonna alla Rottenmeier.
    "Sono stata assunta come educatrice, non come burattina!" sbotta lei, andandosene via.
    "Fare il burattino le farebbe bene" commenta la nonna.
    "I miei nervi!" esclama la Rottenmeier nella sua stanza, seduta alla scrivania.

    n3


    La nonna e le due bambine partono con Sebastiano e il cocchiere. Heidi, per la prima volta, vede bene la città, e anche Clara. Raggiungono il parco, dove vedono i corvi e i picchi. Heidi corre per il prato e porta con sé Clara in carrozzella. Intanto, la nonna e gli altri preparano il picnic. Heidi raccoglie i fiori e li mostra a Clara: vedono una coccinella e gli uccelli che volano: Clara è felice.

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    LE LETTURE DI HEIDI

    Mentre il professore vede stupito Heidi che legge, qui vediamo cosa sta leggendo in quel momento: la fiaba di Pollicino di Perrault, con l'immagine di Pollicino che si nasconde nell'orecchio di un cavallo. Il linguaggio del testo ovviamente è il tedesco: siamo a Francoforte, in Germania, e Heidi, anzi Adelheid, Adelaide, come sarebbe il suo nome originale completo, legge e conosce il tedesco. Tra l'altro, il nome originale tedesco di Clara è Klara.

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    LE VASTE PROFONDITA' DI CASA SESEMANN

    Ma quanto è grande questo "magazzino segreto" che si trova nella stanza nascosta dietro la biblioteca? :huh: In pratica è un museo. C'è di tutto: armi, alabarde, armature, quadri, statue. Come stanzetta segreta sarà grande non dico come i Musei Vaticani, ma quasi.

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  12. .
    1994 - SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! - COMMENTO

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    Spada Zantetsu è una storia divertente e piena di colpi di scena, dove, in particolare, veniamo a conoscenza di una ragazza che Goemon conosceva in passato: la ninja Kikyo.

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    Come si vede dagli orecchini che porta, simili a shuriken, il suo nome significa campanula cinese viola: stilizzata, sembra appunto uno shuriken. In Giappone, la campanula "kikyo" significa amore costante, fedeltà, obbedienza. Come si può vedere, questo sottolinea la doppiezza della ragazza ninja: tradisce portando addosso un fiore che significa fedeltà.

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    Campanula cinese, o "Kikyo"


    Può essere strano che un samurai conosca una ninja: infatti non c'è del buon sangue tra le due specializzazioni. Il samurai combatte secondo un suo codice d'onore, che un ninja non ha: oltre ad agire di nascosto, l'inganno è una sua caratteristica. Come si vede nella storia, poi, Kikyo inganna Goemon e lo colpisce a tradimento, mentre Gensai "muore" più volte: è tipico dei ninja usare dei kagemusha, guerrieri ombra. Quindi, tutte le volte che Gensai era stato "ammazzato", questi non era il vero Gensai, ma un ninja travestito da lui. Solo nello scontro finale, Lupin alla fine uccide il vero Gensai: e, guarda caso, lo fa con un inganno. Il nome Gensai contiene il termine "gen", cioè "misterioso, occulto". Infatti, lo spettatore non capisce perchè non muore mai. Gensai è del clan Hattori, il nome di un samurai; Goemon appartiene invece ad un non ben definito "Clan dai Cento paesi". Gensai dice che il clan di Goemon e il suo hanno la stessa origine. Ma non si sa null'altro al riguardo.

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    Gensai l'immortale. Più o meno.


    Il motivo dell'amicizia tra il samurai Goemon e la ninja Kikyo lo si può vedere, probabilmente, dalla storia dell'originale Goemon, che è stata presentata proprio all'inizio del film, nella rappresentazione kabuki per i 400 anni dalla sua morte.

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    L'originale Goemon rappresentato al teatro Kabuki.


    Il vero nome dell'antenato di Goemon era Kuranoshin Sanada. Nacque nel 1558 nella provincia di Iga, che oggi non esiste più: si trattava di una regione montagnosa vicino a Kyoto, quasi in mezzo al Giappone, ed era nota per essere stata la regione che ha dato origine ai ninja. Il padre di Sanada fu ucciso dagli uomini di Toyotomi Hideyoshi, importante signore feudale (daimyo), nel 1573, quando il futuro Goemon aveva 15 anni. Allora Sanada divenne un bandito ninja col nome di Goemon Ishikawa. Da qui il curioso legame tra il samurai dell'anime e i due ninja Kikyo e Gensai, visto che l'antenato di Goemon era un ninja. L'originale Goemon formò e guidò una banda di ladri dedita al saccheggio di ricchi e potenti signori feudali e mercanti, condividendo i bottini coi contadini oppressi dalle tasse: in pratica, fu un Robin Hood giapponese. Goemon non si accontentò di questo: tramava la vendetta contro Toyotomi per la morte del padre. Entrò furtivamente nel suo castello per uccidere il daimyo nel sonno. Ma Toyotomi possedeva un bruciatore di incenso magico che suonava all’entrata di un estraneo: Goemon fu scoperto e catturato. Fu giustiziato insieme alla sua famiglia, davanti al tempio buddista di Kyoto, mediante immersione in olio bollente: si salvò solo il figlio piccolo, tenuto sollevato sopra la testa da Goemon stesso. La sua esecuzione avvenne nel 1594, appunto 400 anni prima del 1994, l'anno di uscita del film Spada Zantetsu.1

    goemon
    E' da ricordare che il personaggio di Oden, il signore di Wano in One Piece, fece praticamente la stessa fine, salvando però nello stesso modo i suoi samurai e, indirettamente, suo figlio.


    Per la prima volta, il personaggio della "lupin girl" non compare, sostituita dalla ragazza ninja di Goemon: questo dà più spazio a Fujiko e al suo rapporto con Lupin, come vedremo. Il doppiatore storico giapponese di Lupin, Yasuo Yamada, morirà l'anno dopo questo film, quindi è stato il suo ultimo lavoro. E' da notare che Lupin qui si traveste da vampiro: ma per la verità i suoi abiti sono quelli di Lupin I, suo nonno. In questo film, sono presenti entrambi gli antenati di Goemon e Lupin, anche se in modo diverso.

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    Manca solo il monocolo.


    Jigen qui si traveste da lupo mannaro, una cosa che diventerà una sua caratteristica: spesso infatti userà questo travestimento. Notiamo qui anche il suo amore per le parole crociate, che compila ben due volte in questo film.

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    La parola "sakuga" tra le indicazioni delle parole crociate significa una clip di animazione breve e molto ben curata. Tipo l'inseguimento di Lupin in macchina nel Castello di Cagliostro, per esempio.


    Lupin cerca di afferrare il suo pupazzetto in mezzo agli altri, che rappresentano i membri della sua banda, Zenigata compreso. E sarà proprio lui a cercare di catturarlo usando una presa gigante.

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    Ovviamente, il personaggio di Chin Chin Chu è stato preso da Jabba the Hutt, il cattivo del Ritorno dello Jedi, il terzo film della trilogia di Guerre Stellari. O Star Wars, se preferite.

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    "Sì, si tratta di mio cugino!"


    Come Jabba, anche Chin è libidinoso e con un pessimo gusto: Goemon guarda con ribrezzo il suo letto arancione col cuscino col suo nome scritto sopra. Manco fosse un puttino.

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    "Ha messo il suo nome perchè ha paura di sbagliare letto?"



    FUJIKO FASHION

    La nostra Fujiko compare per la prima volta col travestimento di Calamity Jane. Con tanto di Colt 45 vera. Notate il travestimento da lupo mannaro di Jigen. Anche se somiglia di più a Pippo.

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    Per la maggior parte del film ha un look più casual (niente tute da motorizza, stavolta): mini pantaloni blu aderenti, un'ampia giacca bianca e un body fucsia: praticamente una tuta da palestra. Con Chin è senza giacca.

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    Il vestito finale di Fujiko ha un'origine inquietante: era stata catturata da Gensai mentre era sotto la doccia, quindi non aveva addosso niente, se non il telo della doccia. Quindi, chi le avrà messo il vestito nuovo? In ogni caso, è un vestito seducente, con una collana con un cuore rosso come pendaglio, un vestito blu scuro aderente con gonnellino e spaccatura col gioiello in mezzo al petto, i tacchi a spillo rossi. Con in più delle maniche leggere viola aggiunte al resto. Poi Chin la lascia in mezzo al gas ad ammazzare Lupin o a farsi ammazzare da lui. Non è chiaro quindi perchè le abbia fatto fare quel cambio di vestiti.

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    LA TENEREZZA DI FUJIKO?

    Essendo assente la Lupin girl, Fujiko qui mostra un'insolita tenerezza e attenzione verso Lupin: oltre ad essere davvero preoccupata per il suo tentativo di recuperare il dragone nel fondo del mare, gli prepara il caffè, cosa rara. Inoltre, dice a Lupin che lo ama, nascosto con la parola "anche". Ma non è tutto.

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    Mentre Fujiko attacca Lupin, condizionata dal gas, lui, per calmarla, le dà un bacio: e anche questo è un avvenimento raro. I baci tra loro due spesso avvengono in circostanze particolari, in cui Fujiko è fuori di sè: avviene lo stesso per esempio in Nostradamus.

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    Nel bungee jumping, Fujiko è riconoscente verso Lupin e lo abbraccia: anzi, l'ultima sua scena nel film mostra una Fujiko che abbraccia sorridente Lupin, anche se con un sorriso nascosto, con un leggero rossore sulle guance. Un buon saluto d'addio per Yamada, il doppiatore storico di Lupin, nel suo ultimo lavoro.

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    MODEL SHEET

    Spada-Zantetsu



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    1 www.takaaikidobu.com/post/ishikawa-goemon

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  13. .
    1994: SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! - TRAMA
    SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! (titolo originale giapponese)
    LUPIN - IL TESORO DEL TITANIC
    LUPIN III - IL MISTERO DEL DRAGONE

    Lupin-Zantetsu


    Regia: Masaharu Okuwaki. Ha fatto anche la regia di diversi episodi di Lupin III Terza serie.
    Sceneggiatura: Nobuaki Kishima. Ha sceneggiato doversi film di Doraemon e ha realizzato altri lavori.
    Character designer: Masatomu Sudo. E' stato character designer anche del film di Lupin "All'inseguimento del tesoro di Harimao", di Detective Conan e il primo film di "Lupin contro Conan", di Kenichi e altri.
    Musiche: Yuji Ohno (come al solito)
    1° trasmissione in Giappone: 29 luglio 1994
    1° trasmissione in Italia: 14 dicembre 2000 su Italia 1.
    DVD in Italia: Dynamic Italia (2002); Yamato Video (2005); De Agostini (2012)
    Precedente film: Lupin - Viaggio nel pericolo
    Film successivo: "All'inseguimento del tesoro di Harimao"

    TRAMA

    Siamo in un teatro Kabuki, dove si fa uno spettacolo che ricorda i 400 anni dalla morte di Goemon Ishigawa, l'antenato dell'attuale Goemon. Il samurai osserva commosso la rappresentazione, mentre Lupin, da un'altra parte, cerca di raccogliere un pupazzo con le sue fattezze da una macchinetta da Luna Park con le pinze: ma non ci riesce.
    "AARGH! Ce l'avevo quasi fatta!"
    Jigen sospira, mentre fa le parole crociate. "Piantala, Lupin. Hai già perso più di tremila yen per questa bambinata."
    "Zitto tu! Lupin III ottiene sempre quello che vuole! E' una tradizione di famiglia!"
    "Contento te...Goemon è ancora al teatro kabuki?"
    "Sì, starà ascoltando pieno di lacrime la storia dei suoi antenati. Non pensare però che io ci vada lì!"
    Lupin infila un'altra monetina e riprende l'attacco.

    Mentre Goemon osserva assorto lo spettacolo, compaiono dei ninja che lo attaccano, causando scompiglio. Goemon, con la spada, deflette shuriken, bastoni, catene e armamentari vari, saltando poi su un'impalcatura del teatro e rivolgendosi al capo del ninja, Gensai, un tizio con la cicatrice su un occhio.
    "Vogliamo la tua spada onnipotente!" esclama il tizio.
    Goemon non risponde e l'attacco continua, finendo fuori dal teatro e percorrendo le strade. Proprio mentre Lupin riesce a catturare il pupazzo, una scia di shuriken fa a pezzi la macchinetta. Jigen e Lupin devono farsi da parte per evitare l'orda di ninja che è alle calcagna di Goemon.
    "E' la prima volta che vedo dei ninja in un teatro kabuki" commenta Jigen.
    "Credo che siano fuori programma" risponde Lupin, entrando nel mischia insieme al pistolero.

    Dopo una battaglia serrata, i ninja si ritirano e compare la polizia, guidata da Zenigata. Goemon, però, si allontana dai due, mentre Zenigata minaccia:
    "Lupin, non mi scapperai! Ti mando l'Acchiappalupin!"
    Spunta fuori un dirigibile con delle pinze enormi, simili a quelle della macchinetta usata da Lupin, che è teleguidata da Zenigata: in poco tempo, Lupin e Jigen vengono catturati.
    "Ah ah ah! Lupin, sei mio! Apritevi, porte del carcere!" dice Zenigata ballando.
    "Dobbiamo fare qualcosa! Facciamo i ninja!"
    Lupin e Jigen si concentrano e riescono a sfuggire alla mega pinza scivolando via dalle loro giacche. Zenigata è furioso e riprende l'inseguimento.

    Intanto, Goemon, camminando da solo, incontra una donna anziana che fa la maga e ha una sfera di cristallo sul tavolo.
    "Deve fare attenzione, samurai" dice lei "vedo la morte nella sua strada."
    Si sente subito uno sparo: la vecchia cade a terra con un buco in fronte. Le cade la maschera: era Gensai e stava per ammazzare Goemon a tradimento, quando Lupin, con un colpo di pistola, lo aveva fatto fuori.
    "Questo non è riuscito a prevederlo, però" commenta Lupin. Poi chiede: "Perchè ti inseguono, Goemon? Cosa vogliono?"
    "Vogliono me. Vogliono questa!" e mostra loro la Zantetsuken, la sua spada. E aggiunge: "State lontani da me. O mi costringerete a..." fa uscire leggermente la spada dal fodero. Lupin non risponde e Goemon si allontana.
    "Bè, non potevamo aspettarci altro da un samurai" commenta Jigen.
    Una macchina passa dietro di loro e poi si allontana. Lupin riconosce l'uomo seduto dentro e si accende una sigaretta.
    "Penso che dovremmo fare un giretto a Parigi." dice Lupin.
    "A Parigi? Qui siamo a Tokyo!"
    "Il gioco comincia a farsi interessante."

    Siamo in un magazzino vicino alla Senna e Lupin controlla l'immagine dell'uomo che era seduto in macchina, usando il computer.
    "Questa faccia da maniaco non mi è nuova. Ecco: era Chin Chin Chu!"
    "Il re della mafia di Hong Kong? E che ci faceva a Tokyo?" si chiede Jigen.
    "Non lo so. Che ne dici, andiamo alla festa in maschera al Royal Chin?"
    "Il Royal Chin? Dov'è?"
    "A Hong Kong. E' lo yacht privato di Chin Chin Chu."
    "E come ci andiamo a Hong Kong?"
    "Con questo splendido bimotore."
    "Quel rottame? Starai scherzando, spero."
    Non stava scherzando. Lupin e Jigen viaggiano sul bimotore, che lascia una preoccupante scia di fumo per tutto il viaggio.
    "Non temere, è tutto sotto controllo. Forse dovremo fermarci una o due volte, però." precisa Lupin.
    "Cosa?"

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    Arrivano al Royal Chin: Lupin è vestito da vampiro e Jigen da lupo mannaro.
    "Gradite qualcosa da bere?" dice loro una coniglietta playgirl che ancheggia con un vassoio di bicchieri sulla mano. Lupin le risponde con entusiasmo:
    "Per il mio amico un Blue Moon (cocktail composto dal Martini e altri vini, ndr), per me mi prendo il tuo sangue!"
    Ma appena Lupin apre la bocca, si trova ad addentare una bottiglietta di succo di pomodoro. La responsabile è Fujiko, qui vestita da Calamity Jane.
    "Accontentati di questo, Lupin."
    "Fujiko! Bellezza mia, fammi assaggiare il tuo sangue!"
    Fujiko gli punta contro la pistola. "Attento, Lupin, questa pistola è vera! Contiene anche proiettili d'argento."
    "Guarda che coi vampiri non funziona, quelli sono per i lupi mannari!"
    "Però ti fanno male lo stesso."
    Jigen si toglie la sigaretta e dice, senza guardarla:
    "Che ci fai qui, Fujiko?"
    "Oh, che calorosa accoglienza" replica lei. E Lupin aggiunge:
    "Non essere così sospettoso, Jigen."
    "Io so solo una cosa, Lupin. Quando c'è di mezzo Fujiko, sono sempre rogne."
    "Guardate che io sono stata regolarmente invitata da Chin Chin Chu. E voi?" ribatte lei, mostrando il biglietto d'invito.
    "Anche noi, tesoro, lo vedi questo?" replica Lupin, mostrando il permesso.
    "Ottima falsificazione, bravo, Lupin."
    "La tua sfiducia mi ferisce."
    "Senti, Fujiko" sbotta Jigen "se hai in mente di sedurre Chin Chin Chu per prendergli dei soldi, stai perdendo il tuo tempo."
    "Che idea miseranda. Quali soldi? Io miro più in alto. Ad un tesoro, per spiegarmi meglio."
    "TESORO?"
    "Seguitemi."
    I tre percorrono abilmente i corridoi riservati dello yacht, mentre Fujiko inizia a spiegare:
    "Avrai sentito parlare del Titanic, Lupin"
    "E chi non lo conosce?"
    Si avvicinano ad una porta ed entrano di soppiatto: è buio e Lupin accende il suo accendino. Vede un modellino del Titanic.
    "Chin Chin Chu è interessato al tesoro che c'era nel Titanic" spiega Fujiko.
    Ad un certo punto, si accendono le luci e compare, seduto su un divano, Chin Chin Chu in persona.
    "Benvenuto, Lupin. Ti aspettavo."
    Lupin spegne l'accendino.
    "E' bello sentirsi attesi."
    "Prima di cominciare, facciamo un pò di storia" replica il capomafia "Il 10 Aprile 1912, il Titanic salpò per New York e, dopo lo scontro con l'iceberg, sprofondò in fondo al mare, a una profondità di 4.000 metri, con migliaia di vittime. Conteneva però un tesoro: una scultura di dragone che tuo nonno Lupin I voleva rubare. Era salito anche lui sul Titanic e fu tra i sopravvissuti."
    "Caro nonnino, gli piaceva stare al spasso coi tempi!"
    "Ma tuo nonno non riuscì a prendere il dragone, quindi adesso è possibile solo ai pesci ammirarlo, hahaha! Fu l'unico fallimento di tuo nonno!"
    Lupin non perde la calma e sorride. "Da questo deduco che neanche tu sei riuscito a prenderlo, giusto?"
    Chin Chin Chu inghiotte il rospo e, seccato, risponde: "Al momento no. Avevo mandato giù una sonda per recuperarlo, ma il dragone era scomparso: la cassaforte era aperta e c'era accanto uno scheletro. Cosa sarà successo?"
    "Boh, dimmelo tu."
    "Non ho una risposta. Se mi aiuti, facciamo società e così potrai riscattare il fallimento di tuo nonno."
    "Io? No, grazie, non mi va di collaborare con un brutto arnese come te. E poi, come facciamo coi 1547 morti?"
    "Di chi stai parlando?"
    "I morti del Titanic erano 1547: c'è scritto sulla targhetta del tuo modellino. Oseremmo svegliare il loro eterno sonno?"
    "Ho capito, la tua risposta è no. Avrei preferito non farlo, sai?"
    Chin fa uno schiocco di dita e, all'improvviso, la porta si apre ed entrano un mucchio di tizi vestiti da militari coi fucili in mano, puntati contro Lupin e gli altri.
    "Allora, ci hai ripensato?"
    "E se dico ancora di no?"
    "Faccio di te un bel piatto cinese, scannato vivo e cotto a puntino!"
    "Ugh" esclama Fujiko, disgustata. Questo tizio non ha stile.
    "Capisco. Dammi un minuto per riflettere" risponde Lupin, alzando il cappello e facendo scattare un congegno che manda dappertutto del gas: Lupin, Jigen e Fujiko scappano dalla finestra dello yacht, saltando sull'aereo con cui erano arrivati, che era stato messo vicino in attesa.
    "Ci vediamo, Chin Chin Chu. Ciao Ciao!" saluta Lupin, allontanandosi mentre l'aereo prende quota.
    Il boss mafioso li segue con lo sguardo, poi ridacchia.
    "Tutto va secondo il piano" Compare accanto a lui Gensai, che evidentemente non era morto.

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    Intanto, Goemon percorre le montagne, raggiungendo una cascata: alla fine, arriva al punto nascosto dove si trova la pergamena col segreto della superlega.
    "Il dragone non ha nessun valore senza la pergamena" sussurra.
    La raccoglie e la porta con sè. All'improvviso, viene attaccato di nuovo dai ninja, che stavolta lo immobilizzano con le corde: Gensai si rivela.
    "Tu? Allora sei ancora vivo! Anche tu fai parte del clan di Hattori?"
    "Esatto. Il tuo clan dai 100 paesi apparteneva alla stessa famiglia del mio clan, sai?"
    "Mi hai ingannato. Non era la spada che volevi allora, ma la pergamena!"
    "Infatti. Posso anche ucciderti adesso per prendertela con comodità."
    All'improvviso, compare una ninja femmina che, con shuriken e altre armi, abbatte i ninja e anche Gensai, che muore ancora (forse). Goemon, libero, punta la spada contro di lei.
    "Non è bello trattare così chi ti ha salvato" dice lei.
    "Allora sei proprio tu, Kikyo!" esclama Goemon.
    Goemon si ricorda di lei, quando era bambina e lui lo aveva ingannato con un Goemon finto che lei aveva assalito.
    "Era un trucco, Kikyo. Non sottovalutare mai il nemico" gli aveva detto. E la Kikyo bambina aveva protestato:
    "Cattivo Goemon!"
    Tornando al presente, Kikyo abbraccia Goemon:
    "Mi sei mancato tanto. Sono passati tanti anni."
    "Lo so."
    "Ma tu sei emozionato, stai tremando."
    "E' vero" risponde lui imbarazzato. "Rivederti è l'ultima cosa che mi sarei aspettato."
    "Da quando te n'eri andato, io ho continuato ad allenarmi seguendo i tuoi insegnamenti, così che tu potessi essere fiero di me. Vedi? Non sono più la ragazzina di un tempo."
    Goemon e Kikyo si rifugiano in una casa in mezzo ai boschi, mangiando qualcosa. Goemon dice tutto alla ragazza ninja.
    "Dunque vogliono la pergamena" conclude lei "Sappiamo che il dragone è scomparso più di ottant'anni fa. Qualcosa comincia a muoversi." "Questo segreto deve sempre rimanere nel nostro clan" afferma Goemon "Non mi sembri sorpresa, Kikyo. Lo sapevi allora che cercavano la pergamena?"
    "Sì, da quando hanno localizzato il drago. Si tratta di Chin Chin Chu, per non parlare di altri."
    "Se pensano di ostacolarmi, sarà meglio per loro che cambino idea, o moriranno!" conclude Goemon.

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    Intanto, a New York, sulla baia dove si trova un pozzo petrolifero, intervengono Lupin e Jigen, che, dopo aver messo a dormire le guardie, si allontanano con un batiscafo per raggiungere il Titanic e prendere la statua del dragone.
    "Mi senti, Fujiko?" chiede Lupin via radio.
    "Sì, ti sento bene, Lupin" risponde lei, seduta nella cabina di una barca.
    "Ooh, che vocina sexy! Ti prego, prova a dirmi Lupin ti amo, amore mio!"
    "Va bene, ma solo quando avrai trovato il tesoro!"
    "Affare fatto. OK, partiamo!"
    "Bene, buon divertimento, Lupin!" risponde lei.
    Cominciano a scendere e vedono un mucchio di squali che nuotano lì attorno.
    "Decisamente poco divertente" commenta Jigen, mentre controlla i dati sul Titanic "Dunque, dopo l'incidente la nave si era spaccata in due...ehi, lì, nel fondo del mare dove si trova, ogni due ore esce un geyser bollente. Questo complica le cose, Lupin."
    "Ce la caveremo, non preoccuparti. Per arrivare al fondo ci vorranno due ore e mezza. Prendi tu i comandi, io mi faccio un pisolino."
    "Ok, ok. Dove ho messo il cruciverba?"
    Jigen compila il cruciverba: praticamente non c'è niente da fare, perchè la discesa è automatica, bisogna solo stare pronti in caso di imprevisti. Ad un certo punto, tutto vibra.
    "Cos'è?" chiede Jigen.
    "Non preoccuparti, è il geyser" gli risponde Lupin.
    "Cos'erano quei rumori, Lupin?" chiede Fujiko alla radio.
    "Niente, tesoro, una forte corrente. Qui tutto ok."
    Jigen tira un sospiro di sollievo: "Temevo che il batiscafo stesse per cedere sotto la pressione dell'acqua."
    "E' di titanio, è impossibile che ceda. Ci vorrebbe la spada di Goemon per tagliarlo."
    "Già, Goemon. Hai un'idea del perchè si è comportato così?"
    "Non saprei. Spero solo che non si metta a tornare a piangere al teatro kabuki."
    Scendono a 3700 metri, poi 4000. Il Titanic compare davanti ai loro occhi e Lupin indossa lo scafandro: Jigen gli indicherà via radio la strada per raggiungere il dragone nella cabina dove era stato collocato. Si collega la bombola ad ossigeno e parte. Lupin si spaventa ad un tratto: ci sono degli uomini morti, ma non sono i passeggeri del Titanic. Portano gli scafandri come lui: erano gli uomini di Chin Chin Chu, che erano scesi per prendere il dragone. Come mai non ci sono riusciti? E perchè sono morti?
    "Non me l'aspettavo" commenta Lupin. "Sempre più interessante!"
    "Tutto bene, Lupin?" chiede Fujiko via radio.
    "Sì, chérie."
    "Sei arrivato, Lupin: la porta a sinistra, lì c'è il dragone."
    "OK, Jigen, adesso entro. Aspetta, ma qui non c'è nulla. C'è una scatola, ma è vuota...e c'è un uomo sotto, cioè un teschio...hmm?"
    Lupin afferra un oggetto arrugginito nelle vicinanze e non crede ai suoi occhi. E' il pezzo di un'elsa di spada da samurai.
    "Questo tizio era giapponese?" si chiede.
    "Senti, Lupin, il posto è quello. Forse c'è un'altra via d'accesso..." suggerisce Jigen, sempre via radio.
    "Un passaggio segreto? Siamo sul Titanic, non nel Castello di Cagliostro. No, credo che il motivo sia un altro. Lo vedremo tra un minuto." "Di cosa parli?"
    "Quello che hai detto tu. Il geyser, ricordi? Vorrei proprio vederlo da qui. Tra un minuto dovrebbe spuntare...ecco!"
    Il geyser spunta fuori, ma è così violento che Lupin finisce intrappolato: è costretto ad abbandonare la bombola di ossigeno. Gli rimangono solo 10 minuti d'aria. All'improvviso, spunta fuori il dragone: era spinto in continuazione in basso e in alto dal geyser. Lupin riesce ad afferrarlo a fatica, ma poi si trova intrappolato in uno dei fumaioli del Titanic e non riesce più ad uscire.
    "Lupin, mi rispondi?" chiede Fujiko, preoccupata.
    "Non risponde" dice Jigen "Ha meno di dieci minuti."

    Chin Chin Chu, nel suo sommergibile lì vicino, ascolta le comunicazioni tra di loro e sorseggia un drink.
    "Mi sa che Lupin dovrà dire le sue ultime preghiere."

    "Gli restano tre minuti" dice Jigen, sudando freddo.
    "Lupin!" esclama Fujiko.
    Lupin usa l'ultima risorsa: una bomba. "Speriamo che lo scafandro regga."
    L'esplosione spacca il fumaiolo e Lupin riesce ad allontanarsi: Jigen gli si avvicina col batiscafo. Ma lo scafandro, ad un certo punto, va a pezzi e Lupin finisce schiacciato dalla pressione: riesce ad entrare per miracolo nel batiscafo.
    "Stavolta me la sono vista brutta. Ma ora ho il dragone."
    "Lupin!" esclama Fujiko, sollevata "Ero sicura che l'avresti recuperato!"
    "Esatto! Fammi una bella tazza di caffè caldo per quando arrivo, me la sono meritata!"

    "Lupin ha fatto un ottimo lavoro" dice Chin "Vai coi siluri, Gensai!"
    Il sommergibile di Chin manda i siluri contro il batiscafo: Jigen li avvista al radar.
    "Arrivano due siluri!"
    "E' opera di Chin. Mandagli la sorpresina" risponde Lupin.
    Il batiscafo espelle un missile che, col suo calore, attrae gli altri due: poi Lupin lo fa virare a distanza e lo fa dirigere verso il sommergibile di Chin, provocando un'esplosione, non grave, ma che rallenta il mezzo.
    "Maledetto Lupin, ma avrò quel dragone!" esclama il capomafia.

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    Emergono e salgono sulla nave di Fujiko.
    "Ecco il caffè, come promesso"
    "Sei un tesoro, Fujiko."
    All'improvviso, da un'aquilone, scendono Goemon e Kikyo, che atterrano sulla nave: la ragazza ninja cattura subito Fujiko, puntandole un coltello alla gola.
    "Consegnami il dragone!" esclama il samurai.
    "Ma Goemon, che ti prende? Non ci presenti la tua ultima conquista?" risponde Lupin.
    "Mi chiamo Kikyo" risponde lei "Appartengo al clan Iga, come Goemon. Abbiamo il dovere di custodire questo dragone!"
    "E perchè?"
    "Niente domande, Lupin" risponde Goemon "Consegnaci il dragone e basta."
    "Te lo scordi, caro: io ho rischiato la vita per recuperarlo, non lo dò certo al primo che passa per strada!"
    "Ma per te non ha nessun valore" insiste Goemon.
    "Non cedere! Non darglielo, Lupin!" esclama Fujiko.
    Ma Kikyo la tiene più strettamente: "Se non ce lo dai subito, questa donna morirà!"
    "Mah, come volete. Eccolo qua!"
    Lupin lancia molto in alto in dragone e i due lo seguono con l'occhio: Jigen ne approfitta per prendere la pistola sul tavolo e spara a Kikyo, disarmandola e liberando Fujiko. Goemon attacca Lupin, che si difende col dragone: la spada di Goemon viene respinta in un bagliore di luce.
    "Che significa questo?" si chiede Lupin.
    "Non importa" replica Goemon "Consegnacelo...eh?"
    Sentono sparare: sono arrivate delle navi coi poliziotti armati e guidati da Zenigata. Goemon e Kikyo si allontanano col loro aquilone, e Zenigata fa sparare a tutta birra contro la nave, che viene bucherellata da ogni parte: non compare più nessuno.
    "Piantala, Lupin! Lo so che sei vivo! Arrenditi!" grida Zenigata dal megafono.
    Ma la nave si divide in due e da lì parte un enorme papero di colore giallo, dentro il quale Lupin e Jigen si allontanano pedalando, sotto lo sguardo perplesso di Fujiko, seduta dietro di loro. Zenigata e gli altri scoppiano a ridere.
    "Non penserai mica di scappare così, Lupin? E' ridicolo!" ridacchia l'ispettore.
    Fujiko è d'accordo con lui: "Mi sento a disagio, è imbarazzante" dice lei.
    "Infatti non mi sembra un mezzo adatto per la fuga" rincara Jigen.
    "Va bene, come volete!" Lupin schiaccia un bottone e il papero parte a razzo. "Eccovi il Jet acquatico!"
    "Accidenti, inseguitelo!" grida Zenigata. Mentre si allontanano, Lupin passa un bazooka a Jigen:
    "Fai la tua parte."
    Jigen spara e il proiettile del bazooka scoppia, diventando una cappa di colla che imprigiona Zenigata e tutti quanti. Zenigata grida e minaccia a tuto spiano.
    "Questa fuga è stata quasi un'opera d'arte!" sghignazza Lupin.
    Ma, all'improvviso, emerge il sottomarino di Chin, che solleva il papero sopra di sè. Si trovano tutti di nuovo circondati da tizi coi fucili.
    "La cosa sta diventando monotona" commenta Jigen.
    "Abbiamo dei nemici con poca fantasia, in effetti" conferma Lupin.
    Compare Gensai accanto a Chin. Quindi non era morto per la seconda volta.
    "Ma guarda, quello lì credevo di averlo ucciso!" esclama Lupin, sorpreso. "Ti avevo sparato in fronte!"
    "Non ci si libera facilmente di Gensai della colonia!"
    "Purtroppo" sospira Lupin.
    "Sapevo che saresti riuscito a prendere il dragone, Lupin. Ci sei cascato, ti avevo stimolato a farlo!" sogghigna Chin.
    "Sapevo già che stavi bluffando, Chin, ho solo voluto stare al tuo gioco. Dopotutto, era coinvolto l'onore di mio nonno. Dimmelo, dai: che segreto porta questa stupida statua di metallo da due cent?"
    "La miglior suspense è il mistero" risponde Chin.
    "Come la fai lunga" dice Lupin, esasperato.

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    "Almeno...Eh? Fujiko, che fai?"
    Fujiko prende la statua e si incammina verso Chin. "Mi spiace, Lupin" poi si rivolge a Chin: "Sai, vecchio satiro, non ho voglia di morire qui, preferirei farlo in un bel letto caldo!"
    "E' un bel letto che vuoi? Si può fare" sogghigna lui."
    "Hai visto che voltafaccia? Tutte uguali le donne" sbotta Jigen.
    "Guardati da ragazze come quelle, ti trovi nei guai senza accorgertene" conferma Lupin.
    "Lo sai che faccio a chi mi tradisce, dolcezza?" chiede Chin.
    "Sì, lo so: finisce in bella vista come piatto del giorno. Ma stai tranquillo, piccolo purcel, che non ti tradirò mai" risponde Fujiko.
    "Bene, adesso dammi quello che voglio, il dragone!"
    "Eccotelo qua, pancione mio."
    "Bene. Pronti a far fuoco!"
    "Odio questo tipo di situazioni" commenta Jigen.
    "Mi dispiace tanto, Lupin! Amo anche te, lo sai!" dice languidamente Fujiko.
    "Sì, non ne ho mai dubitato. E ti confesso che anch'io ho sempre avuto un debole per te. Ma so che tu sai anche questo. Posso fumare l'ultima sigaretta, Chin?"
    "Sì, ma non prendermi per scemo."
    Gli prende il pacchetto di sigarette e lo butta in mare, dandogli uno dei suoi sigari e accendendoglielo.
    "Così non userai le tue diavolerie."
    Lupin aspira il fumo del sigaro poi sogghigna: "L'hai fatto tu, non io."
    "Eh?"
    Il pacchetto gettato in acqua getta fuori una gran quantità di gas che copre tutta la zona in un attimo. Tutti sparano, ma Lupin e Jigen sono già lontani.
    "Ciao ciao, Chin Chin Chu! Grazie per il sigaro!"
    Le risposte di Chin sono state censurate.

    La scena si sposta ad Hong Kong, dove Lupin e Jigen seguono Chin Chin Chu, che è nella sua Rolls Royce insieme a Fujiko: infatti, prima di allontanarsi dal sommergibile, Lupin aveva messo un tracciatore di nascosto nel colletto di Chin.
    "Sta andando da quella parte, muoviamoci!" dice Jigen, con in mano il computer tracciatore.
    "Un attimo, sto finendo il sushi!" protesta Lupin.
    Nel frattempo, in macchina, Chin accarezza le gambe di Fujiko.
    "Che bella pelle che hai, che gambe, hai fatto bene a scegliere me! Io posso darti quello che uno come Lupin non ti darà mai: il lusso! E ti farò morire in un letto caldo ogni volta che vorrai!"
    "Davvero, porcellino?" Vecchio maiale, mi si rivolta lo stomaco solo a guardarlo, ma devo sopportare fino a quando avrò scoperto il segreto del dragone! "Senti, mi piacerebbe che tu mi svelassi il segreto del dragone."
    "Ah, ti piacciono i segreti, eh? Intanto, questo dragone non vale niente, è solo un pezzo di metallo: ma con la pergamena, avrà un valore immenso" risponde Chin.
    "Che pergamena?"
    "Poi lo saprai."
    Zenigata, che si trova anche lui a Hong Kong, spia col binocolo e vede Lupin che è sulle tracce di Chin.
    "Lo sapevo che eri qui, maledetto criminale! Non mi sfuggirai!"

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    Lupin e Jigen hanno seguito in macchina la Rolls di Chin, fino ad arrivare alla sua villa privata. Jigen esamina le difese.
    "Barriere elettriche, cani da guardia, soldati armati...sarà dura entrare, Lupin."
    "Che ne dici del mio travestimento da Gensai?"
    "Non male, ma non ti dona."
    "Per forza, Gensai è un bruttone con la faccia sfregiata. Aspettami qui e indicami col computer la strada per arrivare da Chin."
    "OK."
    Lupin /Gensai va verso le guardie, che lo fermano subito.
    "Sono Gensai, idioti, aprite il cancello!"
    "Ma signor Gensai, non vi avevamo visto uscire!"
    "Per forza, sono un ninja. Invece di guardare le farfalle, fate attenzione a Lupin! Fatemi passare, svelti!"
    "Che sta facendo vestito così?" si chiede Zenigata, nascosto dietro un albero. Poi scatta fuori e urla: "Fermate quell'uomo! E' Lupin!" Lupin/Gensai è sorpreso, ma non si fa scomporre.
    "Buttate fuori quel demente!"
    "Demente? Io sono l'Ispettore Zenigata dell'Interpol..."
    Ma si trova circondato da ferocissimi cani da guardia e si mette a scappare a 100 metri all'ora per sfuggire ai mastini, arrampicandosi su un albero. "No, no, no! Maledetto Lupin!"
    Nel frattempo, si infilano nella villa anche Goemon e Kikyo. Lupin, nelle vesti di Gensai, percorre gli enormi corridoi della villa.
    "Mica male, ci si potrebbe fare una partita di calcio. Jigen, ci sei?"
    "Sì, vai sempre avanti per dieci metri, poi a sinistra: Chin dovrebbe essere lì."
    Anche Goemon e Kikyo entrano nella villa, raggiungendo la camera da letto di Chin Chin Chu, con tanto di lettone enorme a baldacchino con un cuscino rosso col nome del boss mafioso sovraimpresso.
    "Che pessimo gusto!" commenta schifato Goemon.
    Ma Kikyo lo abbraccia e lo fa cadere sul letto.
    "Ma che fai?"
    "Sì, ti voglio, Goemon!" e infila la mano nel camice di Goemon, per prendergli la pergamena: ma lui la ferma.
    "Ma cosa fai, Kikyo? Non mi sembra il caso nè il momento!"
    "Perchè parli così, Goemon? Non c'è nulla di male!"
    "Noi abbiamo una missione, recuperare il drago!"
    "Lo so" sbuffa lei, esasperata.

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    Lupin/Gensai arriva nella camera indicata da Jigen, ma è vuota. Eppure il segnale viene da lì.
    "Il solito passaggio segreto, immagino" commenta Lupin, esaminando la zona e soffiando della polvere in un punto sospetto: delle orme. Tombola. Riesce ad aprire il passaggio: una specie di caverna con tanto di sala torture. In fondo Lupin vede Chin e Fujiko.
    "Allora, caro Chin, qual è il segreto del dragone?" chiede lei.
    "Ah, grazie a questo tutte le ricchezze saranno mie, tutto il mondo sarà mio!"
    "Mi sembra un pò esagerato. Cosa sarebbe questo dragone, una statuetta portafortuna? Guarda che te ne posso trovare a centinaia nel negozio più vicino."
    "Niente di tutto questo. Il dragone è stato realizzato con un metallo ancora più forte della spada di Goemon. Fu realizzato da un antenato di Goemon, colui che aveva realizzato la sua spada Zantetsuken. Ma, quando scoprì di aver creato un metallo ancora più forte, si spaventò e sigillò la formula nel dragone, e lo nascose nella dimora ninja degli Iga. Ma, secoli dopo, un giapponese rinnegato rubò il dragone per venderlo in America. Ed era salito sul Titanic. Come vedi, tutto coincide."
    Fujiko osserva incuriosita il dragone. "E come farai a scoprire questa formula?"
    "Con la pergamena di Goemon, nascosta tra i monti Iga. Contiene le istruzioni per effettuare il rituale che permetterà al dragone di ritornare alla sua forma originaria, che era quella di una tavoletta con la scritta della formula. E così costruirò un'arma invincibile, indistruttibile, contro l'umanità!"
    "Ma guarda un pò."
    All'improvviso, il divano su cui è seduta Fujiko diventa un letto e Chin le va sopra.
    "Vuoi diventare la mia donna, Fujiko?"
    "Er...non mi sento ancora pronta."
    Ma Chin le si avvicina per baciarla e Fujiko è disgustata. In quel momento si avvicina Lupin travestito da Gensai:
    "Signor Chin, Lupin è qui!"
    "Come qui? Qui dove?"
    "Davanti a lei, non lo vede?"
    "Uh?"
    Lupin lo stende con un cazzotto.
    "Speravo tanto che venissi a salvarmi, Lupin! Se tu non fossi venuto, lui..."
    "Lo so, ma non potevo permettere che quella palla di lardo ti mettesse le sue sudicie mani addosso!"
    "Non è che tu sia tanto più bello messo così."
    "Dovrai sopportarlo per un pò. Ma dopo che siamo fuori voglio un bacino, eh?"
    "E' alle soglie dell'inverosimile" dice disgustato Jigen, che ha sentito tutto.
    Mentre i due, dopo aver preso il dragone, scappano, all'improvviso Lupin incontra il vero Gensai. E compaiono anche Goemon e Kikyo. Per sicurezza, Goemon taglia tutti i vestiti al falso Gensai, facendo comparire Lupin.
    "Guarda che è con lui che devi combattere!" obietta Lupin.
    "Voglio quel dragone!" risponde il samurai.

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    "Ecco cosa vi aspetta!" risponde il vero Gensai, che fa aprire una botola col fondo pieno di coccodrilli.
    Lupin lancia un filo che si pianta sul soffitto, così i quattro restano sospesi a mezz'aria, aggrappati l'uno all'altro. Kikyo è quella più in basso. Lupin ha le mani occupate: una per il filo, l'altra perchè regge Fujiko.
    "Presto, Fujiko, la pistola!"
    Lei afferra la pistola sotto la giacca di Lupin e spara a Gensai in fronte, che così muore per la terza volta. Forse. Lui cade nella botola, ma la sua spada taglia il vestito di Goemon, dal quale esce la pergamena. Kikyo molla Goemon per afferrare la pergamena.
    "Kikyo! No!" grida Goemon.
    Ma è troppo tardi: la ragazza e Gensai finiscono in bocca ai coccodrilli.
    Jigen, che aveva capito la situazione, mette sulla macchina il lanciamissili e parte, cannoneggiando il cancello e lanciando bombe e bazookate a destra e a manca.
    "Fate largo, arriva Jigen!"
    Jigen entra nella villa, spaccando la parete e raggiungendo Lupin. "Presto, Lupin, andiamo! Non c'è tempo!"
    "Lo so."
    Tutti sono usciti dalla botola, ma Goemon è sconvolto per la morte di Kikyo.
    "Coraggio, Goemon. Kikyo è morta e devi accettarlo. Andiamo!"
    Partono, mentre Lupin, col bazooka in mano, dice:
    "Prendete questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, ecc."
    La villa è tutta in fiamme. Ma Chin non è ancora sconfitto: dice a due persone misteriose di prendere il dragone e di ammazzare tutti loro, tranne Fujiko, che la vuole viva.

    equesto


    Nella stanza di un hotel, Lupin dà il dragone a Goemon.
    "Tieni, questo è tuo. Ho ottenuto alla fine l'oggetto che mio nonno non era riuscito a prendere, quindi non ho più alcun interesse su questo. Conservalo in ricordo di Kikyo."
    Goemon non risponde e guarda al di là della finestra: è ancora sotto shock. Lupin esce e si dirige verso la sua camera, piuttosto pensieroso, in compagnia di Jigen e Fujiko. La ragazza va nella sua camera e Jigen chiede a Lupin:
    "A cosa stai pensando?"
    "A Kikyo. Qualcosa non quadra."
    "E che sarebbe?"
    "Che senso ha andare a prendere la pergamena, finendo tra i coccodrilli? Sarebbe andata perduta comunque. Più ci penso e meno mi convince."
    Mentre Fujiko si fa la doccia, compare Gensai, vivo per la terza volta, che la cattura. Intanto Goemon, seduto a gambe incrociate, fissa il dragone pensando a Kikyo: alla fine piange. Ma, poco dopo, è scioccato: Kikyo è davanti a lui, ferita.
    "Kikyo? Sei viva?"
    Lei cade tra le braccia di Goemon.
    "Ma come hai..."
    Goemon si interrompe: Kikyo l'ha appena pugnalato al fianco.
    "Perchè...?"
    "Ti fidi troppo, Goemon." Prende il dragone, sogghignando: "Ora abbiamo tutto."
    Arrivano Jigen e Lupin, ma Kikyo lancia alla parete un pugnale con una bomba attaccata, poi esce dalla finestra planando e allontanandosi.
    "Goemon, stai bene?"
    "Ha preso il dragone, Lupin!"
    Lupin osserva il pugnale alla parete.
    "Sta per esplodere!"
    L'esplosione scuote tutto il piano del palazzo.

    Al laboratorio di Chin, gli scienziati hanno completato le analisi della pergamena e realizzato il liquido che trasformerà il dragone nella lastra originaria, con la scritta per la produzione del supermetallo. Chin osserva tutto, affiancato da Gensai e Kikyo. Fujiko, legata a una sedia, si sveglia.
    "Dove sono?"
    "Finalmente ti sei svegliata" dice Chin.
    Fujiko osserva sorpresa Kikyo, viva, accanto a Chin.
    "Kikyo? Allora tu..."
    "E' giunto il momento della rinascita del dragone" dice solennemente Chin.

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    Intanto, Lupin, Jigen e Goemon, che sono sopravvissuti, riescono a raggiungere il laboratorio di Chin: vengono avvistati sullo schermo.
    "I tre impiastri sono tornati" commenta Chin.
    Lupin e gli altri entrano in una stanza, dove vedono Fujiko appesa per le mani da una catena. Goemon taglia la catena e Lupin la raccoglie: all'improvviso, Lupin sente una puntura e Fujiko salta via con un balzo.
    "Fujiko, ma cosa...? Sono immobilizzato."
    "Anch'io" dice Jigen.
    "Il trucco dell'ombra, Goemon, te lo ricordi? Me lo avevi insegnato tu!"
    Kikyo si toglie il travestimento di Fujiko.
    "Kikyo! Perchè mi hai tradito?"
    "Tradito? Ti sbagli, Goemon: non ho tradito nessuno, Perchè io non sono mai stata dalla tua parte."
    "Ora capisco" dice Lupin a fatica "La persona che aveva detto a Chin che il dragone era finito nel Titanic eri tu."
    "Esatto, bravo, Lupin. L'uomo che rubò il dragone era il mio bisnonno, che morì nella nave. L'avevo scoperto solo di recente e poi l'ho rivelato a Chin. Con questo, io sarò la padrona assoluta dell'umanità!"
    Si apre una parete e Chin si rivela, insieme a Fujiko legata alla sedia. Mostra loro la struttura dietro di lui:
    "Ecco qua il mio capolavoro: un bombardiere stealth realizzato con la superlega!"
    Fujiko viene gettata insieme a Lupin e gli altri: la loro camera si chiude e viene riempita di gas.
    "Quel gas trasforma gli uomini in belve: vi ucciderete l'un l'altro!"
    "Aspetta, Chin, risparmiami, farò quello che vuoi!" dice Fujiko.
    "Hai avuto la tua possibilità e l'hai sprecata, Fujiko. Ora devo lasciarvi: con lo stealth creerò caos, panico, disperazione!"
    I quattro si guardano.
    "Cosa facciamo, Lupin?" chiede Fujiko, allarmata.
    "Trattenete il respiro!"
    Ma è inutile: iniziano ad impazzire e a picchiarsi. Lupin riesce a rimanere lucido e a contattare il suo aereo, da cui fa lanciare un missile che fa esplodere il laboratorio di Chin e fa uscire il gas dalla camera. I quattro respirano con sollievo l'aria e si riprendono.

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    "Andiamo sull'aereo, bisogna fare il gran finale!" esclama Lupin.
    Mentre escono dal laboratorio, lanciano delle bombe che lo fanno esplodere in più punti. Ma compare Gensai.
    "Fermi tutti!" ordina il ninja.
    "Abbiamo piazzato delle bombe, Gensai, tra poco scoppieranno. E' meglio se filiamo!"
    "Non se ne parla, vi ammazzerò tutti!"
    "Ci penso io a lui" dice Goemon.
    "No, tu sei la nostra carta vincente" obietta Lupin "A lui ci penso io!"
    Gensai cerca di affettare Lupin, ma lui, con un trucco, riesce a sparargli in testa.
    "E speriamo che questa sia la volta definitiva, Gensai...hai rotto abbastanza coi tuoi ritorni!"
    Partono tutti a bordo dell'aereo.
    "Siamo in quattro, Lupin, non è che superiamo il limite di peso?" chiede Fujiko.
    "Non è il tempo di pensare a questo, partiamo. E poi tu, chérie, sei leggerissima, non preoccuparti!"
    Intanto, lo stealth di Chin fa a pezzi l'aviazione americana e si dirige a New York per bombardarla.
    "Ci resta l'ultima carta da giocare, vero Goemon? La tua spada invincibile!" dice Lupin.
    "Ma lo stealth è fatto da una lega più forte della tua spada, Goemon!" obietta Fujiko.
    "Non c'è nulla che la Zantetsuken non possa tagliare!" afferma il samurai.
    Goemon taglia lo stealth, senza risultato.
    "Crede di tagliarmi, quell'imbecille!" sghignazza Chin.
    Anche Kikyo si mette a ridere, e apre il comando per sparare:
    "Muori, Goemon!"
    Il samurai deflette i proiettili, e dice a Lupin:
    "Fammi passare ancora attraverso lo stealth!"
    "Ne ho abbastanza, Lupin, fammi scendere!" esclama Fujiko.
    "E dove?"
    "E' inutile lanciare dei proiettili" dice Chin" Manda loro un missile automatico!"
    "D'accordo!" esclama Kikyo.
    Il missile parte e Lupin cerca di evitarlo: nel farlo, attraversa di nuovo lo stealth, e Goemon lo taglia ancora. Fanno la stessa cosa più volte, fino a che l'aereo di Chin finisce letteralmente tagliato in due.
    "Ma...è impossibile!" dice stupito il capobanda.
    Inoltre, il missile che inseguiva l'aereo di Lupin esplode in mezzo allo stealth: Chin muore tra le fiamme e Kikyo precipita in mare, davanti agli occhi di Goemon.
    "Goemon ce l'ha fatta!" gridano tutti.
    Jigen nota un dettaglio significativo:
    "Questo è lo stesso punto in cui è affondato il Titanic. Ironico: l'aereo che doveva essere indistruttibile, cade in fondo, insieme alla nave che doveva essere inaffondabile."
    "Potrai rivedere il tuo bisnonno, Kikyo" dice cupo Lupin.
    All'improvviso, l'aereo di Lupin non ce la fa più: perde un pezzo e Fujiko cade giù. Lupin, con una corda legata a sè, si tuffa ed afferra Fujiko: la corda li tira su e giù in continuazione, manco facessero bungee jumping. Arriva Zenigata a bordo di un elicottero:
    "Lupin, ti dichiaro in arresto!"
    "Ho salvato il mondo, Zazà, almeno dovresti dirmi grazie!"
    "Taci! Arrenditi!"
    L'aereo, con Lupin e Fujiko appesi, si allontana, inseguito dall'elicottero di Zenigata. Intanto, il dragone, caduto in acqua insieme allo Stealth, si deposita accanto ai resti sia dell'aereo che del Titanic, rimanendo lì come eterno guardiano.

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  14. .
    PARADISO CANTO 18 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - PASSAGGIO AL SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI (seconda parte)

    SAN-GIORGIO
    Curiosamente, tra gli spiriti combattenti manca San Giorgio. Veneratissimo, è patrono dell'Inghilterra e di altri Paesi.


    Siamo sempre al Quinto Cielo di Marte: Cacciaguida continua la presentazione degli Spiriti Combattenti. Prima aveva presentato Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno e Orlando. Ora abbiamo la presentazione degli Spiriti Combattenti successivi.

    GUGLIELMO D'ORANGE E RENOARDO: LA COPPIA EROICA

    GUGLIELMO-D-ORANGE
    Guglielmo d'Orange: per rendere il personaggio, ho preso un'immagine dell'anime King Arthur.


    Dante così li presenta, tutti insieme, in una sola terzina:

    Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo (Poi Guglielmo d'Orange e Rinoardo)
    e ‘l duca Gottifredi la mia vista (e Goffredo di Buglione attrassero la mia vista)
    per quella croce, e Ruberto Guiscardo (lungo quella croce, e così Roberto il Guiscardo.)

    Guglielmo d'Orange era chiamato anche Guglielmo d'Aquitania o Guglielmo Fortebraccio. Era un Duca e membro della famiglia reale; fu anche consigliere di Carlo Magno e un valoroso uomo d'arme. Combattè contro i Baschi Vasconi risiedenti a Navarra (Spagna), alleati dei Mori (tra l'altro, la Navarra confina proprio col famoso passaggio di Roncisvalle, dove morì Orlando). Respinse anche i Saraceni, guidati dall'Emiro di Cordova (Spagna) Hisham I, che voleva fare la Guerra Santa contro il resto dell'Europa. La battaglia avvenne nel 793 al fiume di Orbieu (Carcassonne), nel sud della Francia, cioè nella regione dell'Aquitania. Partecipò anche alla conquista di Barcellona, che fu strappata ai Mori.

    Divenne marchese della Marca di Spagna, istituita da Carlomagno: si trattava del territorio spagnolo tolto ai musulmani (era composta dal nordest (Navarra) e dal sudest (Barcellona) della Spagna, nelle aree quindi vicine ai Pirenei). Per proteggersi dalle incursioni dei Mori circostanti, lungo tutta la Marca furono istituite delle guarnigioni militari: si trovavano a Barcellona, Gerona, Lleida. A Gerona, in particolare, Guglielmo d'Orange fondò un monastero, dove, negli ultimi anni di vita, si ritirò vivendo da frate e facendo penitenza. Morì laggiù nell'812, ed era da tutti già venerato come santo. Intorno alla figura di Guglielmo d'Orange nacque un ciclo di canzoni sulle sue imprese (le famose chanson de geste francesi, come la Chanson de Roland). Questo ciclo di canzoni fu chiamato "Ciclo di Orange" ed ebbe molta fortuna nel Medioevo, specialmente in Italia. Adesso è praticamente dimenticato.

    RENOARDO

    BENKEI
    Il gigantesco e fortissimo Renoardo, ex-musulmano e fedele amico di Guglielmo d'Orange. Il personaggio di Benkei che presento qui, che era l'enorme monaco al servizio del suo amico, il samurai Minamoto, rende l'idea di Renoardo. Secondo la leggenda, Benkei morì combattendo, ma rimanendo in piedi anche da morto.


    Renoardo non è un personaggio storico, o meglio, la sua esistenza non è storicamente provata. E' uno dei protagonisti del "Ciclo d'Orange": era un saraceno di umili origini, che faceva lo sguattero. Il suo nome completo infatti era "Rainouart au tinel", cioè "Renoardo dal tinello". Era dotato di una forza smisurata, e la sua arma era una clava. Convertito al cristianesimo da Guglielmo d'Orange, divenne il suo fido compagno d'arme, sul modello del legame esistente fra Carlo Magno e il paladino Orlando. È uno dei principali personaggi del Ciclo d'Orange e anche lui finisce i suoi giorni come monaco in penitenza, come il suo signore.

    GOFFREDO DI BUGLIONE, IL DIFENSORE DI GERUSALEMME

    GOFFREDO-DI-BUGLIONE
    Goffredo di Buglione è nominato capo della conquista e difesa di Gerusalemme. La sua forza era leggendaria: con un solo colpo della sua spada, tagliò la testa ad un enorme cammello.


    Goffredo di Buglione (1060-1100) è stato un cavaliere franco e uno dei comandanti della Prima Crociata. Torquato Tasso ne fece il protagonista della sua Gerusalemme liberata. Nacque a Baisy, in Francia, e la sua carica fu quella di Duca di Lorena. Per le spese della spedizione della Crociata non esitò a vendere i suoi castelli di Stenay e Bouillon, che era la sua residenza preferita. La spedizione era composta da 12.000 uomini. Goffredo di Buglione mostrò eccezionali doti militari: conquistò la città di Antiochia, che era una poderosa roccaforte turca. Gerusalemme, che era in mano ai cristiani ai tempi di Costantino, fu prima conquistata dai Persiani nel 614, ai tempi della caduta dell'Impero Romano. Dopo solo vent'anni, nel 638, cadde in mano ai musulmani. L'Imam al-Ḥākim, che comandava a Gerusalemme, oltre ad opprimere duramente i cristiani come si era sempre fatto nei secoli precedenti di dominazione musulmana nella città, distrusse anche numerose chiese, fra le quali persino la basilica del Santo Sepolcro, dove fu sepolto Gesù e dove avvenne la Resurrezione. Il fatto suscitò un grande sdegno in Occidente. Goffredo di Buglione mise sotto assedio Gerusalemme per lungo tempo: alla fine, i Crociati liberarono la città nel 1099. Goffredo divenne il primo sovrano del nuovo Stato crociato, chiamato Regno di Gerusalemme. Rifiutò tuttavia il titolo di re, perché il vero Re di Gerusalemme è Cristo. Quindi si fece chiamare Difensore del Santo Sepolcro (dal latino Advocatus Sancti Sepulchri). Rimase a Gerusalemme dopo la conquista della città e ne organizzò la difesa contro i musulmani. Morì in Terrasanta nel 1100 e suo fratello Baldovino fu il successore.

    ROBERTO IL GUISCARDO, DIFENSORE DEL PAPA E DELLA CHIESA

    ROBERTO-IL-GUISCARDO
    Con Roberto il Guiscardo si conclude l'elenco degli Spiriti Combattenti per la Fede.


    Roberto il Guiscardo (cioè "l'astuto"), o Roberto d'Altavilla (1015-1085), fu un condottiero normanno. Divenne duca di Puglia e Calabria nel 1059. Combattè contro i Longobardi e pose fine al dominio bizantino nell'Italia meridionale, che minacciava la Chiesa. Infatti, i bizantini seguivano la religione ortodossa, nata dopo lo Scisma d'Oriente del 1054. Combattè contro i Saraceni in Sicilia, ponendo fine al loro dominio sull'isola. Combattè in particolare contro l'imperatore tedesco Enrico IV, che stava conquistando Roma, dopo la sua famosa (e finta) umiliazione a Canossa dal Papa, per riavere la sua autorità imperiale.

    CANOSSA
    Il falso pentimento dell'imperatore Enrico IV a Canossa.


    Una volta che fu perdonato, Enrico IV attaccò appunto Roma e il Papa dovette rifugiarsi nella roccaforte di Castel Sant'Angelo a Roma per non finire ucciso nel massacro. Il Guiscardo respinse Enrico IV,, ma le sue stesse truppe, non controllate, saccheggiarono Roma dopo il saccheggio di Enrico IV. Dopo altre battaglie, morì e fu sepolto a Venosa, in Basilicata, con la scritta "Qui giace il Guiscardo, terrore del mondo".

    IL DANTE DI NAGAI

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    Dante e Cacciaguida secondo Nagai.


    Riguardo a quello che accade nel Cielo di Marte, di cui abbiamo appena finito l'analisi, nel manga di Nagai Cacciaguida non presenta le anime dei combattenti della fede a Dante. Ecco i dialoghi:
    Dante: Oh! Ma tu sei...
    Cacciaguida: Dante! Io sono Cacciaguida, il padre del tuo bisnonno.
    Dante: Cacciaguida! Il valoroso martire del quale ho sempre sentito parlare fin da bambino! Tu forse puoi rispondere a questa domanda: la strada che ho intrapreso con la mia vita, con le mie battaglie...è quella giusta?
    Cacciaguida: Dante, figliolo, purtroppo tu sarai costretto a vivere in esilio! Ma non devi perderti d'animo! Devi seguire il mio esempio, sforzandoti di percorrere la strada della fede! Tu, Dante, riferirai al mondo tutto ciò che hai veduto finora! Sono certo che ora sai! Ora capisci cosa significhi vivere rettamente! La tua poesia immortale, i tuoi versi divini diffonderanno per sempre questo messaggio!
    Beatrice: Guarda! Gli angeli che popolano il cielo di Marte si sono radunati e stanno cantando e danzando! E' la loro benedizione per il proseguimento del tuo viaggio!


    Nel canto originale non ci sono schiere di angeli danzanti che benedicono il viaggio di Dante. Anzi, finora, a danzare sono solo le anime dei Beati. Dante, nel poema, non dice che lui aveva sentito parlare delle gesta di Cacciaguida sin da bambino: anzi, sembra che lui non sapesse niente del suo avo. Dante, sempre nel poema, non chiede a Cacciaguida se la sua strada è giusta (che senso ha chiederlo, visto che adesso è in Paradiso, e ha fatto pace prima col suo passato nel Purgatorio?). Piuttosto, nel poema originale gli chiede prima dei dati personali (chi è, quando nacque, chi erano suoi avi, chi era la gente della Firenze dei suoi tempi); poi gli chiede quello che gli accadrà, visto che all'Inferno e in Purgatorio avevano fatto dei cenni cupi sul suo futuro. Come si vede dal discorso di Cacciaguida nel manga, il nome di Dio non è nominato, nè come aiuto, nè come guida. L'uomo (Dante) qui nel manga di Nagai è solo, e deve solo "seguire l'esempio" di Cacciaguida. Cioè quello un altro uomo, non di Dio. Certo, Cacciaguida nel manga parla di "sforzarsi di percorrere la strada della fede"...ma intende lo sforzarsi da solo. Non si dice mai nel manga di chiedere l'aiuto a Dio. Ancora qui, come nelle altre parti del manga di Nagai, Dio è il grande assente: se lo si cita, spesso è solo per criticarlo. Per esempio: come può Dio mandare all'Inferno, in un posto così brutto, tanta povera gente, poverina, che soffre tanto, ma tanto, e tra di loro anche tante belle donne nude che soffrono, oh quanto soffrono, non è giusto. Nagai non dice mai che i dannati sono all'Inferno per loro scelta, e questo nonostante l'aiuto che Dio stesso voleva dare loro, dando persino il Suo sangue in croce. La visione cristiana in Nagai, insomma, non c'è. C'è la visione pagana, dove l'uomo è solo e le divinità sono lontane.

    ASCESA AL CIELO DI GIOVE

    Alla fine della rassegna, Cacciaguida si riunisce alle altre luci dei beati, cantando assieme a loro e mostrandosi degno artista tra quei cantori del Cielo. Dante torna a rivolgersi a Beatrice, per sapere cosa dovrebbe fare adesso, e vede i suoi occhi così splendenti come non gli erano mai sembrati finora. Il poeta si rende conto, in quel momento, di essere salito al Cielo successivo, il Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti. Dante si accorge infatti che questo nuovo Cielo ruota con un arco più ampio del precedente. Inoltre, nota che la bellezza di Beatrice è ulteriormente aumentata. Non solo: il pianeta al quale è attribuito il Cielo non è più rosso: ha mutato colore, passando dal rosso all'argento, proprio come fa una donna, che, dopo essere arrossita (il colore di Marte), riacquista in breve tempo il suo candore (spiega Dante facendo questo paragone).

    GLI SPIRITI GIUSTI. LA SCRITTA SIMBOLICA E LA FIGURA DELL'AQUILA

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    Nel Cielo appaiono le anime degli Spiriti Giusti, che si uniscono tra di loro, formando così delle lettere dell'alfabeto: compare così una D, poi una L o una I. Quelle anime sono simili agli uccelli che, dopo essersi levati in volo, si rallegrano a vicenda e formano schiere di varia forma. Dapprima, cantando, si muovono al ritmo del loro canto; poi, trasformandosi in uno di queste lettere ("segni", li chiama Dante), si fermano e tacciono per un poco. Raffigurano alla fine una scritta di senso compiuto: Dante invoca la Musa, chiamandola "Diva Pegasea" (il cavallo alato Pegaso, secondo il mito classico, fece scaturire dall'Elicona, il monte delle Muse, la fonte Ippocrene, che era il simbolo dell'ispirazione poetica) e le chiede un'alta ispirazione, in modo da poter descrivere le figure viste, a dispetto della pochezza dei suoi versi.

    Le anime formano in tutto trentacinque lettere, che unite danno luogo alla scritta: "DILIGITE IUSTITIAM, QUI IUDICATIS TERRAM", cioè "Amate la giustizia, voi che giudicate la Terra". E' il primo versetto del Libro della Sapienza dell'Antico Testamento ed è un richiamo severo a tutti coloro che, sulla Terra, hanno responsabilità importanti, sia laici che uomini di Chiesa. Il cui cattivo esempio, infatti, è fonte di quasi tutti i mali denunciati nella Commedia.

    Alla fine, le luci restano unite a formare l'ultima "M", che sta per "monarchia", sfolgorando dorate e stagliandosi sul colore argenteo di Giove, poi, dall'alto, scendono delle altre luci che si uniscono sulla parte alta della "M", raffigurando una sorta di giglio araldico. In seguito, Dante vede più di mille luci salire dalla parte alta della lettera "M", simili alle scintille che sprizzano da un ciocco di legno che arde, dalle quali gli sciocchi (pagani e increduli) sono soliti trarre auspici ("onde li stolti sogliono agurarsi") ed esse formano il collo e la testa di un'aquila (l'aquila è il simbolo regale). Il poeta osserva che chi ha dipinto quella figura di aquila, cioè Dio, non ha maestro né modello e quindi la virtù creativa che dà origine agli esseri viventi ha inizio da Lui.

    Quei che dipinge lì, non ha chi ‘l guidi; (Colui che dipinge lì (Dio) non ha modelli né maestri,)
    ma esso guida, e da lui si rammenta (ma è Lui stesso maestro, e da Lui si riconosce)
    quella virtù ch’è forma per li nidi. (quella virtù creativa che è forma per gli esseri generanti nei nidi.)

    Anche le altre luci che, prima, formavano la figura della 'M', ora si dispongono a rappresentare il corpo dell'aquila.

    INVETTIVA DI DANTE CONTRO I PAPI CORROTTI E GIOVANNI XXII

    Dante è rapito nell'osservare quelle luci, simili a gemme, che costellano il Cielo di Giove, rappresentando la giustizia: capisce che l'influsso stesso della Giustizia promana da quella stella.

    O dolce stella, quali e quante gemme (O dolce stella, quali e quante gemme (i beati)
    mi dimostraro che nostra giustizia (mi dimostrarono che la nostra giustizia umana)
    effetto sia del ciel che tu ingemme! (è prodotto del Cielo che tu impreziosisci!)

    Poi prega Dio di rivolgere lo sguardo sulla Terra, là dove esce il fumo della corruzione che offusca tale benefico influsso.

    Per ch’io prego la mente in che s’inizia (Dunque io prego la mente (di Dio)
    tuo moto e tua virtute, che rimiri (in cui la tua virtù e il tuo moto iniziano, di osservare)
    ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; (da dove esce il fumo che oscura il tuo raggio;)

    Questo termine, "fummo che il tuo raggio vizia", "fumo che oscura il Tuo raggio", è curioso, perchè somiglia molto al "fumo di satana che è entrato nel tempio di Dio", come disse Paolo VI cinquant'anni fa, il 29 Giugno 1972, nella più drammatica allocuzione (cioè, discorso fatto in occasioni solenni) del suo pontificato. Per la precisione disse:

    "Abbiamo (allora il Papa parlava col plurale maiestatis, quindi col "noi", caratteristica dei Papi e dei Re) la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel Tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce (fa riferimento al Concilio Vaticano II, che Giovanni XXIII definiva “porte e finestre aperte perché entri aria fresca”). Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio.(...) Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza".

    Ci furono poi gli Anni di Piombo e l'omicidio Moro. E quello era solo l'inizio.

    PAOLO-VI


    Tornando a Dante, il poeta rincara la dose, chiedendo l'ira divina per il commercio simoniaco che avviene in seno alla Chiesa, edificata sui miracoli e sul martirio:

    sì ch’un’altra fiata omai s’adiri (cosicché si adiri un'altra volta)
    del comperare e vender dentro al templo (del mercato che si fa dentro al Tempio,)
    che si murò di segni e di martìri. (che fu costruito con miracoli e col martirio (la Chiesa).

    Non si tratta solo del comprare e vendere cose sacre: ma peggio, trattare la stessa Chiesa e la Sua verità come se fosse qualcosa di malleabile a seconda delle circostanze. E' uno svendersi al miglior offerente, come fanno le prostitute. Dante usa lo stesso linguaggio dei profeti: invoca anche la preghiera dei beati a favore degli uomini in Terra, sviati dal cattivo esempio della Chiesa, allora come adesso:

    O milizia del ciel cu’ io contemplo, (O esercito del Cielo che io contemplo,)
    adora per color che sono in terra (prega per coloro che, in Terra,)
    tutti sviati dietro al malo essemplo! (sono sviati dal cattivo esempio (della Chiesa)

    Un tempo infatti si faceva guerra con le spade: ma ora la si fa sottraendo ai fedeli il cibo spirituale (l'Eucarestia) che Dio, invece, non nega a nessuno.

    Già si solea con le spade far guerra; (Un tempo si faceva guerra di solito con le spade;)
    ma or si fa togliendo or qui or quivi (ora invece si fa togliendo a questo e a quello)
    lo pan che ’l pio Padre a nessun serra. (il pane (l'Eucarestia) che Dio non nega a nessuno.)

    Questa terzina ricorda in modo impressionante il fatto della "Pasqua assente" del 2020, in cui, a causa del lockdown e del covid, la paura anche nella Chiesa fu tale da negare persino l'Eucarestia, per non parlare delle Messe negate per tre mesi. Così, per la prima volta da venti secoli, in Chiesa non si fece nemmeno il rito della Pasqua. Anzi, in quello spaventoso periodo di tre mesi non era possibile confessarsi e nemmeno ricevere l'Estrema Unzione.

    andr-tutto-be
    Un'immagine molto simbolica.


    Dante, infine, esorta papa Giovanni XXII (che fu Papa dal 1316 al 1334: sarà l'ultimo Papa che Dante conoscerà, prima di morire) a pensare a san Pietro e san Paolo, che diedero la vita per quella Chiesa, che ora il pontefice corrompe, e a pensare che questi santi sono tuttora viventi (perchè sono in Paradiso). Invece, Papa Giovanni XXII scrive al solo scopo di cancellare, accusa Dante (ed è molto attuale anche questo),

    Ma tu che sol per cancellare scrivi, (Ma tu che scrivi solo per cancellare (papa Giovanni XXII)
    pensa che Pietro e Paulo, che moriro (pensa che san Pietro e san Paolo, che morirono)
    per la vigna che guasti, ancor son vivi. (per la vigna (la Chiesa) che tu corrompi, sono ancora vivi.)

    Ma Dante stesso mette in bocca al Papa la sua risposta: il Papa non si cura di questo, perchè pensa solo a san Giovanni Battista (che è stampato sul Fiorino, la moneta di Firenze: è come dire che pensa solo ai soldi), il santo che visse nel deserto e fu fatto uccidere da Salomè; mentre non conosce né il pescatore (san Pietro) né Polo (san Paolo). Giovanni XXII, per bocca di Dante, si riferisce ai due santi in modo sprezzante e derisorio: "pescator" e "Polo", la forma volgare di Paolo.

    Ben puoi tu dire: "I’ ho fermo ’l disiro (Certo tu puoi dire: "Io desidero fermamente)
    sì a colui che volle viver solo (colui (san Giovanni Battista) che volle vivere solo nel deserto)
    e che per salti fu tratto al martiro, (e che fu condotto al martirio con una danza ("salti" di Salomè)

    ch’io non conosco il pescator né Polo». (cosicché io non conosco il pescatore (Pietro) né Polo (Paolo).")

    COMMENTO

    Il canto è strutturalmente diviso in due parti:
    1) la conclusione dell'episodio di Cacciaguida (con la presentazione degli spiriti combattenti)
    2) l'ascesa al Cielo di Giove, con la complessa formazione dell'aquila, preludio al discorso sulla giustizia che occuperà i prossimi due canti. Infatti, il Cielo di Giove è quello degli Spiriti Giusti, cioè che fanno giustizia.

    All'inizio del Canto, Dante riflette su quello che gli ha appena detto Cacciaguida: cioè l'ingiustizia che dovrà subire e la missione della Commedia che dovrà realizzare. In particolare, il cenno sul sopruso e sull'esilio subirà è un preannuncio del successivo passaggio al Cielo di Giove, col discorso successivo sulla Giustizia. Beatrice poi gli ricorda che lei, che è vicina a Dio, rivolgerà le sue preghiere in favore di Dante. Con questo cenno di Beatrice, Dante vuole far capire che giustizia divina è destinata alla fine a prevalere sulle ingiustizie terrene, assegnando nell'Aldilà premi e punizioni a seconda delle azioni compiute in vita.

    Cacciaguida conclude qui il suo lungo intervento, presentando a Dante i principali Spiriti Combattenti che occupano la croce luminosa, vista da Dante all'inizio della sua entrata al Cielo di Marte: personaggi che hanno combattuto per la conquista della Terrasanta (Giosuè e Giuda Maccabeo), o per la sua difesa durante le Crociate (Cacciaguida stesso, poi Goffredo di Buglione), oppure si sono battuti contro i Saraceni in Spagna e in Francia (Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Rinoardo) o in Italia meridionale (come Roberto il Guiscardo, che affrontò i musulmani in Sicilia e gli ortodossi bizantini).

    Questi spiriti hanno combattuto per difendere la fede e per la giustizia: quasi la stessa cosa dei governanti che Dante presenterà nel Cielo di Giove, e che hanno correttamente operato nell'esercitare le loro funzioni. Come al solito, Dante non si accorge di essere salito al Cielo successivo, se non da alcuni indizi visivi (il mutato colore del pianeta, che da rosso è diventato argenteo, il moto circolare del Cielo che è più ampio, l'accresciuta bellezza degli occhi di Beatrice) e in seguito gli appaiono subito gli Spiriti Giusti, che scintillano dorati sul colore tenue del pianeta Giove, sfavillando intorno a Dante e dando vita a una complessa figurazione che introduce il discorso successivo sulla Giustizia.

    Le luci delle anime si dispongono a formare la scritta in latino «amate la giustizia, o voi che giudicate la Terra». La scena è talmente complessa che, per descriverla al meglio, Dante deve fare ricorso a tutto il suo ingegno poetico, invocando l'aiuto delle Muse perché lo assistano in quest'ardua impresa. Infatti, le luci indugiano a formare la lettera 'M' che conclude la scritta e che unanimemente è interpretata come l'iniziale della parola «Monarchia», mentre altre luci si aggiungono nella parte alta della lettera M e la trasformano in un giglio araldico. Successivamente, altre luci modificheranno la figura, fino a tramutarla in un'aquila, cioè il simbolo dell'Impero Romano e di quello Germanico (il Sacro Romano Impero Germanico) che ne era il legittimo successore, destinato, secondo Dante, ad assicurare il buon governo al mondo cristiano e la giustizia attraverso l'applicazione delle leggi. La rappresentazione è un modo per affermare nuovamente la necessità di un'autorità centrale e suprema, che per Dante coincideva con l'imperatore tedesco e la cui assenza in Italia era fonte di soprusi e ingiustizie, nonché di quel disordine politico in cui il suo stesso esilio era maturato. Il finale del Canto è occupato dalla tremenda invettiva (una delle più forti della Commedia) che Dante rivolge alla Chiesa corrotta (Clemente V aveva trasferito la sede papale ad Avignone su pressione del re francese Filippo il Bello, e Giovanni XXII fu il Papa successivo, sempre residente ad Avignone).

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xviii.html
  15. .
    PARADISO CANTO 18 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE (prima parte)

    CAVALIERI-DI-MALTA
    Se Dante li avesse conosciuti, avrebbe messo tra gli Spiriti Combattenti per la Fede anche i Cavalieri di Malta, temutissimi dai musulmani. C'erano già ai tempi di Dante, ma non erano ancora famosi: lo divennero dopo, nell'assedio a Malta da parte dei Saraceni nel 1564. Con un eroismo incredibile, combattendo anche in punto di morte, i Cavalieri di Malta, guidati dal Gran Maestro Jean de La Vallette, (da cui la capitale di Malta, La Valletta, prenderà il nome) respinsero un'armata di 50.000 musulmani. Parteciparono anche alla battaglia di Lepanto del 1571. Oggi si occupano di attività assistenziali.



    CONFORTO DI BEATRICE

    Cacciaguida ora tace, dopo aver rivelato a Dante la profezia del suo esilio: e Dante medita su quello che ha sentito con aria preoccupata, pensando sia alla prova che lo attende che alla gloria del Paradiso che lo aspetta. Beatrice lo invita a non abbattersi, e a pensare che lei pregherà per Dante presso Dio, Colui che risolve tutti gli affanni e le ingiustizie:

    Già si godeva solo del suo verbo (Ormai (Cacciaguida) si beava, tutto assorto ("solo"), del proprio pensiero (della propria contemplazione)
    quello specchio beato, e io gustava (lui che ora è il santo specchio di Dio ("quello specchio beato": Cacciaguida cioè contempla e riflette Dio: dopo aver parlato a Dante, affida tutto a Dio), e io ero assorto)
    lo mio, temprando col dolce l’acerbo; (su quello che avevo udito, attenuando l'asprezza (della profezia dell'esilio: "l'acerbo") con la dolcezza (della gloria futura: "dolce")

    e quella donna ch’a Dio mi menava (e quella donna che mi guidava a Dio)
    disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono (disse: «Non ti abbattere, e pensa che io sono)
    presso a colui ch’ogne torto disgrava». (vicina a Colui (Dio) che ripara ogni ingiustizia».)

    Dante fissa lo sguardo nei suoi occhi e non è in grado di descriverne la bellezza: non solo perché non ha i mezzi poetici per farlo, ma anche per l'insufficienza della memoria nel ricordare. Può solo dire che, guardando Beatrice, ogni suo desiderio è acquietato, poiché nella donna si riflette l'eterna bellezza di Dio stesso. Beatrice gli sorride e lo esorta a voltarsi e ad ascoltare, poiché il poeta può trovare gioia anche in altro che non siano i suoi occhi: "Volgiti e ascolta; / ché non pur nè miei occhi è paradiso." ("Voltati e ascolta; infatti, il Paradiso non è soltanto nei miei occhi.")

    GLI SPIRITI COMBATTENTI DELLA CROCE

    Dante obbedisce e torna a rivolgersi a Cacciaguida, intuendo dal suo accresciuto fulgore che il beato ha ancora grande desiderio di parlargli. L'avo spiega che questa "quinta soglia" (il Quinto Cielo di Marte) "dell'albero" (cioè il Paradiso) riceve la vita dalla cima ("de l’albero che vive de la cima"), anzichè dalle radici, come fanno tutti gli alberi. Cacciaguida vuole dire che l'Albero del Paradiso riceve la vita dalla cima, cioè da Dio; fruttifica sempre e non perde mai le foglie. Questa immagine era frequente nei mistici medievali e anche nella Bibbia.

    In questo quinto Cielo, continua Cacciaguida, ci sono degli spiriti beati che sulla Terra, prima di morire, ebbero una grande fama ("fuor di gran voce"), al punto che offrirebbero un mucchio di spunti per ogni ispirazione poetica ("sì ch’ogne musa ne sarebbe opima"). Cacciaguida invita quindi Dante ad osservare i bracci orizzontali della grande croce luminosa che il poeta aveva visto appena entrato nel Cielo di Marte: lui indicherà alcuni di questi beati che hanno combattuto per la fede e ognuno di essi, quando sarà nominato, scorrerà rapidissimo da una parte all'altra dei bracci della croce, tanto da sembrare un lampo ("farà l’atto/che fa in nube il suo foco veloce": si pensava che il lampo fosse generato nella nube).

    E' da notare che Dante, nel presentarli, non descriverà i condottieri o farà un riassunto sulle loro vite: farà solo un elenco e basta. Si limita infatti ad evocarli a uno a uno, quasi come se stesse facendo un appello militare, isolando ogni nome con la sua aureola leggendaria, sottolineando l'ideale continuità della loro opera di combattenti per la vera fede.

    GIOSUE', IL CONQUISTATORE

    Il poeta osserva e vede l'anima di Giosuè, che si muove all'unisono con la voce dell'avo.

    Io vidi per la croce un lume tratto (Io vidi che, lungo la croce, una luce si mosse all'unisono)
    dal nomar Iosuè, com’el si feo; (al nominare Giosuè,)
    né mi fu noto il dir prima che ‘l fatto. (tanto che l'ascoltare e il vedere avvennero allo stesso tempo.)

    Giosu%203
    Giosuè abbatte le mura di Gerico facendo suonare le trombe.


    Giosuè, figlio di Nun, fu un condottiero ebraico. La sua storia è raccontata nella Bibbia a partire dal Libro dell'Esodo fino al Libro di Giosuè, che prende nome da lui. È venerato come santo e patriarca dalla Chiesa Cattolica: la memoria ricorre il 1º Settembre. Il suo nome deriva dall'ebraico Yehoshùa e significa "Dio salva", di cui Iesoùs, Gesù, è la trascrizione in greco. Infatti, Giosuè è il nome originale ebraico di Gesù, che significa appunto "Dio salva".

    Giosuè succedette a Mosè come capo degli Israeliti, dopo il lungo viaggio di quarant'anni nel deserto, e guidò le dodici tribù d'Israele nelle prime conquiste nella Terra Promessa. Il primo ostacolo fu il fiume Giordano: Giosuè fece avanzare l'Arca dell'Alleanza (che portava la Presenza Divina), portata dai sacerdoti, e il fiume arrestò miracolosamente il suo scorrere, permettendo l'attraversamento degli israeliti.

    Gerico era la prima roccaforte da conquistare: come Sodoma e Gomorra, ormai era diventata una città completamente corrotta, anche se ancora potente. Le gigantesche mura di Gerico caddero all'istante, dopo che i sacerdoti girarono per sette volte attorno alla città, per sette giorni di fila, suonando lo shofar (corno dal suono potente di tromba, usato per le celebrazioni religiose). La città fu rasa completamente e tutti gli abitanti di Gerico furono uccisi, tranne la prostituta Raab e la sua famiglia, perchè lei aveva ospitato le spie ebraiche.

    Giosuè è famoso anche per il misterioso avvenimento della fermata del Sole. Dopo altre vittorie, la città di Gabaon si arrese agli Israeliti e fecero alleanza con loro: ma i Gabaoniti furono attaccati dagli altri cinque re che erano in guerra contro Israele. Gabaon allora chiamò Giosuè al loro soccorso, e la battaglia si prolungò, tanto che la giornata tendeva al tramonto e il risultato era ancora incerto. Allora Giosuè ordinò al Sole e alla Luna di fermarsi finchè gli Israeliti non ebbero battuto tutti i nemici: Dio fece fermare il Sole e la Luna per un giorno intero, e Giosuè sconfisse i cinque re.

    "Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele: «Sole, fèrmati in Gàbaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon». Si fermò il sole e la luna rimase immobile, finché il popolo non si vendicò dei nemici. (...) Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero. Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo, perché aveva ascoltato il Signore la voce d'un uomo, perché il Signore combatteva per Israele." (Giosuè 10, 12-14)

    giosue
    Giosuè ferma il Sole e la Luna.


    Questo passaggio fu molto discusso nei secoli. Giosuè fermò davvero il Sole? Ovviamente non è Giosuè, ma Dio a fermare il Sole, e a Dio nulla è impossibile: a Fatima, il 13 Ottobre 1917, nelle famose apparizioni, il Sole aveva addirittura danzato davanti a settantamila persone, ed era persino andato loro addosso, per poi ritornare dov'era.

    Ma la domanda rimane: il Sole davvero si fermò? Difficile da dire, ma qualche priva c'è. Antonio de Montesinos, un frate domenicano, vissuto tra il '400 e '500, scrisse che in Perù, durante il regno di Titu Yupanqui Pachacùtec II, il quindicesimo monarca dell’Antico Impero, nel terzo anno del suo regno, quando "le buone usanze furono dimenticate e il popolo si diede ad ogni forma di vizio, non vi fu alba per venti ore". In altre parole, la notte non terminò al momento dovuto e il sorgere del Sole fu ritardato di ben venti ore. Dopo grandi atti di disperazione, sacrifici e preghiere, il Sole sorse. Ora, quando in Palestina è giorno, in Perù è notte; dunque, se in Medio Oriente il giorno tardò a cessare, nel continente americano accadde per forza l’esatto opposto. Il periodo di regno di Titu Yupanqui Pachacùtec II è compatibile col tempo di Giosuè. Si potrebbe obiettare che Montesinos abbia inventato tutto per trovare un riscontro al racconto biblico: tuttavia, nei suoi scritti, non viene fatto alcun parallelismo con quel passo biblico o con la Bibbia in genere. Fra l’altro, se avesse riportato il falso, lo si sarebbe potuto facilmente smascherare. Inoltre, oltre alla leggenda riportata da Montesinos, anche altri popoli precolombiani, tra cui gli stessi Indiani dell’America del Nord, tramandarono il ricordo di una “lunga notte”. Ciascuno tiri da sè le sue conclusioni.

    GIUDA MACCABEO, IL MARTELLO DEI SUOI NEMICI

    GIUDA-MACCABEO
    Giuda Maccabeo, il "martello" dei persecutori.


    Cacciaguida ora chiama Giuda Maccabeo:

    E al nome de l’alto Macabeo (E al nome del nobile Maccabeo)
    vidi moversi un altro roteando, (vidi un'altra luce muoversi girando su se stessa,)
    e letizia era ferza del paleo. (e la gioia era la frusta che faceva muovere la trottola.)

    L'ultimo verso (e letizia...) vuol dire che la felicità del beato Giuda Maccabeo era come la frusta (ferza) che fa girare la trottola (paleo: una trottola conica, che si faceva girare con una frusta), perchè la luce dello spirito di Giuda Maccabeo ruotava attorno a se stessa.

    Giuda Maccabeo fu un condottiero ebraico, le cui azioni sono state scritte nei due libri dei Maccabei I e II dell'Antico Testamento. Il suo soprannome, "Maccabeo”, significa "martello". Divenne l'eroe della ribellione ebraica contro l'oppressione del re Antioco IV Epifane, sovrano di Siria e dell'area palestinese: salito al trono nel 176 a.C., tentò d'ellenizzare il mondo ebraico e minare le basi del monoteismo, nominando dei sommi sacerdoti greci e obbligando gli Ebrei ad abiurare alla loro fede, pena la morte, proibendo la circoncisione, l'osservanza del sabato e tutte le altre manifestazioni della fede ebraica.

    In particolare, Antioco consacrò a Giove un altare nel Tempio di Gerusalemme, che era invece dedicato al Dio d'Israele: fu chiamato dagli ebrei e dai profeti "l'abominazione della desolazione nel luogo santo", dove lì si doveva adorare solo Dio.

    Giuda Maccabeo, coi suoi partigiani, riuscì a liberare Gerusalemme, riconquistando il Tempio. Condusse poi la battaglia contro i generali siro-ellenistici Gorgia, Lisia e Nicanore: ma morì nello scontro, nel 160 a.C.

    Giuda Maccabeo impedì la diffusione dell'ellenizzazione degli ebrei (cioè, seguire il pensiero e le credenze greche) e il sincretismo religioso (adorare Dio e nello steso tempo altro dei). Di lui ne parla anche lo storico ebraico Giuseppe Flavio: le sue gesta, in complesso, furono parecchie e notevoli.

    Inoltre, da "maccabeo" viene il terme "macabro", cioè lugubre, o in relazione con la morte e col suo immaginario collettivo, tipo la "danza macabra". La storia dei Maccabei e della ribellione contro Antioco infatti è cupa: fa testo, per esempio, la storia dei sette fratelli torturati e uccisi con la loro madre da Antioco Epifane, come pure l'anziano Eleazaro, perchè non volevano rinnegare la loro fede.

    CARLOMAGNO, IL GRANDE RE E IMPERATORE

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    Cacciaguida continua la sua presentazione: qui si parla di Carlomagno e di Orlando insieme.

    Così per Carlo Magno e per Orlando (Così, ai nomi di Carlo Magno e Orlando,)
    due ne seguì lo mio attento sguardo, (il mio sguardo attento ne seguì altre due (saette)
    com’occhio segue suo falcon volando. (come l'occhio che segue il volo del proprio falcone da caccia.)

    Carlomagno (742-814) fu re dei Franchi, re dei Longobardi e dall'800 fu il primo Imperatore Romano incoronato da un Papa: Leone III lo incoronò Imperatore nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano, ora abbattuta e con la Basilica di San Pietro attuale al suo posto.

    E' da ricordare che da allora iniziò il rito dell'incoronazione dell'imperatore del Sacro Romano Impero: era una cerimonia in cui il sovrano della più grande entità politica dell'Europa occidentale riceveva le regalie imperiali per mano del Papa, a simboleggiare sia il diritto del papa a incoronare i sovrani cristiani che il ruolo dell'Imperatore come protettore della Chiesa cattolica e dell'ordine civile. Anche le imperatrici del Sacro Romano Impero erano incoronate. La prima incoronazione imperiale, dopo la deposizione di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore romano, fu appunto quella di Carlo Magno.

    Gli imperatori successivi furono anch'essi incoronati dal Papa. L'incoronazione papale era un requisito essenziale per avere il titolo imperiale: Carlo V fu l'ultimo imperatore ad essere incoronato dal Papa. Successivamente, fino all'abolizione dell'impero nel 1806, non vennero più incoronati dal Papa. Infatti, nel 1806, l'ultimo Imperatore, Francesco II d'Asburgo-Lorena, per evitare che Napoleone (già autonominatosi Imperatore dei Francesi due anni prima, nel 1804, costringendo il Papa ad incoronarlo), si autoproclamasse anche Imperatore del Sacro Romano Impero, decise di abdicare, optando per il nuovo titolo di Imperatore d'Austria.

    Carlomagno allargò il suo impero grazie a una serie di vittoriose campagne militari, che inclusero la conquista del Regno longobardo, fino a comprendere una vasta parte dell'Europa occidentale. L'Impero Carolingio fu l'inizio della fondazione del Sacro Romano Impero. Carlomagno morì e fu sepolto nella cattedrale di Aquisgrana, nella Germania Occidentale, dove Carlomagno costruì la sua sede imperiale.


    Lo scrigno d'oro e d'argento (chiamato Karlsschrein) di Carlomagno, nella cattedrale di Aquisgrana, dove sono seppelliti i suoi resti.


    Dopo la sua morte, l'impero passò al figlio Ludovico il Pio. Alla morte di Ludovico, l'impero fu diviso fra i suoi tre eredi: Lotario I, Carlo il Calvo e Ludovico II il Germanico.

    Carlomagno influenzò radicalmente tutta la vita e la politica del continente europeo nei secoli successivi. Per questo motivo è considerato re e padre dell'Europa. Infatti, tramite il figlio Ludovico il Pio, egli è l'antenato di tutte le Case Reali Europee, tra cui i Windsor (Re del Regno Unito), i Sassonia-Coburgo-Gotha (Re del Belgio), dei Borboni di Spagna (Re di Spagna), del re di Svezia Carlo XVI Gustavo (in quanto discendente dei Sassonia-Coburgo-Gotha, ma la casa reale di Svezia non deriva dai Carolingi), della Famiglia Granducale del Lussemburgo, oltre alle numerose case reali ora non più regnanti, come i Romanov, i Savoia, i Borbone di Francia e varie altre.

    ORLANDO, IL PALADINO PER ECCELLENZA

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    Orlando, il più forte e il più valoroso dei Paladini di Francia.


    Orlando, o Rolando (736–778), il più famoso dei Paladini di Francia, si mise al servizio di Carlomagno sin da ragazzo: infatti, durante l'assedio di Sutri, nel Lazio, in cui Carlomagno dovette difendere la Chiesa dai Longobardi, il re notò un ragazzo di nobile portamento e cultura, e volle sapere di chi era figlio. Con sorpresa, scoprì che era figlio di sua sorella Berta, che lui aveva diseredato perchè aveva avuto rapporti con un un vassallo, il cavaliere Milone d'Anglante. Per riguardo a Orlando, Carlomagno perdonò la sorella e il marito e li riammise a corte: laggiù Orlando cominciò la sua vita di cavaliere, iniziando come scudiero. Successivamente, superò tutte le prove necessarie per diventare paladino. Al servizio di Carlomagno, compì numerose imprese cavalleresche ed eroiche, tanto da diventare in breve tempo il primo paladino di Francia.

    LA SAGA DI RONCISVALLE

    In quel periodo, Carlomagno stava combattendo contro i Saraceni, che avevano conquistato la Spagna e stavano premendo per raggiungere l'Europa: erano già stati fermati dall'avo di Carlomagno, Carlo Martello, a Poitiers, ma la minaccia restava. In particolare, la città di Saragozza, comandata dallo sceicco moro Marsilio, era imprendibile. Per ingannarli, Marsilio promise a Carlomagno di arrendersi e convertirsi al cristianesimo: ma Orlando non si fidava di lui. Un altro paladino, Gano di Maganza, invidioso del successo di Orlando, si oppose alla sua opinione e convinse il re a credere a Marsilio. E Gano si mise d'accordo con Marsilio perchè, una volta tranquillizzato Carlomagno, il re si sarebbe allontanato da Saragozza, facendo ritorno in Francia. Ma Marsilio, in accordo col traditore Gano, attaccò a Roncisvalle, al confine tra la Spagna e la Francia, la retroguardia dei francesi, capeggiata dall'odiato Orlando. In questo modo, Marsilio avrebbe potuto attaccare i Francesi di sorpresa, uccidere Carlomagno e rendere così la Francia tutta musulmana.

    Roncisvalle era un luogo cupo e sinistro, pieno di ombre e dirupi: l'ideale per un agguato. Orlando, insieme ai ventimila cavalieri della retroguardia, la guidava insieme al paladino Conte Olivieri, fidanzato con Alda, la sorella di Orlando: Olivieri notò il rumore dei Mori e avvisò Orlando: erano dieci volte più numerosi di loro. Orlando non voleva suonare subito l'Olifante, cioè il corno d'avorio, per avvisare il Re, senza aver combattuto prima: se lo avesse fatto, sarebbe stato un atto di viltà.

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    Orlando suona per l'ultima volta l'Olifante.


    Olivieri disse ai Franchi:
    "Signori, che Dio ci dia la forza: ci aspetta una grande battaglia!"
    Gli altri risposero:
    "Maledetto chi fuggirà!"
    Con loro c'era l'Arcivescovo con la spada, Turpino: si mise su una balza, a cavallo, sopra di loro, dicendo:
    "Signori, inginocchiatevi e pentitevi per i vostri peccati; io vi assolverò tutti. Se moriremo, avremo un posto tra gli Angeli in Paradiso!"
    I Franchi si inginocchiarono e Turpino li assolse e li benedisse. All'arrivo dei saraceni, Orlando estrasse la Durlindana, la sua spada santa, e lui e gli altri attaccarono col grido di guerra dei Franchi: "Montjoye!"1. Lo scontro fu spaventoso e caddero a centinaia, sia da una parte che dall'altra. Orlando resse ben quindici scontri, l'uno dopo l'altro, facendo strage di saraceni e aprendo varchi sanguinosi da dove potevano passare i Franchi. Con lo stesso valore combatterono l'Arcivescovo con la spada, Turpino, e Olivieri: dopo ore di terribili scontri, i mori si ritirarono.

    Ma stava già arrivando un secondo enorme esercito di saraceni, comandati dallo stesso Marsilio: Roncisvalle doveva essere presa a tutti i costi. La Francia doveva cadere! Settemila trombe suonarono insieme, centomila saraceni partirono all'attacco, urlando "Allah u Akbar!", "Dio è grande". Orlando, soprattutto, era l'obiettivo: caduto lui, tutti gli altri, presi dallo sconforto, sarebbero stati una facile preda. La battaglia diventò ancora più aspra, e Orlando era pieno di ferite: la sua armatura, aperta in più punti, mostrava numerose punte di frecce. Ma nessuna di esse era mortale e lui attaccava in continuazione, mietendo musulmani come una falce implacabile. I paladini caddero numerosi, e di ventimila ne rimasero solo sessanta, compreso Orlando, Olivieri e Turpino, e continuavano a combattere. I musulmani indietreggiarono, impressionati dalla loro forza.

    Orlando, a quel punto, suonò l'Olifante: Carlo Magno lo sentì, ma Gano di Maganza, accanto a lui, lo ingannò, facendogli credere che si trattava di un altro tipo di suono. Ma Orlando suonò ancora, e Carlomagno allora capì il tradimento di Gano: infuriato, ordinò di imprigionarlo. Poi si diresse verso Roncisvalle insieme ai suoi: ma ormai era troppo tardi. In quella valle, i Mori, decimati, erano scappati e tutti gli altri erano morti: anche Olivieri e Turpino erano morti.

    Orlando era l'unico rimasto vivo, ma era ormai moribondo. Tutto era silenzio, e lui vagò tra i morti, dirigendosi verso la Spagna, per mostrare che era morto vincendo (se si fosse diretto verso la Francia, avrebbe dato l'impressione di voltare le spalle al nemico e di fuggire). Cadde a terra: con un ultimo sforzo, si alzò, ormai cieco, cercando di spezzare Durlindana, facendola sbattere contro una pietra. La spada santa, che conteneva le reliquie dei santi, non poteva cadere nelle mani dei pagani mori. Conteneva infatti nell'elsa un dente di San Pietro, del sangue di San Basilio, dei capelli di San Dionigi, un pezzo del manto della Vergine. Durlindana non si spezzò e Orlando non aveva più forze: nascose tra le vesti la sua spada, chiese perdono a Dio dei suoi peccati e morì.

    Carlomagno arrivò troppo tardi: però vendicò Orlando e gli altri, conquistando Saragozza e uccidendo Marsilio. Gano di Maganza, il traditore, finì squartato (Dante parla di lui nell'Inferno tra i traditori).

    Così dice la leggenda della Chanson de Roland del monaco Turoldo (da non confondersi con David Maria Turoldo, teologo del '900). Nella realtà, sembra che siano stati i Baschi a commettere l'eccidio di Roncisvalle e non i Mori. Non che cambi molto la sostanza: quella fu un'aggressione comunque, fatta a sorpresa dai Baschi, non certo una battaglia all'aperto, e i Franchi caddero combattendo valorosamente. Inoltre, anche se i Baschi erano cristiani, erano però conniventi coi musulmani: quindi non è che ci sia una gran differenza in questo caso.

    Inoltre, Carlomagno combattè davvero contro i Mori - è un fatto storico - e attaccò anche Saragozza, roccaforte musulmana: ma non aveva abbastanza forza per attaccare e liberare una Spagna interamente musulmana. Il suo vero impegno era contro le tribù barbare che attaccavano a Est e fondare il nuovo Sacro Romano Impero. Per i Mori di Spagna ci sarebbe stata la Reconquista, ma questa è un'altra storia.

    Orlando, nella leggenda, è visto come un essere dalla forza eccezionale, che ha lasciato dei segni al suo passaggio: la Breccia di Orlando, per esempio, è una gigantesca spaccatura naturale, larga 40 metri e alta 100, presente lungo il confine tra la Francia e la Spagna, nei Pirenei. Secondo la leggenda, la Breccia fu creata da Orlando quando cercò di distruggere Durlindana. In quanto a Durlindana, sembra che sia stata trovata a Rocamadour, in Francia, incastrata nella roccia.

    BRECCIA-DI-ORLANDO
    La breccia di Orlando.


    L'Olifante si troverebbe a Bordeaux. La tomba di Orlando, secondo la tradizione, è sepolto a Blaye, in Francia, nella Basilica di Saint-Romain, necropoli dei duchi Merovingi d'Aquitania. Infatti, per tradizione, Orlando era stato un signore di Blaye. Bordeaux e Blaye divennero luoghi di pellegrinaggio ancor prima della composizione della Chanson de Roland (1050-1100).

    Successivamente, altri autori trattarono la figura di Orlando: l'Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Ma, come si vede anche nei titoli, l'aspetto eroico del personaggio è stato messo a parte per far risaltare solo l'aspetto passionale: Orlando segue la volubile Angelica, principessa del Catai, che lo fa impazzire. Orlando non viene visto più come eroe, diventando quasi una caricatura.

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    1 Montjoie ! o Montjoie Saint-Denis! era il grido di battaglia e il motto del Regno di Francia. Il grido si riferisce al leggendario stendardo di Carlo Magno, detto l'Orifiamma ("fiamma d'oro"), o "Montjoie": era conservato presso la Basilica di Saint Denis, cioè San Dionigi, il primo vescovo di Parigi, che fu decapitato sotto Valeriano. Lo stendardo era di colore rosso, perchè, per tradizione, fu immerso nel sangue di San Dionigi. In francese antico, "montjoie" indica i piccoli cumuli di pietre posizionati al ciglio delle strade, per ricordare eventi importanti o indicare un cammino: il grido di battaglia fu presumibilmente usato nel senso di “tenere la linea!”.

    MONTJOIE
    Lo stendardo di Carlo Magno, detto Orifiamma o Montjoie: lo si metteva su una lancia.



    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xviii.html

    Edited by joe 7 - 6/4/2024, 21:56
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