Il blog di Joe7

  1. GOLDRAKE, GLI AUTORI: SHINGO ARAKI - 2° PARTE

     
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    GOLDRAKE: INTERVISTA A SHINGO ARAKI
    (effettuata da Federico Colpi e stampata su "Mangazine" n. 21, Febbraio 1993)
    La prima parte qui. Il seguito qui.

    Araki


    Come ha cominciato ad interessarsi dei manga?
    Si tratta di un amore naturale che mi sono portato dietro sin dall’infanzia. Da piccolo odiavo andare a scuola, avevo una vera e propria repulsione fisica. Quando entravo nell’edificio scolastico mi venivano tremende emicranie e gli stessi professori, esasperati, mi lasciavano andare a casa. Così potevo disegnare tutto il giorno. Disegnavo sempre e dappertutto, i muri di casa erano coperti di schizzi. In seguito, la grande occasione venne quando la rivista “Machi” mi accettò per un certo periodo come fumettista. Però mi resi subito conto, con mio grande dispiacere, che non potevo diventare un fumettista. Per quanto mi piacesse disegnare, non avevo il senso della storia e della narrazione. Per cui, quando a 26 anni, dopo essere andato a Tokyo, fui assunto dalla Mushi Production di Osamu Tezuka ne rimasi molto soddisfatto. Lì potevo disegnare storie scritte da altri, e questo mi bastava.

    Che ditta era la Mushi a quel tempo? Ha fatto, se non sbaglio, serie di altissima qualità e di grande successo, per cui non sono mai riuscito a spiegarmi bene la ragione del fallimento.
    La Mushi era la maggiore produttrice del tempo. Ci lavoravano duecento persone, quando io vi entrai e dopo pochi anni, divennero quattrocento, dimensioni impensabili anche per la Toei. A quei tempi, riuscivamo a curare anche quattro serie contemporaneamente, uno sforzo che pochi altri avrebbero potuto sostenere. La ragione del fallimento fu che tutti quei dipendenti erano a contratto e ben presto Tezuka si trovò con le tasche svuotate dagli stipendi. La Mushi dichiarò bancarotta, ma i sindacati occuparono la fabbrica e riuscirono a tenere in vita la ditta sino ad oggi. Adesso produce ancora qualcosa nei video. Tezuka, invece, con altri collaboratori, diede vita più tardi alla Tezuka Productions, attiva ancor oggi con Seisha Monogatari (La Bibbia).

    Qual’era il suo ruolo alla Mushi Production?
    In Kimba, il leone bianco (1965) lavorai come animatore e disegnatore. Così anche nella seconda serie di Kimba, in cui mi vennero affidate anche alcune regie. Così pure per la Principessa Zaffiro.

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    Da Forza, Marin! (1966)” a Mimì e le ragazze della pallavolo (1969) continuai a fare esperienza come disegnatore, scrivendo anche alcuni storyboards per Paman (1967) e, infine, nel 1970, venne la grande occasione di Rocky Joe: per quello, ebbi l’incarico di supervisore dei disegni, o sakkan.

    Può spiegarci di preciso cosa significa questo termine?
    Certo. I disegni che compongono un cartone animato sono fatti da molte persone, ognuna delle quali ha capacità e stili diversi. Se il cartone venisse ripreso usando quei disegni, ne uscirebbero immagini poco fluide e non uniformi. Il lavoro di supervisione consiste nel correggere quei disegni dove è necessario, per esempio nelle anatomie, o nelle espressioni del volto più difficili da rendere, e rintracciarli tutti in base al proprio stile, il che dà al cartone un aspetto unitario. Il sakkan può sembrare un lavoro semplice, perché si tratta solo di modificare dei disegni già fatti, ma in realtà richiede molto tempo, specie nel caso di studi d’animazione che non posseggono disegnatori molto in gamba. In Lady Oscar, per citare un caso, era necessario rifare i disegni quasi daccapo, perché quelli che ci arrivavano dalla Tokyo Movie Shinsha erano completamente sballati nelle anatomie e nella caratterizzazione grafica dei personaggi…

    Occuparvi di Lady Oscar può essere stato un lavoro molto duro, però il risultato è stato stupendo. Probabilmente, la serie meglio disegnata nella storia degli anime televisivi…
    Grazie. Benchè nel manga la protagonista fosse Maria Antonietta, la serie TV diede il ruolo principale alla sua mascolina “guardia del corpo”. La grafica di questa serie fu completamente affidata a me e al mio gruppo. Michi Himeno divenne il character designer (disegnatrice dei settei) e io il sakkan di tutti gli episodi, però con un curioso sistema: io disegnavo i personaggi maschili e lei quelli femminili. Se, per esempio, Fersen e Andrè sono miei, Oscar e Maria Antonietta sono della Himeno. Per Lady Oscar mi venne affidato il lavoro di sakkan per tutti gli episodi, cosa rara negli anime. Proprio perché è un lavoro che richiede molto tempo, di solito il lavoro di sakkan di una serie viene affidato a circa quattro persone o studi diversi, ognuno dei quali si occupa di una puntata al mese. Così, penso che chiunque lo possa notare, in una serie animata non c’è uniformità nel disegno, ma esso varia da puntata a puntata, a cicli di quattro o cinque episodi, a seconda di chi lo ha curato. Questo è anche il motivo per cui in molte serie, tra le quali anche i Cavalieri dello Zodiaco, esiste un grande divario qualitativo tra i vari episodi. Lady Oscar, e in parte anche Rocky Joe, che sono curate in tutti gli episodi dallo stesso personale, rappresentano un’eccezione a questa regola degli anime televisivi. Inizialmente, anche Kiss Me Licia doveva essere fatto con questi criteri, ma alla fine mi sono occupato solo di un episodio ogni quattro.

    A proposito di Rocky Joe, perché terminò all’improvviso, nonostante il grandissimo successo che stava ottenendo? Problemi economici?
    No, semplicemente, ad un certo punto, la narrazione di manga e cartone animato si allinearono, perciò sarebbe stato necessario continuare a sviluppare l’anime in modo autonomo rispetto al manga. Si decise che era meglio continuare a rispettare il testo di Chiba, per cui interrompemmo la produzione del cartone, in attesa che questi finisse il manga.

    Agli inizi della sua carriera, lei si è occupato di una gran numero di serie sportive: come disegnatore, “Tommy la stella dei giants”, “Animal 1” “Mimì e le ragazze della pallavolo”; come disegnatore e, in certi episodi, sakkan, “Rocky Joe”, “Il re del kickbocking”, “Baseball Team Apache”…tuttavia, mi sembra che il suo stile non sia stato molto esaltato da cartoni animati dai contenuti così rudi. Lei cosa ne pensa?
    A quel tempo, non avevo ancora elaborato un tratto così pulito e fine come oggi, per cui non ebbi problemi a realizzare quella serie. Anzi, oltre a Joe, con il quale faticai parecchio per renderlo il più possibile simile al tratto energico di Tatsuya Chiba, il disegnatore del manga, ho dei ricordi molto belli dei tempi di Tommy la stella dei Giants. Quella fu la prima serie sportiva della TV e si può dire che divenne l’archetipo di tutte le serie successive. Ma il gruppo che lavorò a Tommy non aveva nessun esempio precedente su cui basarsi, per cui ogni giorno ci spremevamo le meningi ad ideare e sperimentare nuove tecniche d’animazione che rendessero le immagini sufficientemente dinamiche: l’idea di rappresentare in modo esagerato gli sforzi degli atleti nel lanciare la palla, o il fatto che questa, per dare meglio il senso della velocità, si deformi dopo essere stata colpita e prenda un aspetto ovale…

    Quelle furono sue idee?
    Già. Per una serie che aveva il suo fulcro nell’attività fisica e nell’espressione della potenza degli atleti, era necessario elaborare tecniche che superassero le limitazioni dei cartoni televisivi fino ad allora prodotti.

    Il successo di Tommy la stella dei Giants fu probabilmente determinato proprio dall’uso di quelle nuove tecniche di animazione, che effettivamente furono riprese da tutti gli altri cartoni sportivi…anche se, in certe serie, l’idea di esagerare i movimenti produsse situazioni poco credibili…
    Sì…comunque, tornando al discorso di prima, credo che, indipendentemente dal fatto che una serie si addica o meno al proprio tratto, da ogni esperienza si traggono insegnamenti di grande valore. Dalle serie sportive, ho imparato a rendere nei disegni il senso del dinamismo; da serie come Cutie Honey, dove appaiono molti nudi, ho imparato a curare meglio le anatomie…anche dalle coproduzioni con la Francia, per le quali ho prodotto i personaggi che forse più si distaccano dal mio stile, ho imparato molto. Il modo di narrare francese è molto più soft di quello giapponese, le azioni e i movimenti non sono espressi con la tecnica nipponica dell’esagerazione. Proprio perché non fanno gesti e movimenti mirabolanti, è necessario prestare una maggior cura e usare un tratto più “severo” nel disegnare i personaggi francesi. In un certo senso, se da Tommy la stella dei Giants e Babil Junior ho imparato a dare importanza alla dinamicità del segno, dai cartoni francesi ho reimparato che la cosa più importante è la qualità del disegno dei personaggi, ed è a questa che bisogna dare maggior cura. Se non avessi avuto tutte queste esperienze, non sarei mai arrivato a disegnare i “Cavalieri dello Zodiaco”.

    “I Cavalieri dello Zodiaco” è considerato da critici e fan un sunto delle sue capacità artistiche. Lei cosa ne pensa a proposito?
    Effettivamente, i “Cavalieri dello Zodiaco” sono nati con quell’intento: quello di proporre una “summa” del mio stile. Tratto dal manga di Masami Kurumada, questa serie lanciò il genere dei combattenti dotati di armatura. Inaugurato da Go Nagai col non molto fortunato Tetsu Senshi Musashi (Musashi, guerriero d’acciaio, 1981), in cui dei robot si scompongono nelle varie parti di una corazza, questo genere fu rivitalizzato da Kurumada e ripreso poi da un’infinità di imitazioni più o meno riuscite, come Yoroiden Samurai Troopers e Tenku Senshi Shurato.
    Se si guardano i cinque protagonisti dei Cavalieri dello Zodiaco, si può notare come essi rappresentino i cinque modelli più ricorrenti nelle mie opere:
    Pegasus è il tipo sanguigno, come lo erano Arin di Danguard o Babil Junior;

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    Crystal è il “bellissimo” come lo erano Fritz Archen di Danguard o Serge di Lulù, l’angelo dei fiori (tra l’altro, Serge e Archen devono molto alla mano di Michi Himeno, essendo efebici, cioè molto femminili nelle fattezze).

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    Poi, Sirio può essere bello e misterioso come Actarus di Goldrake o Andrè di Lady Oscar;

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    Phoenix è un personaggio maturo come Fersen di Lady Oscar;

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    Andromeda, infine, è un personaggio dal viso rotondeggiante e femminile, e che quindi, più che un uomo, può ricordare eroine come Maria Antonietta, Bia, o Maria di Goldrake.

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    Tra tutti questi personaggi, qual è quello a cui lei si sente maggiormente legato?
    Può sembrare strano, ma probabilmente è Babil Junior.

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    E’ stato il primo personaggio a cui ho dovuto dare io un volto. Inoltre, quando disegnavo manga, avevo creato personaggi che, come Babil, avevano un viso infantile e indossavano la divisa scolastica. Inoltre, Babil Junior è stata un’esperienza importante nella mia carriera. Da quella serie, ho imparato ad esprimere il dinamismo, il senso della velocità e il senso del tempo nella narrazione. E’ stata forse l’esperienza più preziosa della mia carriera, perché, disegnando Babil ho finalmente cominciato a provare sicurezza nelle mie capacità, perdendo quel senso di “paura” verso l’animazione che sempre avevo provato.

    In un’intervista ho letto che lei, più che un disegnatore di anime, continua a sentirsi un disegnatore fallito di fumetti…
    Sì, il fatto che non sono mai riuscito a fare dei buoni fumetti, che sono la cosa che davvero avevo intenzione di fare, continua ancora oggi a pesarmi molto.

    Non pensa di cimentarsi ancora una volta nella scrittura di un soggetto originale, come ai tempi in cui scriveva manga?
    Ci ho pensato molte volte, ma, da un lato, ancora non mi sento sicuro, dall’altro sono troppo occupato con gli anime per mettermi a fare qualcosa di veramente mio.

    Se dovesse scrivere una storia, che tema sceglierebbe?
    Probabilmente, un racconto fiabesco, che corrisponde a quello che avrei sempre voluto fare nei manga. O un fantasy…(e qui viene in mente il manga fiabesco “Sourire” , “sorriso”, che Araki farà online anni dopo)

    Ma, tra le opere che lei ha fatto come disegnatore di cartoni animati, ce n’è qualcuna di cui si sente davvero soddisfatto? Lady Oscar, i Cavalieri dello Zodiaco…
    No, non sono completamente soddisfatto di nessuna delle cose che ho fatto.

    Vuol dire che, alla conclusione di un’opera, lei non ha mai pensato: “questo è proprio un gran bel lavoro”?
    Bè…sì…ripensandoci, effettivamente, c’è qualcosa di cui vado piuttosto orgoglioso. Parlo degli ultimi tre dei quattro film cinematografici dei Cavalieri dello Zodiaco. Sì, quelli sono davvero ben fatti.

    Lei si è dedicato molto poco ad opere per il cinema. Anzi, quasi per niente…
    Ho fatto qualche lungometraggio, ma esclusivamente per il mercato degli OAV.

    Ho letto una bellissima critica su di lei, in cui si dice che lei fa dei disegni troppo beli e precisi per potersi dedicare al cinema. Intendo dire che nelle serie TV si usa un numero relativamente limitato di disegni, per cui è la bellezza di questi a determinare la qualità del cartone. Al contrario, nei lungometraggi viene utilizzato un numero molto elevato di disegni, al fine di ottenere un’animazione più fluida; ma così ogni disegno resta sullo schermo solo per poche frazioni di secondo e lo spettatore non ha il tempo sufficiente per gustarne la bellezza; perciò i suoi disegni non sarebbero adeguatamente valorizzati in un film cinematografico. Lei che ne pensa?
    Mah…

    Personalmente, non me la sentirei di affermare che un film come Akira, realizzato utilizzando un numero enorme di disegni, abbia un impatto visivo maggiore di Lady Oscar o dei Cavalieri dello Zodiaco, realizzati con pochi disegni ma meglio curati…
    Bè…dipende dai gusti...

    Parliamo adesso di quel fatto accaduto tempo fa: la rapina alla Araki Productions.
    Ah, ne ha sentito parlare anche lei? Adesso il responsabile è stato trovato. Era un mio fan che, di notte, era entrato negli studi rompendo il vetro vicino alla porta d’entrata e aveva rubato 3000 rodovetri. Probabilmente, se si fosse limitato a questo, non gli sarebbe successo molto. Invece, ha avuto la buona idea di vendere quelli che non gli piacevano a prezzi variabili da 10 a 100.000 yen (all’epoca dell’intervista, da 60 a 600 € circa).

    100.000 yen? Scusi, ma non li vendono anche alla Toei a 500-800 yen l’uno? (da 3 a 4,8 € l’uno)
    Sì, quello è il prezzo normale di un rodovetro. Però, né alla Toei né in altre case ne rimangono più di disegnati da me, per cui sembra che le quotazioni si siano alzate di molto.

    Ho sentito dire dalla Toei che, durante gli scioperi generali degli anni settanta, si lasciavano i rodovetri a marcire sotto la pioggia. Se si pensa che adesso potrebbero valere qualche centinaio di milioni…comunque, lei non pensa che il fatto che solo i rodovetri disegnati da lei siano valutati a così alto prezzo e che ci siano fan che pagano tutti quei soldi per averli, dimostri che, in fin dei conti, lei, più che un fumettista fallito, dovrebbe considerarsi il re dell’animazione televisiva giapponese?
    (sorriso impacciato)


    Il seguito qui.

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    Edited by joe 7 - 12/2/2024, 18:14
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