RIFLESSIONI

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    FUMETTI BLASFEMI SULLA CHIESA E SU CRISTO: CONTROOBIEZIONI

    incoronazione_di_spine
    Non ho intenzione di postare delle immagini di questi fumetti osceni nè di far loro pubblicità.
    Voglio solo mostrare qui quello che fanno a Cristo. E che fanno a me come cristiano.


    Ho già parlato in precedenza, riguardo al mio viaggio dell'anno scorso a Lucca, di aver visto diversi fumetti blasfemi su Gesù Cristo e sulla Chiesa. Come ho detto allora, quei fumetti sono il linguaggio orribile dell'inferno. Ormai sono anche indicati in alcuni siti come "qualcosa di diverso e di interessante da leggere". In uno in particolare, che non voglio nominare, ho letto le diverse controobiezioni che si fanno di solito contro chi, come me, è contrario a questa oscenità. Qui vorrei rispondere a queste obezioni.

    Arriva l'amico 1 e ti dice che "questi fumetti non dovrebbero esistere". Allora tu fai presente che, fintanto che non si viola la legge, esiste la libertà di manifestare il proprio pensiero, anche in un fumetto: altrimenti, la differenza coi fondamentalisti di altre religioni è solo l'assenza di un AK-47 e una cintura esplosiva.

    L'obiezione a questa risposta è semplice: una cosa è la libertà di esprimersi, un'altra cosa è insultare tua madre o tuo padre dicendo su di loro le cose più volgari e oscene possibili. Una cosa è l'espressione del pensiero, un'altra cosa è l'insulto volgare. Una cosa è esprimere un pensiero, un'altra cosa è insultare pesantemente e in modo volgare le persone che ami. E un cristiano ama Dio, ama Gesù Cristo, ama la Madonna e non può non provare un vero dolore al cuore nel vedere come vengono bassamente insultati le Persone in cui riversa il suo amore. Per questo bisogna dire sì alla libertà di espressione, e dire no alla libertà di insultare. E dire no non con un AK-47, ma denunciando chiaramente, e con mezzi legali, la cattiveria compiuta. Perchè questa infatti non è libertà di espressione, ma libertà di insultare. E insultare con una volgarità e malvagità allo stato puro, degna di essere riprovata e condannata con chiarezza.

    Arriva l'amico 2 e fa presente che "sono bravi questi fumettisti da due soldi a prendersela con la religione cristiana: perché non lo fanno con l'islam, eh?" Allora tu fai presente che noi siamo costretti a convivere con le ingerenze non di altre religioni e/o istituzioni religiose, ma del Vaticano e, peggio ancora, con la fiera dell'ipocrisia pro-famiglia e valori di una volta messa in piazza dalla politica italiana per arruffianarsi il voto dei "moderati". Che un fumetto anticlericale esiste perché, tra le altre cose, c'è chi ne ha le balle piene di cardinali con i crocifissi d'oro da venti chili al collo che giudicano a mezzo stampa giusta o sbagliata o perfino vergognosa una legge italiana o anche solo un'ipotesi al vaglio del governo, facendosi di fatto gli affari di uno stato estero.

    Anche qui l'obiezione a questa risposta è semplice.
    Per prima cosa: il Vaticano non è una istituzione religiosa, ma è uno Stato indipendente e come tale ha il pieno diritto di esprimere la sua parola, alla pari di tutti gli altri Stati. Non comanda a nessuno, ma ha il diritto di parlare a tutti. Qui non siamo nella Russia di un tempo dove contava solo il Verbo comunista e ogni voce contraria veniva soffocata col sangue.

    Seconda cosa: le critiche esposte (ipocrisia, crocifissi d'oro, eccetera) sono, come sempre, espresse in modo volgare ("balle piene, arruffianarsi") e gonfiate fino al ridicolo. Un crocifisso d'oro da venti chili al collo? Ma come si fa a portare un peso simile? Provateci a portare al collo un sacco di farina da venti chili. Se non vi si spezza la schiena siete dei fenomeni.

    Terza cosa: le critiche descritte riguardano i cristiani, o alcuni cristiani. Ora, a prescindere dal fatto che queste accuse siano vere o meno, che senso ha insultare Gesù Cristo perchè un cristiano si comporta male? Che c'entra Lui? Semmai rimproverate il cristiano per il suo comportamento, senza per questo deridere Gesù Cristo o Dio Padre. E' come insultare il padrone perchè il suo maggiordomo si comporta male. Semmai ci penserà il padrone al maggiordomo: non ha senso insultare chi comanda il maggiordomo.

    Quarta cosa: la risposta diretta alla domanda ("perchè non fate un fumetto che deride l'Islam?") non c'è: qui si svia furbescamente l'argomento, buttandolo sulla corruzione vaticana. Ammesso e non concesso che la corruzione vaticana sia vera, perchè non si risponde chiaramente a questa domanda? Forse perchè, semplicemente, chi fa fumetti che deridono l'Islam ha paura di essere ammazzato. Tutto qua. Ed è da vigliacchi insultare la religione cristiana, visto che i cristiani non possono reagire perchè non è nella loro religione nè nella loro indole. E' un comportamento simile a quello di un adulto che picchia sadicamente un bambino che non può difendersi.

    In questo modo, voi che fate questi fumetti, voi che li leggete, voi che li pubblicate, voi che li distribuite, voi che li difendete con queste osservazioni, vi mettete sullo stesso piano delle persone che massacrano i cristiani in Africa e nelle altre parti del mondo perchè credono in Cristo, e per questo vengono ammazzati. Infatti, con queste pubblicazioni oscene ammazzate quei poveri cristiani due volte, insultando proprio ciò in cui credono e per cui hanno dato la vita tra sofferenze atroci. Chi disegna, diffonde, legge e approva queste oscenità ha il dovere di vergognarsi davanti a loro.

    persecuzioni_2

     
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    DA SUPEREROI A GENTILI PALADINI DEL SUPERGENDER
    di Rino Cammilleri (01-05-2015)
    Amo i supereroi americani fin da quando ero bambino e Superman si chiamava, da noi, Nembo Kid perché, avendo appena perso la guerra in cui eravamo stati alleati della Germania nazista, si voleva scansare ogni sospetto di elogio del “superuomo”. Era il tempo della cosiddetta Silver Age dei supereroi, con Batman insieme al ridicolo Robin e i loro cloni-sputati Freccia Verde e Saetta, anch’essi miliardario-tutore & orfanello, pure loro con la freccia-mobile e, nel cielo, il freccia-segnale: vestiti da Robin Hood, tiravano frecce con sulla punta un guantone da boxe perché il Comic Code vietava che i cattivi si facessero male sul serio.
    Bambino sì ma scemo no, il mio preferito era Flash, che aveva il costume più bello di tutti. Così, ho salutato con gioia l’avvento del serial televisivo con le avventure del Bolide Rosso attualmente in onda il martedì.

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    Non è la prima volta che Flash finisce sullo schermo. Negli anni Novanta, sulla scia del successo cinematografico del Batman di Tim Burton, il povero attore che impersonava Flash era costretto a correre a perdifiato con indosso un costume-corazza tipo salvatelecomando meliconi, e immaginate la sauna. Ma era l’unica concessione alla “rinnovata sensibilità” del pubblico, perché i personaggi dell’antico fumetto, presentati nel telefilm, erano tutti aderenti all’originale.
    Infatti, stava qui il segreto del loro fascino: la gente voleva vedere i personaggi che aveva amato sulla carta, finalmente realizzati in carne e ossa. Da qui, per i produttori, la ricerca non facile di attori che somigliassero il più possibile ai vecchi eroi del fumetto. Ma oggi la “rinnovata sensibilità del pubblico” non è altro che la sensibilità dei cineasti americani imposta, piaccia o no, alla gente. Infatti, ecco che nel Flash del 2015 la bella morosa del protagonista Barry Allen, già w.a.s.p., è diventata nera-afro. Flash è ora affiancato da ragazzotti latinos e cubiste che però sono tutti geni tecnologici e informatici (con quelle facce? mah). Il capo della polizia è gay e, quando finisce in ospedale, il suo affranto partner lo assiste amorevolmente.
    Finita la puntata di Flash, ecco a ruota quella di Arrow, che sarebbe l’antico Freccia Verde lodevolmente de-ridicolizzato. Ma, anche qui, la sorpresa. Una delle personaggie (dire “personaggio”, termine neutro come “presidente”, è ormai “sessista”) è diventata lesbica. Non seguendo assiduamente la continuity (causa: solo una o due scene d’azione immerse in una noiosa melassa soap a puntata) non saprei dire se si tratta di Huntress (la Cacciatrice) o addirittura di Talia, la figlia del villain immortale Ra's al Ghul. In quest’ultimo caso, lo stravolgimento politically correct sarebbe totale: il lettore dei vecchi fumetti sa che, sulla carta, Talia era eterosessualissima e, anzi, era stata l’unica donna con cui Batman avesse avuto un figlio.
    Ma ormai bisogna rassegnarsi all’ammodernamento dei supereroi quando dalla carta passano allo schermo. Già nel Batman di Tim Burton il procuratore di Gotham City, Harvey Dent, era diventato nero. Neri divennero Nick Fury (Avengers), Electro (nemico dell'Uomo Ragno /Spiderman) e perfino Heimdall, il dio vikingo amico di Thor. Ma il politicamente corretto della Marvel si è finora limitato all’introduzione forzosa di afroamericani al posto di supereroi che erano stati concepiti come bianchi (l’ultimo è il biondo Torcia interpretato da un attore nero). Dico forzosa, perché la Marvel ha i suoi supereroi concepiti come neri fin dalle origini: tali sono, per esempio, Tempesta, Pantera Nera, Power Man. La sua diretta concorrente, la DcComics, ha comunque deciso di superarla in corsa. Aspettiamoci dunque, a breve, il supereroe trans, che nasconde la sua muscolare identità con minigonna e tacchi a spillo. Di notte macho mascherato, di giorno sculettante cameriera. É vero, la sensibilità del pubblico è cambiata. Anche perché c’è chi si ingegna a tutt’uomo (si potrà ancora dire così?) per fargliela cambiare.
    (Da: RINO CAMMILLERI, BUSSOLA QUOTIDIANA)

    I SUPEREROI, LORO, RESTANO SEMPRE SE STESSI
    di Marco Respinti (04-05-2015)
    Importante l’articolo di Rino Cammilleri sulla trasmutazione di tutti i valori nel mondo dei supereroi. Mette il dito in quella piaga purulenta che è l’aggressione ai più giovani nelle loro emozioni e passioni, nei loro ideali e fragilità, nel loro essere uomini già e non ancora. Amo anch’io i supereroi americani fin da quand'ero bambino e il mio preferito è sempre stato Batman (cavaliere oscuro, dotato di poteri solo umani, talvolta troppo umani, tormentato, gotico, generoso, in eterno ritorno), perché, secondo me, il suo è il costume più bello di tutti.

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    Cammilleri non sbaglia un aggettivo né una virgola: il male che si sta facendo al nostro futuro, avvelenando quella che T.S. Eliot chiamava "rising generation" è enorme. Meglio sarebbe buttarsi nel mare con una macina da asino al collo.
    Forse però c’è persino un modo diverso di affrontare la narrativa della new age dei supereroi. Ne parlano i grandi quotidiani nazionali. L’insostenibile leggerezza dell’attacco LGBT si nutre anche della malapianta del chiacchiericcio e della calunnia. Ma il disordine omosessualista dilaga tra i supereroi, perché (come dice Cammilleri) la società che legge i fumetti è cambiata; e quindi, in ossequio alle ferree leggi del marketing ‒ lo nota indispettita anche la comunità LGBT ‒, il produttore dà al consumatore ciò che questi si aspetta, che sennò i suoi soldi li spende altrove. Il punto è precisamente questo. Sono mutati, e mutano con una vorticosità esponenziale, i criteri di riferimento del mondo e gli standard di giudizio delle persone. A normalizzare l’ideologia di gender siamo cioè noi, non i supereroi. Il marketing segue a ruota perché fa quello che vogliamo noi, che vendiamo i mutamenti contro denaro sonante. Un circolo autoreferenziale.
    Questo però significa che i supereroi, loro, restano sempre se stessi. Siamo noi, produttori-consumatori, a cambiare, a farli cambiare, a modificare lo scenario di riferimento in cui poi li facciamo agire per non diminuire i dividendi. E infatti loro, i supereroi, catapultati improvvisamente in un mondo diverso, si muovono a disagio, sono goffi, non rendono.
    Ma li vedete? Nati per combattere il Male, per difendere l’orfano, la vedova e il debole, per far trionfare la giustizia, per propiziare l’avvento di quella che J.R.R. Tolkien chiamava “eucatastrofe” (il capovolgimento improvviso della trama che assicura il lieto fine, la “fiaba” massima essendo dunque il Vangelo, mito che si fa storia vera), si trovano ad abitare disegni in cui stringono la manina di una comparsa del loro stesso sesso, in cui amoreggiano safficamente tra sole donne, magari presto a rifarsi iperbolicamente i sessi (perché infatti accontentarsi di uno solo quando si è super?) grazie, che so, a un improbabile ricondizionamento del Tesseract degli dèi. Sono impacciati e imbarazzati i supereroi, perché l’onda gay e il culto trans non sono normali. Loro, super, infatti lo sono proprio per questo. Dei normali mortali che incarnano il meglio, il massimo, l’ideale, le virtù.
    Se però il mondo dei normali attorno a loro impazzisce, loro perdono l’orientamento, si sborniano, cadono. Ma la colpa è tutta nostra. Loro sono soltanto la nostra progenie; loro sono solo il massimo delle nostre aspirazioni, il nostro cuore lanciato oltre l’ostacolo. Se le nostre aspirazioni sono infime, e il cuore piccolo e l’ostacolo basso, loro si trasformano in supermeschini. Come superbamente scrive Francesco Guccini (il cui anarchismo puro lo rende simile a un Don Chisciotte almeno in pectore cristiano) nella bellissima Cirano (praticamente L’avvelenata riscritta con l’eucatastrofe):
    «e voi materialisti, col vostro chiodo fisso,
    che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
    le verità cercate per terra, da maiali,
    tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
    tornate a casa nani, levatevi davanti,
    per la mia rabbia enorme mi servono giganti»

    Dei nostri supereroi abbiamo fatto dei maiali e dei nani a nostra immagine e somiglianza.
    I supereroi, però, restano appunto innocenti. Restano maschi i maschi, femmine le femmine, puri i puri, villain e i villain. Sì, dagli anni 1990 in casa Marvel ci sono X-Men che fanno coming out, Giovani Vendicatori gay e Runaways lesbiche a cui l’eterna rivale DC Comics risponde omosessualizzando Lanterna Verde e il mio Batman. Ma il matrimonio lesbico di Batwoman è stato bloccato, almeno. Se in loro sapessimo vedere ancora l’uomo migliore cui per natura aspiriamo, tutto ci tornerebbe chiaro. Infatti, nella serie televisiva Flash, di cui ci ha ben parlato Cammilleri, l’omosessuale è il capo della polizia, non l’eroe Barry Allen che resta se stesso, ama donne e incarna ancora il nostro sogno migliore: a cambiare è lo scenario che gli abbiamo voluto mettere noi produttori-consumatori.
    Nella serie tivù Arrow, la lesbica è Nyssa, la perfida figlia del supercattivo Ra’s al Ghul (sorella o sorellastra di Talia); per salvare la vita a Oliver Queen, Sara Lance cede alle sue voglie perverse. Ma è una grande metafora. Oliver e Sara erano due farfalloni: Oliver era fidanzato con Laurel, la sorella di Sara, che viene tradita dagli affetti più cari. I due fedifraghi s’imbarcano sul Queen’s Gambit per un’avventura di sesso e champagne, ma un evento inatteso ne stravolge le vite, li sprofonda agl’inferi e da qui i due risorgono avendo imparato ad amare la vita, il prossimo, la virtù e ogni istante di quel tempo loro concesso che inesorabile scorre e mai ritorna. Da allora in avanti saranno Freccia Verde e Black Canary. Sara non è lesbica: si concede alla lesbica Nyssa per difendere il suo vero amore. Un paradosso, certo; ma il mito è fatto tutto così. Insomma, la lesbica della serie è cattivissima, uccide l’amore vero e puro, si danna e danna.
    Nessuna condiscendenza, ma un’occasione per riflettere. Oliver ne esce votandosi al bene nei panni di Arrow e Sara uguale come Black Canary; alla fine, Nyssa paga con la vita il male commesso, perché comunque non è lei la donna destinata a Oliver.
    Come nella letteratura horror autentica, dove le brave ragazze vanno in Paradiso, le bad girl vanno ovunque e con chiunque, e appunto su di loro, non sulle altre, si abbatte sempre il male.
    La casa editrice Zenescope, di Horsham, in Pennsylvania, 10 anni di attività a crescita vorticosa appena celebrati, ne ha fatto un vero e proprio genere, rivisitando le fiabe dei fratelli Grimm, Robin Hood, Il libro della giungla e Alice nel paese delle meraviglie tra reggicalze da capogiro e rigore morale impeccabile. E il dio vichingo Heimdall al cinema è nero per colpa delle “quote razziali” con cui vengono selezionati da anni i cast, frutto di quell’assurda "Affirmative action" che, invece di emancipare le minoranze, ha prodotto razzismi al contrario. Nell’olimpo di Asgard, infatti, gli iperborei restano iperborei. Colpa nostra, non degli eroi.
    In quelle scuole dove ancora l’obiettivo primo e unico è l’educazione della libertà e alla ragione dei ragazzi nell’età-chiave delle medie (non molte in verità, e per lo più cattoliche, guarda caso), si legge l’Iliade e si rivive Lo Hobbit, ci si cala dentro Bravo, Burro! di John Fante e si recita in teatro L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson. Storie in cui i ragazzi si identificano totalmente perché i loro protagonisti sono bambini (o pusillanimi) che diventano uomini, esattamente come loro a quell’età. Esattamente come tutti, sempre, impegnati a tornare evangelicamente ogni giorno bambini per cercare di guadagnarsi il Cielo da uomini compiuti.
    Gli eroi, a fumetti, in tivù, al cinema, ci aiutano a farlo, se noi lo permettiamo.
    (Da: MARCO RESPINTI, BUSSOLA QUOTIDIANA)

    COMMENTO (Joe7)
    [color=black]Le osservazioni di Cammilleri e Respinti descrivono bene la tendenza di oggi a trasformare il supereroe in una specie di superverme senza morale: basti pensare ad Iron Man di Civil War e gli Illuminati (Reed Richards, Freccia Nera, Dottor Strange, Charles Xavier, Iron Man), personaggi che una volta erano semplicemente eroi che combattevano contro il male, e che ora sono diventati personaggi senza la minima morale, se non quella del fine che giustifica ogni mezzo, anche il più abietto. E questi dovrebbero essere gli "eroi" di adesso. Gli "esempi" di adesso. Begli esempi.
    Gente senza vergogna nè pudore, senza il minimo senso del bene e del male, e applauditi nei forum perchè "rispecchiano le cose reali". No, l'eroe deve essere un modello da imitare, non un disgraziato come tutti. Perchè mai si dovrebbe imitare un disgraziato o un criminale? Perchè mai si dovrebbe imitare chi è privo di morale? Come dice Guccini, "le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali".
    Tra l'altro, il mio preferito era il Thor di John Buscema, un classico "eroe senza macchia e senza paura". Mille volte meglio del Thor e dei "supereroi" di adesso.

    Mighty_Thor_204

     
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    "CONCRETE": I SUOI ERRORI SULL'ABORTO

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    Concrete è un personaggio di Paul Chadwick, che è imprigionato in un corpo di pietra. In una storia ("The Human Dilemma"), prende posizione favorevole all'aborto, sostenendo, tra l'altro, che nella Bibbia non si parla della presenza della vita umana nel grembo. Ma qui si sbaglia clamorosamente: a parte il fatto che basta la logica e la scienza a capire che la vita inizia nel concepimento, la Bibbia questo l'ha sempre sostenuto, sin dall'Antico Testamento. Posto qui l'articolo di Enrico Cattaneo (link)

    "TI HO CONOSCIUTO FIN DAL GREMBO MATERNO". COSI' LA BIBBIA RENDE SACRA LA VITA DAL CONCEPIMENTO
    di Enrico Cattaneo
    Sappiamo che in ogni civiltà e cultura la vita umana è circondata dal massimo rispetto, al punto che l’omicidio volontario è punito con la massima pena, che può variare a seconda delle legislazioni. Per sfuggire a questa terribile accusa, i sostenitori della liceità dell’aborto giustificano questa loro convinzione dicendo che l’embrione è solo un grumo di cellule che fanno parte del corpo della donna, e quindi si possono sopprimere come si sopprimono delle cellule tumorali. Se infatti l’embrione fosse un vero essere umano, la sua soppressione sarebbe un atto gravissimo.

    Embrione


    È vero che nei primissimi stadi, esso non riveste ancora fattezze umane e appare solo come un insieme di cellule in sviluppo, ma questa è solo un’osservazione superficiale, ormai smentita dalla scienza. Inoltre, possono i sostenitori della liceità dell’aborto dire che alla 12ma settimana l’embrione sia ancora un grumo di cellule? Al che essi rispondono dicendo che la donna deve essere libera di disporre del suo corpo. A parte il fatto che nessuno è libero di disporre del proprio corpo come vuole, perché è un bene pubblico, e chi danneggia se stesso danneggia anche gli altri (tant'è vero che la legge ci impone di portare il casco quando si va in moto o di mettere la cintura di sicurezza quando si va in macchina), bisognerebbe dire alla donna che vuole abortire: «Guarda che quello che hai nella pancia è il corpo di un ‘altro’; è in te, è ospitato da te, è nel tuo corpo, ma non è il ‘tuo’ corpo, è il corpo di un altro».
    Siccome anche in molti cristiani si è offuscata questa verità, ed essi o fanno finta di non vederla, oppure pensano che sia più importante salvare la propria reputazione, la propria indipendenza, o il proprio benessere, piuttosto che salvare la vita di un essere umano, vediamo che cosa dice la Bibbia della vita intrauterina. Ricordiamo che molte conoscenze sulla biologia della riproduzione umana sono state raggiunte solo a partire dalla seconda metà del 20° secolo. Per millenni e millenni gli uomini non sapevano come avvenisse la fecondazione, anche se constatavano che la gravidanza durava nove mesi. L’idea prevalente era che l’utero della donna fosse solo un ricettacolo nutritivo e che la nuova creatura dovesse tutto al seme del padre.
    Nel Medioevo, i teologi poi si posero pure il problema di quale fosse il momento esatto in cui Dio infondeva nell’embrione l’anima umana. In effetti, nei suoi primi stadi l’embrione è così piccolo che è difficilmente osservabile e solo dopo parecchie settimane comincia ad essere visibile e a prendere una forma umana. Così alcuni pensavano che l’anima fosse immessa nel corpo con l’apparire di quella forma. Quindi prima di ricevere l’anima, dicevano, l’embrione è solo capace di ricevere una vita umana, cioè l’anima, ma non è ancora persona umana.
    Oggi però la scienza ha fatto progressi incredibili, e sappiamo che l’ovulo fecondato o zigote, che è una cellula che si è formata dall'unione di uno spermatozoo (cellula-gamete maschile) con un ovulo (cellula-gamete femminile), è formato in eguale misura dalla fusione dei gameti del padre e della madre, e che questo ovulo fecondato fin dal suo primo istante ha il suo proprio DNA, distinto e diverso da quello dei genitori.

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    Anche se non si vede ancora nulla, è già tutto “programmato”: sesso, colore dei capelli e degli occhi, eccetera. L’ovulo fecondato deve solo crescere e svilupparsi secondo quella “programmazione”, che è appunto la sua “anima”, un’anima umana, e perciò spirituale, creata da Dio; lì c’è un essere umano nuovo, che prima non esisteva. Non c’è nessun confronto con gli spermatozoi maschili o con l’ovulo femminile presi separatamente: questi fanno parte del corpo dell’uomo o della donna e possono andare perduti, come avviene in natura nella maggior parte dei casi, mentre l’ovulo fecondato è un nuovo essere, tant'è vero che il corpo della donna se ne accorge subito, e mette in atto tutta una serie di provvedimenti per ospitare questa nuova creatura. Ora gli uomini che hanno scritto la Bibbia non sapevano nulla di tutto questo. Perciò sarà tanto più interessante vedere come essi parlano della vita intrauterina.
    Partiamo dal Salmo 139 (o 138 nella traduzione latina), un testo di almeno 500 anni prima di Cristo. La Bibbia lo assegna a Davide, ma gli esperti dicono che si tratta di un’attribuzione convenzionale; in realtà, non conosciamo l’autore, che probabilmente era un sacerdote addetto al Tempio. Nella sua preghiera, egli inizia con il riconoscere che Dio è presente dappertutto e conosce ogni cosa, anche le cose più segrete, anche i pensieri. E riflettendo sulla sua propria vita, questo sacerdote-poeta (i salmi infatti sono poesie) non pensa affatto che la sua esistenza sia iniziata con la nascita, ma è convinto che lo fosse già da prima, quando lui era ancora nell’utero di sua madre. La cosa sorprendente è che parlando di quel periodo in cui era in gestazione, dice “io”: se potesse usare il linguaggio di oggi, direbbe: “Quell’embrione ero io!”. Così dunque si esprime parlando a Dio:

    «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre» (v. 13).

    Cioè, non ero ancora perfettamente formato, ero come una tela che si stava tessendo, dove ancora non si vedeva il disegno finito, ma nella mente del tessitore (= Dio) quel disegno c’era già, ed ero io! E continua:

    «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (v. 15).

    Il grembo materno è misterioso, come le profondità della terra, ma Dio le conosce e vede quel “ricamo” mentre si sta formando:

    «Ancora informe, mi hanno visto i tuoi occhi; anche i giorni fissati per me, erano tutti scritti nel tuo libro, quando ancora non ne esisteva uno» (v. 16).

    E’ vero che noi contiamo i nostri giorni dalla nascita, ma Dio comincia a contarli da prima, perché lui

    «fa crescere i nostri giorni fin dal seno materno» (Sir 50,22).

    Allo stesso modo parla Giobbe, quando descrive la sua vita intrauterina: non è la vita di un’altra cosa, di un grumo di cellule che poi sono diventate lui, no, era già lui stesso:

    «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte ... di pelle e di carne mi hai rivestito, di ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11).

    Anche lui direbbe oggi: “Quell’embrione, ero io!”. Per gli antichi il concepimento era un evento misterioso per l’uomo, ma non per Dio, così che non ci potevano essere dubbi sulla continuità che c’è tra il concepito e il nato. Dice la madre dei fratelli Maccabei, martiri per la loro fedeltà alla legge mosaica:

    «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né ho dato forma alle membra di ciascuno di voi» (2Mac 7,22).

    È evidente che ciò è opera di Dio:

    «Così dice il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato dal seno materno» (Is 44,2).

    E’ sempre lo stesso “tu”, sia prima che dopo la nascita, come dice Tobia al figlio:

    «Ricordati, figlio, che tua madre ha corso tanti pericoli per te, quando tu eri nel suo seno» (Tb 4,4).

    Veniamo ora al profeta Geremia, un sacerdote nato nella regione a nord di Gerusalemme verso il 650 a.C. Ecco quello che ha scritto, riportando le parole che furono rivolte a lui da parte di Dio stesso:

    «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato» (Ger 1,5).

    Questo testo è straordinario: Dio tratta Geremia come una persona e lo “consacra” profeta prima ancora che nasca; e mentre si stava formando nel grembo materno, Dio gli dice: «Io ti ho conosciuto», come si conosce una persona!
    Anche un altro profeta, i cui oracoli sono stati inclusi nel libro di Isaia, dice: «Ascoltatemi... udite attentamente», come a dire, guardate che sto per dire una cosa sorprendente:

    «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1).

    Quello che noi chiamiamo embrione, per Dio ha un nome, è una persona! E già allora ha ricevuto una vocazione, è stato chiamato al servizio divino:

    «Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno» (Is 49,5).

    La stessa cosa dirà San Paolo molto tempo dopo, quando affermerà:

    «Dio mi ha scelto [per essere apostolo] fin dal seno di mia madre» (Gal 1,15).

    Dio non aspetta ad entrare in rapporto con una persona quando questa è adulta, ma lo fa fin dal concepimento, così che il salmista può dire:

    «Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno» (Sal 71,6).

    E Luca nel suo Vangelo dice di Giovanni Battista, riportando le parole dell’angelo:

    «Sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di suo madre» (Lc 1,15).

    Gli antichi non avevano strumenti per vedere come era il feto dentro il ventre della madre, però le mamme lo sentivano e come!
    Il Vangelo di Luca ci dice che quando Maria, che era appena rimasta incinta di Gesù per opera dello Spirito Santo, andò a trovare la cugina Elisabetta, che aspettava un bambino ed era al sesto mese, successe una cosa sconvolgente: non appena Elisabetta ebbe udito la voce di Maria, che la salutava, il bambino che aveva in grembo fece un salto di gioia! Altro che ecografia! E da questo fatto, Elisabetta capì che Maria era incinta (non poteva vederlo perché Maria era al massimo alla terza settimana!), e la chiama “madre del mio Signore”. Anche questo titolo è sorprendente: ci dice che una donna che aspetta un bambino, anche se è appena stato concepito, anche se questi è ancora quasi invisibile, è già mamma!

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    La dottrina cattolica ha un dogma (cioè un insegnamento che la Chiesa proclama come rivelato da Dio) che ha ripercussioni importantissime su questo argomento: è il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato dal beato Pio IX l’8 dicembre del 1854. A quel tempo, la scienza non sapeva ancora quasi niente sulla fecondazione umana, però la fede della Chiesa ha mostrato di avere una chiarezza sorprendente che ha preceduto la scienza. Che cosa dice quel dogma? Che la Beata Vergine Maria, fin dal momento del suo concepimento, è stata “piena di grazia” e quindi, in previsione dei meriti di Cristo Salvatore, è stata preservata dal peccato originale. Ciò significa che la Beata Vergine Maria, fin dal primo istante della sua esistenza, aveva un’anima spirituale, capace di ricevere la grazia della santificazione, e perciò si chiama “Immacolata Concezione”.

    Immacolata_Concezione


    Questo dogma ci insegna alcune cose importanti per il nostro argomento:
    primo, un essere umano inizia ad esistere fin dal primo istante del concepimento;
    secondo, questo essere umano fin dal primo istante ha un’anima spirituale e perciò è una persona umana.
    Se è una persona umana, va rispettata in tutti i suoi aspetti, e prima di tutto nel suo diritto alla vita. Nell’ottica e nel linguaggio della Bibbia, possiamo dire che agli occhi di Dio ogni embrione umano, fin dal primo istante, ha un nome, è conosciuto e amato da Dio come un “tu”. Se per cause naturali o - purtroppo - per deliberata volontà umana, questo embrione non ha modo di svilupparsi e crescere e venire alla luce, possiamo pensare che Dio non lo abbandoni, perché per Lui è già una persona; possiamo pensare anche che gli comunichi la sua grazia e che alla risurrezione finale Dio farà in modo che la “programmazione” che già c’era e che è stata interrotta, sia portata a compimento, e nel modo migliore.
    Enrico Cattaneo (link)

    Quindi, le osservazioni di Concrete e di Paul Chadwick sulla Bibbia sono gravemente errate.
     
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    GO NAGAI SI SBAGLIA: L’UOMO NON E’ VIOLENTO PER NATURA

    Da un’intervista a Go Nagai fatta da Gianluca di Fratta e Antonio Iannotta e pubblicata sul numero 51 di “Scuola del Fumetto”, Aprile 2007, posto qui uno stralcio:

    Con “Violence Jack” ho voluto offrire una visione realistica di come sarebbe un mondo dove non esiste nessun principio morale che inibisca l’unico desiderio naturale dell’uomo, cioè l’istinto di sopravvivenza e la sete di comando e dominazione che ne derivano.

    Lo stesso modo di pensare è stato mostrato da Go Nagai in altri suoi manga, come Devilman.

    Devilman
    Devilman e Violence Jack, i manga di Nagai tra i più emblematici del suo lavoro.


    Questa è una visione non solo pessimistica, ma anche sbagliata dell’uomo. Nell’uomo, infatti non c’è solo lo spirito di sopravvivenza, la sete di comando e di dominazione. Esiste anche il cercare un significato alla propria vita, il chiedersi perché si nasce, si vive, si muore: la religione risponde a queste domande ed è inestirpabile dal cuore dell’uomo. Esiste nell’uomo lo stupore di fronte alla bellezza. Esiste anche la poesia nel cuore dell’uomo. Così pure l’arte. E la riflessione. E l'amore, quello vero e non quello perverso.

    Platone-e-Aristotele
    Il David di Michelangelo; Platone e Aristotele, i massimi filosofi, raffigurati nella "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio. Sono solo alcuni esempi della grandezza e dignità dell'uomo.


    Non solo Go Nagai, ma molti altri sostengono la tesi che l’essere umano sia “naturalmente violento”, ovvero che covi dentro di sé, da sempre, istinti omicidi e pulsioni distruttive e che quindi la biologia umana sia irrimediabilmente maligna. Tale argomentazione è una forma di approccio riduzionista (cioè limitata, parziale, di parte) all’uomo: un approccio che si sforza, attraverso “argomenti scientifici” (o meglio pseudo-scientifici) di negare e ridurre l’essere umano e la sua unicità, per arrivare così a negare il Creatore, Dio. Più che un approccio, è un progetto ideologico chiamato “riduzionismo filosofico”, parte consistente del naturalismo filosofico.

    Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza, di Psicologia del disagio sociale e di Relazioni interpersonali all’Università di Padova, mostra, attraverso diversi esempi storici e studi scientifici, che l’aggressività per l’uomo non è affatto qualcosa di “naturale” e fare del male a qualcuno è un atto di nostra pertinenza, non è un appannaggio di tirannici processi biochimici. L’aggressività e la violenza sono tutte delle scelte personali che non dipendono dal nostro DNA e non rispondono a dinamiche codificabili.

    "L’aggressività non è un fenomeno naturale", scrive il prof. Zamperini, e l’uomo non si può considerare alla stregua di un animale perché "fra lo stimolo che riceve e la risposta offerta vi è tutto un lavorio di autocoscienza, interpretazione, riflessione e presa d’iniziativa". Insomma, non esiste una «presunta molla aggressiva» alla quale ascrivere le azioni violente verso gli altri e non esistono supporti empirici che possano dimostrarla. Si tratta di uno stereotipo fasullo poiché "il comportamento aggressivo è uno degli aspetti più variabili della vita sociale degli esseri viventi".

    Dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita, spesso l’uomo desidera emanciparsi, e questo è un nobile ideale che è tipico solo di lui: nessun altro animale può concepire tale emancipazione. IL fatto stesso che Nagai ne parla deplorando l'esistenza della violenza lo dimostra. Solo l’uomo può riprovare la violenza, mostrando in questo modo di essere ben al di là della vita animale.

    Gli stessi animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia in modo assoluto dal mondo animale. Nessun animale carnivoro, infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che essa ha. Nessun animale cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nato. L’uomo, al contrario, è capace di comprendere gli ideali di giustizia a tutti gli uomini, compresi quelli dalla pelle diversa. Tutto questo è esattamente il contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti e mostra in modo lampante l’immensa differenza esistente l’uomo e gli animali: una differenza qualitativamente infinita.

    Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze presso l’Università degli studi di Padova, ha smontato le pretese della “psicologia evoluzionista” nel voler spiegare il nostro comportamento estendendo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie alla società e alla cultura umana.
    "Per i guru di questa materia", ha spiegato Pievani, «la nostra mente sarebbe una collezione di moduli evolutisi per risolvere problemi specifici (mangiare, bere, riprodursi) una specie di “coltellino svizzero». Eppure "per giustificare l’utilità di meccanismi adattativi così rigidi e immutabili da essere al tempo stesso preistorici e attivi ancor oggi, l’ambiente avrebbe dovuto essere uniforme e duraturo: e invece abbiamo vissuto in ambienti instabili e imprevedibili, dove, più che moduli di comportamento innati e rigidi, servivano al contrario flessibilità e innovazione comportamentale". Ha così definito "imbarazzanti spiegazioni evolutive" i tentativi di “spiegare l’uomo” applicando la teoria di Darwin.

    Chi dunque parla dell’uomo come un essere violento e aggressivo “per natura” parla per stereotipi ma, in molti casi, non persegue esplicitamente l’approccio naturalista. Più probabilmente rileva, dentro di sé e dentro gli uomini, una tendenza, una facilità al commettere il male piuttosto che il bene. Questa è una intuizione corretta, ma non significa affatto che l’aggressività sia “naturale”. Semmai conferma ciò che la Chiesa e il cristianesimo dicono dell’uomo: un essere dotato di libertà, libero di compiere il bene o di commettere il male. Una libertà, tuttavia, ostacolata dal peccato originale che ha corrotto la sua capacità morale. San Paolo scrive nella “Lettera ai Romani” del Nuovo Testamento della Bibbia:
    "In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà? Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore" (Rm 7, 14-25).

    L’uomo non è lo “stadio animalesco” descritto da Nagai: è piuttosto simile ad un angelo caduto, che vuole rialzarsi, ma da solo non ce la fa. Per questo ha bisogno di Dio: ma non è un animale. Può comportarsi da tale, ma questo non toglie la nobiltà del suo essere uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Fare il male mortifica la sua immagine divina, la rovina, la deturpa, ma non può annullarla.

    (L’articolo ha preso degli estratti dal seguente sito: www.uccronline.it/2014/11/27/solo-l...nto-per-natura/)

    Piet
    Come si fa a dire che l'uomo è una bestia e basta, osservando la Pietà di Michelangelo? Bisogna farsi delle domande e obiettare davanti a questa osservazione così sbagliata.

     
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    PADRE BROWN DI CHESTERTON: DOSSIER - 1

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    Padre Brown disegnato da Lino Landolfi


    Sul Giornalino degli anni 1981-82 comparì un fumetto-capolavoro su Padre Brown, personaggio inventato da Gilbert Keith Chesterton: si trattava di un prete inglese, cattolico e investigatore. Le storie a fumetti erano suddivise in episodi autoconclusivi, chiamati “I Racconti di Padre Brown”: furono scritti da Renata Gelardini1 e disegnati da Lino Landolfi2, che prese come modello Renato Rascel, che interpretò Padre Brown in una famosa serie di telefilm. Ma come è nato Padre Brown? Bisogna partire dall'autore, cioè Chesterton, che realizzò più di cinquanta racconti del prete detective, suddivisi in cinque libri:

    L'innocenza di padre Brown
    La saggezza di padre Brown
    L'incredulità di padre Brown
    Il segreto di padre Brown
    Lo scandalo di padre Brown

    LA NASCITA DI PADRE BROWN

    GKC


    Chesterton è stato un romanziere fantasioso e divertente: un pubblicista versatile, un lavoratore infaticabile, ma è stato soprattutto un apologista del cattolicesimo in terra protestante, o, come diceva lui, pagana. Procedeva con ragionamenti rettilinei, freschi e geniali, di parvenza paradossale. Era il teologo del buon senso; e in san Tommaso aveva ammirato e rilevato sopra tutto la razionalità, l'obbedienza, il senso comune del due più due che fanno quattro, in contrasto coi sentimentalismo e con l'istinto isterico di tanta letteratura di derivazione luterana (e non solo). Faceva della «filosofia popolare» e se ne vantava, mettendoci il meglio dell'anima popolare inglese; e si considerava perciò giovialmente come un caposcarico o un lunatico. Ricordava in questo san Tommaso Moro, che scherzò sino al patibolo. Chesterton ha scherzato fino alla morte, dicendo verità serissime con una lepidezza spassosa. Soltanto quando stigmatizzava i delitti contro la santità familiare non sorrideva. E perciò fu severo contro il poeta John Milton, l'autore di "Paradiso perduto", famoso per aver appoggiato l'idea del divorzio pubblicando libri come "Dottrina e disciplina del divorzio". Come apologeta, il suo capolavoro resta Ortodossia, scritto nel 1908. Il buon senso ivi affermato lo portò ad accettare il libero arbitrio che gli aperse i battenti del cattolicesimo romano: "religione che è, fra tutte le fedi, libera e bella, avventurosa e universale". Se tardò a entrare apertamente nella Chiesa fu per aspettare... sua moglie, che esitava a convertirsi e che poi, come capitava, arrivò prima di lui. Con la sua morte, che lo colse in mezzo al lavoro, la letteratura cattolica perdette il suo decano e uno dei maestri più geniali del nostro secolo; la letteratura inglese perse uno stilista, un poeta e un prosatore mirabile; l'umanità perse uno degli uomini più simpatici del mondo. Chesterton scrisse non meno di 65 volumi tradotti in parte anche in italiano, oltre a un nugolo di articoli sui principali periodici quotidiani inglesi e americani. Se i libri suoi, apologeticamente più noti, sono Ortodossia e Uomovivo, nella massa dei lettori rimane più viva la sua produzione di romanzi polizieschi. Di questi racconti l'eroe è Padre Brown: un prete cattolico, che, con le inesauribili trovate del suo buon senso e della sua esperienza, fa da Sherlock Holmes in parecchie congiunture particolarmente imbrogliate.

    Quando Chesterton era in vita, da più d'uno sì pose il quesito se il tipo di Padre Brown fosse stato inventato dal romanziere o fosse stato copiato su di qualche personaggio reale. Ora che Chesterton è morto, la sua autobiografia postuma ci dice, com'era da prevedersi, che la figura del prete detective è copiata dalla realtà e nello stesso tempo è stato inventato. Il padre gesuita John O'Connor di Bradsford ha offerto all'autore uno spunto, un'idea, degli elementi: e Chesterton, rielaborandoli, ne ha plasmato una sua creatura. La storia del come la cosa avvenisse è importante non solo dal punto di vista letterario. Era il tempo, - narra Chesterton nella sua autobiografia - in cui egli correva da un capo all'altro dell'Inghilterra, specie nelle serate nevose, per tenere conferenze. Una sera si recò in una cittadina industriale, denominata Keighley, dove si trovò tra un gruppo di persone, rassegnate per il cattivo tempo ad ascoltare la sua conferenza: e tra di esse, un curato cattolico, il quale, pur essendo solo curato e il solo cattolico della compagnia (Chesterton non s'era ancora convertito) si trovava, a suo agio, nella comitiva protestante, da cui pareva assai stimato. Chesterton apprese come la sua presenza fosse stata possibile. Due giganteschi agricoltori dello Yorkshire (protestanti al cento per cento) erano andati in giro tra le diverse comunità religiose del distretto a radunare gente per la conferenza; e si erano trovati, a un certo momento, dinanzi al presbiterio del curato. Non è a dire il loro terrore, una volta messi dinanzi al dilemma se entrare o no; fino a quando, a furia di pensarci e di discutere, erano venuti alla conclusione che, infine, il prete da solo non avrebbe potuto far a loro due gran danno; e in tutti i casi - s'erano detto - «chiameremo la polizia». Da buoni antipapisti, i due credevano che nel presbiterio fosse impiantato tutto un arsenale da Inquisizione spagnola per lo sventramento dei conformisti e lo squartamento dei non-conformisti... Senonchè, penetrati nel covo del nemico, vi avevano trovato un uomo simpatico e cordiale, dall'intelligenza viva e aperta. "Anche a me" - narra Chesterton - "il curato (che era poi null'altri che P. O'Connor) - piacque assai: però se mi avessero detto che di li a dieci anni io sarei andato missionario dei Mormoni nell'Isola dei Cannibali non sarei stato meno sorpreso che se mi fosse stato sussurrato che a distanza di quindici anni io avrei dovuto fare a quel prete, la mia confessione generale per essere ricevuto nella Chiesa, di cui egli era ministro". Il giorno appresso parlarono a lungo e divennero amici. Chesterton accennò ad alcune sue opinioni sulla criminalità e il sacerdote, garbatamente, gli mostrò una conoscenza sbalorditiva del cuore umano e dei fatti sociali. Lo scrittore non avrebbe mai immaginato che, stando nel celibato, si potesse arrivare a tanta esperienza (ignorava la scuola del confessionale). Sopravvennero, nel loro colloquio, due studenti di Cambridge che si misero a discutere di musica e di paesaggi: Padre O'Connor li sbalordì con la versatilità della sua cultura, la quale passava agilmente dalla criminologia al barocco, dalla musica alla sociologia. I due studenti rimasero di stucco. Alfine uno di loro, per rifarsi, usci in questa riflessione: "Sarà tutto bene quanto voi dite in fatto di musica. Ma, in fatto di mondo, per quel che riguarda il male della vita, che ne potete conoscere voi, che siete chiuso in un chiostro, fuori della cruda realtà? Bella cosa essere innocenti e ignoranti; ma più bella ancora entrare nella vita e non aver paura di conoscere!" Chesterton, che aveva avuto quel tal colloquio col Padre, stette per scoppiare nella sua più omerica risata, perché egli aveva capito bene che del robusto satanismo, di cui il Padre aveva acquistato conoscenza nel suo ministero sacerdotale per combatterlo ed espellerlo dalle anime, quei due garzoni (per fortuna) ne sapevano quanto due marmocchi da latte.

    PB
    Una profonda conoscenza del cuore umano.


    "E allora mi balzò l'idea vaga di fare uso di quella comica e pur tragica situazione, costruendo una commedia in cui ci fosse un prete che in apparenza non sapesse niente e in realtà conoscesse intorno al crimine più degli stessi criminali." E di là cominciò la storia di Padre Brown, che divenne rapidamente uno dei personaggi più popolari di qua e di là dell'Atlantico. Ma l'episodio non fu importante solo perchè diede vita a tutto un glorioso ciclo letterario. Esso fu importante altresì perchè diede vita a tutto un ciclo di riflessioni che portarono Chesterton alla Chiesa. "Che la Chiesa cattolica conoscesse intorno al bene più di quanto conoscevo io, era facile a credersi. Ma che essa conoscesse intorno al male più di quanto ne sapevo io, questo mi pareva incredibile". Ma la Chiesa è per combattere il male: ne è l'antitesi. E se è l'antitesi del male, dunque essa è il bene. E' la vera unica incarnazione di Cristo. E Chesterton si diede perciò, generosamente, a lei.

    In un pranzo, una volta, gli fu chiesto da una signora:
    - So che siete cattolico: ma in realtà che cosa pensate della religione?
    E Chesterton rispose:
    - A dire il vero, penso che sia tutta una truffa.
    Sbalordimento generale.
    - Si, tranne l'unica religione. Se guardate le altre religioni, vedrete che esse sono una specie di collirio per non farci vedere il peccato. Invece, la religione cattolica vi tiene sempre nel pensiero il peccato. E questo annoia: ed ecco perchè la gente la odia.

    Si diceva e si dice:
    - C'è più fede in un onesto dubbio che in tutte le credenze.
    E Chesterton rimbeccava:
    - Che significa un dubbio onesto? Sarebbe come se uno si chiamasse onestamente tubercoloso e quindi rifiutasse d'entrare in un sanatorio.

    ------------------------------------------------------------
    1 Renata Gelardini: sceneggiatrice di fumetti. Ha lavorato per anni per il Giornalino. Oltre alle riduzioni di Padre Brown ha realizzato per il Giornalino personaggi di vario tipo: avventurieri stranieri (Dev Bardai, Amar Singh, i vichinghi di I biondi lupi del Nord), fantascienza (Kriss Boyd). Oltre a Padre Brown, ha fatto le trasposizioni di libri classici come Il Corsaro Nero, La regina del Caraibi, I viaggi di Gulliver, Aladino.

    IL-GIORNALINO-Anno-LVII-n%C2%B0-2-1981



    2 Lino Landolfi: autore di numerosi fumetti umoristici, è stato una delle colonne del Giornalino. Il suo personaggio più famoso fu Piccolo Dente.

    PD




    Fonti dell’articolo:
    Uomovivo
    Uomovivo: la nascita di Padre Brown
     
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    "LADRO GENTILUOMO": SI PUO' RUBARE PER UN FINE BUONO?

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    Oggi parliamo un attimo di ladri gentiluomini, una categoria sempre presente sin dai tempi del primo Lupin di Maurice Leblanc (il primo romanzo di Lupin fu pubblicato nel 1908). Non solo la tradizione è continuata fino agli anni ’70 – ‘80 con Lupin III e Occhi di Gatto: infatti, ultimamente si è aggiunto anche il ladro gentiluomo Fantomius, autore di bellissime storie di Marco Gervasio pubblicate su Topolino. Il punto qui in questione è quello morale: va bene essere ladri, purché si sia gentiluomini? Oppure si può rubare qualcosa per un fine buono, come fanno le tre ragazze di Occhi di Gatto, che rubano i quadri per trovare il loro padre scomparso?

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    Intanto, il concetto di “ladro gentiluomo” è una contraddizione in termini: sarebbe come dire l’onesto disonesto. O fai una cosa onesta o ne fai una disonesta, ma non puoi farle entrambe. Si potrebbe concludere qui, dicendo semplicemente che per il cristiano il quinto comandamento dice di non rubare, e che il concetto di non rubare esiste anche in altre culture. Ma questo non aiuterebbe la riflessione: perché non si dovrebbe rubare, se il fine è lecito, come fanno le Occhi di Gatto? E se rubi a dei delinquenti come spesso (ma non sempre) fa Lupin? O se rubi per farti beffe dell’ipocrisia della società in cui vivi, come nel caso di Fantomius? Lasciamo stare i casi estremi come Diabolik, Satanik o Kriminal, che rubano semplicemente per avidità o per un distorto senso di giustizia e uccidono senza il minimo scrupolo: quello che fanno è oggettivamente malvagio, e qui il problema non si pone: sono colpevoli comunque. Ma gli altri?

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    Si potrebbe citare il Catechismo della Chiesa Cattolica, che dice in particolare, in risposta alla domanda:

    “Quando l’atto è moralmente buono?”
    L’atto è moralmente buono quando suppone ad un tempo la bontà dell’oggetto, del fine e delle circostanze. L’oggetto scelto può da solo viziare tutta un’azione, anche se l’intenzione è buona. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene. Un fine cattivo può corrompere l’azione, anche se il suo oggetto, in sé, è buono. Invece, un fine buono non rende buono un comportamento che per il suo oggetto è cattivo, in quanto il fine non giustifica i mezzi. Le circostanze possono attenuare o aumentare la responsabilità di chi agisce, ma non possono modificare la qualità morale degli atti stessi: non rendono mai buona un’azione in sé cattiva.

    In sostanza, il fine non giustifica i mezzi. Ma anche questo può apparire non abbastanza esauriente per spiegare perché Lupin e compagnia sbagliano nelle loro azioni. Allora si può dire semplicemente che tanto più si fa il male, anche a piccole dosi, tanto più se ne è prigionieri, e tanto più del male se ne è schiavi. Viceversa, tanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi e tanto meno si è portati a fare il male.

    Per spiegarmi meglio, posto qui un brano di “Padre Brown” di Chesterton: Flambeau, il famoso ladro gentiluomo, aveva appena rubato dei preziosi diamanti da una villa, dove era in corso una festa di compleanno in onore di una ragazza di buona famiglia, segretamente innamorata di un ragazzo di povera famiglia, presente anche lui alla festa e malvisto dagli altri. Flambeau si stava arrampicando su un albero vicino al muro della villa, coi diamanti, pronto a scappare al di là del muro. Padre Brown, che aveva scoperto il trucco di Flambeau, lo raggiunge e gli parla da sotto l’albero:

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    “Voglio che tu renda quei diamanti, Flambeau, e che tu smetta questa vita. C’è ancora dignità e onore in te, ma non pensare che durino a lungo in questo mestiere. Gli uomini riescono a mantenere una specie di livello medio nel bene, ma nessuno è mai riuscito a restare su un livello medio del male. Questa è una strada che va sempre più giù, Flambeau. L’uomo buono beve e diventa crudele. L’uomo franco uccide e si mette a mentire. Ne ho conosciuti molti che hanno incominciato come te, come onesti fuorilegge, rubando solo ai ricchi, e sono finiti nel fango. Maurice Blum iniziò come un anarchico, come un Robin Hood dei poveri, e finì come un’ignobile spia di cui entrambe le parti si servivano, disprezzandolo. Harry Burke iniziò ad elargire gratuitamente denaro abbastanza seriamente, ed ora vive alle spalle di una sorella mezzo morta di fame, facendosi continuamente pagare da lei da bere. Lord Amber si mise a frequentare gente equivoca per un malinteso spirito cavalleresco, ed ora si fa ricattare dai più spregevoli avvoltoi di Londra. Il Capitano Barillon era il più grande bandito gentiluomo della generazione prima della tua, e morì in manicomio, gridando per paura dei ricettatori che l’avevano tradito e perseguitato. So che i boschi si stendono liberi dietro di te, Flambeau, e so che in un lampo potresti scomparirvi come una scimmia. Ma un giorno sarai una vecchia scimmia grigia, Flambeau, e starai seduto libero nella tua libera foresta, a morire di freddo, e gli alberi saranno molto squallidi. La tua parabola discendente è già iniziata. Ti vantavi di non fare mai nulla di meschino, ma questa sera stai facendo una cosa meschina. Derubando quei diamanti, anche se non ne avevi l’intenzione, stai facendo cadere i sospetti su un bravo ragazzo che ha già molte cose contro, lo stai separando dalla donna che ama e che lo ama. Ma farai altre cose ancora più spregevoli prima di morire.”

    La storia si conclude con Flambeau che lancia i diamanti a Padre Brown e poi si allontana. Cosa si può concludere ora? Certo, Fantomius e compagnia sono solo fumetti, e questi personaggi, non essendo reali, non peggioreranno mai e continueranno ad essere “ladri gentiluomini”. Però è giusto ricordarsi che quello che fanno resta oggettivamente errato. Un ladro gentiluomo, nella realtà, diventerà sempre più ladro - e anche peggio - e sempre meno gentiluomo.
     
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    ANIMALISMO ESTREMO

    W1


    Wolverine degli X-Men ha un’opinione molto chiara sull’uomo: dice che l’uomo è un animale, e che non c’è nessuna differenza sostanziale tra un uomo e un animale. Questo modo di pensare, assai comune al giorno d’oggi, è molto pericoloso, perché le sue conseguenze sono devastanti. Infatti, questa è la via più breve e veloce per diventare feroci come una fiera contro l’uomo. Come Wolverine, appunto.

    La storia insegna che ogni qualvolta si adora un animale, si sacrifica un essere umano. Certo, oggi non si mette un gatto su un altare né si offrono davanti a lui delle vergini immolate, con tanto di sacerdote pazzo col coltello in mano pronto a scannare la vittima. Ma considerare un animale come un uomo, è già adorarlo, perché di questo passo si considera facilmente l’animale come migliore dell’uomo. E da qui fatalmente si arriva al disprezzo per l’uomo in quanto uomo. Non lo si ucciderà magari, ma disprezzare una persona è già ucciderla.

    Wolverine infatti è un assassino, e uccide gli uomini con molta facilità. E spesso ama molto gli animali considerandoli migliori degli uomini. L’animalismo di Wolverine piace molto ai fautori di un pensiero che rifiuta il concetto di dignità umana: è una specie di “comunismo cosmico” come direbbe Chesterton. Ma la distanza tra l’uomo e l’animale è infinita: è una differenza sostanziale, non di livello. Non si tratta, quindi, di “fugaci differenze evolutive”, ma del fatto che l’uomo è totalmente altro rispetto all’animale. L’uomo deve amarlo, rispettarlo, ma se del caso, deve anche mangiarlo, perché ha bisogno di carne per sopravvivere. Senza contare – cosa che gli animalisti spesso dimenticano, pensando agli animali come fossero topolini disneyani – che gli animali stessi mangiano per sopravvivere.

    La negazione di questa differenza infinita porta allo scadimento del concetto cristiano di persona e del suo valore, che è senza prezzo, perché fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

    In questo modo, così, si torna ai tempi bui del paganesimo, in cui ogni uomo non aveva una dignità, ma solo un prezzo. Lo si può vedere, per esempio, nell’attuale, legalizzata e barbara pratica dell'aborto, dell’utero in affitto o dell’impianto degli embrioni.
     
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    «PRIMA LE DONNE E I BAMBINI». MA CHI L'HA DETTO?

    Un’antica legge del mare dice che, in caso di pericolo di naufragio, sulle scialuppe di salvataggio si dia la precedenza alle donne e ai bambini. Così è stato, infatti, per il naufragio più famoso della storia, quello del Titanic.

    T1


    Su quella celebrata nave, anzi, l’orchestra continuò a suonare per far coraggio a quanti sarebbero annegati, musicanti compresi. E un prete cattolico confessò e assolse tutti quelli che lo chiedevano, inabissandosi con loro. Gentlemen d’altri tempi? No, cristiani. Infatti, la regola non scritta del «prima le donne e i bambini» risale ai tempi in cui il cristianesimo rivalutò i più deboli e ordinò ai più forti di prendersene cura. Prima, vigeva la legge della giungla, perché nemmeno i civilissimi Romani tenevano in qualche conto donne e bambini.
    Ci si faccia caso, frugando nelle proprie reminiscenze storiche e antropologiche: solo nella civiltà cristiana è invalsa l’abitudine di trattare coi guanti donne e bambini, tanto che ancor oggi, se qualcuno apre la portiera a una signora, lo si dice “cavaliere”. Cioè, il guerriero “macho” a cui la Chiesa aveva insegnato a difendere la vedova e l’orfano, il povero e l’oppresso.

    T2


    I mitizzati nativi americani (i pellerossa), per esempio, viaggiavano così: la squaw a piedi, carica dei bagagli e col papoose sulla schiena; il marito davanti, a cavallo. Sicuramente molti dei gentlemen colati a picco col Titanic non erano per niente religiosi e tanti erano i massoni e gli antipapisti. Ma erano nati e cresciuti in una cultura che aveva diciannove secoli, una cultura che non poteva non dirsi cristiana, come dovette ammettere il liberale Benedetto Croce.
    Ora, apprendiamo che sul traghetto italo-greco andato in fiamme due giorni fa c’era il soprano Dimitra Theodossiou, che ha testimoniato: «Sono stata picchiata e trascinata, hanno tentato di tirarmi giù dalle scale. Ma ho reagito con forza. Ho detto: “Tocca a noi!”». Le sue parole sono state confermate da molte altre passeggere che avevano subìto lo stesso trattamento. Infatti, gli uomini degli elicotteri di soccorso cercavano di dare la precedenza a donne, bambini e anziani. Ma «c’erano almeno una cinquantina di uomini (…) che li picchiavano, tiravano loro i capelli e li buttavano fuori per prendere il loro posto». Nella frase riportata, dentro alla parentesi con i puntini c’era questo: «soprattutto turchi, irakeni e pakistani». Un comandante dei soccorsi ha dichiarato: «Per cercare di mettere in salvo, come si fa sempre, prima i bambini, le donne, gli anziani e i feriti ho gridato e minacciato più volte di andarmene con l’elicottero e lasciarli lì». Già, «come si fa sempre». Ma non certo nei luoghi di provenienza di quelli che «non hanno preso in considerazione le donne o i bambini, niente» (parole di un camionista greco che di nome fa, non a caso, Christos).
    Tuttavia, i protagonisti di questo atto, che per noi è semplicemente vergognoso e vigliacco, perché dovrebbero vergognarsi o sentirsi dei vermi? Nella loro “cultura” (le virgolette sono d’obbligo) le donne e i bambini non contano niente. Questi uomini hanno alle spalle quindici secoli che li hanno abituati a ragionare in questo modo. Quando studiavo Scienze Politiche c’era ancora una materia che si chiamava “Antropologia culturale comparata”. Poi, il pensiero politicamente corretto e il relativismo l’hanno vanificata, perché già col Sessantotto venne diffusa l’idea che i Sioux erano meglio delle Giacche Blu e che gli inglesi prima e gli altri occidentali poi avessero tutto da imparare dagli yogi indù.

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    Oggi si rischia la galera, o almeno il linciaggio mediatico, a dire che la nostra civiltà, forgiata dal cristianesimo, è superiore a tutte le altre. Ma perfino l’ideologia relativista è stata possibile solo in casa cristiana e lo stesso pensiero politically correct si considera superiore a ogni altro. Quanto però sia cretino e incoerente l’ha fatto presente uno di quelli che spingevano indietro le donne per prenderne il posto sul seggiolino di salvataggio: «Non siamo tutti uguali?». Sottinteso: le donne hanno ottenuto la parità, dunque non pretendano trattamenti di favore. Ma non a caso è stato deprecato universalmente (dagli ex cristiani). Niente, l’ultima ideologia di moda (sempre tra gli occidentali) non ce la fa contro una cultura che si è radicata nelle coscienze proprio perché è la più vicina al progetto del Creatore. E chi prende il posto di donne e bambini nella scialuppa per salvarsi la pelle rimane un verme e un vigliacco.

    Rino Cammilleri (da: La nuova Bussola Quotidiana)

    L’osservazione di Cammilleri è molto importante perché sottolinea una delle tante differenze di base tra la cultura cristiana e quella non cristiana, dove le donne, i vecchi, i bambini non hanno valore. Gli esempi di queste differenze culturali sono numerosi, e se ne trova traccia persino nei fumetti. Per esempio, in una scena dei fumetti della Marvel c’è un dialogo, breve ma significativo, tra la Cosa dei Fantastici Quattro e Shang-Chi, il cinese esperto di Kung-Fu: siamo negli anni’70-’80, ma l’argomento sollevato resta attuale.
    L’antefatto: la Cosa e Shang Chi sono a Londra e stanno andando in un covo di criminali dell’Hydra per salvare un professore, il Dottor Kort. La Cosa, infatti, aveva chiesto al cinese, che conosce i servizi segreti inglesi, di trovare la base dell’Hydra nascosta in città, e alla fine Shang-Chi aveva avuto l’informazione. Mentre stanno per scendere nel covo dell’Hydra, Shang-Chi capisce che la Cosa nemmeno conosce il dottor Kort, e ne rimane sorpreso. Ecco il dialogo:
    SHANG-CHI: “Ma non capisco una cosa…se questo dottor Kort non è tuo amico…insomma non sai nemmeno chi sia…perché allora lo aiuti?”
    LA COSA: “Boh? Ma mi sembra una cosa giusta da fare”

    C1


    La risposta della Cosa è caratteristica appunto della cultura cristiana, di cui Ben Grimm (il vero nome della Cosa) ne fa parte, per quanto non sia cristiano nemmeno lui (infatti è di origini ebraiche). Eppure, per lui, il fatto di aiutare un altro, chiunque sia, è una cosa naturale; mentre per Shang-Chi, per quanto sia una persona di buon cuore, non capisce questo atteggiamento, perché lui fa parte di una cultura che non considera naturale un altruismo così estremo. Senza contare che il concetto di “amare il nemico” fuori dal cristianesimo semplicemente non esiste.

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    LE SENTINELLE IN PIEDI ANCORA ATTACCATE DAGLI INTOLLERANTI CHE HANNO LANCIATO INSULTI E BESTEMMIE
    (Dall'articolo di Andrea Lavelli della Bussola Quotidiana)

    sentinelle_in_piedi


    Uno scenario a cui purtroppo la cronaca recente ci ha abituato. A Pisa, questa volta. Una veglia pacifica e silenziosa delle Sentinelle in Piedi – in tutto un gruppo di 120 persone che con rispetto esprimevano il loro sì alla famiglia naturale vegliando in silenzio e leggendo un libro – coperta da un mare di bestemmie, cori osceni, insulti, cartelloni espliciti e offensivi. I “soliti” casi di intolleranza nei confronti di chi esprime pacificamente la propria opinione a favore della famiglia naturale? Sì, ma non solo, perché a organizzare questa vera e propria aggressione verbale nei confronti delle Sentinelle è stata “Queersquilie – collettivo femminista queer” che potrebbe presto salire nelle cattedre delle scuole pisane per insegnare tolleranza e rispetto del prossimo agli studenti toscani.

    sentinelle_in_piedi_1
    Notare il simbolo del sesso femminile che contiene la croce rovesciata,
    un tipico simbolo satanico.


    Ma andiamo con ordine. Dal 2014 le Sentinelle in Piedi hanno vegliato tre volte a Pisa in uno scenario di forte intolleranza.

    “La prima volta la veglia venne interrotta perché i contromanifestanti prima fotografarono tutti veglianti, poi invasero lo spazio autorizzato per le Sentinelle spintonando e ingiuriando i partecipanti tra i quali bambini, anziani, una disabile e una donna in evidente stato di gravidanza” spiega Monica, sentinella pisana. La questione fu oggetto anche di una interrogazione parlamentare. Da quel momento le Sentinelle pisane sono costrette a vegliare attorniate dalla polizia in assetto antisommossa.

    In occasione delle veglie successive, invece, accade qualcosa di diverso. In particolare, nel corso dell’ultima veglia dello scorso 7 novembre, viene indetta contro la veglia una “Lgbtqi parade” di protesta che si assembra nella stessa piazza san Francesco in cui si svolge la veglia silenziosa
    Nel comunicato degli organizzatori della Lgbti parade si leggono queste simpatiche parole: “crediamo necessario girare i nostri culi favolosi contro quel grigio assembramento di Sentinelle” “al fondo della loro ‘difesa della famiglia naturale’ c’è sempre la stessa vecchia e putrida zuppa: omo-, lesbo- e trans-fobia”.
    Dai partecipanti, raccontano le sentinelle, sono partite offese, insulti e bestemmie che hanno sommerso i veglianti e che sono proseguiti poi per tutto il corteo, mentre i partecipanti innalzavano cartelloni osceni con disegni espliciti conditi da bestemmie di vario tipo contro Gesù e la Madonna.

    Ges_incoronato


    Lo striscione della manifestazione Lgbti è poi apparso appeso a una finestra del palazzo comunale.
    L’aspetto più grave di questa vicenda è che tra gli organizzatori di tutto questo, come scritto prima, c’è l’associazione “Queersquilie” che figura tra le associazioni proponenti di “Educare alle differenze a Pisa”, che sulla sua pagina Facebook si definisce “un gruppo di associazioni, collettivi, donne e uomini che si interessano di educazione di genere e alle differenze. Nel territorio pisano, promuoviamo e realizziamo, attraverso percorsi nelle scuole e con attività di gioco e animazione, una cultura dell'inclusione, della valorizzazione delle differenze di genere, della pluralità dei modelli familiari, favorendo l'educazione all'affettività e il contrasto agli stereotipi di genere, la prevenzione di bullismo, omofobia, transfobia e violenza contro le donne”. Il progetto è stato già presentato nel corso di un’assemblea pubblica. In altre parole: chi ha organizzato questo pomeriggio di offese alla religione cristiana e di insulti gridati in faccia a chi pacificamente manifesta il proprio pensiero potrebbe presto arrivare in cattedra per educare i vostri figli.

    “Come si è potuta svolgere questa parata che ha visto intonare canti osceni e esporre cartelli blasfemi con evidente oltraggio alla religione cattolica? Il diritto a non essere discriminati vale forse per tutti tranne che per i cattolici?” si chiede Monica, sentinella pisana. Ma soprattutto “come può essere considerato educatore chi argomenta insultando e utilizzando turpiloquio e bestemmie? Chi assume un tale atteggiamento come può condurre un progetto educativo e interfacciarsi con dei bambini?”

    È dunque questo che “Educare alle differenze” intende portare nelle scuole, quando dice di voler formare “cittadine e cittadini liber* [proprio così, con l'asterisco] che abbiano diritto alla piena espressione individuale”?


    Tra ciò che è possibile trovare sulla pagina web di Queersquilie, si scopre anche una sezione “postporno” tutta dedicata alle nuove frontiere della pornografia con indicazioni di link utili da consultare. Questo sarebbe il “gruppo di associazioni, collettivi, donne e uomini che si interessano di educazione di genere e alle differenze"? Giudicate voi. “Queersquilie” figura anche tra i promotori del convegno “Educare alle differenze 2” svoltosi nel settembre a Roma col patrocinio del Comune e organizzato da “Scosse” che a sua volta organizza corsi di “educazione all’affettività”nelle scuole dell’area di Roma. Scusate, che tipo di affettività? Così, per sapere.

    Casi come questi non possono che spronarci a tenere alta la guardia nei confronti dei cosiddetti corsi di “educazione alle differenze” che stanno proliferando nelle nostre scuole e soprattutto a verificarne i promotori che, come dimostra il caso di Pisa, spesso mirano a imporre una visione della sessualità a senso unico dettata dal mondo Lgbt, unita a una grande intolleranza nei confronti di chi non condivide questa linea, oltre che della fede cristiana.
     
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    IL SIGNORE DELLE MOSCHE
    Articolo di Roberto Marchesini
    https://lanuovabq.it/it/la-societa-senza-c...0l'emergere
    Un nuovo studio del Guardian (giornale britannico) ripercorre la tesi del celebre romanzo di Golding, Il signore delle mosche, come simbolo della natura violenta e brutale dell’uomo, della quale solo la civiltà impedisce l’emergere. Ma ad una più attenta lettura, si può affermare che Golding non ha torto, dopotutto: ha soltanto ritratto la società senza la Chiesa Cattolica, fondata da Cristo.

    Signore-delle-mosche


    Nel 2020, sul quotidiano liberal The Guardian, è apparso un interessante articolo firmato dallo storico olandese Rutger Bregman. È, sostanzialmente, una verifica delle tesi che sorreggono il celebre romanzo Il signore delle mosche (1954), del premio Nobel William Golding (1911–1993). La storia del romanzo è nota: c’è una guerra non specificata e un gruppo di ragazzini, membri del coro di una scuola inglese, stanno viaggiando in aereo, quando questo si schianta su un’isola. I ragazzi si trovano quindi a dover sopravvivere e organizzare la convivenza senza degli adulti a guidarli e proteggerli. I ragazzi vivono dunque in uno «stato di natura», senza una civiltà a determinare le loro vite. Cosa accadrà? Purtroppo accadrà tutto il peggio possibile. I ragazzi cominciano a litigare per il potere e si dividono in due gruppi: i cacciatori e gli altri. Emerge la paura di un mostro e si creano una divinità: infilzano la testa di un maiale su un palo e cominciano a trattarla come una divinità: "Il signore delle mosche", uno dei nomi di Belzebù o il diavolo. Nel frattempo, il gruppo regredisce allo stato selvaggio, simboleggiato dai colori rituali che i bambini si dipingono sul volto. La violenza e i soprusi dilagano fino a quando, nel corso di un rito orgiastico, uccidono uno dei ragazzi (un vero e proprio sacrificio umano). Da quel momento, sull’isola si assiste ad un crescendo di brutalità: omicidi, torture, l’isola che viene data a fuoco…quando la fine sembra imminente, arriva una nave a salvare i ragazzi.

    Signore-delle-mosche-2


    Il libro di Golding ha avuto varie interpretazioni ma, generalmente, viene utilizzato come simbolo della natura violenta e brutale dell’uomo, della quale solo la civiltà impedisce l’emergere. Il libro, dicono i critici, riflette la visione antropologica dell’autore: alcolizzato, violento, da adolescente tentò di violentare una ragazzina di quindici anni. «Ho sempre capito i nazisti», confessò Golding, «perché sono, per natura, quel tipo di uomo». Dopo la pubblicazione del libro, pronunciò il celebre aforisma «Gli uomini producono il male come le api producono il miele». Il signore delle mosche è un libro famosissimo. Basti pensare che è una lettura obbligatoria nelle scuole del mondo anglosassone (tutti i ragazzi vengono educati a questa visione dell’uomo) e gli U2 hanno tratto da quest’opera una delle canzoni del loro album d’esordio, intitolata Ombre e alberi alti (Shadows and Tall Trees), tratto dal titolo di uno dei capitoli del libro.

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    L’articolo di Bregman confuta la tesi di Golding con una storia vera. Nel 1965, sei ragazzi, dai tredici ai sedici anni, studenti di un collegio di Tonga (un arcipelago della Polinesia), rubarono una piccola barca e partirono verso l’ignoto, in cerca di avventure. Senza mappa, né bussola. Purtroppo, la notte vennero aggrediti da una tempesta, che li lasciò senza vele né timone. Andarono alla deriva per otto giorni, senza cibo né acqua, fino a quando approdarono su un’isola rocciosa e inospitale, chiamata ‘Ata. Quell’isola era disabitata da circa un secolo, perché considerata inabitabile. I ragazzi riuscirono a sopravvivere per quindici mesi, fino a quando non vennero salvati, Domenica 11 Settembre 1966, da una piccola barca, che li vide per puro caso.

    I ragazzi si erano organizzati dividendosi i compiti tra la coltivazione di ortaggi, la guardia e la cucina. Trovarono alcune galline abbandonate un secolo prima dai pochi abitanti dell’isola e cominciarono ad allevarle; si cibarono di pesca e noci di cocco. Ogni mattina, appena alzati, cominciavano la giornata col canto (accompagnato da una chitarra che si erano costruiti con mezzi di fortuna) e la preghiera. Uno dei ragazzi si ruppe una gamba sugli scogli; la steccarono e l’arto guarì perfettamente. Attrezzarono anche una piccola palestra per tenersi in forma.

    Apparentemente, è la stessa storia di Golding, finita in un modo completamente diverso. Il britannico si ingannava sulla natura umana: dava per scontato che tutti gli uomini vivessero i suoi impulsi, mentre non è così. Semplice, bello e istruttivo. Purtroppo, però, le cose sono più complicate. C’è un particolare, della storia raccontata da Bregman, che può fare la differenza; e gettare sul racconto di Golding una nuova luce.

    Il signore delle mosche è sempre stato letto come un testo antropologico, che espone una tesi sulla natura dell’uomo, la civiltà, lo stato di natura. E se invece avesse una chiave di lettura religiosa?

    Mi spiego. Il libro di Golding si basa sull’antropologia inglese, liberale o whig (progressista), che dir si voglia: l’antropologia dell’homo homini lupus ("l'uomo lupo dell'uomo") e del bellum omnes contra omnium ("guerra di tutti contro tutti") di Thomas Hobbes (1588-1679); l'antropologia dell’individualismo che prevale sul bene comune; l'antropologia dello Stato che impedisce la guerra totale per la proprietà privata.

    hobbes
    Thomas Hobbes, filosofo britannico


    È la filosofia della Royal Society, l’esito del rifiuto della metafisica aristotelica e della legge morale e religiosa. È l’abbandono del cattolicesimo e il ritorno al paganesimo: alle forze oscure della natura, all’alchimia, alla magia. A Baal, il signore delle mosche. Questa è la china che l’impero britannico ha percorso rifiutando, nel XVI secolo, la Chiesa fondata da Cristo; e che l’ha portato alla pirateria (i corsari al servizio della Regina Elisabetta I, come Francis Drake, furono famosi), all’usura (basti pensare al personaggio di Fagin di Oliver Twist o a Shylock del Mercante di Venezia), al darwinismo sociale (Darwin era inglese), all’eugenetica (l'inglese Herbert Spencer ne fu il propugnatore), al razzismo (conseguenza dell'eugenetica), alla schiavitù (il mercato degli schiavi fu fiorente in Inghilterra), al colonialismo (il Commonwealth britannico). Le premesse sembravano buone: finalmente liberi dalle pastoie morali, dall’ingerenza della Chiesa…questa interpretazione è avvalorata non solo dalla biografia di Golding, puro rappresentante di questa ideologia, ma anche dalla conclusione del romanzo stesso. Rileggiamola:

    «Avrei pensato,» disse l'ufficiale prevedendo le ricerche che avrebbe dovuto fare, «avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi... Siete tutti inglesi, no?... sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio... Voglio dire...»
    «Era cosi al principio,» disse Ralph, «prima che...»
    Si fermò.
    «Eravamo uniti, allora...»
    L'ufficiale annuì, incoraggiante.
    «Lo so. Andava tutto bene. Come nell'"Isola di Corallo"»1.
    Ralph lo guardò senza parlare. Per un attimo ebbe una fuggevole visione dello strano alone d'avventura che una volta splendeva sull'isola. Ma l'isola stava bruciando come legna secca, Simone era morto, e Jack aveva... Gli sgorgarono le lacrime e fu scosso dai singhiozzi. Per la prima volta da quando era sull'isola, si abbandonò al pianto, a un grande spasimo di dolore che lo scuoteva tutto. Il suo pianto risuonava sotto il fumo nero, davanti all'incendio che distruggeva l'isola, e, presi dalla stessa commozione, anche gli altri bambini cominciarono a singhiozzare. In mezzo a loro, col corpo sudicio, i capelli sulla fronte e il naso da pulire, Ralph piangeva per la fine dell'innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l'amico saggio chiamato Piggy."


    L’ufficiale trova dei ragazzi conciati come selvaggi, che si sono fatti la guerra uccidendo scientemente alcuni compagni. E dice: «avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi... Siete tutti inglesi, no?... sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio... Voglio dire...». Insomma, cinquecento anni di filosofia inglese hanno conquistato il mare e mezza Terra, hanno creato la scienza, un impero… voi siete inglesi… pensavo che avreste creato cose meravigliose, e invece… omicidi, paganesimo, sacrifici umani…E piangono. Tutti piangono. Piangono «la fine dell’innocenza», la fine del sogno britannico che si rivela essere un incubo. La legge del più forte non ha portato quei meravigliosi frutti di benessere e civiltà: ha portato solo morte e distruzione.

    Adesso posso svelarvi il piccolo particolare della storia di Bregman. Il piccolo particolare fondamentale, che ha fatto in modo che la storia dei sei ragazzi di Tonga non finisse come il romanzo di Golding. I sei ragazzi erano cattolici. Erano allievi di una scuola cattolica e hanno continuato a vivere da cattolici anche su ‘Ata, pregando ogni giorno e agendo da cattolici. Tutto qui. Un piccolissimo particolare, che cambia tutto. Golding non ha torto. Non ha sbagliato nel dipingere l’uomo che, senza la gabbia della società, torna alla barbarie più feroce. Ha ritratto semplicemente la società senza la Chiesa Cattolica, fondata da Cristo. Extra Ecclesia, nulla salus: fuori dalla Chiesa, non c'è salvezza.

    ----------------------------------
    1 "L'isola di corallo" è un film del 1948 con Humphrey Bogart e Lauren Bacall. Parla di due persone che gestiscono un albergo in un'isola al largo della Florida, dove avviene un uragano e sono anche coinvolti dei malviventi: Bogart riesce ad affrontare la situazione.
     
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    IL CROCIFISSO DEL SAMURAI - LA RIVOLTA DEI SAMURAI DI SHIMABARA
    IL CROCIFISSO DEL SAMURAI, romanzo di Rino Cammilleri - 275 pag, rilegato, Ed. Rizzoli 18,50€ - basato su una storia vera

    Cammilleri-crocifisso-samurai


    Una mattina del 1637, in Giappone, all’alba, la giovane Yumiko è prelevata via da casa sua dalle guardie dello Shogun e viene torturata pubblicamente, solo perché è la figlia di Kayata, un samurai cattolico che, ormai in miseria, non ha potuto pagare le tasse alle autorità. Per essere precisi, era un “ronin”, cioè un samurai senza padrone, come lo erano tutti i samurai cristiani dell’epoca.
    Gli uomini dello Shogun da anni umiliano i cristiani di Shimabara, una piccola penisola del Kyushu (l’isola più a sud del Giappone), con una violenza cieca e annientatrice. Ma, nonostante la miseria e il sangue fatto scorrere per fiaccare la loro volontà, gli abitanti del villaggio si raccolgono attorno al simbolo di cui nessuno può privarli: il crocifisso di Cristo. Lo stesso al quale i primi cristiani giapponesi venivano inchiodati dalle guardie dello Shogun.

    La violenza su Yumiko è la scintilla che spinge quaranta-cinquantamila, tra uomini e donne, alla ribellione estrema. Rifugiati nel castello abbandonato di Hara, vicino a Nagasaki, si oppongono al giogo persecutorio e chiedono di poter manifestare liberamente la loro fede cristiana. L’assedio da parte degli uomini dello Shogun è imponente: si forma il più grande esercito della storia del Giappone, incaricato di schiacciare la rivolta di "quel branco di contadini".

    Ma quel “branco di contadini”, guidati da Amakusa Shiro1, un giovane samurai di 16 anni, considerato da tutti l’Inviato del Cielo, combatte fino all’ultimo, aggrappandosi alla speranza incrollabile nella resurrezione di Cristo. L’assedio degli uomini dello Shogun fallisce in continuazione e deve essere ripetuto per ben cinque mesi. Quasi senza cibo e senza possibilità di scampo, nonostante questo i rivoltosi cristiani di Shimabara provocano enormi perdite e incredibili disfatte tra gli assedianti.

    Alla fine, aiutati anche dalle cannonate delle navi dei protestanti olandesi, ai quali lo Shogun aveva chiesto aiuto, furono massacrati tutti e giustiziati dal primo all’ultimo. Da allora, il Giappone si chiuse al mondo esterno per due secoli.

    Cammilleri_Amakusa_Shiro
    Statua di Amakusa Shiro, nel castello di Hara


    Quando i missionari cristiani europei tornarono in Giappone nell’800, trovarono i discendenti dei cristiani giapponesi sopravvissuti che avevano tramandato di generazione in generazione la loro fede. Le persecuzioni cessarono solo alla fine dell’800. I pochi cristiani rimasti vivevano soprattutto nella città di Nagasaki, che fu colpita dalla bomba atomica del 1945. Senza contare che anche Hiroshima, abbastanza vicina a Nagasaki, era stata un centro cristiano. Due bombe atomiche sugli unici centri cristiani e cattolici del Giappone, soprattutto Hiroshima. Come mai, tra tutti i posti possibili, proprio lì?

    Cammilleri-madonna-bombardata
    Statua della Madonna, presente nella cattedrale di Urakami, a Nagasaki, dopo lo scoppio della bomba atomica


    "Il crocifisso del samurai", l’opera forse più ambiziosa di Rino Cammilleri, un autore che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è uno struggente romanzo storico capace di toccare le corde più profonde dell’anima esplorando le radici del concetto stesso di fede. L’epica ribellione dei samurai cristiani di Shimabara nel 1637 rivive in un affresco crudo e realistico, denso di azione e di colpi di scena, che testimonia l’eroismo di chi è morto per non rinnegare il proprio credo.



    _____________________________________________

    1 Amakusa Shiro era figlio di Amakusa Jinbei, grandissimo guerriero diventato famoso nelle guerre tra gli shogunati, ed era anche cristiano. Alla fine, ribellandosi agli editti persecutori contro i cristiani, Jinbei percorse tutto il Giappone predicando Cristo, e, vista la sua fama di guerriero, nessuno osava affrontarlo. Portava con sé il piccolo Amakusa, dentro una carrozzina di legno. Questa figura fu così famosa che ispirò una serie di telefilm in Giappone e anche il manga “Lone wolf and cub” di Kazuo Koike e Goseki Kojima (trascurando, in tutti i casi, la sua cristianità).

    Cammilleri_Lone_Wolf

     
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    I 47 RONIN
    Storia dei 47 ronin che nel Giappone del '700 vendicarono il loro signore, in una terra dove i cristiani furono massacrati a migliaia
    di Rino Cammilleri
    Titolo originale: "I 47 ronin e la leggenda del samurai buono"; Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24/10/2016; Pubblicato su BastaBugie n. 489

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    Conoscete la storia-leggenda dei «47 ronin»? E' la vicenda più giapponese che esista e non c'è giapponese che non la conosca. Prima la raccontiamo, poi commentiamo.
    Durante il medioevo nipponico un Daimyo (signore feudale) si trovava nel palazzo dello Shogun (il gran capo dell'arcipelago) a Edo (l'allora capitale). Qui, gravemente provocato da un cortigiano, cercò di rispondere all'insulto, ma fu bloccato in tempo. Sì, perché estrarre la spada in quel luogo era vietatissimo, pena la morte. Lo shogun, saputo della provocazione, non fece giustiziare il colpevole ma benignamente gli permise di salvare il suo onore commettendo seppuku (suicidio rituale). L'onore sì, ma non il feudo e i beni, che vennero incamerati dallo shogun. I samurai del defunto si ritrovarono ronin, (lett. «uomini onda», cioè senza padrone e, perciò, costretti a vagare).

    47 VENDICATORI

    Una cinquantina di essi giurarono di vendicare il loro signore. Ma colui che ne aveva provocato la disgrazia, temendo proprio questo, stava in guardia. Bisognava fargliela abbassare. I 47 vendicatori, perciò, trascorsero i seguenti due anni a far credere che la disoccupazione li aveva abbrutiti rendendoli codardi, abietti, ubriaconi. Uno abbandonò la famiglia, uno la fidanzata, uno si fece sequestrare la spada, uno accettò gli sputi senza reagire. E così via. Quando il bersaglio predestinato si convinse dello scampato pericolo e licenziò la guarnigione che aveva arruolato a sua difesa, scattò la trappola. La vendetta fu compiuta e i 47, poi costituitisi allo shogun, chiusero la loro missione col seppuku. Questa storia, perfetto ed estremo esempio di fedeltà al bushido (il codice dei samurai), impazzò subito nel teatro kabuki e in quello bunraku (di marionette), poi al cinema e nei manga.

    Foderi-rossi
    I Foderi Rossi di One Piece sono anche un omaggio alla leggenda dei 47 Ronin. Invece dei due anni fatti trascorrere, qui si tratta di 20, ma lo scopo di vendetta per il proprio signore è lo stesso


    Recentemente vi si sono cimentati gli attori americani Keanu Reeves, Morgan Freeman, Clive Owen, tanto la storia è affascinante 1. Purtroppo il mito ha offuscato, come al solito, la storia, e i «47 ronin» sono serviti ai samurai per rifarsi il maquillage a uso dei posteri (tra cui il famoso scrittore Yukio Mishima, tanto caro a certe destre nostalgiche). Intanto, godetevi la leggenda con i 47 ronin a fumetti della ReNoir (Mike Richardson, Stan Sakai, 47 ronin, ReNoir, pp. 154, €. 19,90)

    47ronin-mod-3d


    ORA, I CHIARIMENTI

    Cominciamo col dire che il «medioevo» giapponese non è mai esistito. E' il cristianesimo che fa "ribollire" le epoche; chi non lo ha mai adottato vive da sempre una realtà immutabile, piatta e monotona. Il pagano ragiona così: si deve fare come si è sempre fatto. L'uomo plasmato dal cristianesimo fa il contrario. Perciò il Giappone è uscito dal suo eterno «medioevo» solo quando le cannoniere americane ve l'hanno costretto, a metà dell'Ottocento.

    Il fatto dei 47 ronin si svolge nel 1702, mentre in Europa il Medioevo era un lontanissimo ricordo (c'era la guerra di successione spagnola). L'unica eccezione a un'età del ferro senza fine furono gli archibugi, introdotti dagli europei alla fine del secolo XVI. Per quanto riguarda l'onore e il codice bushido, stavano ai samurai come la morale evangelica sta ai cristiani: una cosa è il bell'ideale, un'altra quel che si fa in concreto. Perciò, i tradimenti, gli spergiuri, le pugnalate alla schiena, la corruzione, i fratricidi per motivi d'interesse erano la realtà.

    Basta dire che al tempo dei 47 ronin regnava il clan Togukawa, che aveva vinto la decisiva battaglia di Sekigahara nel 1600 grazie a un venalissimo e spregevole voltafaccia sul campo. E che l'opera teatrale sui 47 fu vietata per molto tempo, proprio per evitare che qualcuno ci vedesse un riferimento al clan al potere. Non c'era un potente che non fosse costretto a dormire con un occhio solo, perfino i bonzi buddisti.

    Miyamoto-Usagi
    A proposito della battaglia di Sekigahara, il personaggio di Usagi Yojimbo di Stan Sakai, che vive in un Giappone medievale alternativo popolato da animali antropomorfi, ha avuto la sua vita segnata per sempre nella battaglia di Adachigahara, un richiamo a quella di Sekigahara. Infatti laggiù il suo signore, Lord Mifune, perse la battaglia e fu ucciso a causa del tradimento del Generale Toda. Dopo aver messo in salvo il corpo di Mifune, Usagi riuscì a vendicarlo uccidendo Toda, ma da allora vive come ronin, vagando nel Giappone e passando molte avventure.


    LA GENTE COMUNE

    Per quanto riguarda la gente comune, la fame era la regola, a causa di una piramide sociale che ricorda quella sovietica: una pletora di funzionari (e i samurai lo erano) che gravava su contadini e pescatori, i quali non avevano alcun diritto, nemmeno al nome.

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    Sanosuke Sagara, con la sua spada Zambato ("tagliacavalli"): da "Kenshin, samurai vagabondo". Essendo di origini povere, Sanosuke non aveva neanche un nome. Quindi scelse quello del comandante Sagara, che lui ammirava.


    Un samurai poteva uccidere un contadino perché quello non si era inchinato a dovere al suo passaggio o anche solo per provare il filo di una spada nuova: bastava che comunicasse l'avvenuta esecuzione al primo ufficio incontrato. Le donne, ovviamente, contavano ancora meno, e i bambini meno ancora. E non parliamo dei cristiani trucidati nei modi più efferati dalla fine del XVI alla fine del XIX, e solo per il sospetto che potessero incrinare il sistema di potere. Le caste, poi: i paria adibiti ai mestieri «impuri» (ancora oggi se lavori alle pompe funebri vieni scansato) o i menomati fisicamente (idem). Lo stesso James Clavell, nel suo (anticattolico) Shogun 2 del 1975, è costretto a riportare l'episodio del servo che fa hara-hiri (sventramento non rituale) perché il suo padrone - inglese e ignaro della situazione - gli ha ordinato di spennare un fagiano: se non lo fa, verrà ucciso per la disobbedienza; se lo fa, perderà il suo rango di servitore per aver toccato un animale morto. Insomma, i 47 ronin stanno ai giapponesi come i Cavalieri della Tavola Rotonda stanno a noi. Bel mito. E basta.

    ---------------------------------

    1 Cammilleri fa riferimento al film "Last Knights" di Kazuaki Kiriya (2015).

    Last-Knights



    2 "Shogun" di James Clavell (1975) è un romanzo in cui il protagonista, il daimyo Yoshi Toranaga, ascende al potere diventando Shogun. I fatti sono narrato dall'occidentale John Blackthorne. Dal romanzo è stato tratto il telefilm "Shogun" (1980), diretto da Jerry London ed interpretato da Richard Chamberlain e Toshirō Mifune. In seguito, le quasi nove ore della miniserie sono state condensate in un film, "Shogun - il signore della guerra" (1980)

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    I 4 ERRORI DI DESMOND DOSS, IL PROTAGONISTA DELLA "BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE"

    Un film di Mel Gibson che parla della storia vera di Desmond Doss, un soldato obiettore di coscienza che, durante la Seconda Guerra Mondiale, nell'isola giapponese di Okinawa salvò 75 soldati americani non obiettori di coscienza.

    locandina


    La battaglia di Hacksaw Ridge (2016) è un film di Mel Gibson, che racconta la vera storia di Desmond Doss. La sua vita fu segnata da due grandi desideri:
    1) servire la propria patria nella Seconda Guerra Mondiale
    2) non uccidere nessuno.
    Come si vede, è un'assurdità: come si fa ad andare in guerra senza ammazzare nessuno? Non siamo in un fumetto. In ogni caso, grazie all'appoggio di suo padre, che aveva già combattuto nella Prima Guerra Mondiale, Desmond Doss riesce a farsi riconoscere come soldato obiettore di coscienza (che è una bella contraddizione). Come tale, prestò il suo servizio come medico militare. (e allora perchè non hai fatto il medico militare e basta, invece di far vedere a tutti che sei un obiettore di coscienza, complicando così le cose?) Desmond Doss, al proposito, disse: "In un mondo impegnato a farsi a pezzi, non mi sembra una cattiva idea tentare di rimetterlo insieme." A causa della sua determinazione nel rifiuto di uccidere anche il nemico, fu bullizzato dai superiori e dai commilitoni. E questo mi sembra ovvio: in pratica, Desmond Doss dice non sparerà mai a un giapponese, nemmeno per salvarti la vita, e questo non era un bel pensiero per chi gli stava vicino. Ma, nella battaglia di Hacksaw Ridge, raccontata nel film, Desmond Doss dimostrò il suo valore e il suo coraggio, salvando circa settantacinque persone ferite, portandole fuori dal campo di battaglia e meritandosi il rispetto degli altri soldati. Tutto è bene quello che finisce bene, allora? Non proprio.

    I (POCHI) LATI POSITIVI DEL FILM

    Mel Gibson mette tutta la sua esperienza nel descrivere realisticamente la guerra, che è terribile e spettacolare allo stesso tempo. Inoltre, è sorprendente il fatto che si parli di cose come:
    - la verginità prima del matrimonio del protagonista (ma quando mai oggi?)
    - la carità cristiana che arriva a donare la vita per i propri amici e nemici
    - l'importanza della preghiera in ogni azione quotidiana che per Desmond Doss tocca un vertice nella richiesta a Dio di trovare ancora un soldato ferito, sia amico che nemico.
    E' azzeccata anche la presa in giro dei culturisti che mostrano con orgoglio i loro muscoli, ma nascondono delle debolezze interiori, come la paura, che blocca ogni azione. Nonostante questo, il film presenta quattro gravi errori che, a causa della cultura moderna in cui siamo immersi, passano inosservati. Osserviamoli in rassegna.

    1) L'INGIUSTA OBIEZIONE DI COSCIENZA

    Il primo di tutti è l'obiezione di coscienza. Essendo questo il cardine del film, bisogna capire che cosa è veramente e se è una cosa buona. Il mondo d'oggi non avrà problemi a giustificare l'obiezione di coscienza di Doss; forse ne avrà chi ha visto i precedenti film di Mel Gibson sulla guerra, dove la figura del guerriero è indubbiamente positiva: basti pensare a William Wallace di Braveheart. Le convinzioni religiose di Desmond Doss sono state molto importanti per far maturare in lui il sentimento di avversione nei confronti delle armi. Naturalmente ha contribuito a questa convinzione anche la traumatica esperienza che Desmond Doss ha avuto in passato, quando ha minacciato suo padre - tra l'altro, lo stesso che aiuterà il figlio nella sua obiezione di coscienza - con una pistola in mano per difendere sua madre. In realtà, Doss, in questa occasione ha fatto esattamente quello che ogni figlio dovrebbe fare, difendere la madre dal padre o difendere il padre dalla madre, e quindi non avrebbe nulla da rimproverarsi. Però nel film questo episodio gli genera dei sensi di colpa.

    Ma mettiamo da parte questo elemento soggettivo del protagonista e parliamo invece dell'elemento oggettivo della compatibilità tra religione e servizio militare. L'elemento religioso è stato quello decisivo nella scelta di Desmond Doss, perché la setta protestante a cui appartiene, cioè gli Avventisti del Settimo Giorno, negano in ogni caso la legittimità della guerra giusta, appellandosi ad una interpretazione assoluta e distorta del comandamento "Non uccidere". Sarebbe curioso chiedere a uno di loro se si possa uccidere chi sta cercando di violentare tua moglie o di rapire i tuoi figli, ma sappiamo già la risposta: Desmond Doss direbbe che gli dispiace, ma non lo farebbe lo stesso.

    La Chiesa cattolica, invece, coerentemente con la Bibbia, ricchissima di storie di santi guerrieri, e con l'insegnamento di Gesù e degli apostoli, ha sempre affermato la possibilità della legittima difesa e della guerra giusta (che comunque non può essere offensiva). Re Davide era un guerriero. Mosè aveva applicato la pena di morte verso tremila Israeliti che avevano adorato il vitello d'oro e non si erano pentiti. E l'elenco potrebbe andare avanti a lungo. Dio stesso veniva invocato come "Signore degli eserciti". Anche nel Nuovo Testamento, pur non essendoci guerre, visto che ancora non c'era una civiltà cristiana da difendere, sono state dette molte frasi che approvavano il servizio militare: per esempio, San Giovanni Battista esortava i soldati ad accontentarsi delle loro paghe e a non estorcere nulla dalle persone, considerando quindi il mestiere del soldato come un mestiere lecito come gli altri. Quando il Centurione andrà da Gesù a chiedere un miracolo, farà una professione di fede militare, dicendo che, come Gesù, anche lui aveva dei sottoposti che gli obbedivano, quindi tutto il mondo era sottoposto all'autorità di Gesù. E Gesù loda molto questo centurione romano, che continuerà a fare il suo lavoro anche dopo la conversione.

    centurione
    Il Centurione e Gesù.


    San Paolo, riassumendo nella lettera ai romani il concetto cristiano di autorità, dice che essa non invano porta la spada: "Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male". Quindi, il quinto comandamento "Non uccidere" significa che non si può uccidere l'innocente, ma, nel caso di legittima difesa e di guerra giusta, è lecito e, a volte, anche doveroso uccidere. Chi non volesse uccidere per principio, permetterebbe al male di continuare a far danno e di distruggere l'ordine della società, che viene protetto dalla spada come insegna san Paolo, ma come insegna anche la semplice ragione umana.

    2) LA NON VIOLENZA

    Da questo errore - l'obiezione di coscienza - deriva anche quello sull'interpretazione letterale della frase evangelica: "Porgi l'altra guancia". Nel film, infatti, si può vedere come Desmond Doss non si difenda mai quando viene picchiato dai commilitoni e nemmeno quando fanno battute pesanti su sua moglie. Ma questo non è essere cristiani, bensì essere zerbini. Gesù stesso, che ha pronunciato questa frase, non ha porto l'altra guancia, quando è stato schiaffeggiato dal servo del sommo sacerdote, ma ha risposto con durezza: "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?" (Gv 18,23). Gesù non si difende nella Passione perché ha una missione da compiere: era venuto sulla terra proprio per morire e così salvare tutti gli uomini. Non lo fa perché crede che non dobbiamo difenderci con la forza quando siamo minacciati. Infatti, quando Gesù stava per essere catturato nell'Orto degli Ulivi, san Pietro proverà a difenderlo con la spada, ma Gesù lo fermerà spiegandogli perché, in quel caso, non bisognava combattere: "Credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?" (Mt 26,53). Se Gesù avesse voluto, avrebbe potuto benissimo salvarsi e sconfiggere chi lo catturava: chi può fermare Dio? Ma, siccome aveva una missione da compiere, non l'ha fatto. Non erano i soldati a catturare Gesù, ma era Lui che si offriva a loro per essere sacrificato sull'altare della croce.

    3) IL RIFIUTO DELLA CARNE

    In una scena del film, vediamo inoltre Desmond Doss che, sul campo di battaglia, dà una scatoletta di carne ad un altro soldato perché lui non la può mangiare. Per gli Avventisti del settimo giorno, infatti, è vietato mangiare carne di animali, a causa del loro concetto distorto di "rispetto della vita". Facendo così, però, vanno contro l'insegnamento di Dio, che nella Genesi dà all'uomo tutti gli animali perché se ne cibi. Diverse volte il vangelo ci racconta che Gesù mangiava pesce e che andava a Gerusalemme per sacrificare e mangiare l'agnello pasquale. Inoltre, ha anche insegnato che si possono mangiare tutti gli alimenti, contrariamente alle prescrizioni alimentari dell'epoca: "Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna? Così rendeva puri tutti gli alimenti" (Mc 7,18-19). Per convincere san Pietro che è lecito cibarsi di tutti gli animali Dio stesso gli mostra in visione una grande tovaglia con sopra animali di ogni specie. E Dio gli comanda: "Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!". Più chiaro di così! Ma Desmond Doss probabilmente avrebbe rifiutato questo allettante comando.

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    Agnello cotto per la Pasqua. Anche Gesù lo mangiava.


    4) IL RIPOSO FESTIVO ASSOLUTO

    Infine, ciliegina sulla torta, Desmond Doss si rifiuta di combattere in giorno di sabato, perché è un giorno di riposo assoluto. La sua setta protestante, infatti, non festeggia la domenica, come giustamente fanno i cattolici per commemorare la resurrezione di Cristo, ma sono rimasti al vecchio culto ebraico del giorno del sabato. Infatti si chiamano "Avventisti del settimo giorno", cioè del sabato. A parte quale giorno festeggiare, è opportuno notare quanto sia sbagliato questo formalismo nel rispetto del giorno di riposo. Infatti, la Chiesa ha sempre insegnato la necessità del riposo domenicale dal lavoro, ma non ne ha fatto un assoluto morale. In casi gravi (sottolineo in casi gravi, non per arrotondare) infatti è possibile lavorare di domenica. Se c'è siccità e un contadino ha bisogno di irrigare i suoi campi, altrimenti perde il raccolto, lo può legittimamente fare anche in giorno di domenica. Invece, per gli Avventisti del settimo giorno, no. Nemmeno un poliziotto e un medico possono lavorare di sabato per salvare delle vite. E neanche ti puoi difendere da un nemico che ti attacca, o attacca un'altra persona, perché, così facendo, violi il riposo festivo. Si capisce bene che è un'assurdità (e anche una stupidità). È un atteggiamento formalistico nei confronti della legge, già condannato da Gesù ai suoi tempi. A quelli che gli rimproveravano le sue guarigioni operate in giorno di sabato, Lui rispondeva: "Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?" (Lc 14,5). Desmond Doss, potremmo rispondere. Invece, Gesù invitava a non assolutizzare una cosa relativa. Il riposo festivo è fatto per l'uomo, non il contrario. Se l'uomo si fa uccidere per salvare il giorno di riposo, evidentemente c'è qualcosa che non va. E non si può mica chiedere ai nemici di attaccare a comando.

    CONCLUSIONE

    E' vero che Desmond Doss ha potuto fare del bene senza uccidere, ma se tutti facessero come lui non sarebbe più possibile difendere la propria nazione. Tra l'altro, se Desmond Doss ha potuto fare quello che ha fatto, è da ricordare che lo ha potuto fare grazie ai soldati che combattevano con lui. Se no, sarebbe stato ammazzato in due secondi. Bisogna smettere di criminalizzare il glorioso mestiere del militare, in quanto la forza può e deve essere usata per difendere i deboli. La Chiesa annovera una grande schiera di santi tra i militari: dal militare romano San Longino a San Luigi IX re di Francia, che combatté le Crociate, a Santa Giovanna d'Arco. Un mondo senza soldati è possibile solo nelle fiabe. Nella realtà, invece, per difendere le cose buone e belle, c'è bisogno della forza. Onore ai militari.

    caval-9d
    I Cavalieri di Malta.



    BIBLIOGRAFIA

    Articolo originale di Pietro Guidi
     
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    PENELOPE E CIRCE: LA CAPACITA' DI CREAZIONE E DISTRUZIONE DELLA DONNA
    Articolo preso da Il Timone

    Omero presenta due diversi tipi donne: donne che sono per il matrimonio e la famiglia e donne che sono contro il matrimonio e la famiglia. Penelope, la fedele moglie di Ulisse che aspetta per vent’anni il ritorno del marito dalla guerra e dall’esilio, difende la sua casa dai pretendenti che vogliono sposarla ed ereditare la sua ricchezza. Cresce il figlio Telemaco in assenza del padre, accoglie chi la visita con magnanimità ed è l’anima di una casa che rappresenta un ideale di civiltà: per costumi, etica e cultura. Una casa di cui difende da sola la stabilità. Omero per questo le tributa i più grandi onori: “La fama della sua virtù non morirà mai. Gli dei immortali eleveranno un canto in lode di Penelope e del suo dominio di sé”.

    Penelope-Irene-Papas
    Penelope/Irene Papas nel telefilm L'Odissea e in una raffigurazione greca.


    La regina Areta e il re Alcinoo danno il benvenuto a Ulisse nella terra dei Feaci con tutte le attenzioni dell’antica ospitalità. Insieme governano un Paese rinomato per il suo alto livello culturale, un popolo famoso per l’abilità nel costruire navi, nel tessere, nell’arte della danza, nei canti, nell’atletica e nell’agricoltura. Una società produttiva nell’artigianato come nelle belle arti. La loro figlia Nausicaa, il frutto del loro amore per i figli, è un modello di bellezza, grazia, modestia e gentilezza. Quanta differenza con la brutale, arrivista e scomposta "nemica degli uomini" quale spesso è la donna di adesso, priva di grazia e di bellezza d'animo, come è presentata oggi nei mass media! Quando Ulisse la vede per la prima volta, la omaggia così: “Più felice di tutti sarà l’uomo che un giorno ti porterà nella sua casa, carica di doni di nozze. Non ho mai visto una come te, né fra gli umani né fra gli dei: mentre ti guardo sono stupito e ammirato”.

    Nausicaa
    Nausicaa incontra il naufrago Ulisse.


    Penelope, Areta e Nausicaa, in quanto mogli, madri e figlie nutrono vite, creano splendide realtà domestiche, accolgono stanchi viaggiatori e custodiscono matrimoni che civilizzano un mondo barbarico.

    Calipso, Circe e le Sirene, dall’altro lato, sono il simbolo di una femminilità che disprezza il matrimonio, disonora gli uomini e riduce l’amore trasformandolo nel fuoco della lussuria. Queste donne evirano gli uomini che attraggono o catturano, privandoli della loro virilità di padri, mariti e guide. Per sette anni Ulisse è stato ostaggio sull’isola di Calipso, dea dalla bellezza senza tempo e senza pari. La passione di Calipso per Ulisse è totalmente sterile: lei non culla mai l’idea del matrimonio, piuttosto quello di una convivenza senza fine. Come suo prigioniero, Ulisse non può esercitare la propria virilità come leader in patria, custodendo la propria famiglia, crescendo i figli o usando la mente e la forza fisica per lavorare e realizzarsi come uomo.

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    Ulisse prigioniero di Calipso.


    Anche Circe de-mascolinizza gli uomini, che seduce con la sua voce avvolgente e incantatoria. Fingendo ospitalità, versa nelle loro coppe una pozione che li stordisce e sottrae loro motivazioni, determinazione e forza di volontà:

    “… versò il suo veleno per far svanire dalla loro mente il ricordo della propria casa. Una volta che costoro vuotarono le coppe che lei aveva riempito, improvvisamente, con un colpo di bacchetta, li tramutò in maiali”.

    La perdita della mascolinità coincide con la perdita della memoria delle proprie origini e della propria famiglia. Circe attira gli uomini lontano dai loro doveri di mariti e padri, eccitando i loro desideri carnali e la loro sete di piacere, che lei soddisfa con una droga, riducendoli da uomini valorosi ad animali sottomessi. Cerca anche di attirare Ulisse nel suo letto e di soggiogarlo col miraggio della voluttà. Una tentazione a cui Ulisse resiste gridando:

    “tu mi spoglierai del mio coraggio e del mio essere uomo!”.

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    Circe trasforma, o meglio degrada, gli uomini in porci.


    Anche le Sirene distolgono gli uomini dai loro doveri di mariti e padri: li rapiscono con la loro voce e li fanno deviare dalla via maestra che conduce verso casa:

    “Chiunque afferra incautamente i lidi delle Sirene e ne ode il canto, a lui né la sposa fedele né i cari figli verranno incontro, in festa, sulle soglie di casa”.

    Queste tentatrici usano il potere della propria femminilità per tenere gli uomini in cattività, per rendere ottusa la loro ragione.

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    Le Sirene attirano e divorano gli uomini. Spesso si dimentica che le Sirene sono cannibali: la Takahashi ne fa cenno nei suoi racconti sulla saga delle Sirene.


    Omero dimostra che una civiltà prospera quando le famiglie (quelle NORMALI, cioè con un uomo e una donna sposati) fioriscono. E i focolari domestici sono resi saldi dalle virtù di donne fedeli e prudenti come Penelope, devote e generose come Areta e di spose come Nausicaa, dedite a continuare la creazione di cultura e l’opera di civilizzazione dei propri avi. Queste donne, per adempiere al proprio ruolo femminile e materno, infondendo bellezza e ordine e dando nutrimento alla vita, hanno bisogno di uomini nobili e virili, che si sacrificano per mogli e figli resistendo alla Sirene del mondo. Perché così come gli uomini possono dimenticare le mogli e degenerare in maiali sotto l’incantesimo di Circe, anche le donne possono dimenticare il proprio ruolo di madri o la propria dignità, preferendo manipolare e sfruttare gli uomini per il proprio uso e piacere, vivendo solo per se stesse. Le donne sposate e le vergini nell’Odissea elevano la virilità perché suscitano ammirazione nell'uomo e ispirano la formazione di uomini veri. Le dee dell’amore carnale, le seduttrici e le Sirene fanno sì che gli uomini sprechino la propria virilità e conducano esistenze sterili e infruttuose, che non contribuiscono in nulla nè alla famiglia, nè alla civiltà, nè alla vita stessa.
     
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    IL MONDO D'OGGI NON AMA LA FAMIGLIA. E' LA FINE DEI FANTASTICI QUATTRO?

    Fantastici_Quattro_1 Fantastici_Quattro_2
    Il primo numero della ristampa Gigante dell'Editoriale Corno sui classici Fantastici Quattro con un grandioso disegno di John Romita;
    l'ultimo numero dei Fantastici Quattro pubblicato in America nell'Ottobre 2015 (Fantastic Four 645)


    I Fantastici Quattro in America non esistono più come fumetto da due anni. Non è la prima volta che accade un fatto simile: Thor, infatti, non fu più pubblicato per tre anni, dal 2004 al 2007. Ma i Fantastici Quattro, a differenza di Thor, sono i primi supereroi moderni realizzati dalla Marvel nel lontano 1961 grazie a Stan Lee e Jack Kirby: sono in pratica la storia della Marvel. E' possibile che ritornino nel nuovo arco narrativo Legacy (2017) che coinvolge il mondo Marvel, ma non si hanno molte speranze. Se ne è discusso su Badcomics e Comixarchive, e si possono fare diverse ipotesi per questa sospensione, essenzialmente tre:

    1) Fantastici Quattro ha chiuso per basse vendite. I dati di vendita in effetti non erano esaltanti, come dice Badcomics; ma Comixarchive dice chiaramente che la Marvel oggi continua a pubblicare lo stesso delle serie che vendono pochissimo, perchè sostengono le loro prospettive ideologiche. Inoltre, i Fantastici Quattro, al momento della chiusura, vendevano 30.000 copie: non è un boom (una buona vendita in America è sulle 100-200.000 copie, vedere qui), ma non è nemmeno una cifra disprezzabile. Per avere un'idea, in Italia i manga oggi (2017) vendono sulle 10.000 copie e l'Uomo Ragno sulle 5000, senza contare Rat Man che vendeva sulle 18.000 copie ed ora sta per chiudere a Settembre 2017 (i dati qui).[/color]

    [color=black]2) Fantastici Quattro ha chiuso per conflitti economici con la Fox. Hickman, l'ultimo sceneggiatore dei Fantastici Quattro, ha detto che "il fumetto non è attualmente pubblicato a causa dei problemi tra la Marvel e la Fox, che detiene i diritti cinematografici": infatti, non è la Marvel ad avere i diritti dei film dei Fantastici Quattro, ma la Fox, alla quale la Marvel anni fa aveva ceduto i diritti. Ma chiudere una testata che, dopotutto, fa guadagnare ancora, solo per ripicca verso la Fox, è un comportamento piuttosto infantile (e antieconomico, tra l'altro). Hickman stesso disapprova l'idea, dicendo che "farli sparire dalle scene va contro tutto quello in cui credo da professionista della narrativa".

    3) Fantastici Quattro ha chiuso perchè rappresenta un modello normale di famiglia che oggi è considerato antiquato e sorpassato. Tom Brevoort (uno dei più importanti direttori della Marvel attuale) dice testualmente che "i lettori di oggi non entrano in connessione coi suoi personaggi" e che "il mondo di oggi e lo spirito dei tempi attuale non vede i Fantastici Quattro come una priorità" E Badcomics conferma l'osservazione, aggiungendo che questi sono "tempi in cui il concetto di famiglia è distante da quello tradizionalmente incarnato dal Quartetto". Credo sia bene approfondire meglio proprio questo aspetto.

    I Fantastici Quattro, più che un gruppo di supereroi come gli altri (tipo i Vendicatori o gli X-Men), sono una famiglia: Reed Richards (Mister Fantastic) ha sposato Sue Storm (la ragazza invisibile); Johnny Storm (la Torcia Umana) è il fratello di Sue, quindi il cognato di Reed; infine Ben Grimm (la Cosa) è un amico intimo di famiglia, tanto da essere uno della famiglia in tutto e per tutto. Inoltre, Reed e Sue hanno avuto due bambini, Franklyn e Valeria, che hanno come tata l'anziana Agatha Harkness oppure Alicia Masters, la ragazza cieca della Cosa. Tutti quanti (esclusi Agatha e Alicia, che vivono nelle rispettive case) vivono negli ultimi quattro piani del Baxter Building, a New York: quel posto è la loro casa.

    Ora, il modello di famiglia attuale, secondo la Marvel e secondo la maggior parte dei mass-media, non è più questo. I Fantastici Quattro, infatti, sono uno scandalo, attualmente, per molti motivi. Per esempio:

    - Reed e Sue sono entrambi bianchi, mentre il modello attuale è il matrimonio interrazziale. Infatti, il matrimonio tra il nero Luke Cage e Jessica Jones è molto pubblicizzato attualmente (per essere precisi, prima hanno convissuto, poi, dopo la nascita della figlia, si sono sposati).
    - Reed e Sue sono una famiglia normale composta da un uomo e una donna: attualmente, questa è vista come una cosa vetusta, antica, superata, mentre invece è sempre stato così dall'alba dei tempi. Perchè? Perchè è l'unico modello che funziona.
    -Reed è un uomo, sa di essere un uomo e non pensa minimamente di essere una donna; Sue è una donna, sa di essere una donna e non pensa minimamente di essere un uomo: questo va contro ogni concetto di gender, queer e simili.
    - Reed e Sue si sono sposati in matrimonio, mentre attualmente sono preferite le convivenze.
    - Reed e Sue non hanno usato contraccettivi, non hanno abortito e hanno fatto insieme un figlio (Franklyn) nel modo normale, senza ricorrere alla inseminazione artificiale. Già questo in certi ambienti è una stranezza. Alla Marvel attuale, per esempio, hanno fatto fare l'inseminazione artificiale alla Donna Ragno, che ora ha un figlio con padre sconosciuto. Senza contare i vari fratelli e sorelle morti del bambino (nell'inseminazione artificiale si realizzano molti zigoti, che sono esseri umani, ma solo uno di essi viene inserito nel grembo della donna: gli altri sono eliminati, o meglio, uccisi).
    - Il parto di Franklyn fu difficile ma nessuno pensò di abortirlo: Reed e gli altri erano andati fino alla pericolosa Zona Negativa per affrontare Annihilus e trovare la cura per il bambino e la madre. E il bimbo nacque sano, in braccio alla madre. Non c'è mai stato nemmeno un momento in cui abbiano pensato di eliminare il bimbo: hanno invece fatto di tutto per salvare sia il bimbo e la madre. Una cosa difficile da comprendere, in questo tempo di rassegnazione.
    - Reed e Sue hanno fatto un secondo figlio, che però è morto nel grembo della madre per un aborto spontaneo (quindi non voluto). Anche questa è una stranezza per molti.
    - Reed e Sue hanno fatto addirittura un terzo figlio, stavolta una bambina (Valeria), e questo è malvisto da molti per via della storia della sovrappopolazione: anche se è un'idea che si basa su un mucchio di falsità, tiene banco senza sosta da anni lo stesso, purtroppo.
    - Sue, spesso, quando non deve andare a combattere con gli altri, sta a casa a badare ai bambini come si faceva un tempo: già questo è molto strano, visto che ormai i bambini sono affidati alla scuola e ad altre istituzioni praticamente per tutto il giorno e la donna è fuori a lavorare per tutto il tempo nella maggior parte dei casi.
    - Sue non si separa dal marito e non divorzia da lui. Una volta ha avuto la tentazione di farlo, ma poi ci ha ripensato ed è tornata con Reed. Insomma, vuole restare fedele al marito, pur con tutti i difetti che può avere: una cosa difficile da accettare o da capire al giorno d'oggi.
    - Reed è fedele a Sue e non l'ha mai tradita con altre donne. In sostanza, si tratta di una coppia fedele, e molti troverebbero noiosa una cosa simile.
    - I bambini non fanno i capricci e ascoltano i genitori: difficile da accettare al giorno d'oggi, dove è normale assecondare ogni capriccio dei bambini.

    Temo proprio che sia questo il vero motivo della sospensione (definitiva?) della testata.

    Fantastici_Quattro_4_bis
    Il Baxter Building è stato distrutto e Sue guarda le vecchie foto in mezzo alle rovine. Sono tempi difficili per le famiglie normali.

     
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