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    BENE E MALE, EROI E MALVAGI: UNA REALTA' NEGATA

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    L'eroe (Goku) contro il malvagio (Taobaibai)


    Oggi sono passati 750 anni dalla morte di San Tommaso d'Aquino (morì nel 1274): la sua filosofia e teologia hanno una logica ferrea e si fondano sulla realtà dei fatti. Per esempio, afferma quello che per lui era un'evidenza: nella società umana ci sono i virtuosi e i malvagi. Cioè, esistono le persone buone e le persone malvagie. Questo è un giudizio, un'affermazione che per San Tommaso e i suoi contemporanei del 1200 era innocua, ovvia: tanto era lapalissiana nel suo oggettivo realismo. Ma per noi del 2020 non lo è per niente.

    Infatti, oggi parlare di "virtù" e "malvagità" non è di moda, non è politicamente corretto, perchè si tratta di parole ritenute obsolete, superate, risibili. Anche un tantino bigotte. La virtù e la malvagità, si dice oggi, non esistono: sono solo concetti astratti. È solo la nostra personalissima griglia di valori a considerarle tali. Esistono solo delle scelte personali che, finché non offendono gli altri, sono lecite. Non ci sono dunque persone cattive: e, se ci sono, lo sono perchè sono persone fragili, in ricerca, ferite, poverine. E' tutta colpa della società, dei genitori, di chi lo aveva picchiato da piccolo, se sono diventati così. La colpa, insomma, è sempre di un altro. Mai che sia colpa del cattivo e delle sue scelte disgraziate.

    Ecco, questa visione dell'uomo, "buono sempre e comunque, semmai corrotto da sovrastrutture sociali", che va di moda oggi nell'Anno del Signore 2024 e da un mucchio di tempo, era esclusa da Tommaso, non solo dal punto di vista cristiano a motivo del peccato originale: ma anche perché era una cosa evidente, sia a lui che ai suoi contemporanei del 1200, che tutti noi compiamo il male, magari senza rendercene conto, e che, anzi, ci sono delle persone totalmente dedite al male.

    Cioè, in sostanza: gli uomini e le donne malvagi esistono. Un realismo inaccettabile oggi, per via del il buonismo imperante, nato da un approccio relativista, dove ogni scelta è insindacabile. Buonismo, però, solo di facciata, perché, nel privato, ciascuno di noi bolla gli altri spesso come spregevoli, mediocri, invidiosi, eccetera. In sostanza, il buonismo è quella vecchia cosa che si chiamava un tempo ipocrisia.

    Ma l'eroe (quello a cui si dovrebbe tendere) e il malvagio (tutto ciò che si dovrebbe evitare) sono modelli che esistono, fanno parte della nostra vita, in cui, nel nostro cuore, si combattono il bene e il male: e c'è chi sceglie il bene, come c'è chi sceglie il male. C'è l'eroe e il malvagio.

    L'EROE

    L'eroe è una persona che s'impone all'ammirazione di tutti per le sue virtù eccezionali di coraggio e abnegazione. L'abnegazione è la disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere i suoi propri istinti, i desideri e gli interessi personali, e lo fa per motivi superiori. L'eroe, in sostanza, è colui che è sempre disposto a sacrificarsi personalmente per gli altri.

    Nei fumetti esistono gli eroi e i malvagi: l'eroe è la persona buona. Non è un imbecille, nè un cretino, anche se spesso oggi viene considerato così. E' nella natura dell'eroe fare la cosa giusta. Non è perfetto, nè infallibile: può fare degli errori, può crescere, può avere dei dubbi. Ma, in definitiva, non mollerà mai e non sceglierà mai il male. E' di natura già buono: cioè ha scelto il bene sempre e comunque. Anzi, eroi come Superman, Capitan America, Son Goku sono tali da ispirare gli stessi altri comprimari delle loro storie a comportarsi come loro: oltre ad essere degli eroi, sono dei modelli per gli altri. Non accettano l'ingiustizia in nessun modo e ispirano, con le proprie gesta e il proprio esempio, la gente comune ad essere migliore; mostrano che si può essere migliori. Danno speranza.

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    L'eroe (Batman) contro il malvagio (Joker)


    IL MALVAGIO

    Il malvagio è l'antagonista. E' veramente malvagio. Cioè, gode nel fare il male. Non è senza raziocinio, non è pazzo: il malvagio ha degli obiettivi, ha dei piani precisi, ha molta scaltrezza. Ma, semplicemente, la sua motivazione profonda è quella di essere una grandissima carogna dal cuore nero come il carbone nero. La sua natura è quella ed è sempre stata quella. Ha scelto il male, ci gode e rimane nella logica del male. E' nato storto ed ha continuato ad essere storto.

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    "Butcher", il macellaio: un perfetto esempio di malvagio carogna.


    Caronte, il traghettatore dell'Inferno, lo chiamerebbe "anima prava", cioè "anima storta", e lo caricherebbe sul suo battello per portarlo all'Inferno. Per esempio, il Joker, l'Imperatore di Guerre Stellari, Crudelia Demon, Iron Man di Civil War, Hans Gruber di Die Hard-Trappola di cristallo, rappresentano il Male: una negatività primordiale, contro la quale ci si può solo opporre, altrimenti si verrà distrutti. Si potrebbe dire che sono il diavolo allo stato puro.

    PERCHE' I MALVAGI NON SONO CONSIDERATI MALVAGI?

    Si pensa sempre che questi due personaggi, l'eroe e il malvagio, siano solo dei personaggi bidimensionali e poco interessanti. Solo dai personaggi che ho citato ed altri che potrei nominare, penso vi siate resi conto di quanto questo luogo comune sia sbagliato. Sono tutti personaggi con lo stesso potenziale di complessità di qualsiasi altro: e, nello stesso tempo, sono semplicemente la massima rappresentazione del Bene e del Male che un personaggio di fantasia potrà mai essere.

    Allora perchè si sta cercando di negare questi due modelli? Perchè si tenta di distruggerli nella cultura popolare? Perchè si tenta di convincere la gente che gli eroi sono solo dei fetenti, come fa Alan Moore con Watchmen, e i malvagi invece sono solo degli antieroi incompresi?

    Perchè l'ideologia di oggi (la sinistra, la massoneria, il modo di pensare attuale, eccetera) credono nel relativismo. Per loro, tutto è relativo: la scienza è relativa, la biologia è relativa, la morale è relativa e il Bene e il Male sono relativi. O, per meglio dire, non esistono. Ma dire che il Bene e il Male sono relativi o non esistono è follia, perchè implica non solo una filosofia di vita sempre autoassolutoria, ma implica anche il fatto che il Giusto e lo Sbagliato non esistano: dipendono solo da noi. Invece, l'eroe e il malvagio esistono proprio per ricordare che invece il Bene e il Male esistono, sono sempre esistiti, così come, di conseguenza, il Giusto e lo Sbagliato esistono, sono sempre esistiti. E questo significa che chiunque può andare a dire loro che stanno sbagliando, che hanno torto per ragioni precise e concrete.

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    L'eroe (Capitan Marvel) contro il malvagio (Thanos)


    Questo, la sinistra, la massoneria, eccetera, non lo sopportano e non possono affrontarlo, perchè loro appoggiano il proprio equilibrio interiore (o psicologico, se preferite) su delle menzogne che si raccontano da soli, su una loro visione del mondo che non esiste, che viene frantumata in due minuti, se messa a confronto con la realtà e coi fatti concreti. E' un sostegno psicologico molto fragile e traballante e si tiene insieme solamente se nessuno lo mette in dubbio. Per fare sì che nessuno lo metta in dubbio, tutti devono esserne convinti ed accettarlo come nuova verità, e quindi tutto ciò che dimostra il contrario deve essere decostruito e stravolto (oppure distrutto) per appoggiare questa "nuova verità". E spesso questo lo si fa con violenza, con minacce, non certo col dialogo o col dibattito, che loro, sì, invocano sempre... ma solo per gli altri. Mai per se stessi. Perchè loro sono la Verità.

    Inoltre, per loro, i malvagi sono eroi e li trovano simpatetici (cioè si accordano perfettamente al loro modo di pensare e di sentire) perchè, sostanzialmente, impongono il loro egoistico bisogno e la loro personale visione sugli altri. Quindi non è colpa dei malvagi, ma della società (qualunque cosa voglia dire questo termine: ma in sostanza, sono "gli altri", mai loro), che si merita qualunque cosa di orribile questi personaggi possano commettere.

    Quindi abbiamo cose come il film su Crudelia Demon (mi rifiuto di chiamarla Cruella: in Italia è Crudelia da prima che io nascessi e solo perchè chi si occupa di adattare i film ormai segue ossequiosamente l'originale inglese non significa che io debba adattarmi a quello che scelgono loro). Ovvero un film che pretende di spiegarti le origini, le motivazioni, le scusanti e farti simpatizzare per un personaggio che sostanzialmente ha lo scopo di scuoiare 100 cuccioli di dalmata per farsene una pelliccia. Perchè ovviamente tutto è relativo e nessuno è davvero malvagio. Peccato che Crudelia Demon invece lo sia, malvagia: il personaggio è stato creato per essere malvagio e basta. Non ha bisogno di spiegazioni, nè di sapere la causa per la quale è diventata così, perchè non esiste. Crudelia è una vecchiaccia schifosa dal cuore nero e così è sempre stata. E Malefica? Uguale. E' il Male ed è lì per rappresentare il Male nella sua essenza, da contrapporre a ciò che rappresenta l'Eroe. Harley Quinn? E' una psicopatica omicida che sente le voci nella testa che ha scelto di seguire il Joker. Non è un personaggio eroico.

    Prendiamo un altro esempio: Norman Stansfield, il cattivo del film Leon magistralmente interpretato da Gary Oldman (e magistralmente doppiato dal nostro compianto Tonino Accolla: diamo a Cesare quel che è di Cesare). Il film ci fa capire che Norman è un poliziotto corrotto, coinvolto direttamente con lo spaccio di droga, drogato lui stesso, chiaramente instabile a livello psicologico e palesemente un individuo negativo e malvagio. C'è bisogno di sapere come è diventato così e renderlo più simpatico al pubblico o fargli dire: "poverino, non è colpa sua"? No, perchè Norman è lì unicamente per essere un essere malvagio e abietto. Un interessante malvagio e abietto, magari, ma pur sempre un malvagio e abietto. Un ruolo che viene svolto alla perfezione. E' un individuo malvagio fino al midollo, che entra nella vita dei protagonisti e la stravolge. Non c'è bisogno di sapere altro di lui. Si potrebbe dire lo stesso di Hans Gruber di Die Hard, già citato.

    Abbiamo poi Superman, che è il simbolo della Speranza (con la S maiuscola) ed è l'eroe per eccellenza. Superman è stato presentato perfettamente nel primo film di Richard Donner, interpretato da Christopher Reeve: aveva la gentilezza, l'altruismo, il costume dai colori brillanti, la determinazione, l'integrità...tutte cose che davano alla gente il desiderio di provare ad essere un pò migliori. Poi è arrivato Zack Snyder col suo Superman pessimista, che si è arreso ancora prima di iniziare e col suo costume dai colori spenti, morti e deprimenti. Un Superman che, tra l'altro, uccide. Lo so che è abbastanza inflazionato come argomento riguardo a quel film: però resta il fatto che Superman, quello vero, non lo avrebbe mai fatto. Piuttosto, avrebbe rischiato una mano per coprire gli occhi a Zodd, ma non lo avrebbe ammazzato, perchè Superman esiste per insegnare ad essere migliori.

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    L'eroe (Superman) contro il malvagio (Doomsday)


    Vogliamo parlare di He-Man? Potrei dire molto, ma preferisco citare Mark Taylor, uno dei maggiori responsabili della creazione dei Masters: "...He-Man era un esempio per i bambini, era il loro migliore amico: un uomo buono ed onesto, in grado di sbaragliare qualsiasi nemico". Quanto bisogna essere perversi per voler smontare qualcosa di così positivo?

    Il Bene esiste. Il Male esiste. Esistono il Giusto e lo Sbagliato. Esistono la Ragione ed il Torto. E chi li determina? Qualcosa di superiore a noi: l'evidenza. Non si può dire Dio, perchè tanti non ci credono: e allora diciamo l'evidenza. Il buon senso. Il contatto con la realtà. Se io dico che le foglie sono verdi, non può saltare su uno a dirmi che invece sono blu, solo perchè a lui piacerebbe di più così e vuole credere che sia altrettanto giusto. Sono verdi e basta, scientificamente è spiegato e dimostrato il motivo per il quale sono verdi: questa è evidenza. Io ho ragione e lui ha torto, non ci sono scappatoie e se lui ci rimane male si arrangia, perchè alla realtà e ai fatti concreti non importa nulla dei suoi sentimenti. La realtà non muterà solo per farlo contento e reggergli la balla che si racconta da solo.

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    L'eroe (Capitan America) contro il malvagio (Teschio Rosso)


    Allo stesso modo, queste idee innate, questi archetipi, sono quelli, sono sempre stati quelli e restano immutabili: saranno sempre così. Perchè, fin da quando, all'alba dei tempi, l'uomo ha camminato sulla Terra e ha iniziato a creare delle storie (e questo lo ha fatto subito), i concetti di Bene e di Male sono stati sempre presenti, in ogni parte del mondo e senza che nessuno li andasse ad insegnare.

    Basterebbe pensare alle fiabe con l'orco, o col lupo, o col drago. Sono usati spontaneamente, perchè stanno alla base del raccontare una storia. Vuoi stravolgerli o frantumarli? Ok, ma ti uscirà fuori una storia assurda, senza capo nè coda. E' la matematica della narrativa, se mi concedete questa definizione. Serve la consapevolezza del Bene e del Male, serve la consapevolezza che si può aver ragione e che si può avere torto: senza scappatoie, senza se e senza ma. E' così e non muore nessuno per questo. Anzi, si sta meglio a saperlo.

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    L'eroe (Thor) contro il malvagio (Mangog)



    BIBLIOGRAFIA
    Bastabugie
    Fantasia Errante
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    IL GIORNALINO COMPIE (MALE) CENT'ANNI

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    Bob Kent di Giuliano Giovetti, autore completo (storia e sceneggiatura): quasi il Ken Falco italiano (anche se con tematiche completamente diverse), è stato uno dei fumetti più apprezzati del Giornalino.


    C'è stato un tempo in cui c'era la possibilità di riunire in una rivista i migliori autori di fumetti: prima col Corriere dei Piccoli, poi col Vittorioso e l'Avventuroso, poi col Corriere dei Ragazzi...il Giornalino fu l'ultimo, e possiamo dire che questo periodo finì in bellezza. Il Giornalino c'è ancora, ma è ben lontano dalle qualità dei lavori di un tempo.

    LE EDIZIONI SAN PAOLO

    Tutto iniziò ad Alba (Cuneo), nel Piemonte. Siamo nel 1914 ed è iniziata la Prima Guerra Mondiale: nonostante questo, il beato Don Giacomo Alberione, parroco e padre spirituale del seminario di Alba, fondò le Edizioni San Paolo, quelle che pubblicheranno Il Giornalino, in una riunione con altri sacerdoti e fedeli in una tipografia cattolica presso la chiesa di Alba.

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    Il beato Don Alberione, fondatore della San Paolo


    Ispirato da Don Bosco, Don Alberione fu il primo ecclesiastico contemporaneo ad occuparsi esclusivamente dei mass media. La San Paolo realizzò, oltre al Giornalino, Famiglia Cristiana, Jesus. Lo scopo della nuova casa editrice era, ovviamente, diffondere la fede cristiana a mezzo stampa. Il nome San Paolo si richiama all'omonimo santo, l'evangelizzatore per eccellenza. Dal secondo dopoguerra, la San Paolo si diffuse anche all'estero e si trasferì a Milano. Oltre alla buona stampa, si impegnarono anche nell'attività cinematografica, fondando la San Paolo film: realizzarono il film Abuna Messias (la vita del predicatore Guglielmo Massaia che andò in Abissinia e fu chiamato dalla gente "Abuna Messias", il suo nome in etiope), e nel 1950 "Mater Dei", il primo lungometraggio a colori realizzato in Italia, che parla della vita della Madonna. Infatti, "Totò a colori" fu realizzato dopo, nel 1952: quindi non è stato il primo film italiano a colori. Tra i film più famosi della San Paolo Film ricordiamo Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini, con Nino Manfredi, che ebbe un successo strepitoso, fino a diventare il "Pinocchio" definitivo.

    LA NASCITA DEL"GIORNALINO"

    Il Giornalino è il settimanale più longevo d’Europa: è nato infatti cent'anni fa, il 1° ottobre 1924, in formato giornale. Allora c'era già un certo numero di riviste destinate a bambini e ragazzi: il Correre dei Piccoli, i cattolici Italia Missionaria e Messaggero dei Ragazzi, e compagni. Ma a quei tempi non c'era ancora la stampa di massa e la diffusione del cinematografo come oggi: il concetto di "mass-media", cioè "cultura di massa". non c'era ancora.

    Però fu proprio negli anni Venti che iniziò il processo che vide l’editoria trasformarsi da fenomeno di élite (e anticlericale) di fine Ottocento a fenomeno di massa, grazie all’impulso di nuove tecnologie di stampa e grazie ai cambiamenti sociali di allora (eravamo al primo dopoguerra, tutto era ancora da ricostruire: questo diede stimolo a nuove iniziative). Iniziarono così i primi passi di quell’industria culturale che attraverserà tutto il Novecento fino ai giorni nostri. Per dire: nello stesso 1924, l'anno del Giornalino, fu fondata la Metro-Goldwyn-Mayer, il famoso leone ruggente della storia del cinema, nacque l’URI, l'Unione Radiofonica Italiana, che iniziò le prime trasmissioni radio dalla stazione di Roma, fu inaugurata la prima autostrada del mondo, la Varese-Milano.

    Don Alberione decise di investire sui ragazzi rivolgendosi direttamente a loro con un giornale, appunto il Giornalino, che unisca in sé elementi per una formazione integrale della persona, in un equilibrato mix di divertimento, formazione e informazione. Infatti, una caratteristica del Giornalino è sempre stata l'accompagnamento scolastico: una cosa che ci vorrebbe al giorno d'oggi. Per questo fu realizzato il famoso inserto “Conoscere Insieme”: lì c'erano le interviste ai personaggi famosi della storia, degli articoli su un aspetto della cultura, della geografia, della natura; tanti approfondimenti sulle opere famose, sui personaggi, scoperte, scienza, sugli eventi storici e così via, accompagnate da immagini di grande livello, realizzate dai migliori autori italiani. Roba che adesso se la sognano, Eppure a quei tempi c'era ogni settimana.

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    All'inizio, Il Giornalino era distribuito solo nelle parrocchie: aveva il formato grande da giornale come il Corriere dei Piccoli di un tempo, con tanto di immagini e fumetti con le rime in calce. Negli anni '50 iniziarono a comparire i balloon dei fumetti ed ebbe il formato rivista attuale. Il periodo d'oro iniziò negli anni '70: nel 1970, infatti, chiuse il Vittorioso, un importante settimanale cattolico, e i suoi autori - tutti di grande talento - passarono sulle pagine del Giornalino. Da allora furono pubblicate le serie a fumetti più famose: Larry Yuma, Il commissario Spada, Pinky, eccetera. Fecero anche le trasposizioni a fumetti di romanzi classici, tipo I promessi sposi e altri, che diventeranno una caratteristica della testata.

    DON TOMMASO MASTRANDREA, DETTO ZIO GIO': L'ANIMA DEL "GIORNALINO"

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    Don Tommaso Mastrandrea (1942-2021), il redattore più famoso del Giornalino: lo gestì per vent'anni, dal 1976 al 1999.


    Il pugliese Don Tommaso Mastrandrea fu il direttore del Giornalino nel suo periodo d'oro (dal 1976 al 1999). Portava il soprannome di Zio Giò, al quale scrivevano i lettori nella rubrica della posta, parlando dei loro problemi e ai quali "Zio Giò" rispondeva. E' stato anche sceneggiatore: realizzò La Bibbia a fumetti negli anni '90, coi disegni di Marco Rostagno, e Il segreto dei quattro codici, disegnato da Sergio Toppi: era una storia sulla vita del beato Giacomo Alberione, fondatore del Giornalino e della San Paolo. La sua opera più famosa, però, è Paulus: una rivisitazione fantascientifica della vita di San Paolo, disegnata da Gianni de Luca. Mastrandrea fece il soggetto e Renata Gelardini si occupò della sceneggiatura. Appena mi sarà possibile ve ne parlerò.

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    UN MUCCHIO DI AUTORI

    Il Giornalino ha sempre cercato di coniugare avventura, fumetto ed educazione, accompagnando la crescita dei ragazzi, sempre nella logica del fratello maggiore, un po’ complice e un po’ punto di riferimento. Riguardo ai fumetti (e illustrazioni, l'ossatura del giornale nella sezione delle rubriche), l'elenco degli autori è sterminato. Abbiamo Attilio Mussino, per esempio, il più famoso illustratore di Pinocchio.

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    Oppure Antonio Rubino (autore liberty famoso per il personaggio di Quadratino del Corriere dei Piccoli); Sebastiano Craveri (autore di molte storie di animali umanizzati); Santo D’Amico (grande autore di storie come Guglielmo Tell; ha anche disegnato alcune avventure italiane dell'Uomo Mascherato); Ennio Zedda (famoso autore sardo); Lino Landolfi (suo il Padre Brown a fumetti); Ruggero Giovannini (realizzò i disegni di Capitan Erik e I biondi lupi del Nord); Gianni De Luca (di cui ho già parlato qui); Gino Gavioli (famose le sue riduzioni di romanzi e fiabe a fumetti); Franco Caprioli (autore dal tratto realista, fece molte riduzioni di romanzi, soprattutto di Giulio Verne); Rino Albertarelli (KIt Carson, Dottor Faust; sul Giornalino fece solo delle illustrazioni); Luciano Bottaro (autore di Pon Pon); Massimo Mattioli (autore del coniglio rosa Pinky, un personaggio simbolo del Giornalino). Ricordiamo tra gli illustratori anche Angelo Bioletto: tra il 1948 e il 1950 disegnò tre famose storie a fumetti di Topolino, scritte da Guido Martina: Topolino e il cobra bianco, Topolino e i grilli atomici, L'inferno di Topolino (1949): quest'ultima fu il capostipite delle "Grandi Parodie" della Disney in Italia. Successivamente, si dedicò all'illustrazione di libri per ragazzi.

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    Cenerentola illustrata da Bioletto


    Poi abbiamo: Giovanni Boselli (realizzò i fintomedievali Bellocchio e Leccamuffo, e il gangster fallito Gec Sparaspara, preso da Jak Mandolino di Jacovitti); Carlo Boscarato, il disegnatore ufficiale di Larry Yuma; Alfredo Brasioli, di cui ho parlato qui. E mi fermo, se no farei un libro. Ma ne parlerò meglio più avanti.

    SCRIVERE PER RAGAZZI NON E' ROBA DA BAMBINI, ANZI.

    "Scrivere per fanciulli" diceva don Alberione "è un'arte singolarmente difficile. Oltre a richiedere una vocazione speciale, richiede anche nell’apostolo (così lui chiamava i suoi collaboratori) una preparazione adeguata e un'attività sapiente". E' un lavoro affascinante, ma anche complesso, che richiede flessibilità e cultura.

    La grande produzione di personaggi e di serie a fumetti realizzata dal Giornalino lo mette in un posto di tutto rispetto nella produzione fumettistica italiana. Non sono mancate le incursioni all’estero (Asterix, i Puffi e Lucky Luke, per esempio), ma la produzione è stata tutta prevalentemente italiana.

    Oltre a questo, il Giornalino aveva presentato anche delle interviste, commenti, inchieste e reportage, invitando scrittori e giornalisti a realizzare degli articoli sul settimanale. Per esempio, tra i giornalisti che scrissero sul Giornalino abbiamo: Folco Quilici, Indro Montanelli, Piero Angela, Ambrogio Fogar, Piero Bianucci, Giancarlo Ligabue, Fulco Pratesi, Maurizio Leigheb, Alfredo e Angelo Castiglioni. Anche lo sport non è stato certo trascurato, con le firme di Gian Paolo Ormezzano a Giacinto Facchetti, Antonio Cabrini, Michel Platini, Paolo Maldini.

    Attualmente, il Giornalino di oggi, purtroppo, non ha più lo stesso livello di allora, e usa un linguaggio più adatto a bambini, che è diventato il nuovo lettore tipo a cui rivolgersi, non più il pubblico di ragazzi di allora. Torna anche ad avere una distribuzione limitata, a livello parrocchiale, anzi, forse meno ancora (ai tempi d'oro, il Giornalino era arrivato anche nelle edicole). Oggi, praticamente, lo si trova solo in qualche libreria delle Paoline, o in abbonamento. Diciamo che vivacchia: ha raggiunto i 100 anni, ma non so se andrà molto oltre.

    (continua)

    BIBLIOGRAFIA

    Fumettologica
  3. .
    PARADISO CANTO 19 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI - IL PROBLEMA DELLA SALVEZZA

    AQUILA
    L'aquila composta dai beati inizia a formarsi nel Cielo di Giove, quello dei Giusti. E' il Cielo dei Re e del Giudizio: per questo si parla qui del Giudizio Finale.


    L'AQUILA - CIOE' I MOLTI IN UNO - INIZIA A PARLARE

    Nel Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti, l'aquila di prima si staglia di fronte a Dante con le ali aperte: è composta da migliaia di spiriti giusti, che godono della visione divina. Ognuno di essi sembra un rubino che scintilla, colpito dai raggi del sole. Ad un tratto, tutte le anime iniziano a parlare insieme come se fossero una cosa sola. Un evento straordinario che Dante si sforza di descrivere: è come se a parlare fosse l'aquila col suo becco, dicendo "io" e "mio", anziché "noi" e "nostro". E' un'unità totale.

    Parea dinanzi a me con l’ali aperte (Appariva davanti a me, con le ali spiegate,)
    la bella image che nel dolce frui (la bella immagine (l'aquila) che, nella dolce visione di Dio)
    liete facevan l’anime conserte; (era formata dalle anime liete)

    "Frui" è "fruire": un infinito sostantivato che significa "godimento". Dal latino "frui", "godere".

    parea ciascuna rubinetto in cui (ognuna delle anime sembrava un rubino)
    raggio di sole ardesse sì acceso, (colpito da un raggio di sole, talmente splendente)
    che ne’ miei occhi rifrangesse lui. (da rifletterne la luce nei miei occhi.)

    E quel che mi convien ritrar testeso, (E ciò che ora devo descrivere)
    non portò voce mai, né scrisse incostro, (non fu mai pronunciato a voce, né scritto con l'inchiostro,)
    né fu per fantasia già mai compreso; (né mai concepito dalla fantasia umana;)

    ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, (infatti io vidi e udii anche il becco dell'aquila)
    e sonar ne la voce e «io» e «mio», (che parlava e diceva con la sua voce «io» e «mio»,)
    quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’ (volendo in realtà dire «noi» e «nostro».)

    Infatti l'aquila parla usando "io" come soggetto, ma per la verità stanno parlando tutti insieme i beati che la compongono, all'unisono:

    E cominciò: «Per esser giusto e pio (E iniziò: «Per essere stato in vita giusto e devoto,)
    son io qui essaltato a quella gloria (io sono qui innalzato a quella gloria)
    che non si lascia vincere a disio; (che non viene vinta da alcun desiderio mortale;)

    e in terra lasciai la mia memoria (e sulla Terra lasciai un tale ricordo,)
    sì fatta, che le genti lì malvage (che persino gli uomini malvagi)
    commendan lei, ma non seguon la storia». (lo lodano, anche se poi non lo seguono».)

    L'aquila - o i beati che la compongono, se preferite - afferma che gli spiriti che la compongono sono stati sulla Terra giusti e devoti: hanno cioè dimostrato le due virtù (giustizia e pietà) attribuite a Traiano nell'episodio del Purgatorio, in cui, nella Cornice dei Superbi, si facevano vedere i modelli di umiltà, come appunto l'imperatore Traiano che ascoltava una vedova. Per questo si pensa che i beati che compongono l'aquila siano soprattutto dei re e principi.
    Dopo questo, Dante sottolinea il fatto dei tanti che parlano come fossero uno solo, col paragone delle braci: come da molte braci promana un unico calore, così dalle molte anime di quell'immagine di aquila usciva un unico suono.

    IL DUBBIO DI DANTE: LA SALVEZZA DEI NON CREDENTI

    Dante si rivolge agli spiriti che formano l'aquila, e che gli sembrano dei fiori che emanano un solo profumo: vuole che gli chiariscano un dubbio, che lui chiama "gran digiuno": sulla Terra non è riuscito mai a chiarirlo (e, sempre in riferimento al digiuno, Dante lo spiega dicendo che questo dubbio-digiuno "lungamente m’ha tenuto in fame"). Si tratta del problema della salvezza per i non credenti. Dante precisa che la giustizia divina si riflette nella gerarchia angelica dei Troni: qui però siamo nel Cielo di Giove, dove c'è la gerarchia angelica delle Dominazioni. Solo nel Cielo successivo, quello di Saturno, c'è la gerarchia angelica dei Troni, che riflettono appunto la Giustizia Divina. Tuttavia Dante è certo che quegli spiriti beati conoscono la Giustizia Divina senza veli. Egli è pronto ad ascoltare la loro risposta, poiché essi conoscono già la sua domanda.

    GERARCHIE ANGELICHE

    Mi rendo conto che, con questi discorsi sui Troni e Dominazioni sia facile perdere un pò il filo del discorso. Per chiarirmi, interrompo un momento la Commedia e presento qui tutte le Gerarchie Angeliche, alle quali avevo già accennato qui:

    CHERUBINI


    - ANGELI: sono la gerarchia più bassa e più vicina agli uomini. Per esempio, ognuno di noi ha un Angelo Custode. Gestiscono il cielo della Luna, il più basso.
    - ARCANGELI: sono sopra gli Angeli: si occupano dei gruppi e delle nazioni. Ogni Nazione, o popolazione, o gruppo etnico, eccetera, ha il suo Arcangelo. Gestiscono il Cielo di Mercurio.
    - PRINCIPATI: sono sopra gli Arcangeli. Sono gli angeli della storia e del tempo, guardiani delle nazioni e delle contee (gruppi di nazioni), e di tutto quello che concerne i loro problemi ed eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo scambio. Gestiscono il Cielo di Venere.
    - POTESTA': sono sopra i Principati. Gestiscono la sapienza e quindi discipline come la filosofia, la teologia, la religione, e a tutti i documenti che appartengono a questi studi. Gestiscono il Cielo del Sole.
    - VIRTU': sono sopra le Potestà. Si chiamano anche "Fortezze". Gestiscono il coraggio saldo e intrepido in tutte le attività, accogliendo le illuminazioni donate da Dio. Sono gli Angeli combattenti e presiedono ai grandi cambiamenti della storia. Gestiscono il cielo di Marte.
    - DOMINAZIONI: sono sopra le Virtù. Sono Angeli che hanno l'incarico di regolare i compiti degli angeli inferiori: ricevono i loro ordini dagli Angeli superiori (Troni, Serafini, Cherubini o anche direttamente da Dio). Gestiscono il Cosmo: devono assicurarsi che il cosmo sia sempre in ordine. Sono gli angeli ai quali Dio affida la forza del dominare. Gestiscono il Cielo di Giove.
    - TRONI: sono sopra le Dominazioni. Il loro compito è quello di tradurre in opera la sapienza e il pensiero elaborato dai Cherubini (per questo riflettono anche la Giustizia Divina, come dice Dante). Gestiscono il Cielo di Saturno.
    - CHERUBINI: sono sopra i Troni. Sono perciò i guardiani della luce e delle stelle: rielaborano le intuizioni immediate dei Serafini traducendole in riflessioni e pensieri di saggezza, riguardanti l'evoluzione dei sistemi planetari. Sono Angeli dediti alla protezione, quindi sono posti a guardia dell'Eden e del trono di Dio. Ad essi è attribuita una perfetta conoscenza di Dio, superata soltanto dall'amore di Dio dei Serafini. Le sculture di due Cherubini contrapposti erano rappresentate sul coperchio dell'Arca dell'Alleanza. Gestiscono il Cielo delle Stelle.
    - SERAFINI: Sono l'ordine più elevato degli Angeli: gestiscono il Cielo Cristallino o del Primo Mobile, il più vicino a Dio. Dall'Empireo, cioè dalla Presenza Divina, ricevono in forma immediata le idee e le direttive con cui far evolvere tutto il complesso cosmico. La Bibbia li raffigura come angeli dotati di sei ali: due per volare, due per coprirsi il volto e due per coprirsi i piedi. Cantano continuamente le lodi di Dio: «Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della Sua gloria». Cantano la musica dei Cieli e regolano il movimento del cielo, così come loro comandato. Ardendo di amore e di zelo per Dio, emanano una luce così potente e brillante che nessuno, se non con occhi divini, può guardarli. Lucifero era un Serafino: dopo la sua ribellione a Dio, diventò satana, che significa "l'avversario", o diavolo (da "diabolos": "colui che divide") e cadde nell'inferno, cioè nell'assenza di Dio, nell'odio eterno.

    L'INIZIO DELLA RISPOSTA

    Nel rispondere alla domanda di Dante, l'aquila sembra un falcone al quale sia stato tolto il cappuccio: infatti, quando questo succede, il falcone inizia a muovere la testa e apre le ali, felice di librarsi in cielo ("Quasi falcone ch’esce del cappello, / move la testa e con l’ali si plaude, / voglia mostrando e faccendosi bello,"). Inoltre, le anime che la compongono intonano un canto che solo loro possono comprendere.

    L'aquila, successivamente, parla: vista la complessità dell'argomento, inizia da lontano. Dice che Dio ha creato l'Universo:

    "Colui che volse il sesto / a lo stremo del mondo"

    cioè "tracciò col compasso i confini dell'Universo". "Sesto" è il termine antico di "compasso". Dio ha creato le cose visibili e invisibili:

    "dentro ad esso / distinse tanto occulto e manifesto" (dentro l'Universo / fece le cose invisibili e visibili)

    Nella creazione, però, il Verbo di Dio (cioè, la sua Essenza, la sua Persona) resta infinitamente oltre ogni creatura. Cioè: nessuno, per quanto grande sia, può contenere Dio: Dio non può essere "contenuto" in una creatura, anche se fosse un Angelo. Per questo, Lucifero, chiamato dall'aquila " ‘l primo superbo", che fu la più alta di ogni creatura, si ribellò per la sua superbia e per non aver atteso la Grazia divina, cioè accettare l'azione amorevole di Dio su di lui. Nella sua superbia, Lucifero non solo si reputò come Dio, ma si credette addirittura superiore a Lui:

    E ciò fa certo che ‘l primo superbo, (E di ciò è prova il fatto che il primo peccatore di superbia (Lucifero)
    che fu la somma d’ogne creatura, (che fu la più perfetta di ogni creatura,)
    per non aspettar lume, cadde acerbo; (fu precipitato dal Cielo per non aver atteso il lume della grazia divina;)

    La visione umana, chiamata dall'aquila "vostra veduta", viene da Dio stesso:

    "convene / esser alcun de’ raggi de la mente / di che tutte le cose son ripiene" ("essa (la visione umana) / è solo uno dei raggi della mente divina / di Colui che è presente in tutte le cose")

    E la visione umana non è in grado, per sua natura, di comprendere il primo principio, Dio:

    "non pò da sua natura esser possente / tanto che suo principio discerna"

    Dio, infatti, è al di là della portata dei sensi dell'uomo:

    "molto di là da quel che l’è parvente"

    Ed è chiaro che qui Dante, per "sensi", non intende solo i cinque sensi, come la vista eccetera: intende anche tutte le capacità intellettuali dell'uomo.

    Per fare un paragone, l'aquila parla dell'occhio umano che vede la profondità del mare all'inizio, quando si trova alla riva. Ma, quando è in mezzo all'Oceano, questo è impossibile farlo. Eppure il fondo del mare c'è lo stesso, come alla riva, anche se non si vede. Allo stesso modo, l'uomo non può vedere la profondità della giustizia divina. Non nel senso che la giustizia divina possa essere ingiusta: anzi è assolutamente giusta. Però è al di là della comprensione dell'uomo.

    oceano
    Non si può vedere il fondo del mare: allo stesso modo non si può pretendere di vedere fino in fondo i giusti giudizi di Dio.


    Solo la luce che deriva direttamente da Dio può illuminare l'uomo:

    "Lume non è, se non vien dal sereno (Dio) / che non si turba mai"

    E questa luce è tale da non essere mai offuscata ("che non si turba mai"). Ogni conoscenza umana, invece, di per sè, essendo limitata, è imperfetta: è oscura ("tenebra"), è viziata dai sensi e dai limiti del corpo ("ombra de la carne") e può portare a credenze errate ("suo veleno"). L'uomo non è onnipotente nè onnisciente: Dio sì. Questo dice l'aquila, in sintesi. E' la prima cosa da tenere da conto.

    UN PROBLEMA SEMPRE SENTITO

    Dante, a questo punto, può capire la risposta al suo dubbio. Lo ripeto in sintesi: se qualcuno nasce in luoghi lontani

    "Un uom nasce a la riva / de l’Indo" (cioè in un luogo lontanissimo)

    dove non ha mai sentito parlare di Cristo

    "e quivi non è chi ragioni / di Cristo né chi legga né chi scriva" (cioè lì nessuno parla, o insegna, o scrive, di Cristo)

    e vive un'esistenza virtuosa senza commettere alcun peccato, insomma è una persona buona - per quanto sia possibile esserlo - e muore senza essere stato battezzato e quindi è privo della fede cristiana (condizione necessaria per essere salvati)...allora non può ottenere la salvezza? Non può salvarsi? Che colpa aveva lui nel non credere?

    "ov’è la colpa sua, se ei non crede?"

    Come può questo conciliarsi con la giustizia divina? Questa domanda se la chiedono anche gli uomini d'oggi: però, come si vede a leggere Dante, non è certo una cosa che l'uomo ha scoperto nel 2000. Il problema si sentiva già nel Medioevo: anzi, c'è già nel Vangelo di Giovanni (14, 22), per esempio, in cui l'apostolo Giuda Taddeo (non Giuda Iscariota, il traditore) chiede a Gesù: "Signore, che è mai successo che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?". Cioè, se tu sei Dio, perchè non ti riveli subito a tutti, visto che lo puoi fare? Perchè ti riveli solo a noi? E Gesù risponde senza dare una risposta diretta, perchè vuole sottolineare qual'è la cosa importante: seguirlo, non farsi delle domande sul suo operato. Chiede insomma fiducia in Lui, anche su questo problema. E la sua risposta è: "Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola". E questo vale per gli uomini di tutti i tempi (anche prima di Cristo) e di tutti i luoghi. E' in pratica la risposta che darà l'aquila a Dante.

    Giuda-Taddeo
    Giuda Taddeo, spesso confuso con Giuda il traditore. Apostolo e cugino di Gesù, è considerato il santo dei casi impossibili: ogni preghiera a lui è sicura di essere esaudita.


    LA RISPOSTA

    Per prima cosa, l'aquila spiega che Dante, in quanto uomo, non può certo ergersi a giudice di una questione così profonda, né pretendere di vedere con la sua vista limitata una verità che dista mille miglia da lui. Sono cose troppo alte da comprendere appieno. Non bisogna pretendere di capire ogni cosa: altrimenti saresti come il bambino che vuole capire tutto del padre, sia della sua vita che del mondo attorno a lui, compresi i problemi politici e sociali. Tipo Mafalda, la bambina di Quino, che pretende di capire tutto senza capire nulla.

    Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, (Ora chi sei tu, che vuoi ergerti a giudice)
    per giudicar di lungi mille miglia (e sentenziare a mille miglia di distanza,)
    con la veduta corta d’una spanna? (con la vista che a malapena arriva a una spanna?)

    L'aquila dice che chi fa dei ragionamenti elaborati e sottili sulla giustizia divina su questo problema, senza tenere da conto quello che dice la Bibbia, va a finire che sragiona. Per esempio, la Bibbia dice: "Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità." (Prima Lettera di San Paolo a Timoteo 2, 3-4). In sostanza, la Scrittura dice che è verità di fede che Dio vuole tutti salvi, anche quelli lontani: come, in che modo, questo lo sa Lui. E ognuno, credente o no, è libero di scegliere se accogliere la Sua salvezza o no. L'importante, però, è non preoccuparsi di questo problema, ma seguire Gesù e predicarlo con la propria vita agli altri. Esattamente quello che ha detto Gesù a Giuda Taddeo nell'esempio di prima.

    Certo a colui che meco s’assottiglia, (Certo colui che fa sottili ragionamenti ("s'assottiglia") su di me (cioè sulla giustizia divina: l'aquila qui si identifica con essa)
    se la Scrittura sovra voi non fosse, (se non ci fosse al di sopra di voi la Sacra Scrittura)
    da dubitar sarebbe a maraviglia. (potrebbe dubitare in modo sorprendente)

    L'aquila deplora la superficialità dei giudizi umani. La volontà di Dio è di per sé buona e non si è mai allontanata da se stessa: è come dire che Dio è buono, anzi "solo Dio è buono", e resta sempre tale. E quindi vuole, come un Padre, la salvezza di tutti i suoi figli. La risposta, però, spetta sempre a loro, che siano credenti o meno. Nel Giudizio Finale, Gesù giudicherà non chi è stato cristiano e chi non lo è stato, ma chi ha amato e chi no. "Venite, o benedetti del Padre mio: perchè ero affamato e mi avete dato da mangiare; ero assetato e mi avete dato da bere; ero nudo e mi avete vestito; ero malato e mi avete visitato; ero in prigione e siete venuti a trovarmi. E agli altri: Via, lontano da me, maledetti, perchè ero affamato e non mi avete dato da mangiare; ero assetato e non mi avete dato da bere; ero nudo e non mi avete vestito; ero malato e non mi avete visitato; ero in prigione e non siete venuti a trovarmi."

    Oh terreni animali! oh menti grosse! (Oh, creature terrene! Oh, menti grossolane!)
    La prima volontà, ch’è da sé buona, (La prima volontà (Dio), che è buona di per sé,)
    da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. (non si è mai mossa da se stessa che è il sommo bene.)

    Qui è la conclusione dell'aquila: la volontà divina è giusta, perchè è buona ed è da essa che viene la bontà delle azioni umane. Infatti, ogni buona azione dell'uomo viene da Dio, non dall'uomo: è Dio che ci fa buoni, non siamo noi a diventarlo con le nostre forze. Non significa però che siamo delle marionette: Dio ci ispira il bene, però siamo noi a rispondere liberamente alle sue ispirazioni, accettandole (quindi facendo il bene) o rifiutandole (quindi facendo il male):

    Cotanto è giusto quanto a lei consuona: (Tutto ciò che è conforme alla volontà divina è giusto: )
    nullo creato bene a sé la tira, (nessuna creatura è capace, da sola, di attirare a sé Dio, (cioè di fare il bene senza di Lui)
    ma essa, radiando, lui cagiona».(ma è Dio stesso che ci manda ("radiando") la grazia di amare e di essere buoni)

    Che c'entra questo con il problema dei non cristiani? C'entra, perchè è Dio che ispira tutti - cristiani e non - alla salvezza. Quindi, non bisogna stare a dire "poverini, quelli lì non conoscono Dio": piuttosto, è Dio che conosce loro. Per questo bisogna lasciar fare a Lui. Senza però, per questo, da parte nostra, trascurare quello che Gesù ha comandato a noi cristiani: la predicazione della fede cristiana ai non credenti.

    giustizia
    La giustizia divina è infinitamente più giusta e più misericordiosa della nostra. Perchè noi non vediamo tutto: Dio sì.


    L'IMPORTANTE E' CREDERE E AGIRE DI CONSEGUENZA

    Al termine del suo discorso, l'aquila inizia a volteggiare intorno a Dante, come fa una cicogna che ha appena sfamato i piccoli, e il poeta la guarda ammirato. L'aquila intona un canto che Dante non comprende: come lui non comprende il canto, così lui non può comprendere la giustizia divina, spiega l'aquila. Essa è giusta, ma è oltre la comprensione umana. Come dire: se te la spiegassi, non la capiresti. Proprio come faceva il padre di Mafalda - una bambina delle Elementari - che rispondeva in questo modo alle sue richieste di spiegarle la situazione della guerra in Vietnam:

    "Mafalda, anche se ti spiegassi il problema del Vietnam, non lo capiresti."

    Mafalda
    Il mondo, Mafalda, non è un mappamondo. Non puoi capire tutto.


    L'aquila riprende la sua posizione e torna ad essere simile al simbolo dell'Impero Romano, quindi ricomincia a parlare e dichiara che nessuno è mai asceso al Paradiso, senza aver creduto in Cristo venturo o venuto:

    esso ricominciò: «A questo regno (l'aquila, diventata il simbolo dell'Impero Romano riprese a dire: «In questo regno (in Paradiso)
    non salì mai chi non credette ‘n Cristo, (non è mai asceso chi non ha creduto in Cristo,)
    né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. (prima o dopo la sua crocifissione.)

    In Paradiso non ci va chi non crede in Cristo: nè prima della sua venuta, nè dopo di essa. E' come dire che quello che conta non è nascere prima o dopo Cristo, ma credere in Lui. E, in un modo misterioso, ci sono i pagani che hanno creduto in Cristo senza conoscerlo: "Chi è dalla verità ascolta la mia voce", dice Gesù a Pilato. Questo però significa che i cristiani, che hanno saputo la verità in modo diretto grazie alla Chiesa, davanti a Dio sono molto più responsabili di chi non ha potuto conoscere questa verità in vita. Infatti, poco dopo, l'aquila farà un monito severo a tanti cosiddetti "principi cristiani" che, invece, si sono comportati da pagani che non hanno mai conosciuto Cristo. E la loro punizione sarà più dura: "A chi è stato dato molto, sarà chiesto molto" dice sempre Gesù.

    Molti cristiani sulla Terra, dice l'aquila, hanno sempre il nome di Cristo sulle labbra: ma, nel Giorno del Giudizio, saranno a Lui molto meno vicini di tutti quegli altri uomini che non l'hanno mai conosciuto e sono morti senza battesimo, ma l'hanno amato senza conoscerlo. E un Etiope, morto senza la fede, potrà condannare quei falsi cristiani nel momento in cui il giudizio divino separerà in eterno le anime fra gli eletti, destinati alla salvezza, e i reprobi, destinati alla dannazione. Che diranno i Persiani (cioè, gli infedeli), aggiunge l'aquila, ai vostri re cosiddetti "cristiani", quando vedranno aperto il Libro della Vita, quel libro nel quale Dio ha scritto tutte le loro malefatte?

    I PRINCIPI CRISTIANI CORROTTI

    Nel presentare i cristiani corrotti, l'aquila userà dodici terzine (composizioni di tre versi: per esempio, "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai in una selva oscura / dove la dritta via era smarrita" è una terzina). Queste terzine si possono riunire in tre gruppi di quattro:
    - il primo gruppo inizia sempre con la "L" di "Lì si vedrà";
    - il secondo gruppo inizia sempre con la "V" di "Vedrassi";
    - il terzo gruppo inizia sempre con "E".
    Unendo le iniziali, si forma così LVE, cioè "lue", sinonimo di «peste». Dante così fa riferimento alla lue dei principi cristiani corrotti che sono di cattivo esempio, nonostante dicano sempre: "Signore, Signore".

    Nel Libro della Vita, inizia l'aquila, si leggeranno tutte le cattive azioni di re e sovrani che si dicono "cristiani" come:
    - l'Imperatore Alberto I Asburgo d'Austria, che nel 1304 invase la Boemia e la capitale Praga, provocandone la distruzione;
    - Filippo il Bello (il re di Francia famoso autore dello schiaffo di Anagni e della Cattività Avignonese, oltre al falso processo ai Templari), che causerà danno alla Francia, coniando monete false per sopperire alle spese della guerra contro le Fiandre. Morirà per il colpo di un cinghiale (il re infatti cadde da cavallo durante una battuta di caccia, perché un cinghiale si mise tra le zampe della sua cavalcatura);
    - i re di Scozia e d'Inghilterra, che non si rassegnano a restare nei propri confini e si fanno guerra tra di loro (Edoardo I qui è il re d'Inghilterra);
    - Ferdinando IV, re di Spagna, lussurioso e vizioso;
    - Venceslao II di Boemia, pure lui lussurioso; questo re e il precedente non conobbero mai, né vollero, alcun "valore", cioè fare azioni positive;
    - Carlo II d'Angiò, (chiamato con disprezzo "ciotto di Ierusalemme", cioè "lo zoppo di Gerusalemme": era zoppo e si era fregiato del titolo onorifico di "re di Gerusalemme") con pochissime buone azioni (indicate con una "I", uno in cifre romane, cioè pochissime), e moltissime malvagità (indicate con una M, mille in cifre romane: quindi tantissime);
    - Federico II d'Aragona re di Sicilia ("l’isola del foco, / ove Anchise finì la lunga etate", cioè, dove morì Anchise, il padre di Enea. "Isola del foco" per la presenza dell'Etna). Avaro e vile, le sue cattive azioni saranno scritte con caratteri abbreviati per mostrare la sua dappocaggine (cioè: si potranno scrivere le sue molte malefatte con caratteri piccoli, in un piccolo spazio, per risparmiare e metterli tutti).
    - Giacomo re di Maiorca, zio di Federico II, autore di varie empietà;
    - Giacomo II d'Aragona, fratello di Federico II: sia lo zio che il fratello hanno disonorato la loro famiglia e due corone.
    - Dionigi, re di Portogallo, autore di malefatte;
    - Acone V, re di Norvegia, autore di altre malefatte;
    - Stefano Uros, re di Serbia ("Rascia", il nome antico della Serbia), pure lui autore di malefatte: sostituì la moneta veneziana, diffusa in tutti i Balcani, con la propria, con un'operazione fraudolenta;
    - come eccezione, felice sarà l'Ungheria, perché conoscerà il buon governo di re Caroberto, figlio di Carlo Martello d'Angiò;
    - la Navarra, nonostante la difesa dei monti Pirenei, passerà sotto la monarchia francese, con suo grave danno.
    - come anticipo di questo si duole già l'isola di Cipro (Niccosia e Famagosta), sottoposta al governo di Arrigo II di Lusignano ("la lor bestia"), anch'egli appartenente alla casa di Francia.

    In pratica, non si salva nessuno. O quasi.

    COMMENTO

    Dante capisce che in Terra è necessario un garante della giustizia per tutti, non solo per i potenti e i ricchi. Questo garante è, nella sua visione, l'Imperatore. Oggi non c'è più un "garante per tutti", ma è necessario che ci sia un'autorità - democratica o regale - che faccia giustizia. Nel sesto cielo di Giove, come si è visto nel Canto precedente, alcune anime si dispongono di fronte a Dante, creando la scritta Diligite iustitiam, qui iudicatis terram ovvero «amate la giustizia voi che giudicate la terra». E' il primo versetto del Libro della Sapienza, redatto da Re Salomone. Quindi è stato scritto da un re, che avvisa agli altri re su come comportarsi. E questo è uno dei temi principali del Cielo di Giove: la giustizia terrena amministrata dai potenti.

    Il Canto affronta anche il problema della giustizia divina e della salvezza di chi non ha mai conosciuto Cristo, argomento che continuerà col Canto successivo. Per la prima volta, qui in Paradiso c'è...un "elenco dei cattivi". Cattivi cristiani regnanti, messi in contrapposizione con chi non conosce Cristo direttamente, ma, per grazia di Dio, lo può conoscere.

    La giustizia di Dio opera in modo misterioso con gli uomini vissuti in modo virtuoso, ma senza conoscere il messaggio cristiano: i pagani vissuti prima di Cristo, o quelli che non l'hanno mai conosciuto dopo la sua venuta. Oppure i bimbi morti senza battesimo. Dante presenta il Limbo per questo tipo di anime, nella Commedia: questo non è un dogma di fede, ma una supposizione. Comunque, vero o no che sia il Limbo, Dante, con quella realtà, aveva indicato la necessità del battesimo e della diffusione della verità cristiana a tutte le genti. Gesù infatti aveva detto agli Apostoli di diffondere il Vangelo e il Battesimo a tutte le genti: al resto ci pensava Lui, in modi che noi non sappiamo. Però i cristiani, intanto, devono fare la loro parte: diffusione del Vangelo e Battesimo.

    L'aquila sostiene l'imperfezione e la limitatezza della ragione umana al cospetto di quella divina; inoltre, dichiara che l'intelletto umano non può pretendere di capire la giustizia di Dio, che è sì giusta, ma nello stesso tempo è oltre le capacità limitate di comprensione dell'uomo, che è solo una creatura. Bisogna aver fede nella sua Potenza e nel Suo amore, come disse Dio a Giobbe. Poi l'aquila ammonisce gli uomini a non essere superbi come Lucifero, e a non pretendere di vedere con la propria vista limitata quelle verità che distano mille miglia da lui. Prende poi spunto dal suo discorso sulla giustizia divina per rivolgere un'aspra invettiva contro i cattivi principi cristiani, che, nonostante abbiano avuto il lume della fede, hanno commesso innumerevoli malefatte.

    Se nel Quinto Cielo di Marte prevaleva l’immagine della croce, simbolo della redenzione, nel Sesto Cielo di Giove si staglia l’immagine dell’Aquila, simbolo dell’Impero: all’Impero infatti la provvidenza di Dio ha affidato l’ordine universale. Dal cielo di Giove deriva quindi la giustizia umana, che l’Impero ha il compito di mantenere nel mondo. Oggi, al posto dell'Impero, ci sono i Governi: ma la sostanza - e la responsabilità, attenzione - non cambia.

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xix.html
  4. .
    ZAGOR 161-165: AFFONDATE IL DESTROYER! (analisi di Ivan)
    (Qui l'analisi di Joe7)

    Testi: Guido Nolitta (Sergio Bonelli) e Decio Canzio
    Disegni: Franco Donatelli e Francesco Gamba
    Pagine: 380
    Anno: 1979

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    Zagor edizione originale Zenith: n. 212-216 (usciti nel 1978-79). I numeri reali di Zagor sono 161-165. Infatti, l'edizione Zenith originale pubblicò Zagor a partire dal numero 52, quindi ha la numerazione sfasata che continua ancor oggi, con 51 numeri in più. Prima del numero 52, pubblicava storie di altri personaggi bonelliani come Hondo, Kociss, eccetera. Tutte le varie ristampe di Zagor, invece, seguono la numerazione reale, cioè coi numeri 161-165.

    TRAMA
    Nota: essendo una storia piena di colpi di scena, contiene quindi molti SPOILER. Chi legge è avvertito.

    Zagor e Cico vanno verso la zona dei Grandi Laghi, nel paese di Big Bay, per rispondere alla chiamata di Daniel Bowie, un amico di Zagor. Durante il viaggio, incontrano il colonnello Grant, che viene assalito insieme alla sua scorta da una banda di fanatici separatisti che vogliono ritornare ad essere governati dagli inglesi (siamo vicini al confine col Canada, territorio inglese). Zagor aiuta Grant a superare il blocco e alla fine incontra Daniel, al cimitero di Big Bay, dove commemora le lapidi dei suoi compagni uccisi dal "Destroyer", una corazzata galleggiante costruita dagli inglesi per compiere atti di pirateria e usurpare la proprietà dei Grandi Laghi agli americani, dando così sostegno ai separatisti. Il "Destroyer" è comandato dal generale Butcher "il macellaio", un uomo crudele e spietato, che non solo attacca le imbarcazioni, ma mette a ferro e a fuoco anche la città di Barley, vicino a Big Bay, attaccandola coi suoi cannoni. Per evitare una guerra aperta con l'Inghilterra, il generale Grant propone a Zagor e Daniel, insieme al trapper Mac Enroe, che conosce la zona, di inoltrarsi sotto falso nome nei boschi del Canada per distruggere quella fortezza galleggiante. Ma l'impresa, dopo molte difficoltà, finisce in un fallimento e quasi tutti finiscono ammazzati, compreso Mac Enroe, a causa del tradimento di Neal, un uomo del gruppo di Grant, che si rivela essere al servizio degli inglesi. Tutti diventano prigionieri di Butcher e Zagor viene torturato dallo spietato comandante. Quando tutto sembra perduto, Zagor, aiutato dalla pioggia, riesce a liberarsi e a uccidere Neal, liberando i suoi compagni. Approfittando della notte, salgono di nascosto sul Destroyer, catturando Butcher e gli altri. Preso possesso del Destroyer, Zagor e Grant lo usano contro la nave della marina inglese che aiutava Butcher. Successivamente, piazzano delle cariche esplosive e mettono Butcher e i suoi uomini su una scialuppa. Al momento della distruzione del Destroyer, Butcher sale, non visto, sul Destroyer, per avere la rivalsa, ma rimane coinvolto nell'esplosione.

    COMMENTO

    Buona storia del periodo "Silver Age", con la particolarità di essere stata scritta a quattro mani da Nolitta e da Canzio. Il risultato finale è più che buono, anche se è difficile attribuire i vari pregi & difetti ad un autore oppure all'altro.

    Sulla paternità di questa storia girano tante voci non confermate. A quanto pare, il soggetto è di Nolitta, che avrebbe scritto anche la sceneggiatura della prima parte (non si sa bene fino a quale punto) per poi venire completata da Canzio sulla base del soggetto nolittiano. Come che sia, si nota che non è una storia "nolittiana al 100%": in alcune sequenze, non possiede il suo tipico pathos...ma è difficile stabilire se ciò sia dovuto al cambio di mano con Canzio oppure al personale mutamento di stile che il Sergione stava già attuando da qualche tempo sulla testata Zagor. :=/:

    Tutta la prima parte (quella sceneggiata presumibilmente dal solo Nolitta) funziona piuttosto bene. Spiccano in particolare:
    - Le cruente azioni di guerra del Destroyer;
    - L'impotenza della flotta americana;
    - La prudenza delle autorità per evitare incidenti diplomatici tra USA e Inghilterra;
    - La conseguente decisione di organizzare un commando che sconfini in incognito sul suolo anglo-canadese per far esplodere la corazzata.
    Tutto molto dinamico ed avvincente (al netto di alcune lungaggini di troppo nel ritmo narrativo).

    La vera discriminante tra lo stile di Nolitta e quello di Canzio sta nei DIALOGHI. Nella seconda parte, è infatti possibile riscontrare molti dialoghi non in linea con quelli "tradizionali" del Sergione. Li definirei banalotti, freddamente funzionali, ma privi di quella enfasi tipicamente nolittiana.

    Anche le invenzioni per far procedere la trama sono ben poco nolittiane; probabilmente nel soggetto di Nolitta erano riportate solo delle indicazioni sommarie, e Canzio le ha risolte alla propria maniera (cioè più in stile "Piccolo Ranger" che in stile "Zagor"). :=/:

    (NOTA: Canzio è stato sceneggiatore di molte storie del Piccolo Ranger, dove capitavano spesso situazioni simili)

    Pure le gag di Cico, a volte, non sono coerenti con quelle tipiche del Cico nolittiano. Sembrano battute di un autore che ha studiato il personaggio solo superficialmente, e lo fa agire/parlare per semplice imitazione a grandi linee dell'originale, ma senza averne colto l'essenza di fondo. Ribadisco la mia idea che nessun autore può comprendere appieno il vero Zagor se non comprende anche il vero Cico. Per me questa è una regola imprescindibile.

    Daniel incarna bene lo stereotipo del patriota americano su una terra di confine. Di lui val la pena menzionare la struggente scena iniziale al cimitero, e la sua reazione indignata ad una frase "disfattista" di Cico:

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    Butcher (di nome e di fatto): decisamente una carogna come poche. Svolge bene il ruolo di antagonista, ed è odioso quanto basta per risultare indimenticabile...però, secondo me, il suo aspetto crudele è stato sovraccaricato oltremisura, al punto che, più che un fanatico revanscista, appare un sadico che si è unito alla causa inglese solo per poter sfogare liberamente i suoi istinti omicidi. A mio parere, avrebbe dovuto essere più caratterizzato dal punto di vista "ideologico", in modo da relazionare la sua crudeltà ad un preciso scopo militare. Intendo: sghignazzare compiaciuto mentre cannoneggia dei poveracci non ha nulla a che fare con un'ideologia politica, è solo gusto personale nel veder soffrire altri esseri umani. Lo avrei visto meglio più flemmatico (tipo il suo omologo Warwick in Fucilazione, che mai lo si è visto godere per i massacri commessi dal suo esercito). :=/:

    zgr161f


    Il (finto) giallo del traditore. Orsù, alzi la mano chi non aveva già capito con largo anticipo che la spia del gruppo era Neal (la inutilmente lunga – in apparenza – sequenza dell'accensione del sigaro avrebbe fatto nascere immediati sospetti persino ad un lettore ritardato.) :rolleyes:

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    I gialli di Nolitta sono sempre stati abbastanza all'acqua di rose, ma del resto non ha mai dimostrato molta passione per il giallo di tipo "whodunit" ("Chi l'ha fatto?"). Quindi Neal poteva benissimo essere mostrato fin da subito come il traditore, tanto l'importante è che non lo sapessero i suoi compagni di pattuglia (poiché la storia viene vissuta attraverso gli occhi dei protagonisti e non dei lettori).

    La scena della trappola nell'avamposto mi sembra realizzata male. I soldati inglesi aspettano allo scoperto i nostri eroi, gettando alle ortiche l'effetto sorpresa. Che tattica sarebbe? Quella di scambiarsi fucilate, sperando di sparare meglio degli avversari? Il difetto sta nella sua dinamica: il commando di Grant finisce in una trappola, vengono circondati dai soldati inglesi, hanno una dozzina di fucili puntati su di loro...e nonostante ciò, reagiscono facendo secchi tutti come se nulla fosse! :huh: Insomma, una situazione disperata risolta con una faciloneria disarmante, per nulla verosimile (cosa sono 'sti soldati inglesi, dei bradipi? Alla prima mossa sospetta dei circondati, dovrebbero ridurli tutti a un colabrodo in 1 secondo). =_= Lì ci voleva un'invenzione narrativa che riequilibrasse la posizione di estremo svantaggio degli assediati, tipo il minacciare di far esplodere la bomba se gli inglesi non avessero abbassato i fucili, o un qualche altro trucco a sorpresa...ma così come si è vista, la scena non convince proprio. :?

    Intensa la scena del confronto tra Butcher e Zagor appeso sottosopra. Lo stile dei dialoghi rivela che è opera di Canzio, tuttavia questa sequenza gli è riuscita in modo particolarmente...nolittiano. Raramente si è visto un cattivo così amorale e fiero di esserlo nella saga. Un approfondimento psicologico sublime ma che dura troppo poco, in particolare in quel che poteva uscire nel confronto con l'eroe.

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    Canzio aveva fatto tutto bene...ma ha rischiato di rovinare tutto con la replica finale di Zagor "Ho capito: sei un idiota!" =_=

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    No, Butcher non è affatto un "idiota". Questo potrebbe pensarlo solo una persona superficiale che ha bisogno di risposte facili facili sul PERCHE' certi individui commettono atroci nefandezze: "Fanno del male perché sono degli idioti, punto". E per Canzio non c'è da sprecare altro tempo in riflessioni (mentre invece di elementi su cui riflettere ce ne sarebbero eccome...ma non è questa la sede per approfondire l'argomento). Al posto di "Sei un idiota", sarebbe stato più appropriato se Zagor avesse risposto una cosa tipo "Certo che ho capito, Butcher...In realtà tu sei solo un sadico vigliacco che si nasconde dietro l'alibi della causa inglese per soddisfare il suo gusto di fare del male agli indifesi!" Non la trovate più funzionale?
    Butcher è un malvagio abbastanza particolare, dato che, di solito, i cattivi lo sono "funzionalmente": cioè, vogliono impossessarsi di qualcosa, o uccidere qualcuno. Lui invece lo era "a prescindere", proprio per come è fatto. Insomma, Butcher è l'uomo che alla domanda: "Perché fai tutto questo male?", risponde compiaciuto: "Perché posso". Infatti. Solo per quello, "perché può". E tanto gli basta. Mi sembra infatti che a Butcher non importi un granché della causa inglese, e che, se gli americani gli avessero offerto lo stesso incarico (cioè poter massacrare cittadini inglesi inermi) per lui non avrebbe fatto nessuna differenza. Del resto, lui stesso non ha mai detto "Io disprezzo gli americani", bensì "Io disprezzo la gente comune"...quindi, presumibilmente, anche la gente comune di cittadinanza inglese.

    Dopo la conquista del Destroyer, lascia perplessi la scelta del colonnello Grant di lasciare libero Butcher. :huh: Ma scherziamo? Il Macellaio deve rispondere di genocidio contro cittadini inermi, mica bruscolini! (Insomma...Ve li immaginate gli abitanti di Big Bay, se gli dicessero che il responsabile dei vili massacri è stato lasciato tranquillamente andare dopo la sua cattura? Se volessero impiccare Grant, non potrei certo dargli torto.) :angry:

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    Il contro-assalto di Butcher è un'ottima trovata, che rivitalizza una storia che sembrava ormai conclusa. Efficace il modo in cui Nolitta/Canzio gioca sul fattore tempo, facendo coincidere l'esplosione del Destroyer proprio con l'istante in cui Butcher stava per attivare il cannone che avrebbe spazzato via la barca di Zagor & C.

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    Altra perplessità nel finale, quando Zagor appare quasi rattristato per la fine di Butcher. :huh:

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    Personalmente l'ho trovato uno spreco di sentimentalismo, del tutto fuori luogo. Un commiato di omaggio ad un nemico può starci bene – ad esempio – per la morte di Ben Stevens...ma non certo per quella di Butcher, il quale non era altro che un folle assassino senza nessuna attenuante per i suoi crimini. <_< Qui probabilmente Canzio non ha studiato bene la filosofia con cui Zagor mostra pietas verso un nemico morto; secondo me, Nolitta non avrebbe mai fatto concedere da Zagor questo onore ad una carogna come Butcher. E se lo avesse fatto, è presumibile che avrebbe espresso lo stesso concetto con parole meno banali (diciamolo: il discorso di Zagor è scioccherello, da chierichetto mormone. "Chi siamo noi per giudicare?" Ma santo cielo, Canzio...Cosa dovremmo pensare, allora, della "giudiziosa" promessa fatta da Zagor a Nicholson, che in confronto a Butcher era un angioletto?)

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    IN DEFINITIVA:

    La storia è buona, ma non buonissima. Avrebbe potuto esserlo SE fosse stata interamente sceneggiata da Nolitta. E' il tipico esempio che dimostra che il COSA raccontare (il soggetto) conta assai meno del COME raccontarlo (la sceneggiatura). In questo caso, Canzio si è attenuto fedelmente al soggetto di Nolitta: ma le differenze di stile narrativo sul COME trasporre le medesime scene risaltano notevolmente (almeno qui sulla testata Zagor; probabilmente sul Piccolo Ranger sarebbero risultate invece meno stridenti). Insomma, nonostante che il risultato finale sia più che dignitoso, parlerei tranquillamente di occasione mancata per realizzare una storia da top ten. :=/:

    DISEGNI: Curioso lavoro in tandem tra Donatelli e Gamba, come già visto in Il cavaliere misterioso. Tuttavia, data la similarità del loro segno, il contrasto di stili non stona più di tanto. Sul piano delle copertine, magnifica quella di LA RESA DEI CONTI.

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    Storia: 7,5 (8 le parti di Nolitta, 7 quelle di Canzio)
    Disegni: 7 (Donatelli) 6,5 (Gamba)
  5. .
    36 - INVITO A PRANZO

    Arriva l'autunno. Peline asciuga i panni e se li toglie, mentre Barone abbaia agli scoiattoli. Arriva Rosalie, che le dice che l'ingegner Fabry è tornato dall'Inghilterra.
    "Ha chiesto di te, vuole invitarti a cena all'osteria" aggiunge.
    "Ci verrò volentieri. Oggi è anche una bella domenica."
    Rosalie osserva i panni di Peline che sono stesi e nota che sono ormai logori e consunti. Perplessa, le dice che ha un cappotto usato che non le serve più, potrebbe farle comodo.
    "Ti ringrazio, ma per ora non penso di averne bisogno."
    Rosalie resta in silenzio: per la prima volta ha capito che Peline è davvero povera, ben più di quello che pensava.

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    Più tardi, Peline è a tavola con l'ingegner Fabry: la ragazza gli racconta tutto quello che le è successo.
    "Fare l'interprete è pesante" commenta lei.
    Arriva il padre di Rosalie, che porta il piatto. Peline è contenta per l'arrivo di Fabry, anche se questo significa che non c'è più bisogno di lei come interprete, visto che Fabry conosce bene l'inglese. Domani dovrà ritornare a spostare i carrelli in fabbrica.
    Il giorno dopo, Guillaume, il conducente, porta ancora Peline a Saint-Pepoy. Guillaume, tra vari giri di parole, fa capire a Peline che, se non vuole ritornare ai carrelli, potrebbe spiare Pandavoine per conto di Toluel, come sta facendo lui (anche se questo non lo dice a Peline). La ragazza però si mostra indignata e dice a Guillaume di non parlarne più.

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    Quando Peline arriva, vede l'ingegner Fabry che parla con gli ingegneri inglesi e lei sta da parte, visto che il suo lavoro di interprete non serve più: ormai il suo lavoro è finito e, tra l'altro, si chiede cosa l'hanno portata lì a fare. Ad un certo punto, il signor Pandavoine, presente anche lui sul posto, chiede:
    "Come mai non ho sentito oggi la voce di Aurelie? Non l'avete portata qui?"
    "E' dietro di voi, signor Pandavoine. Non parla perchè non sa cosa fare. Anzi, le chiedo di non riportarla a muovere i carrelli" spiega l'ingegner Fabry.
    "Aurelie, perchè non parli?" chiede Vulfran.
    "Ecco, pensavo di non dover dire niente" spiega Peline.
    "Sentimi bene, Aurelie: non sei tu a decidere per conto tuo cosa fare. Devi agire secondo quello che ti dico di fare. Ingegner Fabry, quando mai ho detto di riportarla ai carrelli? Aurelie, vai nel mio studio: devi tradurmi delle lettere. Ti raggiungerò tra poco."
    "Sì, signor Pandavoine" Peline si allontana.
    "Continui, ingegner Fabry."
    "Sissignore."

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    Quando Pandavoine entra nello studio, porge delle lettere a Peline, ma, prima di toccarle, Pandavoine gli dice:
    "Ho saputo che hai perso tua madre, è così?"
    "Sì, è morta a Parigi qualche mese fa."
    "E tuo padre?"
    "E' morto anche lui, prima della mamma."
    "Ma come hai fatto a venire fin qui da Parigi a Maraucourt?"
    "Ecco, avevo preso un treno, ma non avevo abbastanza soldi e mi sono fermata alla prima stazione: da lì sono andata avanti a piedi."
    "A piedi? Fino a Maraucourt?" commenta Pandavoine sorpreso.
    "Sì."
    "Ma avevi dei soldi, almeno?"
    "Circa 5 franchi."
    "Assurdo. Raccontami come hai fatto a fare un viaggio simile."
    "Ma le lettere..."
    "Non mi interessano! Dimmi come hai fatto ad arrivare fin qui. Che razza di viaggio hai fatto a piedi? Raccontami."
    Peline inizia a raccontare: la storia della fornaia che l'aveva imbrogliata, il suo crollo, l'aiuto di La Rocquerie. Pandavoine ascolta tutto in silenzio.

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    Alla fine chiede: "Quanti anni hai?"
    "13 anni."
    Pandavoine non sa cosa dire. All'improvviso, suonano le sette.
    "Abbiamo fatto tardi, devo tornare a Maraucourt. Metti via le lettere, le leggerai dopo" dice Pandavoine, alzandosi.
    Quando scendono, si accorgono che la carrozza è senza il cocchiere, Guillaume.
    "Che significa, Benoix? Dov'è Guillaume?" chiede Pandavoine seccato.
    "Er...ecco...al momento non c'è, mi dispiace, potrebbe aspettare un pò?"
    "Sta scherzando? Devo andare adesso a Maraucourt! Trovi un altro cocchiere, subito!"
    "Ma...non ce ne sono" balbetta spaventato Benoix.
    Peline allora dice che lei è capace di guidare una carrozza.
    "Va bene. Allora sali alla guida" dice Pandavoine.
    Benoix protesta, dicendo che è imprudente far guidare una carrozza da una ragazzina, ma Pandavoine non replica nemmeno.
    "Parti."

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    La carrozza si avvia, e Pandavoine commenta: "Sei brava a guidare la carrozza."
    "Lo faccio da anni" risponde lei.
    A quel punto, esce Guillaume, ubriaco, dall'osteria e vede, sorpreso, la carrozza di Pandavoine, guidata da Peline. Si mette davanti al cavallo e Peline è costretta a fermarsi.
    "Che succede?" chiede Pandavoine.
    "E' il vostro cocchiere, signor Pandavoine. Si era messo davanti al cavallo" spiega Peline.
    "Adesso posso guidare io" le dice Guillaume "Grazie per aver guidato fin qui."
    Peline si alza per dargli il posto, ma Pandavoine, con un gesto, la ferma e chiede al cocchiere:
    "Hai bevuto di nuovo, vero, Guillaume?"
    "Ecco, signor Pandavoine..." replica lui, sudando freddo.
    "Ti avevo detto più volte di non farlo, vero?"
    "Sì, signor Pandavoine, mi dispiace."
    "Non ho più bisogno di te, Guillaume. Sei licenziato."
    "Cosa? Ma sono stato al vostro servizio per 15 anni, signor Pandavoine! Non potete..."
    Anche Peline replica a Pandavoine: "Ma..."
    "Non perdono chi mi tradisce. VIA!"
    Pandavoine colpisce il cavallo col bastone, che nitrisce e galoppa via. Guillaume si accascia a terra, vedendo la carrozza che si allontana:
    "Perdono, signor Pandavoine! Non lo farò mai più!"
    Ma ormai la carrozza è scomparsa.

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    Quando arrivano alla fabbrica, Toluel è sorpreso di vedere Peline alla guida della carrozza di Pandavoine.
    "Ma, signor Pandavoine, che è successo a Guillaume?"
    "L'ho licenziato."
    "Cosa?" Toluel è esterrefatto.
    "Puoi andare a casa, Aurelie" conclude Pandavoine.
    Peline torna alla sua casetta, sorpresa dalla severità del nonno: capisce che è meglio tacere sulla sua identità. Ma cosa può fare adesso, che c'è l'autunno alle porte e non potrà più stare nella costruzione di legno, che è una postazione per i cacciatori? Dove andrà?

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  6. .
    28 - GITA IN CAMPAGNA

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    Heidi sta leggendo la fiaba di Pollicino nel libro che le ha regalato la nonna: senza che se ne sia resa conto, ha imparato a leggere. La Rottenmeier la chiama: è ora di lezione. Nel frattempo, la nonna vorrebbe parlare con la Rottenmeier:
    "Vorrei parlarle di Heidi."
    "Ma adesso c'è la lezione" protesta lei.
    "Vorrei parlarle anche delle lezioni."
    Intanto, Heidi legge le parole seduta accanto a Clara e il maestro, quando arriva e la sente leggere, è stupefatto e non riesce a crederci.
    "La nonna le ha insegnato a leggere" spiega Clara.
    Il maestro è senza parole:
    "Questo smentisce le nuove teorie scientifiche...ho studiato invano!" e se ne va sconvolto per parlare con la Rottenmeier.
    "Ma cos'ha?" chiede Heidi, stupita.
    "E' sorpreso che tu sappia leggere" dice Clara.

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    Mentre la nonna e la Rottenmeier stanno prendendo il tè, arriva il maestro, dicendo loro che la bambina svizzera sa leggere. La nonna ne è felicissima, mentre la Rottenmeier è scettica:
    "Ci credo solo quando lo vedo."
    Ma deve arrendersi all'evidenza.
    "Sapevo che avrebbe imparato col libro giusto" commenta la nonna, e si complimenta con Heidi. "Ti meriti un premio. Ma sarà una sorpresa per tutte e due."
    La Rottenmeier, seccata, dice a Heidi di stare seduta: disciplina!

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    Dopo un pò, la nonna va da Heidi e le chiede se vuole giocare con lei. Fanno la morra cinese (sasso, forbici, carta), in cui scommettono il numero gli scalini da salire, e Heidi impara subito le regole (e, in questo modo, la matematica). La Rottenmeier interviene, dicendo di fare silenzio.
    "Adelaide, nelle ore di riposo tu devi stare in camera tua!"
    "Ma la nonna..." dice Heidi.
    "La signora! Tu sei un'estranea!"
    Heidi deve ritornare nella sua camera.

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    Apre la finestra e sale sul ciglio, dicendo alle nuvole di andare a dire al nonno che sa leggere. Sente bussare e scende subito giù. E' la nonna, e Heidi le dice:
    "La Rottenmeier mi dice che non la posso chiamare nonna e devo chiamarla signora."
    "Le parlerò. Vedi questa? E' una chiave. Una chiave segreta. Vieni con me" e vanno in biblioteca.
    Heidi è sorpresa nel vedere così tanti libri. La nonna, con la chiave, apre una porta nascosta dove ci sono molti dipinti, oggetti, armi, carillon, eccetera.
    "Da piccola venivo spesso qui."
    Heidi vede un quadro che le ricorda il nonno, Peter, le caprette, le Alpi, e inizia a piangere. La nonna se ne accorge e capisce:
    "Il quadro ti fa venire in mente le montagne, vero? Su, non piangere."
    La nonna capisce che Heidi ha bisogno di aria, di uscire, di tornare un pò a contatto con la natura. Si potrebbe fare un giro al parco fuori città.

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    Il giorno dopo, la nonna dice a Heidi e Clara che andranno a fare un picnic nel bosco. Heidi ne è felicissima, ma Clara è perplessa.
    "Io non posso venire con voi" dice lei.
    "Di cosa hai paura, Clara? E' solo una gita."
    "L'aria potrebbe farmi male."
    "No, ti farà bene. Vedrai."
    "Va bene."
    "Facciamo una promessa tutti insieme: o si va tutti insieme o non va nessuno, va bene?"
    Tutte e due le bambine acconsentono.

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    Heidi corre a prendere il suo cappello, mentre la Rottenmeier protesta. Ma la nonna non ci bada e cerca il suo parasole e i guanti.
    "Le manca un pò di buonumore" commenta la nonna alla Rottenmeier.
    "Sono stata assunta come educatrice, non come burattina!" sbotta lei, andandosene via.
    "Fare il burattino le farebbe bene" commenta la nonna.
    "I miei nervi!" esclama la Rottenmeier nella sua stanza, seduta alla scrivania.

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    La nonna e le due bambine partono con Sebastiano e il cocchiere. Heidi, per la prima volta, vede bene la città, e anche Clara. Raggiungono il parco, dove vedono i corvi e i picchi. Heidi corre per il prato e porta con sé Clara in carrozzella. Intanto, la nonna e gli altri preparano il picnic. Heidi raccoglie i fiori e li mostra a Clara: vedono una coccinella e gli uccelli che volano: Clara è felice.

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    LE LETTURE DI HEIDI

    Mentre il professore vede stupito Heidi che legge, qui vediamo cosa sta leggendo in quel momento: la fiaba di Pollicino di Perrault, con l'immagine di Pollicino che si nasconde nell'orecchio di un cavallo. Il linguaggio del testo ovviamente è il tedesco: siamo a Francoforte, in Germania, e Heidi, anzi Adelheid, Adelaide, come sarebbe il suo nome originale completo, legge e conosce il tedesco. Tra l'altro, il nome originale tedesco di Clara è Klara.

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    LE VASTE PROFONDITA' DI CASA SESEMANN

    Ma quanto è grande questo "magazzino segreto" che si trova nella stanza nascosta dietro la biblioteca? :huh: In pratica è un museo. C'è di tutto: armi, alabarde, armature, quadri, statue. Come stanzetta segreta sarà grande non dico come i Musei Vaticani, ma quasi.

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  7. .
    1994 - SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! - COMMENTO

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    Spada Zantetsu è una storia divertente e piena di colpi di scena, dove, in particolare, veniamo a conoscenza di una ragazza che Goemon conosceva in passato: la ninja Kikyo.

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    Come si vede dagli orecchini che porta, simili a shuriken, il suo nome significa campanula cinese viola: stilizzata, sembra appunto uno shuriken. In Giappone, la campanula "kikyo" significa amore costante, fedeltà, obbedienza. Come si può vedere, questo sottolinea la doppiezza della ragazza ninja: tradisce portando addosso un fiore che significa fedeltà.

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    Campanula cinese, o "Kikyo"


    Può essere strano che un samurai conosca una ninja: infatti non c'è del buon sangue tra le due specializzazioni. Il samurai combatte secondo un suo codice d'onore, che un ninja non ha: oltre ad agire di nascosto, l'inganno è una sua caratteristica. Come si vede nella storia, poi, Kikyo inganna Goemon e lo colpisce a tradimento, mentre Gensai "muore" più volte: è tipico dei ninja usare dei kagemusha, guerrieri ombra. Quindi, tutte le volte che Gensai era stato "ammazzato", questi non era il vero Gensai, ma un ninja travestito da lui. Solo nello scontro finale, Lupin alla fine uccide il vero Gensai: e, guarda caso, lo fa con un inganno. Il nome Gensai contiene il termine "gen", cioè "misterioso, occulto". Infatti, lo spettatore non capisce perchè non muore mai. Gensai è del clan Hattori, il nome di un samurai; Goemon appartiene invece ad un non ben definito "Clan dai Cento paesi". Gensai dice che il clan di Goemon e il suo hanno la stessa origine. Ma non si sa null'altro al riguardo.

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    Gensai l'immortale. Più o meno.


    Il motivo dell'amicizia tra il samurai Goemon e la ninja Kikyo lo si può vedere, probabilmente, dalla storia dell'originale Goemon, che è stata presentata proprio all'inizio del film, nella rappresentazione kabuki per i 400 anni dalla sua morte.

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    L'originale Goemon rappresentato al teatro Kabuki.


    Il vero nome dell'antenato di Goemon era Kuranoshin Sanada. Nacque nel 1558 nella provincia di Iga, che oggi non esiste più: si trattava di una regione montagnosa vicino a Kyoto, quasi in mezzo al Giappone, ed era nota per essere stata la regione che ha dato origine ai ninja. Il padre di Sanada fu ucciso dagli uomini di Toyotomi Hideyoshi, importante signore feudale (daimyo), nel 1573, quando il futuro Goemon aveva 15 anni. Allora Sanada divenne un bandito ninja col nome di Goemon Ishikawa. Da qui il curioso legame tra il samurai dell'anime e i due ninja Kikyo e Gensai, visto che l'antenato di Goemon era un ninja. L'originale Goemon formò e guidò una banda di ladri dedita al saccheggio di ricchi e potenti signori feudali e mercanti, condividendo i bottini coi contadini oppressi dalle tasse: in pratica, fu un Robin Hood giapponese. Goemon non si accontentò di questo: tramava la vendetta contro Toyotomi per la morte del padre. Entrò furtivamente nel suo castello per uccidere il daimyo nel sonno. Ma Toyotomi possedeva un bruciatore di incenso magico che suonava all’entrata di un estraneo: Goemon fu scoperto e catturato. Fu giustiziato insieme alla sua famiglia, davanti al tempio buddista di Kyoto, mediante immersione in olio bollente: si salvò solo il figlio piccolo, tenuto sollevato sopra la testa da Goemon stesso. La sua esecuzione avvenne nel 1594, appunto 400 anni prima del 1994, l'anno di uscita del film Spada Zantetsu.1

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    E' da ricordare che il personaggio di Oden, il signore di Wano in One Piece, fece praticamente la stessa fine, salvando però nello stesso modo i suoi samurai e, indirettamente, suo figlio.


    Per la prima volta, il personaggio della "lupin girl" non compare, sostituita dalla ragazza ninja di Goemon: questo dà più spazio a Fujiko e al suo rapporto con Lupin, come vedremo. Il doppiatore storico giapponese di Lupin, Yasuo Yamada, morirà l'anno dopo questo film, quindi è stato il suo ultimo lavoro. E' da notare che Lupin qui si traveste da vampiro: ma per la verità i suoi abiti sono quelli di Lupin I, suo nonno. In questo film, sono presenti entrambi gli antenati di Goemon e Lupin, anche se in modo diverso.

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    Manca solo il monocolo.


    Jigen qui si traveste da lupo mannaro, una cosa che diventerà una sua caratteristica: spesso infatti userà questo travestimento. Notiamo qui anche il suo amore per le parole crociate, che compila ben due volte in questo film.

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    La parola "sakuga" tra le indicazioni delle parole crociate significa una clip di animazione breve e molto ben curata. Tipo l'inseguimento di Lupin in macchina nel Castello di Cagliostro, per esempio.


    Lupin cerca di afferrare il suo pupazzetto in mezzo agli altri, che rappresentano i membri della sua banda, Zenigata compreso. E sarà proprio lui a cercare di catturarlo usando una presa gigante.

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    Ovviamente, il personaggio di Chin Chin Chu è stato preso da Jabba the Hutt, il cattivo del Ritorno dello Jedi, il terzo film della trilogia di Guerre Stellari. O Star Wars, se preferite.

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    "Sì, si tratta di mio cugino!"


    Come Jabba, anche Chin è libidinoso e con un pessimo gusto: Goemon guarda con ribrezzo il suo letto arancione col cuscino col suo nome scritto sopra. Manco fosse un puttino.

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    "Ha messo il suo nome perchè ha paura di sbagliare letto?"



    FUJIKO FASHION

    La nostra Fujiko compare per la prima volta col travestimento di Calamity Jane. Con tanto di Colt 45 vera. Notate il travestimento da lupo mannaro di Jigen. Anche se somiglia di più a Pippo.

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    Per la maggior parte del film ha un look più casual (niente tute da motorizza, stavolta): mini pantaloni blu aderenti, un'ampia giacca bianca e un body fucsia: praticamente una tuta da palestra. Con Chin è senza giacca.

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    Il vestito finale di Fujiko ha un'origine inquietante: era stata catturata da Gensai mentre era sotto la doccia, quindi non aveva addosso niente, se non il telo della doccia. Quindi, chi le avrà messo il vestito nuovo? In ogni caso, è un vestito seducente, con una collana con un cuore rosso come pendaglio, un vestito blu scuro aderente con gonnellino e spaccatura col gioiello in mezzo al petto, i tacchi a spillo rossi. Con in più delle maniche leggere viola aggiunte al resto. Poi Chin la lascia in mezzo al gas ad ammazzare Lupin o a farsi ammazzare da lui. Non è chiaro quindi perchè le abbia fatto fare quel cambio di vestiti.

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    LA TENEREZZA DI FUJIKO?

    Essendo assente la Lupin girl, Fujiko qui mostra un'insolita tenerezza e attenzione verso Lupin: oltre ad essere davvero preoccupata per il suo tentativo di recuperare il dragone nel fondo del mare, gli prepara il caffè, cosa rara. Inoltre, dice a Lupin che lo ama, nascosto con la parola "anche". Ma non è tutto.

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    Mentre Fujiko attacca Lupin, condizionata dal gas, lui, per calmarla, le dà un bacio: e anche questo è un avvenimento raro. I baci tra loro due spesso avvengono in circostanze particolari, in cui Fujiko è fuori di sè: avviene lo stesso per esempio in Nostradamus.

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    Nel bungee jumping, Fujiko è riconoscente verso Lupin e lo abbraccia: anzi, l'ultima sua scena nel film mostra una Fujiko che abbraccia sorridente Lupin, anche se con un sorriso nascosto, con un leggero rossore sulle guance. Un buon saluto d'addio per Yamada, il doppiatore storico di Lupin, nel suo ultimo lavoro.

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    Spada-Zantetsu



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    1 www.takaaikidobu.com/post/ishikawa-goemon

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    1994: SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! - TRAMA
    SPADA ZANTETSU, INFUOCATI! (titolo originale giapponese)
    LUPIN - IL TESORO DEL TITANIC
    LUPIN III - IL MISTERO DEL DRAGONE

    Lupin-Zantetsu


    Regia: Masaharu Okuwaki. Ha fatto anche la regia di diversi episodi di Lupin III Terza serie.
    Sceneggiatura: Nobuaki Kishima. Ha sceneggiato doversi film di Doraemon e ha realizzato altri lavori.
    Character designer: Masatomu Sudo. E' stato character designer anche del film di Lupin "All'inseguimento del tesoro di Harimao", di Detective Conan e il primo film di "Lupin contro Conan", di Kenichi e altri.
    Musiche: Yuji Ohno (come al solito)
    1° trasmissione in Giappone: 29 luglio 1994
    1° trasmissione in Italia: 14 dicembre 2000 su Italia 1.
    DVD in Italia: Dynamic Italia (2002); Yamato Video (2005); De Agostini (2012)
    Precedente film: Lupin - Viaggio nel pericolo
    Film successivo: "All'inseguimento del tesoro di Harimao"

    TRAMA

    Siamo in un teatro Kabuki, dove si fa uno spettacolo che ricorda i 400 anni dalla morte di Goemon Ishigawa, l'antenato dell'attuale Goemon. Il samurai osserva commosso la rappresentazione, mentre Lupin, da un'altra parte, cerca di raccogliere un pupazzo con le sue fattezze da una macchinetta da Luna Park con le pinze: ma non ci riesce.
    "AARGH! Ce l'avevo quasi fatta!"
    Jigen sospira, mentre fa le parole crociate. "Piantala, Lupin. Hai già perso più di tremila yen per questa bambinata."
    "Zitto tu! Lupin III ottiene sempre quello che vuole! E' una tradizione di famiglia!"
    "Contento te...Goemon è ancora al teatro kabuki?"
    "Sì, starà ascoltando pieno di lacrime la storia dei suoi antenati. Non pensare però che io ci vada lì!"
    Lupin infila un'altra monetina e riprende l'attacco.

    Mentre Goemon osserva assorto lo spettacolo, compaiono dei ninja che lo attaccano, causando scompiglio. Goemon, con la spada, deflette shuriken, bastoni, catene e armamentari vari, saltando poi su un'impalcatura del teatro e rivolgendosi al capo del ninja, Gensai, un tizio con la cicatrice su un occhio.
    "Vogliamo la tua spada onnipotente!" esclama il tizio.
    Goemon non risponde e l'attacco continua, finendo fuori dal teatro e percorrendo le strade. Proprio mentre Lupin riesce a catturare il pupazzo, una scia di shuriken fa a pezzi la macchinetta. Jigen e Lupin devono farsi da parte per evitare l'orda di ninja che è alle calcagna di Goemon.
    "E' la prima volta che vedo dei ninja in un teatro kabuki" commenta Jigen.
    "Credo che siano fuori programma" risponde Lupin, entrando nel mischia insieme al pistolero.

    Dopo una battaglia serrata, i ninja si ritirano e compare la polizia, guidata da Zenigata. Goemon, però, si allontana dai due, mentre Zenigata minaccia:
    "Lupin, non mi scapperai! Ti mando l'Acchiappalupin!"
    Spunta fuori un dirigibile con delle pinze enormi, simili a quelle della macchinetta usata da Lupin, che è teleguidata da Zenigata: in poco tempo, Lupin e Jigen vengono catturati.
    "Ah ah ah! Lupin, sei mio! Apritevi, porte del carcere!" dice Zenigata ballando.
    "Dobbiamo fare qualcosa! Facciamo i ninja!"
    Lupin e Jigen si concentrano e riescono a sfuggire alla mega pinza scivolando via dalle loro giacche. Zenigata è furioso e riprende l'inseguimento.

    Intanto, Goemon, camminando da solo, incontra una donna anziana che fa la maga e ha una sfera di cristallo sul tavolo.
    "Deve fare attenzione, samurai" dice lei "vedo la morte nella sua strada."
    Si sente subito uno sparo: la vecchia cade a terra con un buco in fronte. Le cade la maschera: era Gensai e stava per ammazzare Goemon a tradimento, quando Lupin, con un colpo di pistola, lo aveva fatto fuori.
    "Questo non è riuscito a prevederlo, però" commenta Lupin. Poi chiede: "Perchè ti inseguono, Goemon? Cosa vogliono?"
    "Vogliono me. Vogliono questa!" e mostra loro la Zantetsuken, la sua spada. E aggiunge: "State lontani da me. O mi costringerete a..." fa uscire leggermente la spada dal fodero. Lupin non risponde e Goemon si allontana.
    "Bè, non potevamo aspettarci altro da un samurai" commenta Jigen.
    Una macchina passa dietro di loro e poi si allontana. Lupin riconosce l'uomo seduto dentro e si accende una sigaretta.
    "Penso che dovremmo fare un giretto a Parigi." dice Lupin.
    "A Parigi? Qui siamo a Tokyo!"
    "Il gioco comincia a farsi interessante."

    Siamo in un magazzino vicino alla Senna e Lupin controlla l'immagine dell'uomo che era seduto in macchina, usando il computer.
    "Questa faccia da maniaco non mi è nuova. Ecco: era Chin Chin Chu!"
    "Il re della mafia di Hong Kong? E che ci faceva a Tokyo?" si chiede Jigen.
    "Non lo so. Che ne dici, andiamo alla festa in maschera al Royal Chin?"
    "Il Royal Chin? Dov'è?"
    "A Hong Kong. E' lo yacht privato di Chin Chin Chu."
    "E come ci andiamo a Hong Kong?"
    "Con questo splendido bimotore."
    "Quel rottame? Starai scherzando, spero."
    Non stava scherzando. Lupin e Jigen viaggiano sul bimotore, che lascia una preoccupante scia di fumo per tutto il viaggio.
    "Non temere, è tutto sotto controllo. Forse dovremo fermarci una o due volte, però." precisa Lupin.
    "Cosa?"

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    Arrivano al Royal Chin: Lupin è vestito da vampiro e Jigen da lupo mannaro.
    "Gradite qualcosa da bere?" dice loro una coniglietta playgirl che ancheggia con un vassoio di bicchieri sulla mano. Lupin le risponde con entusiasmo:
    "Per il mio amico un Blue Moon (cocktail composto dal Martini e altri vini, ndr), per me mi prendo il tuo sangue!"
    Ma appena Lupin apre la bocca, si trova ad addentare una bottiglietta di succo di pomodoro. La responsabile è Fujiko, qui vestita da Calamity Jane.
    "Accontentati di questo, Lupin."
    "Fujiko! Bellezza mia, fammi assaggiare il tuo sangue!"
    Fujiko gli punta contro la pistola. "Attento, Lupin, questa pistola è vera! Contiene anche proiettili d'argento."
    "Guarda che coi vampiri non funziona, quelli sono per i lupi mannari!"
    "Però ti fanno male lo stesso."
    Jigen si toglie la sigaretta e dice, senza guardarla:
    "Che ci fai qui, Fujiko?"
    "Oh, che calorosa accoglienza" replica lei. E Lupin aggiunge:
    "Non essere così sospettoso, Jigen."
    "Io so solo una cosa, Lupin. Quando c'è di mezzo Fujiko, sono sempre rogne."
    "Guardate che io sono stata regolarmente invitata da Chin Chin Chu. E voi?" ribatte lei, mostrando il biglietto d'invito.
    "Anche noi, tesoro, lo vedi questo?" replica Lupin, mostrando il permesso.
    "Ottima falsificazione, bravo, Lupin."
    "La tua sfiducia mi ferisce."
    "Senti, Fujiko" sbotta Jigen "se hai in mente di sedurre Chin Chin Chu per prendergli dei soldi, stai perdendo il tuo tempo."
    "Che idea miseranda. Quali soldi? Io miro più in alto. Ad un tesoro, per spiegarmi meglio."
    "TESORO?"
    "Seguitemi."
    I tre percorrono abilmente i corridoi riservati dello yacht, mentre Fujiko inizia a spiegare:
    "Avrai sentito parlare del Titanic, Lupin"
    "E chi non lo conosce?"
    Si avvicinano ad una porta ed entrano di soppiatto: è buio e Lupin accende il suo accendino. Vede un modellino del Titanic.
    "Chin Chin Chu è interessato al tesoro che c'era nel Titanic" spiega Fujiko.
    Ad un certo punto, si accendono le luci e compare, seduto su un divano, Chin Chin Chu in persona.
    "Benvenuto, Lupin. Ti aspettavo."
    Lupin spegne l'accendino.
    "E' bello sentirsi attesi."
    "Prima di cominciare, facciamo un pò di storia" replica il capomafia "Il 10 Aprile 1912, il Titanic salpò per New York e, dopo lo scontro con l'iceberg, sprofondò in fondo al mare, a una profondità di 4.000 metri, con migliaia di vittime. Conteneva però un tesoro: una scultura di dragone che tuo nonno Lupin I voleva rubare. Era salito anche lui sul Titanic e fu tra i sopravvissuti."
    "Caro nonnino, gli piaceva stare al spasso coi tempi!"
    "Ma tuo nonno non riuscì a prendere il dragone, quindi adesso è possibile solo ai pesci ammirarlo, hahaha! Fu l'unico fallimento di tuo nonno!"
    Lupin non perde la calma e sorride. "Da questo deduco che neanche tu sei riuscito a prenderlo, giusto?"
    Chin Chin Chu inghiotte il rospo e, seccato, risponde: "Al momento no. Avevo mandato giù una sonda per recuperarlo, ma il dragone era scomparso: la cassaforte era aperta e c'era accanto uno scheletro. Cosa sarà successo?"
    "Boh, dimmelo tu."
    "Non ho una risposta. Se mi aiuti, facciamo società e così potrai riscattare il fallimento di tuo nonno."
    "Io? No, grazie, non mi va di collaborare con un brutto arnese come te. E poi, come facciamo coi 1547 morti?"
    "Di chi stai parlando?"
    "I morti del Titanic erano 1547: c'è scritto sulla targhetta del tuo modellino. Oseremmo svegliare il loro eterno sonno?"
    "Ho capito, la tua risposta è no. Avrei preferito non farlo, sai?"
    Chin fa uno schiocco di dita e, all'improvviso, la porta si apre ed entrano un mucchio di tizi vestiti da militari coi fucili in mano, puntati contro Lupin e gli altri.
    "Allora, ci hai ripensato?"
    "E se dico ancora di no?"
    "Faccio di te un bel piatto cinese, scannato vivo e cotto a puntino!"
    "Ugh" esclama Fujiko, disgustata. Questo tizio non ha stile.
    "Capisco. Dammi un minuto per riflettere" risponde Lupin, alzando il cappello e facendo scattare un congegno che manda dappertutto del gas: Lupin, Jigen e Fujiko scappano dalla finestra dello yacht, saltando sull'aereo con cui erano arrivati, che era stato messo vicino in attesa.
    "Ci vediamo, Chin Chin Chu. Ciao Ciao!" saluta Lupin, allontanandosi mentre l'aereo prende quota.
    Il boss mafioso li segue con lo sguardo, poi ridacchia.
    "Tutto va secondo il piano" Compare accanto a lui Gensai, che evidentemente non era morto.

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    Intanto, Goemon percorre le montagne, raggiungendo una cascata: alla fine, arriva al punto nascosto dove si trova la pergamena col segreto della superlega.
    "Il dragone non ha nessun valore senza la pergamena" sussurra.
    La raccoglie e la porta con sè. All'improvviso, viene attaccato di nuovo dai ninja, che stavolta lo immobilizzano con le corde: Gensai si rivela.
    "Tu? Allora sei ancora vivo! Anche tu fai parte del clan di Hattori?"
    "Esatto. Il tuo clan dai 100 paesi apparteneva alla stessa famiglia del mio clan, sai?"
    "Mi hai ingannato. Non era la spada che volevi allora, ma la pergamena!"
    "Infatti. Posso anche ucciderti adesso per prendertela con comodità."
    All'improvviso, compare una ninja femmina che, con shuriken e altre armi, abbatte i ninja e anche Gensai, che muore ancora (forse). Goemon, libero, punta la spada contro di lei.
    "Non è bello trattare così chi ti ha salvato" dice lei.
    "Allora sei proprio tu, Kikyo!" esclama Goemon.
    Goemon si ricorda di lei, quando era bambina e lui lo aveva ingannato con un Goemon finto che lei aveva assalito.
    "Era un trucco, Kikyo. Non sottovalutare mai il nemico" gli aveva detto. E la Kikyo bambina aveva protestato:
    "Cattivo Goemon!"
    Tornando al presente, Kikyo abbraccia Goemon:
    "Mi sei mancato tanto. Sono passati tanti anni."
    "Lo so."
    "Ma tu sei emozionato, stai tremando."
    "E' vero" risponde lui imbarazzato. "Rivederti è l'ultima cosa che mi sarei aspettato."
    "Da quando te n'eri andato, io ho continuato ad allenarmi seguendo i tuoi insegnamenti, così che tu potessi essere fiero di me. Vedi? Non sono più la ragazzina di un tempo."
    Goemon e Kikyo si rifugiano in una casa in mezzo ai boschi, mangiando qualcosa. Goemon dice tutto alla ragazza ninja.
    "Dunque vogliono la pergamena" conclude lei "Sappiamo che il dragone è scomparso più di ottant'anni fa. Qualcosa comincia a muoversi." "Questo segreto deve sempre rimanere nel nostro clan" afferma Goemon "Non mi sembri sorpresa, Kikyo. Lo sapevi allora che cercavano la pergamena?"
    "Sì, da quando hanno localizzato il drago. Si tratta di Chin Chin Chu, per non parlare di altri."
    "Se pensano di ostacolarmi, sarà meglio per loro che cambino idea, o moriranno!" conclude Goemon.

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    Intanto, a New York, sulla baia dove si trova un pozzo petrolifero, intervengono Lupin e Jigen, che, dopo aver messo a dormire le guardie, si allontanano con un batiscafo per raggiungere il Titanic e prendere la statua del dragone.
    "Mi senti, Fujiko?" chiede Lupin via radio.
    "Sì, ti sento bene, Lupin" risponde lei, seduta nella cabina di una barca.
    "Ooh, che vocina sexy! Ti prego, prova a dirmi Lupin ti amo, amore mio!"
    "Va bene, ma solo quando avrai trovato il tesoro!"
    "Affare fatto. OK, partiamo!"
    "Bene, buon divertimento, Lupin!" risponde lei.
    Cominciano a scendere e vedono un mucchio di squali che nuotano lì attorno.
    "Decisamente poco divertente" commenta Jigen, mentre controlla i dati sul Titanic "Dunque, dopo l'incidente la nave si era spaccata in due...ehi, lì, nel fondo del mare dove si trova, ogni due ore esce un geyser bollente. Questo complica le cose, Lupin."
    "Ce la caveremo, non preoccuparti. Per arrivare al fondo ci vorranno due ore e mezza. Prendi tu i comandi, io mi faccio un pisolino."
    "Ok, ok. Dove ho messo il cruciverba?"
    Jigen compila il cruciverba: praticamente non c'è niente da fare, perchè la discesa è automatica, bisogna solo stare pronti in caso di imprevisti. Ad un certo punto, tutto vibra.
    "Cos'è?" chiede Jigen.
    "Non preoccuparti, è il geyser" gli risponde Lupin.
    "Cos'erano quei rumori, Lupin?" chiede Fujiko alla radio.
    "Niente, tesoro, una forte corrente. Qui tutto ok."
    Jigen tira un sospiro di sollievo: "Temevo che il batiscafo stesse per cedere sotto la pressione dell'acqua."
    "E' di titanio, è impossibile che ceda. Ci vorrebbe la spada di Goemon per tagliarlo."
    "Già, Goemon. Hai un'idea del perchè si è comportato così?"
    "Non saprei. Spero solo che non si metta a tornare a piangere al teatro kabuki."
    Scendono a 3700 metri, poi 4000. Il Titanic compare davanti ai loro occhi e Lupin indossa lo scafandro: Jigen gli indicherà via radio la strada per raggiungere il dragone nella cabina dove era stato collocato. Si collega la bombola ad ossigeno e parte. Lupin si spaventa ad un tratto: ci sono degli uomini morti, ma non sono i passeggeri del Titanic. Portano gli scafandri come lui: erano gli uomini di Chin Chin Chu, che erano scesi per prendere il dragone. Come mai non ci sono riusciti? E perchè sono morti?
    "Non me l'aspettavo" commenta Lupin. "Sempre più interessante!"
    "Tutto bene, Lupin?" chiede Fujiko via radio.
    "Sì, chérie."
    "Sei arrivato, Lupin: la porta a sinistra, lì c'è il dragone."
    "OK, Jigen, adesso entro. Aspetta, ma qui non c'è nulla. C'è una scatola, ma è vuota...e c'è un uomo sotto, cioè un teschio...hmm?"
    Lupin afferra un oggetto arrugginito nelle vicinanze e non crede ai suoi occhi. E' il pezzo di un'elsa di spada da samurai.
    "Questo tizio era giapponese?" si chiede.
    "Senti, Lupin, il posto è quello. Forse c'è un'altra via d'accesso..." suggerisce Jigen, sempre via radio.
    "Un passaggio segreto? Siamo sul Titanic, non nel Castello di Cagliostro. No, credo che il motivo sia un altro. Lo vedremo tra un minuto." "Di cosa parli?"
    "Quello che hai detto tu. Il geyser, ricordi? Vorrei proprio vederlo da qui. Tra un minuto dovrebbe spuntare...ecco!"
    Il geyser spunta fuori, ma è così violento che Lupin finisce intrappolato: è costretto ad abbandonare la bombola di ossigeno. Gli rimangono solo 10 minuti d'aria. All'improvviso, spunta fuori il dragone: era spinto in continuazione in basso e in alto dal geyser. Lupin riesce ad afferrarlo a fatica, ma poi si trova intrappolato in uno dei fumaioli del Titanic e non riesce più ad uscire.
    "Lupin, mi rispondi?" chiede Fujiko, preoccupata.
    "Non risponde" dice Jigen "Ha meno di dieci minuti."

    Chin Chin Chu, nel suo sommergibile lì vicino, ascolta le comunicazioni tra di loro e sorseggia un drink.
    "Mi sa che Lupin dovrà dire le sue ultime preghiere."

    "Gli restano tre minuti" dice Jigen, sudando freddo.
    "Lupin!" esclama Fujiko.
    Lupin usa l'ultima risorsa: una bomba. "Speriamo che lo scafandro regga."
    L'esplosione spacca il fumaiolo e Lupin riesce ad allontanarsi: Jigen gli si avvicina col batiscafo. Ma lo scafandro, ad un certo punto, va a pezzi e Lupin finisce schiacciato dalla pressione: riesce ad entrare per miracolo nel batiscafo.
    "Stavolta me la sono vista brutta. Ma ora ho il dragone."
    "Lupin!" esclama Fujiko, sollevata "Ero sicura che l'avresti recuperato!"
    "Esatto! Fammi una bella tazza di caffè caldo per quando arrivo, me la sono meritata!"

    "Lupin ha fatto un ottimo lavoro" dice Chin "Vai coi siluri, Gensai!"
    Il sommergibile di Chin manda i siluri contro il batiscafo: Jigen li avvista al radar.
    "Arrivano due siluri!"
    "E' opera di Chin. Mandagli la sorpresina" risponde Lupin.
    Il batiscafo espelle un missile che, col suo calore, attrae gli altri due: poi Lupin lo fa virare a distanza e lo fa dirigere verso il sommergibile di Chin, provocando un'esplosione, non grave, ma che rallenta il mezzo.
    "Maledetto Lupin, ma avrò quel dragone!" esclama il capomafia.

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    Emergono e salgono sulla nave di Fujiko.
    "Ecco il caffè, come promesso"
    "Sei un tesoro, Fujiko."
    All'improvviso, da un'aquilone, scendono Goemon e Kikyo, che atterrano sulla nave: la ragazza ninja cattura subito Fujiko, puntandole un coltello alla gola.
    "Consegnami il dragone!" esclama il samurai.
    "Ma Goemon, che ti prende? Non ci presenti la tua ultima conquista?" risponde Lupin.
    "Mi chiamo Kikyo" risponde lei "Appartengo al clan Iga, come Goemon. Abbiamo il dovere di custodire questo dragone!"
    "E perchè?"
    "Niente domande, Lupin" risponde Goemon "Consegnaci il dragone e basta."
    "Te lo scordi, caro: io ho rischiato la vita per recuperarlo, non lo dò certo al primo che passa per strada!"
    "Ma per te non ha nessun valore" insiste Goemon.
    "Non cedere! Non darglielo, Lupin!" esclama Fujiko.
    Ma Kikyo la tiene più strettamente: "Se non ce lo dai subito, questa donna morirà!"
    "Mah, come volete. Eccolo qua!"
    Lupin lancia molto in alto in dragone e i due lo seguono con l'occhio: Jigen ne approfitta per prendere la pistola sul tavolo e spara a Kikyo, disarmandola e liberando Fujiko. Goemon attacca Lupin, che si difende col dragone: la spada di Goemon viene respinta in un bagliore di luce.
    "Che significa questo?" si chiede Lupin.
    "Non importa" replica Goemon "Consegnacelo...eh?"
    Sentono sparare: sono arrivate delle navi coi poliziotti armati e guidati da Zenigata. Goemon e Kikyo si allontanano col loro aquilone, e Zenigata fa sparare a tutta birra contro la nave, che viene bucherellata da ogni parte: non compare più nessuno.
    "Piantala, Lupin! Lo so che sei vivo! Arrenditi!" grida Zenigata dal megafono.
    Ma la nave si divide in due e da lì parte un enorme papero di colore giallo, dentro il quale Lupin e Jigen si allontanano pedalando, sotto lo sguardo perplesso di Fujiko, seduta dietro di loro. Zenigata e gli altri scoppiano a ridere.
    "Non penserai mica di scappare così, Lupin? E' ridicolo!" ridacchia l'ispettore.
    Fujiko è d'accordo con lui: "Mi sento a disagio, è imbarazzante" dice lei.
    "Infatti non mi sembra un mezzo adatto per la fuga" rincara Jigen.
    "Va bene, come volete!" Lupin schiaccia un bottone e il papero parte a razzo. "Eccovi il Jet acquatico!"
    "Accidenti, inseguitelo!" grida Zenigata. Mentre si allontanano, Lupin passa un bazooka a Jigen:
    "Fai la tua parte."
    Jigen spara e il proiettile del bazooka scoppia, diventando una cappa di colla che imprigiona Zenigata e tutti quanti. Zenigata grida e minaccia a tuto spiano.
    "Questa fuga è stata quasi un'opera d'arte!" sghignazza Lupin.
    Ma, all'improvviso, emerge il sottomarino di Chin, che solleva il papero sopra di sè. Si trovano tutti di nuovo circondati da tizi coi fucili.
    "La cosa sta diventando monotona" commenta Jigen.
    "Abbiamo dei nemici con poca fantasia, in effetti" conferma Lupin.
    Compare Gensai accanto a Chin. Quindi non era morto per la seconda volta.
    "Ma guarda, quello lì credevo di averlo ucciso!" esclama Lupin, sorpreso. "Ti avevo sparato in fronte!"
    "Non ci si libera facilmente di Gensai della colonia!"
    "Purtroppo" sospira Lupin.
    "Sapevo che saresti riuscito a prendere il dragone, Lupin. Ci sei cascato, ti avevo stimolato a farlo!" sogghigna Chin.
    "Sapevo già che stavi bluffando, Chin, ho solo voluto stare al tuo gioco. Dopotutto, era coinvolto l'onore di mio nonno. Dimmelo, dai: che segreto porta questa stupida statua di metallo da due cent?"
    "La miglior suspense è il mistero" risponde Chin.
    "Come la fai lunga" dice Lupin, esasperato.

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    "Almeno...Eh? Fujiko, che fai?"
    Fujiko prende la statua e si incammina verso Chin. "Mi spiace, Lupin" poi si rivolge a Chin: "Sai, vecchio satiro, non ho voglia di morire qui, preferirei farlo in un bel letto caldo!"
    "E' un bel letto che vuoi? Si può fare" sogghigna lui."
    "Hai visto che voltafaccia? Tutte uguali le donne" sbotta Jigen.
    "Guardati da ragazze come quelle, ti trovi nei guai senza accorgertene" conferma Lupin.
    "Lo sai che faccio a chi mi tradisce, dolcezza?" chiede Chin.
    "Sì, lo so: finisce in bella vista come piatto del giorno. Ma stai tranquillo, piccolo purcel, che non ti tradirò mai" risponde Fujiko.
    "Bene, adesso dammi quello che voglio, il dragone!"
    "Eccotelo qua, pancione mio."
    "Bene. Pronti a far fuoco!"
    "Odio questo tipo di situazioni" commenta Jigen.
    "Mi dispiace tanto, Lupin! Amo anche te, lo sai!" dice languidamente Fujiko.
    "Sì, non ne ho mai dubitato. E ti confesso che anch'io ho sempre avuto un debole per te. Ma so che tu sai anche questo. Posso fumare l'ultima sigaretta, Chin?"
    "Sì, ma non prendermi per scemo."
    Gli prende il pacchetto di sigarette e lo butta in mare, dandogli uno dei suoi sigari e accendendoglielo.
    "Così non userai le tue diavolerie."
    Lupin aspira il fumo del sigaro poi sogghigna: "L'hai fatto tu, non io."
    "Eh?"
    Il pacchetto gettato in acqua getta fuori una gran quantità di gas che copre tutta la zona in un attimo. Tutti sparano, ma Lupin e Jigen sono già lontani.
    "Ciao ciao, Chin Chin Chu! Grazie per il sigaro!"
    Le risposte di Chin sono state censurate.

    La scena si sposta ad Hong Kong, dove Lupin e Jigen seguono Chin Chin Chu, che è nella sua Rolls Royce insieme a Fujiko: infatti, prima di allontanarsi dal sommergibile, Lupin aveva messo un tracciatore di nascosto nel colletto di Chin.
    "Sta andando da quella parte, muoviamoci!" dice Jigen, con in mano il computer tracciatore.
    "Un attimo, sto finendo il sushi!" protesta Lupin.
    Nel frattempo, in macchina, Chin accarezza le gambe di Fujiko.
    "Che bella pelle che hai, che gambe, hai fatto bene a scegliere me! Io posso darti quello che uno come Lupin non ti darà mai: il lusso! E ti farò morire in un letto caldo ogni volta che vorrai!"
    "Davvero, porcellino?" Vecchio maiale, mi si rivolta lo stomaco solo a guardarlo, ma devo sopportare fino a quando avrò scoperto il segreto del dragone! "Senti, mi piacerebbe che tu mi svelassi il segreto del dragone."
    "Ah, ti piacciono i segreti, eh? Intanto, questo dragone non vale niente, è solo un pezzo di metallo: ma con la pergamena, avrà un valore immenso" risponde Chin.
    "Che pergamena?"
    "Poi lo saprai."
    Zenigata, che si trova anche lui a Hong Kong, spia col binocolo e vede Lupin che è sulle tracce di Chin.
    "Lo sapevo che eri qui, maledetto criminale! Non mi sfuggirai!"

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    Lupin e Jigen hanno seguito in macchina la Rolls di Chin, fino ad arrivare alla sua villa privata. Jigen esamina le difese.
    "Barriere elettriche, cani da guardia, soldati armati...sarà dura entrare, Lupin."
    "Che ne dici del mio travestimento da Gensai?"
    "Non male, ma non ti dona."
    "Per forza, Gensai è un bruttone con la faccia sfregiata. Aspettami qui e indicami col computer la strada per arrivare da Chin."
    "OK."
    Lupin /Gensai va verso le guardie, che lo fermano subito.
    "Sono Gensai, idioti, aprite il cancello!"
    "Ma signor Gensai, non vi avevamo visto uscire!"
    "Per forza, sono un ninja. Invece di guardare le farfalle, fate attenzione a Lupin! Fatemi passare, svelti!"
    "Che sta facendo vestito così?" si chiede Zenigata, nascosto dietro un albero. Poi scatta fuori e urla: "Fermate quell'uomo! E' Lupin!" Lupin/Gensai è sorpreso, ma non si fa scomporre.
    "Buttate fuori quel demente!"
    "Demente? Io sono l'Ispettore Zenigata dell'Interpol..."
    Ma si trova circondato da ferocissimi cani da guardia e si mette a scappare a 100 metri all'ora per sfuggire ai mastini, arrampicandosi su un albero. "No, no, no! Maledetto Lupin!"
    Nel frattempo, si infilano nella villa anche Goemon e Kikyo. Lupin, nelle vesti di Gensai, percorre gli enormi corridoi della villa.
    "Mica male, ci si potrebbe fare una partita di calcio. Jigen, ci sei?"
    "Sì, vai sempre avanti per dieci metri, poi a sinistra: Chin dovrebbe essere lì."
    Anche Goemon e Kikyo entrano nella villa, raggiungendo la camera da letto di Chin Chin Chu, con tanto di lettone enorme a baldacchino con un cuscino rosso col nome del boss mafioso sovraimpresso.
    "Che pessimo gusto!" commenta schifato Goemon.
    Ma Kikyo lo abbraccia e lo fa cadere sul letto.
    "Ma che fai?"
    "Sì, ti voglio, Goemon!" e infila la mano nel camice di Goemon, per prendergli la pergamena: ma lui la ferma.
    "Ma cosa fai, Kikyo? Non mi sembra il caso nè il momento!"
    "Perchè parli così, Goemon? Non c'è nulla di male!"
    "Noi abbiamo una missione, recuperare il drago!"
    "Lo so" sbuffa lei, esasperata.

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    Lupin/Gensai arriva nella camera indicata da Jigen, ma è vuota. Eppure il segnale viene da lì.
    "Il solito passaggio segreto, immagino" commenta Lupin, esaminando la zona e soffiando della polvere in un punto sospetto: delle orme. Tombola. Riesce ad aprire il passaggio: una specie di caverna con tanto di sala torture. In fondo Lupin vede Chin e Fujiko.
    "Allora, caro Chin, qual è il segreto del dragone?" chiede lei.
    "Ah, grazie a questo tutte le ricchezze saranno mie, tutto il mondo sarà mio!"
    "Mi sembra un pò esagerato. Cosa sarebbe questo dragone, una statuetta portafortuna? Guarda che te ne posso trovare a centinaia nel negozio più vicino."
    "Niente di tutto questo. Il dragone è stato realizzato con un metallo ancora più forte della spada di Goemon. Fu realizzato da un antenato di Goemon, colui che aveva realizzato la sua spada Zantetsuken. Ma, quando scoprì di aver creato un metallo ancora più forte, si spaventò e sigillò la formula nel dragone, e lo nascose nella dimora ninja degli Iga. Ma, secoli dopo, un giapponese rinnegato rubò il dragone per venderlo in America. Ed era salito sul Titanic. Come vedi, tutto coincide."
    Fujiko osserva incuriosita il dragone. "E come farai a scoprire questa formula?"
    "Con la pergamena di Goemon, nascosta tra i monti Iga. Contiene le istruzioni per effettuare il rituale che permetterà al dragone di ritornare alla sua forma originaria, che era quella di una tavoletta con la scritta della formula. E così costruirò un'arma invincibile, indistruttibile, contro l'umanità!"
    "Ma guarda un pò."
    All'improvviso, il divano su cui è seduta Fujiko diventa un letto e Chin le va sopra.
    "Vuoi diventare la mia donna, Fujiko?"
    "Er...non mi sento ancora pronta."
    Ma Chin le si avvicina per baciarla e Fujiko è disgustata. In quel momento si avvicina Lupin travestito da Gensai:
    "Signor Chin, Lupin è qui!"
    "Come qui? Qui dove?"
    "Davanti a lei, non lo vede?"
    "Uh?"
    Lupin lo stende con un cazzotto.
    "Speravo tanto che venissi a salvarmi, Lupin! Se tu non fossi venuto, lui..."
    "Lo so, ma non potevo permettere che quella palla di lardo ti mettesse le sue sudicie mani addosso!"
    "Non è che tu sia tanto più bello messo così."
    "Dovrai sopportarlo per un pò. Ma dopo che siamo fuori voglio un bacino, eh?"
    "E' alle soglie dell'inverosimile" dice disgustato Jigen, che ha sentito tutto.
    Mentre i due, dopo aver preso il dragone, scappano, all'improvviso Lupin incontra il vero Gensai. E compaiono anche Goemon e Kikyo. Per sicurezza, Goemon taglia tutti i vestiti al falso Gensai, facendo comparire Lupin.
    "Guarda che è con lui che devi combattere!" obietta Lupin.
    "Voglio quel dragone!" risponde il samurai.

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    "Ecco cosa vi aspetta!" risponde il vero Gensai, che fa aprire una botola col fondo pieno di coccodrilli.
    Lupin lancia un filo che si pianta sul soffitto, così i quattro restano sospesi a mezz'aria, aggrappati l'uno all'altro. Kikyo è quella più in basso. Lupin ha le mani occupate: una per il filo, l'altra perchè regge Fujiko.
    "Presto, Fujiko, la pistola!"
    Lei afferra la pistola sotto la giacca di Lupin e spara a Gensai in fronte, che così muore per la terza volta. Forse. Lui cade nella botola, ma la sua spada taglia il vestito di Goemon, dal quale esce la pergamena. Kikyo molla Goemon per afferrare la pergamena.
    "Kikyo! No!" grida Goemon.
    Ma è troppo tardi: la ragazza e Gensai finiscono in bocca ai coccodrilli.
    Jigen, che aveva capito la situazione, mette sulla macchina il lanciamissili e parte, cannoneggiando il cancello e lanciando bombe e bazookate a destra e a manca.
    "Fate largo, arriva Jigen!"
    Jigen entra nella villa, spaccando la parete e raggiungendo Lupin. "Presto, Lupin, andiamo! Non c'è tempo!"
    "Lo so."
    Tutti sono usciti dalla botola, ma Goemon è sconvolto per la morte di Kikyo.
    "Coraggio, Goemon. Kikyo è morta e devi accettarlo. Andiamo!"
    Partono, mentre Lupin, col bazooka in mano, dice:
    "Prendete questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, ecc."
    La villa è tutta in fiamme. Ma Chin non è ancora sconfitto: dice a due persone misteriose di prendere il dragone e di ammazzare tutti loro, tranne Fujiko, che la vuole viva.

    equesto


    Nella stanza di un hotel, Lupin dà il dragone a Goemon.
    "Tieni, questo è tuo. Ho ottenuto alla fine l'oggetto che mio nonno non era riuscito a prendere, quindi non ho più alcun interesse su questo. Conservalo in ricordo di Kikyo."
    Goemon non risponde e guarda al di là della finestra: è ancora sotto shock. Lupin esce e si dirige verso la sua camera, piuttosto pensieroso, in compagnia di Jigen e Fujiko. La ragazza va nella sua camera e Jigen chiede a Lupin:
    "A cosa stai pensando?"
    "A Kikyo. Qualcosa non quadra."
    "E che sarebbe?"
    "Che senso ha andare a prendere la pergamena, finendo tra i coccodrilli? Sarebbe andata perduta comunque. Più ci penso e meno mi convince."
    Mentre Fujiko si fa la doccia, compare Gensai, vivo per la terza volta, che la cattura. Intanto Goemon, seduto a gambe incrociate, fissa il dragone pensando a Kikyo: alla fine piange. Ma, poco dopo, è scioccato: Kikyo è davanti a lui, ferita.
    "Kikyo? Sei viva?"
    Lei cade tra le braccia di Goemon.
    "Ma come hai..."
    Goemon si interrompe: Kikyo l'ha appena pugnalato al fianco.
    "Perchè...?"
    "Ti fidi troppo, Goemon." Prende il dragone, sogghignando: "Ora abbiamo tutto."
    Arrivano Jigen e Lupin, ma Kikyo lancia alla parete un pugnale con una bomba attaccata, poi esce dalla finestra planando e allontanandosi.
    "Goemon, stai bene?"
    "Ha preso il dragone, Lupin!"
    Lupin osserva il pugnale alla parete.
    "Sta per esplodere!"
    L'esplosione scuote tutto il piano del palazzo.

    Al laboratorio di Chin, gli scienziati hanno completato le analisi della pergamena e realizzato il liquido che trasformerà il dragone nella lastra originaria, con la scritta per la produzione del supermetallo. Chin osserva tutto, affiancato da Gensai e Kikyo. Fujiko, legata a una sedia, si sveglia.
    "Dove sono?"
    "Finalmente ti sei svegliata" dice Chin.
    Fujiko osserva sorpresa Kikyo, viva, accanto a Chin.
    "Kikyo? Allora tu..."
    "E' giunto il momento della rinascita del dragone" dice solennemente Chin.

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    Intanto, Lupin, Jigen e Goemon, che sono sopravvissuti, riescono a raggiungere il laboratorio di Chin: vengono avvistati sullo schermo.
    "I tre impiastri sono tornati" commenta Chin.
    Lupin e gli altri entrano in una stanza, dove vedono Fujiko appesa per le mani da una catena. Goemon taglia la catena e Lupin la raccoglie: all'improvviso, Lupin sente una puntura e Fujiko salta via con un balzo.
    "Fujiko, ma cosa...? Sono immobilizzato."
    "Anch'io" dice Jigen.
    "Il trucco dell'ombra, Goemon, te lo ricordi? Me lo avevi insegnato tu!"
    Kikyo si toglie il travestimento di Fujiko.
    "Kikyo! Perchè mi hai tradito?"
    "Tradito? Ti sbagli, Goemon: non ho tradito nessuno, Perchè io non sono mai stata dalla tua parte."
    "Ora capisco" dice Lupin a fatica "La persona che aveva detto a Chin che il dragone era finito nel Titanic eri tu."
    "Esatto, bravo, Lupin. L'uomo che rubò il dragone era il mio bisnonno, che morì nella nave. L'avevo scoperto solo di recente e poi l'ho rivelato a Chin. Con questo, io sarò la padrona assoluta dell'umanità!"
    Si apre una parete e Chin si rivela, insieme a Fujiko legata alla sedia. Mostra loro la struttura dietro di lui:
    "Ecco qua il mio capolavoro: un bombardiere stealth realizzato con la superlega!"
    Fujiko viene gettata insieme a Lupin e gli altri: la loro camera si chiude e viene riempita di gas.
    "Quel gas trasforma gli uomini in belve: vi ucciderete l'un l'altro!"
    "Aspetta, Chin, risparmiami, farò quello che vuoi!" dice Fujiko.
    "Hai avuto la tua possibilità e l'hai sprecata, Fujiko. Ora devo lasciarvi: con lo stealth creerò caos, panico, disperazione!"
    I quattro si guardano.
    "Cosa facciamo, Lupin?" chiede Fujiko, allarmata.
    "Trattenete il respiro!"
    Ma è inutile: iniziano ad impazzire e a picchiarsi. Lupin riesce a rimanere lucido e a contattare il suo aereo, da cui fa lanciare un missile che fa esplodere il laboratorio di Chin e fa uscire il gas dalla camera. I quattro respirano con sollievo l'aria e si riprendono.

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    "Andiamo sull'aereo, bisogna fare il gran finale!" esclama Lupin.
    Mentre escono dal laboratorio, lanciano delle bombe che lo fanno esplodere in più punti. Ma compare Gensai.
    "Fermi tutti!" ordina il ninja.
    "Abbiamo piazzato delle bombe, Gensai, tra poco scoppieranno. E' meglio se filiamo!"
    "Non se ne parla, vi ammazzerò tutti!"
    "Ci penso io a lui" dice Goemon.
    "No, tu sei la nostra carta vincente" obietta Lupin "A lui ci penso io!"
    Gensai cerca di affettare Lupin, ma lui, con un trucco, riesce a sparargli in testa.
    "E speriamo che questa sia la volta definitiva, Gensai...hai rotto abbastanza coi tuoi ritorni!"
    Partono tutti a bordo dell'aereo.
    "Siamo in quattro, Lupin, non è che superiamo il limite di peso?" chiede Fujiko.
    "Non è il tempo di pensare a questo, partiamo. E poi tu, chérie, sei leggerissima, non preoccuparti!"
    Intanto, lo stealth di Chin fa a pezzi l'aviazione americana e si dirige a New York per bombardarla.
    "Ci resta l'ultima carta da giocare, vero Goemon? La tua spada invincibile!" dice Lupin.
    "Ma lo stealth è fatto da una lega più forte della tua spada, Goemon!" obietta Fujiko.
    "Non c'è nulla che la Zantetsuken non possa tagliare!" afferma il samurai.
    Goemon taglia lo stealth, senza risultato.
    "Crede di tagliarmi, quell'imbecille!" sghignazza Chin.
    Anche Kikyo si mette a ridere, e apre il comando per sparare:
    "Muori, Goemon!"
    Il samurai deflette i proiettili, e dice a Lupin:
    "Fammi passare ancora attraverso lo stealth!"
    "Ne ho abbastanza, Lupin, fammi scendere!" esclama Fujiko.
    "E dove?"
    "E' inutile lanciare dei proiettili" dice Chin" Manda loro un missile automatico!"
    "D'accordo!" esclama Kikyo.
    Il missile parte e Lupin cerca di evitarlo: nel farlo, attraversa di nuovo lo stealth, e Goemon lo taglia ancora. Fanno la stessa cosa più volte, fino a che l'aereo di Chin finisce letteralmente tagliato in due.
    "Ma...è impossibile!" dice stupito il capobanda.
    Inoltre, il missile che inseguiva l'aereo di Lupin esplode in mezzo allo stealth: Chin muore tra le fiamme e Kikyo precipita in mare, davanti agli occhi di Goemon.
    "Goemon ce l'ha fatta!" gridano tutti.
    Jigen nota un dettaglio significativo:
    "Questo è lo stesso punto in cui è affondato il Titanic. Ironico: l'aereo che doveva essere indistruttibile, cade in fondo, insieme alla nave che doveva essere inaffondabile."
    "Potrai rivedere il tuo bisnonno, Kikyo" dice cupo Lupin.
    All'improvviso, l'aereo di Lupin non ce la fa più: perde un pezzo e Fujiko cade giù. Lupin, con una corda legata a sè, si tuffa ed afferra Fujiko: la corda li tira su e giù in continuazione, manco facessero bungee jumping. Arriva Zenigata a bordo di un elicottero:
    "Lupin, ti dichiaro in arresto!"
    "Ho salvato il mondo, Zazà, almeno dovresti dirmi grazie!"
    "Taci! Arrenditi!"
    L'aereo, con Lupin e Fujiko appesi, si allontana, inseguito dall'elicottero di Zenigata. Intanto, il dragone, caduto in acqua insieme allo Stealth, si deposita accanto ai resti sia dell'aereo che del Titanic, rimanendo lì come eterno guardiano.

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  9. .
    PARADISO CANTO 18 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - PASSAGGIO AL SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI (seconda parte)

    SAN-GIORGIO
    Curiosamente, tra gli spiriti combattenti manca San Giorgio. Veneratissimo, è patrono dell'Inghilterra e di altri Paesi.


    Siamo sempre al Quinto Cielo di Marte: Cacciaguida continua la presentazione degli Spiriti Combattenti. Prima aveva presentato Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno e Orlando. Ora abbiamo la presentazione degli Spiriti Combattenti successivi.

    GUGLIELMO D'ORANGE E RENOARDO: LA COPPIA EROICA

    GUGLIELMO-D-ORANGE
    Guglielmo d'Orange: per rendere il personaggio, ho preso un'immagine dell'anime King Arthur.


    Dante così li presenta, tutti insieme, in una sola terzina:

    Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo (Poi Guglielmo d'Orange e Rinoardo)
    e ‘l duca Gottifredi la mia vista (e Goffredo di Buglione attrassero la mia vista)
    per quella croce, e Ruberto Guiscardo (lungo quella croce, e così Roberto il Guiscardo.)

    Guglielmo d'Orange era chiamato anche Guglielmo d'Aquitania o Guglielmo Fortebraccio. Era un Duca e membro della famiglia reale; fu anche consigliere di Carlo Magno e un valoroso uomo d'arme. Combattè contro i Baschi Vasconi risiedenti a Navarra (Spagna), alleati dei Mori (tra l'altro, la Navarra confina proprio col famoso passaggio di Roncisvalle, dove morì Orlando). Respinse anche i Saraceni, guidati dall'Emiro di Cordova (Spagna) Hisham I, che voleva fare la Guerra Santa contro il resto dell'Europa. La battaglia avvenne nel 793 al fiume di Orbieu (Carcassonne), nel sud della Francia, cioè nella regione dell'Aquitania. Partecipò anche alla conquista di Barcellona, che fu strappata ai Mori.

    Divenne marchese della Marca di Spagna, istituita da Carlomagno: si trattava del territorio spagnolo tolto ai musulmani (era composta dal nordest (Navarra) e dal sudest (Barcellona) della Spagna, nelle aree quindi vicine ai Pirenei). Per proteggersi dalle incursioni dei Mori circostanti, lungo tutta la Marca furono istituite delle guarnigioni militari: si trovavano a Barcellona, Gerona, Lleida. A Gerona, in particolare, Guglielmo d'Orange fondò un monastero, dove, negli ultimi anni di vita, si ritirò vivendo da frate e facendo penitenza. Morì laggiù nell'812, ed era da tutti già venerato come santo. Intorno alla figura di Guglielmo d'Orange nacque un ciclo di canzoni sulle sue imprese (le famose chanson de geste francesi, come la Chanson de Roland). Questo ciclo di canzoni fu chiamato "Ciclo di Orange" ed ebbe molta fortuna nel Medioevo, specialmente in Italia. Adesso è praticamente dimenticato.

    RENOARDO

    BENKEI
    Il gigantesco e fortissimo Renoardo, ex-musulmano e fedele amico di Guglielmo d'Orange. Il personaggio di Benkei che presento qui, che era l'enorme monaco al servizio del suo amico, il samurai Minamoto, rende l'idea di Renoardo. Secondo la leggenda, Benkei morì combattendo, ma rimanendo in piedi anche da morto.


    Renoardo non è un personaggio storico, o meglio, la sua esistenza non è storicamente provata. E' uno dei protagonisti del "Ciclo d'Orange": era un saraceno di umili origini, che faceva lo sguattero. Il suo nome completo infatti era "Rainouart au tinel", cioè "Renoardo dal tinello". Era dotato di una forza smisurata, e la sua arma era una clava. Convertito al cristianesimo da Guglielmo d'Orange, divenne il suo fido compagno d'arme, sul modello del legame esistente fra Carlo Magno e il paladino Orlando. È uno dei principali personaggi del Ciclo d'Orange e anche lui finisce i suoi giorni come monaco in penitenza, come il suo signore.

    GOFFREDO DI BUGLIONE, IL DIFENSORE DI GERUSALEMME

    GOFFREDO-DI-BUGLIONE
    Goffredo di Buglione è nominato capo della conquista e difesa di Gerusalemme. La sua forza era leggendaria: con un solo colpo della sua spada, tagliò la testa ad un enorme cammello.


    Goffredo di Buglione (1060-1100) è stato un cavaliere franco e uno dei comandanti della Prima Crociata. Torquato Tasso ne fece il protagonista della sua Gerusalemme liberata. Nacque a Baisy, in Francia, e la sua carica fu quella di Duca di Lorena. Per le spese della spedizione della Crociata non esitò a vendere i suoi castelli di Stenay e Bouillon, che era la sua residenza preferita. La spedizione era composta da 12.000 uomini. Goffredo di Buglione mostrò eccezionali doti militari: conquistò la città di Antiochia, che era una poderosa roccaforte turca. Gerusalemme, che era in mano ai cristiani ai tempi di Costantino, fu prima conquistata dai Persiani nel 614, ai tempi della caduta dell'Impero Romano. Dopo solo vent'anni, nel 638, cadde in mano ai musulmani. L'Imam al-Ḥākim, che comandava a Gerusalemme, oltre ad opprimere duramente i cristiani come si era sempre fatto nei secoli precedenti di dominazione musulmana nella città, distrusse anche numerose chiese, fra le quali persino la basilica del Santo Sepolcro, dove fu sepolto Gesù e dove avvenne la Resurrezione. Il fatto suscitò un grande sdegno in Occidente. Goffredo di Buglione mise sotto assedio Gerusalemme per lungo tempo: alla fine, i Crociati liberarono la città nel 1099. Goffredo divenne il primo sovrano del nuovo Stato crociato, chiamato Regno di Gerusalemme. Rifiutò tuttavia il titolo di re, perché il vero Re di Gerusalemme è Cristo. Quindi si fece chiamare Difensore del Santo Sepolcro (dal latino Advocatus Sancti Sepulchri). Rimase a Gerusalemme dopo la conquista della città e ne organizzò la difesa contro i musulmani. Morì in Terrasanta nel 1100 e suo fratello Baldovino fu il successore.

    ROBERTO IL GUISCARDO, DIFENSORE DEL PAPA E DELLA CHIESA

    ROBERTO-IL-GUISCARDO
    Con Roberto il Guiscardo si conclude l'elenco degli Spiriti Combattenti per la Fede.


    Roberto il Guiscardo (cioè "l'astuto"), o Roberto d'Altavilla (1015-1085), fu un condottiero normanno. Divenne duca di Puglia e Calabria nel 1059. Combattè contro i Longobardi e pose fine al dominio bizantino nell'Italia meridionale, che minacciava la Chiesa. Infatti, i bizantini seguivano la religione ortodossa, nata dopo lo Scisma d'Oriente del 1054. Combattè contro i Saraceni in Sicilia, ponendo fine al loro dominio sull'isola. Combattè in particolare contro l'imperatore tedesco Enrico IV, che stava conquistando Roma, dopo la sua famosa (e finta) umiliazione a Canossa dal Papa, per riavere la sua autorità imperiale.

    CANOSSA
    Il falso pentimento dell'imperatore Enrico IV a Canossa.


    Una volta che fu perdonato, Enrico IV attaccò appunto Roma e il Papa dovette rifugiarsi nella roccaforte di Castel Sant'Angelo a Roma per non finire ucciso nel massacro. Il Guiscardo respinse Enrico IV,, ma le sue stesse truppe, non controllate, saccheggiarono Roma dopo il saccheggio di Enrico IV. Dopo altre battaglie, morì e fu sepolto a Venosa, in Basilicata, con la scritta "Qui giace il Guiscardo, terrore del mondo".

    IL DANTE DI NAGAI

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    Dante e Cacciaguida secondo Nagai.


    Riguardo a quello che accade nel Cielo di Marte, di cui abbiamo appena finito l'analisi, nel manga di Nagai Cacciaguida non presenta le anime dei combattenti della fede a Dante. Ecco i dialoghi:
    Dante: Oh! Ma tu sei...
    Cacciaguida: Dante! Io sono Cacciaguida, il padre del tuo bisnonno.
    Dante: Cacciaguida! Il valoroso martire del quale ho sempre sentito parlare fin da bambino! Tu forse puoi rispondere a questa domanda: la strada che ho intrapreso con la mia vita, con le mie battaglie...è quella giusta?
    Cacciaguida: Dante, figliolo, purtroppo tu sarai costretto a vivere in esilio! Ma non devi perderti d'animo! Devi seguire il mio esempio, sforzandoti di percorrere la strada della fede! Tu, Dante, riferirai al mondo tutto ciò che hai veduto finora! Sono certo che ora sai! Ora capisci cosa significhi vivere rettamente! La tua poesia immortale, i tuoi versi divini diffonderanno per sempre questo messaggio!
    Beatrice: Guarda! Gli angeli che popolano il cielo di Marte si sono radunati e stanno cantando e danzando! E' la loro benedizione per il proseguimento del tuo viaggio!


    Nel canto originale non ci sono schiere di angeli danzanti che benedicono il viaggio di Dante. Anzi, finora, a danzare sono solo le anime dei Beati. Dante, nel poema, non dice che lui aveva sentito parlare delle gesta di Cacciaguida sin da bambino: anzi, sembra che lui non sapesse niente del suo avo. Dante, sempre nel poema, non chiede a Cacciaguida se la sua strada è giusta (che senso ha chiederlo, visto che adesso è in Paradiso, e ha fatto pace prima col suo passato nel Purgatorio?). Piuttosto, nel poema originale gli chiede prima dei dati personali (chi è, quando nacque, chi erano suoi avi, chi era la gente della Firenze dei suoi tempi); poi gli chiede quello che gli accadrà, visto che all'Inferno e in Purgatorio avevano fatto dei cenni cupi sul suo futuro. Come si vede dal discorso di Cacciaguida nel manga, il nome di Dio non è nominato, nè come aiuto, nè come guida. L'uomo (Dante) qui nel manga di Nagai è solo, e deve solo "seguire l'esempio" di Cacciaguida. Cioè quello un altro uomo, non di Dio. Certo, Cacciaguida nel manga parla di "sforzarsi di percorrere la strada della fede"...ma intende lo sforzarsi da solo. Non si dice mai nel manga di chiedere l'aiuto a Dio. Ancora qui, come nelle altre parti del manga di Nagai, Dio è il grande assente: se lo si cita, spesso è solo per criticarlo. Per esempio: come può Dio mandare all'Inferno, in un posto così brutto, tanta povera gente, poverina, che soffre tanto, ma tanto, e tra di loro anche tante belle donne nude che soffrono, oh quanto soffrono, non è giusto. Nagai non dice mai che i dannati sono all'Inferno per loro scelta, e questo nonostante l'aiuto che Dio stesso voleva dare loro, dando persino il Suo sangue in croce. La visione cristiana in Nagai, insomma, non c'è. C'è la visione pagana, dove l'uomo è solo e le divinità sono lontane.

    ASCESA AL CIELO DI GIOVE

    Alla fine della rassegna, Cacciaguida si riunisce alle altre luci dei beati, cantando assieme a loro e mostrandosi degno artista tra quei cantori del Cielo. Dante torna a rivolgersi a Beatrice, per sapere cosa dovrebbe fare adesso, e vede i suoi occhi così splendenti come non gli erano mai sembrati finora. Il poeta si rende conto, in quel momento, di essere salito al Cielo successivo, il Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti. Dante si accorge infatti che questo nuovo Cielo ruota con un arco più ampio del precedente. Inoltre, nota che la bellezza di Beatrice è ulteriormente aumentata. Non solo: il pianeta al quale è attribuito il Cielo non è più rosso: ha mutato colore, passando dal rosso all'argento, proprio come fa una donna, che, dopo essere arrossita (il colore di Marte), riacquista in breve tempo il suo candore (spiega Dante facendo questo paragone).

    GLI SPIRITI GIUSTI. LA SCRITTA SIMBOLICA E LA FIGURA DELL'AQUILA

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    Nel Cielo appaiono le anime degli Spiriti Giusti, che si uniscono tra di loro, formando così delle lettere dell'alfabeto: compare così una D, poi una L o una I. Quelle anime sono simili agli uccelli che, dopo essersi levati in volo, si rallegrano a vicenda e formano schiere di varia forma. Dapprima, cantando, si muovono al ritmo del loro canto; poi, trasformandosi in uno di queste lettere ("segni", li chiama Dante), si fermano e tacciono per un poco. Raffigurano alla fine una scritta di senso compiuto: Dante invoca la Musa, chiamandola "Diva Pegasea" (il cavallo alato Pegaso, secondo il mito classico, fece scaturire dall'Elicona, il monte delle Muse, la fonte Ippocrene, che era il simbolo dell'ispirazione poetica) e le chiede un'alta ispirazione, in modo da poter descrivere le figure viste, a dispetto della pochezza dei suoi versi.

    Le anime formano in tutto trentacinque lettere, che unite danno luogo alla scritta: "DILIGITE IUSTITIAM, QUI IUDICATIS TERRAM", cioè "Amate la giustizia, voi che giudicate la Terra". E' il primo versetto del Libro della Sapienza dell'Antico Testamento ed è un richiamo severo a tutti coloro che, sulla Terra, hanno responsabilità importanti, sia laici che uomini di Chiesa. Il cui cattivo esempio, infatti, è fonte di quasi tutti i mali denunciati nella Commedia.

    Alla fine, le luci restano unite a formare l'ultima "M", che sta per "monarchia", sfolgorando dorate e stagliandosi sul colore argenteo di Giove, poi, dall'alto, scendono delle altre luci che si uniscono sulla parte alta della "M", raffigurando una sorta di giglio araldico. In seguito, Dante vede più di mille luci salire dalla parte alta della lettera "M", simili alle scintille che sprizzano da un ciocco di legno che arde, dalle quali gli sciocchi (pagani e increduli) sono soliti trarre auspici ("onde li stolti sogliono agurarsi") ed esse formano il collo e la testa di un'aquila (l'aquila è il simbolo regale). Il poeta osserva che chi ha dipinto quella figura di aquila, cioè Dio, non ha maestro né modello e quindi la virtù creativa che dà origine agli esseri viventi ha inizio da Lui.

    Quei che dipinge lì, non ha chi ‘l guidi; (Colui che dipinge lì (Dio) non ha modelli né maestri,)
    ma esso guida, e da lui si rammenta (ma è Lui stesso maestro, e da Lui si riconosce)
    quella virtù ch’è forma per li nidi. (quella virtù creativa che è forma per gli esseri generanti nei nidi.)

    Anche le altre luci che, prima, formavano la figura della 'M', ora si dispongono a rappresentare il corpo dell'aquila.

    INVETTIVA DI DANTE CONTRO I PAPI CORROTTI E GIOVANNI XXII

    Dante è rapito nell'osservare quelle luci, simili a gemme, che costellano il Cielo di Giove, rappresentando la giustizia: capisce che l'influsso stesso della Giustizia promana da quella stella.

    O dolce stella, quali e quante gemme (O dolce stella, quali e quante gemme (i beati)
    mi dimostraro che nostra giustizia (mi dimostrarono che la nostra giustizia umana)
    effetto sia del ciel che tu ingemme! (è prodotto del Cielo che tu impreziosisci!)

    Poi prega Dio di rivolgere lo sguardo sulla Terra, là dove esce il fumo della corruzione che offusca tale benefico influsso.

    Per ch’io prego la mente in che s’inizia (Dunque io prego la mente (di Dio)
    tuo moto e tua virtute, che rimiri (in cui la tua virtù e il tuo moto iniziano, di osservare)
    ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; (da dove esce il fumo che oscura il tuo raggio;)

    Questo termine, "fummo che il tuo raggio vizia", "fumo che oscura il Tuo raggio", è curioso, perchè somiglia molto al "fumo di satana che è entrato nel tempio di Dio", come disse Paolo VI cinquant'anni fa, il 29 Giugno 1972, nella più drammatica allocuzione (cioè, discorso fatto in occasioni solenni) del suo pontificato. Per la precisione disse:

    "Abbiamo (allora il Papa parlava col plurale maiestatis, quindi col "noi", caratteristica dei Papi e dei Re) la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel Tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce (fa riferimento al Concilio Vaticano II, che Giovanni XXIII definiva “porte e finestre aperte perché entri aria fresca”). Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio.(...) Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza".

    Ci furono poi gli Anni di Piombo e l'omicidio Moro. E quello era solo l'inizio.

    PAOLO-VI


    Tornando a Dante, il poeta rincara la dose, chiedendo l'ira divina per il commercio simoniaco che avviene in seno alla Chiesa, edificata sui miracoli e sul martirio:

    sì ch’un’altra fiata omai s’adiri (cosicché si adiri un'altra volta)
    del comperare e vender dentro al templo (del mercato che si fa dentro al Tempio,)
    che si murò di segni e di martìri. (che fu costruito con miracoli e col martirio (la Chiesa).

    Non si tratta solo del comprare e vendere cose sacre: ma peggio, trattare la stessa Chiesa e la Sua verità come se fosse qualcosa di malleabile a seconda delle circostanze. E' uno svendersi al miglior offerente, come fanno le prostitute. Dante usa lo stesso linguaggio dei profeti: invoca anche la preghiera dei beati a favore degli uomini in Terra, sviati dal cattivo esempio della Chiesa, allora come adesso:

    O milizia del ciel cu’ io contemplo, (O esercito del Cielo che io contemplo,)
    adora per color che sono in terra (prega per coloro che, in Terra,)
    tutti sviati dietro al malo essemplo! (sono sviati dal cattivo esempio (della Chiesa)

    Un tempo infatti si faceva guerra con le spade: ma ora la si fa sottraendo ai fedeli il cibo spirituale (l'Eucarestia) che Dio, invece, non nega a nessuno.

    Già si solea con le spade far guerra; (Un tempo si faceva guerra di solito con le spade;)
    ma or si fa togliendo or qui or quivi (ora invece si fa togliendo a questo e a quello)
    lo pan che ’l pio Padre a nessun serra. (il pane (l'Eucarestia) che Dio non nega a nessuno.)

    Questa terzina ricorda in modo impressionante il fatto della "Pasqua assente" del 2020, in cui, a causa del lockdown e del covid, la paura anche nella Chiesa fu tale da negare persino l'Eucarestia, per non parlare delle Messe negate per tre mesi. Così, per la prima volta da venti secoli, in Chiesa non si fece nemmeno il rito della Pasqua. Anzi, in quello spaventoso periodo di tre mesi non era possibile confessarsi e nemmeno ricevere l'Estrema Unzione.

    andr-tutto-be
    Un'immagine molto simbolica.


    Dante, infine, esorta papa Giovanni XXII (che fu Papa dal 1316 al 1334: sarà l'ultimo Papa che Dante conoscerà, prima di morire) a pensare a san Pietro e san Paolo, che diedero la vita per quella Chiesa, che ora il pontefice corrompe, e a pensare che questi santi sono tuttora viventi (perchè sono in Paradiso). Invece, Papa Giovanni XXII scrive al solo scopo di cancellare, accusa Dante (ed è molto attuale anche questo),

    Ma tu che sol per cancellare scrivi, (Ma tu che scrivi solo per cancellare (papa Giovanni XXII)
    pensa che Pietro e Paulo, che moriro (pensa che san Pietro e san Paolo, che morirono)
    per la vigna che guasti, ancor son vivi. (per la vigna (la Chiesa) che tu corrompi, sono ancora vivi.)

    Ma Dante stesso mette in bocca al Papa la sua risposta: il Papa non si cura di questo, perchè pensa solo a san Giovanni Battista (che è stampato sul Fiorino, la moneta di Firenze: è come dire che pensa solo ai soldi), il santo che visse nel deserto e fu fatto uccidere da Salomè; mentre non conosce né il pescatore (san Pietro) né Polo (san Paolo). Giovanni XXII, per bocca di Dante, si riferisce ai due santi in modo sprezzante e derisorio: "pescator" e "Polo", la forma volgare di Paolo.

    Ben puoi tu dire: "I’ ho fermo ’l disiro (Certo tu puoi dire: "Io desidero fermamente)
    sì a colui che volle viver solo (colui (san Giovanni Battista) che volle vivere solo nel deserto)
    e che per salti fu tratto al martiro, (e che fu condotto al martirio con una danza ("salti" di Salomè)

    ch’io non conosco il pescator né Polo». (cosicché io non conosco il pescatore (Pietro) né Polo (Paolo).")

    COMMENTO

    Il canto è strutturalmente diviso in due parti:
    1) la conclusione dell'episodio di Cacciaguida (con la presentazione degli spiriti combattenti)
    2) l'ascesa al Cielo di Giove, con la complessa formazione dell'aquila, preludio al discorso sulla giustizia che occuperà i prossimi due canti. Infatti, il Cielo di Giove è quello degli Spiriti Giusti, cioè che fanno giustizia.

    All'inizio del Canto, Dante riflette su quello che gli ha appena detto Cacciaguida: cioè l'ingiustizia che dovrà subire e la missione della Commedia che dovrà realizzare. In particolare, il cenno sul sopruso e sull'esilio subirà è un preannuncio del successivo passaggio al Cielo di Giove, col discorso successivo sulla Giustizia. Beatrice poi gli ricorda che lei, che è vicina a Dio, rivolgerà le sue preghiere in favore di Dante. Con questo cenno di Beatrice, Dante vuole far capire che giustizia divina è destinata alla fine a prevalere sulle ingiustizie terrene, assegnando nell'Aldilà premi e punizioni a seconda delle azioni compiute in vita.

    Cacciaguida conclude qui il suo lungo intervento, presentando a Dante i principali Spiriti Combattenti che occupano la croce luminosa, vista da Dante all'inizio della sua entrata al Cielo di Marte: personaggi che hanno combattuto per la conquista della Terrasanta (Giosuè e Giuda Maccabeo), o per la sua difesa durante le Crociate (Cacciaguida stesso, poi Goffredo di Buglione), oppure si sono battuti contro i Saraceni in Spagna e in Francia (Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Rinoardo) o in Italia meridionale (come Roberto il Guiscardo, che affrontò i musulmani in Sicilia e gli ortodossi bizantini).

    Questi spiriti hanno combattuto per difendere la fede e per la giustizia: quasi la stessa cosa dei governanti che Dante presenterà nel Cielo di Giove, e che hanno correttamente operato nell'esercitare le loro funzioni. Come al solito, Dante non si accorge di essere salito al Cielo successivo, se non da alcuni indizi visivi (il mutato colore del pianeta, che da rosso è diventato argenteo, il moto circolare del Cielo che è più ampio, l'accresciuta bellezza degli occhi di Beatrice) e in seguito gli appaiono subito gli Spiriti Giusti, che scintillano dorati sul colore tenue del pianeta Giove, sfavillando intorno a Dante e dando vita a una complessa figurazione che introduce il discorso successivo sulla Giustizia.

    Le luci delle anime si dispongono a formare la scritta in latino «amate la giustizia, o voi che giudicate la Terra». La scena è talmente complessa che, per descriverla al meglio, Dante deve fare ricorso a tutto il suo ingegno poetico, invocando l'aiuto delle Muse perché lo assistano in quest'ardua impresa. Infatti, le luci indugiano a formare la lettera 'M' che conclude la scritta e che unanimemente è interpretata come l'iniziale della parola «Monarchia», mentre altre luci si aggiungono nella parte alta della lettera M e la trasformano in un giglio araldico. Successivamente, altre luci modificheranno la figura, fino a tramutarla in un'aquila, cioè il simbolo dell'Impero Romano e di quello Germanico (il Sacro Romano Impero Germanico) che ne era il legittimo successore, destinato, secondo Dante, ad assicurare il buon governo al mondo cristiano e la giustizia attraverso l'applicazione delle leggi. La rappresentazione è un modo per affermare nuovamente la necessità di un'autorità centrale e suprema, che per Dante coincideva con l'imperatore tedesco e la cui assenza in Italia era fonte di soprusi e ingiustizie, nonché di quel disordine politico in cui il suo stesso esilio era maturato. Il finale del Canto è occupato dalla tremenda invettiva (una delle più forti della Commedia) che Dante rivolge alla Chiesa corrotta (Clemente V aveva trasferito la sede papale ad Avignone su pressione del re francese Filippo il Bello, e Giovanni XXII fu il Papa successivo, sempre residente ad Avignone).

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xviii.html
  10. .
    PARADISO CANTO 18 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE (prima parte)

    CAVALIERI-DI-MALTA
    Se Dante li avesse conosciuti, avrebbe messo tra gli Spiriti Combattenti per la Fede anche i Cavalieri di Malta, temutissimi dai musulmani. C'erano già ai tempi di Dante, ma non erano ancora famosi: lo divennero dopo, nell'assedio a Malta da parte dei Saraceni nel 1564. Con un eroismo incredibile, combattendo anche in punto di morte, i Cavalieri di Malta, guidati dal Gran Maestro Jean de La Vallette, (da cui la capitale di Malta, La Valletta, prenderà il nome) respinsero un'armata di 50.000 musulmani. Parteciparono anche alla battaglia di Lepanto del 1571. Oggi si occupano di attività assistenziali.



    CONFORTO DI BEATRICE

    Cacciaguida ora tace, dopo aver rivelato a Dante la profezia del suo esilio: e Dante medita su quello che ha sentito con aria preoccupata, pensando sia alla prova che lo attende che alla gloria del Paradiso che lo aspetta. Beatrice lo invita a non abbattersi, e a pensare che lei pregherà per Dante presso Dio, Colui che risolve tutti gli affanni e le ingiustizie:

    Già si godeva solo del suo verbo (Ormai (Cacciaguida) si beava, tutto assorto ("solo"), del proprio pensiero (della propria contemplazione)
    quello specchio beato, e io gustava (lui che ora è il santo specchio di Dio ("quello specchio beato": Cacciaguida cioè contempla e riflette Dio: dopo aver parlato a Dante, affida tutto a Dio), e io ero assorto)
    lo mio, temprando col dolce l’acerbo; (su quello che avevo udito, attenuando l'asprezza (della profezia dell'esilio: "l'acerbo") con la dolcezza (della gloria futura: "dolce")

    e quella donna ch’a Dio mi menava (e quella donna che mi guidava a Dio)
    disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono (disse: «Non ti abbattere, e pensa che io sono)
    presso a colui ch’ogne torto disgrava». (vicina a Colui (Dio) che ripara ogni ingiustizia».)

    Dante fissa lo sguardo nei suoi occhi e non è in grado di descriverne la bellezza: non solo perché non ha i mezzi poetici per farlo, ma anche per l'insufficienza della memoria nel ricordare. Può solo dire che, guardando Beatrice, ogni suo desiderio è acquietato, poiché nella donna si riflette l'eterna bellezza di Dio stesso. Beatrice gli sorride e lo esorta a voltarsi e ad ascoltare, poiché il poeta può trovare gioia anche in altro che non siano i suoi occhi: "Volgiti e ascolta; / ché non pur nè miei occhi è paradiso." ("Voltati e ascolta; infatti, il Paradiso non è soltanto nei miei occhi.")

    GLI SPIRITI COMBATTENTI DELLA CROCE

    Dante obbedisce e torna a rivolgersi a Cacciaguida, intuendo dal suo accresciuto fulgore che il beato ha ancora grande desiderio di parlargli. L'avo spiega che questa "quinta soglia" (il Quinto Cielo di Marte) "dell'albero" (cioè il Paradiso) riceve la vita dalla cima ("de l’albero che vive de la cima"), anzichè dalle radici, come fanno tutti gli alberi. Cacciaguida vuole dire che l'Albero del Paradiso riceve la vita dalla cima, cioè da Dio; fruttifica sempre e non perde mai le foglie. Questa immagine era frequente nei mistici medievali e anche nella Bibbia.

    In questo quinto Cielo, continua Cacciaguida, ci sono degli spiriti beati che sulla Terra, prima di morire, ebbero una grande fama ("fuor di gran voce"), al punto che offrirebbero un mucchio di spunti per ogni ispirazione poetica ("sì ch’ogne musa ne sarebbe opima"). Cacciaguida invita quindi Dante ad osservare i bracci orizzontali della grande croce luminosa che il poeta aveva visto appena entrato nel Cielo di Marte: lui indicherà alcuni di questi beati che hanno combattuto per la fede e ognuno di essi, quando sarà nominato, scorrerà rapidissimo da una parte all'altra dei bracci della croce, tanto da sembrare un lampo ("farà l’atto/che fa in nube il suo foco veloce": si pensava che il lampo fosse generato nella nube).

    E' da notare che Dante, nel presentarli, non descriverà i condottieri o farà un riassunto sulle loro vite: farà solo un elenco e basta. Si limita infatti ad evocarli a uno a uno, quasi come se stesse facendo un appello militare, isolando ogni nome con la sua aureola leggendaria, sottolineando l'ideale continuità della loro opera di combattenti per la vera fede.

    GIOSUE', IL CONQUISTATORE

    Il poeta osserva e vede l'anima di Giosuè, che si muove all'unisono con la voce dell'avo.

    Io vidi per la croce un lume tratto (Io vidi che, lungo la croce, una luce si mosse all'unisono)
    dal nomar Iosuè, com’el si feo; (al nominare Giosuè,)
    né mi fu noto il dir prima che ‘l fatto. (tanto che l'ascoltare e il vedere avvennero allo stesso tempo.)

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    Giosuè abbatte le mura di Gerico facendo suonare le trombe.


    Giosuè, figlio di Nun, fu un condottiero ebraico. La sua storia è raccontata nella Bibbia a partire dal Libro dell'Esodo fino al Libro di Giosuè, che prende nome da lui. È venerato come santo e patriarca dalla Chiesa Cattolica: la memoria ricorre il 1º Settembre. Il suo nome deriva dall'ebraico Yehoshùa e significa "Dio salva", di cui Iesoùs, Gesù, è la trascrizione in greco. Infatti, Giosuè è il nome originale ebraico di Gesù, che significa appunto "Dio salva".

    Giosuè succedette a Mosè come capo degli Israeliti, dopo il lungo viaggio di quarant'anni nel deserto, e guidò le dodici tribù d'Israele nelle prime conquiste nella Terra Promessa. Il primo ostacolo fu il fiume Giordano: Giosuè fece avanzare l'Arca dell'Alleanza (che portava la Presenza Divina), portata dai sacerdoti, e il fiume arrestò miracolosamente il suo scorrere, permettendo l'attraversamento degli israeliti.

    Gerico era la prima roccaforte da conquistare: come Sodoma e Gomorra, ormai era diventata una città completamente corrotta, anche se ancora potente. Le gigantesche mura di Gerico caddero all'istante, dopo che i sacerdoti girarono per sette volte attorno alla città, per sette giorni di fila, suonando lo shofar (corno dal suono potente di tromba, usato per le celebrazioni religiose). La città fu rasa completamente e tutti gli abitanti di Gerico furono uccisi, tranne la prostituta Raab e la sua famiglia, perchè lei aveva ospitato le spie ebraiche.

    Giosuè è famoso anche per il misterioso avvenimento della fermata del Sole. Dopo altre vittorie, la città di Gabaon si arrese agli Israeliti e fecero alleanza con loro: ma i Gabaoniti furono attaccati dagli altri cinque re che erano in guerra contro Israele. Gabaon allora chiamò Giosuè al loro soccorso, e la battaglia si prolungò, tanto che la giornata tendeva al tramonto e il risultato era ancora incerto. Allora Giosuè ordinò al Sole e alla Luna di fermarsi finchè gli Israeliti non ebbero battuto tutti i nemici: Dio fece fermare il Sole e la Luna per un giorno intero, e Giosuè sconfisse i cinque re.

    "Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele: «Sole, fèrmati in Gàbaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon». Si fermò il sole e la luna rimase immobile, finché il popolo non si vendicò dei nemici. (...) Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero. Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo, perché aveva ascoltato il Signore la voce d'un uomo, perché il Signore combatteva per Israele." (Giosuè 10, 12-14)

    giosue
    Giosuè ferma il Sole e la Luna.


    Questo passaggio fu molto discusso nei secoli. Giosuè fermò davvero il Sole? Ovviamente non è Giosuè, ma Dio a fermare il Sole, e a Dio nulla è impossibile: a Fatima, il 13 Ottobre 1917, nelle famose apparizioni, il Sole aveva addirittura danzato davanti a settantamila persone, ed era persino andato loro addosso, per poi ritornare dov'era.

    Ma la domanda rimane: il Sole davvero si fermò? Difficile da dire, ma qualche priva c'è. Antonio de Montesinos, un frate domenicano, vissuto tra il '400 e '500, scrisse che in Perù, durante il regno di Titu Yupanqui Pachacùtec II, il quindicesimo monarca dell’Antico Impero, nel terzo anno del suo regno, quando "le buone usanze furono dimenticate e il popolo si diede ad ogni forma di vizio, non vi fu alba per venti ore". In altre parole, la notte non terminò al momento dovuto e il sorgere del Sole fu ritardato di ben venti ore. Dopo grandi atti di disperazione, sacrifici e preghiere, il Sole sorse. Ora, quando in Palestina è giorno, in Perù è notte; dunque, se in Medio Oriente il giorno tardò a cessare, nel continente americano accadde per forza l’esatto opposto. Il periodo di regno di Titu Yupanqui Pachacùtec II è compatibile col tempo di Giosuè. Si potrebbe obiettare che Montesinos abbia inventato tutto per trovare un riscontro al racconto biblico: tuttavia, nei suoi scritti, non viene fatto alcun parallelismo con quel passo biblico o con la Bibbia in genere. Fra l’altro, se avesse riportato il falso, lo si sarebbe potuto facilmente smascherare. Inoltre, oltre alla leggenda riportata da Montesinos, anche altri popoli precolombiani, tra cui gli stessi Indiani dell’America del Nord, tramandarono il ricordo di una “lunga notte”. Ciascuno tiri da sè le sue conclusioni.

    GIUDA MACCABEO, IL MARTELLO DEI SUOI NEMICI

    GIUDA-MACCABEO
    Giuda Maccabeo, il "martello" dei persecutori.


    Cacciaguida ora chiama Giuda Maccabeo:

    E al nome de l’alto Macabeo (E al nome del nobile Maccabeo)
    vidi moversi un altro roteando, (vidi un'altra luce muoversi girando su se stessa,)
    e letizia era ferza del paleo. (e la gioia era la frusta che faceva muovere la trottola.)

    L'ultimo verso (e letizia...) vuol dire che la felicità del beato Giuda Maccabeo era come la frusta (ferza) che fa girare la trottola (paleo: una trottola conica, che si faceva girare con una frusta), perchè la luce dello spirito di Giuda Maccabeo ruotava attorno a se stessa.

    Giuda Maccabeo fu un condottiero ebraico, le cui azioni sono state scritte nei due libri dei Maccabei I e II dell'Antico Testamento. Il suo soprannome, "Maccabeo”, significa "martello". Divenne l'eroe della ribellione ebraica contro l'oppressione del re Antioco IV Epifane, sovrano di Siria e dell'area palestinese: salito al trono nel 176 a.C., tentò d'ellenizzare il mondo ebraico e minare le basi del monoteismo, nominando dei sommi sacerdoti greci e obbligando gli Ebrei ad abiurare alla loro fede, pena la morte, proibendo la circoncisione, l'osservanza del sabato e tutte le altre manifestazioni della fede ebraica.

    In particolare, Antioco consacrò a Giove un altare nel Tempio di Gerusalemme, che era invece dedicato al Dio d'Israele: fu chiamato dagli ebrei e dai profeti "l'abominazione della desolazione nel luogo santo", dove lì si doveva adorare solo Dio.

    Giuda Maccabeo, coi suoi partigiani, riuscì a liberare Gerusalemme, riconquistando il Tempio. Condusse poi la battaglia contro i generali siro-ellenistici Gorgia, Lisia e Nicanore: ma morì nello scontro, nel 160 a.C.

    Giuda Maccabeo impedì la diffusione dell'ellenizzazione degli ebrei (cioè, seguire il pensiero e le credenze greche) e il sincretismo religioso (adorare Dio e nello steso tempo altro dei). Di lui ne parla anche lo storico ebraico Giuseppe Flavio: le sue gesta, in complesso, furono parecchie e notevoli.

    Inoltre, da "maccabeo" viene il terme "macabro", cioè lugubre, o in relazione con la morte e col suo immaginario collettivo, tipo la "danza macabra". La storia dei Maccabei e della ribellione contro Antioco infatti è cupa: fa testo, per esempio, la storia dei sette fratelli torturati e uccisi con la loro madre da Antioco Epifane, come pure l'anziano Eleazaro, perchè non volevano rinnegare la loro fede.

    CARLOMAGNO, IL GRANDE RE E IMPERATORE

    CARLOMAGNO-2


    Cacciaguida continua la sua presentazione: qui si parla di Carlomagno e di Orlando insieme.

    Così per Carlo Magno e per Orlando (Così, ai nomi di Carlo Magno e Orlando,)
    due ne seguì lo mio attento sguardo, (il mio sguardo attento ne seguì altre due (saette)
    com’occhio segue suo falcon volando. (come l'occhio che segue il volo del proprio falcone da caccia.)

    Carlomagno (742-814) fu re dei Franchi, re dei Longobardi e dall'800 fu il primo Imperatore Romano incoronato da un Papa: Leone III lo incoronò Imperatore nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano, ora abbattuta e con la Basilica di San Pietro attuale al suo posto.

    E' da ricordare che da allora iniziò il rito dell'incoronazione dell'imperatore del Sacro Romano Impero: era una cerimonia in cui il sovrano della più grande entità politica dell'Europa occidentale riceveva le regalie imperiali per mano del Papa, a simboleggiare sia il diritto del papa a incoronare i sovrani cristiani che il ruolo dell'Imperatore come protettore della Chiesa cattolica e dell'ordine civile. Anche le imperatrici del Sacro Romano Impero erano incoronate. La prima incoronazione imperiale, dopo la deposizione di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore romano, fu appunto quella di Carlo Magno.

    Gli imperatori successivi furono anch'essi incoronati dal Papa. L'incoronazione papale era un requisito essenziale per avere il titolo imperiale: Carlo V fu l'ultimo imperatore ad essere incoronato dal Papa. Successivamente, fino all'abolizione dell'impero nel 1806, non vennero più incoronati dal Papa. Infatti, nel 1806, l'ultimo Imperatore, Francesco II d'Asburgo-Lorena, per evitare che Napoleone (già autonominatosi Imperatore dei Francesi due anni prima, nel 1804, costringendo il Papa ad incoronarlo), si autoproclamasse anche Imperatore del Sacro Romano Impero, decise di abdicare, optando per il nuovo titolo di Imperatore d'Austria.

    Carlomagno allargò il suo impero grazie a una serie di vittoriose campagne militari, che inclusero la conquista del Regno longobardo, fino a comprendere una vasta parte dell'Europa occidentale. L'Impero Carolingio fu l'inizio della fondazione del Sacro Romano Impero. Carlomagno morì e fu sepolto nella cattedrale di Aquisgrana, nella Germania Occidentale, dove Carlomagno costruì la sua sede imperiale.


    Lo scrigno d'oro e d'argento (chiamato Karlsschrein) di Carlomagno, nella cattedrale di Aquisgrana, dove sono seppelliti i suoi resti.


    Dopo la sua morte, l'impero passò al figlio Ludovico il Pio. Alla morte di Ludovico, l'impero fu diviso fra i suoi tre eredi: Lotario I, Carlo il Calvo e Ludovico II il Germanico.

    Carlomagno influenzò radicalmente tutta la vita e la politica del continente europeo nei secoli successivi. Per questo motivo è considerato re e padre dell'Europa. Infatti, tramite il figlio Ludovico il Pio, egli è l'antenato di tutte le Case Reali Europee, tra cui i Windsor (Re del Regno Unito), i Sassonia-Coburgo-Gotha (Re del Belgio), dei Borboni di Spagna (Re di Spagna), del re di Svezia Carlo XVI Gustavo (in quanto discendente dei Sassonia-Coburgo-Gotha, ma la casa reale di Svezia non deriva dai Carolingi), della Famiglia Granducale del Lussemburgo, oltre alle numerose case reali ora non più regnanti, come i Romanov, i Savoia, i Borbone di Francia e varie altre.

    ORLANDO, IL PALADINO PER ECCELLENZA

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    Orlando, il più forte e il più valoroso dei Paladini di Francia.


    Orlando, o Rolando (736–778), il più famoso dei Paladini di Francia, si mise al servizio di Carlomagno sin da ragazzo: infatti, durante l'assedio di Sutri, nel Lazio, in cui Carlomagno dovette difendere la Chiesa dai Longobardi, il re notò un ragazzo di nobile portamento e cultura, e volle sapere di chi era figlio. Con sorpresa, scoprì che era figlio di sua sorella Berta, che lui aveva diseredato perchè aveva avuto rapporti con un un vassallo, il cavaliere Milone d'Anglante. Per riguardo a Orlando, Carlomagno perdonò la sorella e il marito e li riammise a corte: laggiù Orlando cominciò la sua vita di cavaliere, iniziando come scudiero. Successivamente, superò tutte le prove necessarie per diventare paladino. Al servizio di Carlomagno, compì numerose imprese cavalleresche ed eroiche, tanto da diventare in breve tempo il primo paladino di Francia.

    LA SAGA DI RONCISVALLE

    In quel periodo, Carlomagno stava combattendo contro i Saraceni, che avevano conquistato la Spagna e stavano premendo per raggiungere l'Europa: erano già stati fermati dall'avo di Carlomagno, Carlo Martello, a Poitiers, ma la minaccia restava. In particolare, la città di Saragozza, comandata dallo sceicco moro Marsilio, era imprendibile. Per ingannarli, Marsilio promise a Carlomagno di arrendersi e convertirsi al cristianesimo: ma Orlando non si fidava di lui. Un altro paladino, Gano di Maganza, invidioso del successo di Orlando, si oppose alla sua opinione e convinse il re a credere a Marsilio. E Gano si mise d'accordo con Marsilio perchè, una volta tranquillizzato Carlomagno, il re si sarebbe allontanato da Saragozza, facendo ritorno in Francia. Ma Marsilio, in accordo col traditore Gano, attaccò a Roncisvalle, al confine tra la Spagna e la Francia, la retroguardia dei francesi, capeggiata dall'odiato Orlando. In questo modo, Marsilio avrebbe potuto attaccare i Francesi di sorpresa, uccidere Carlomagno e rendere così la Francia tutta musulmana.

    Roncisvalle era un luogo cupo e sinistro, pieno di ombre e dirupi: l'ideale per un agguato. Orlando, insieme ai ventimila cavalieri della retroguardia, la guidava insieme al paladino Conte Olivieri, fidanzato con Alda, la sorella di Orlando: Olivieri notò il rumore dei Mori e avvisò Orlando: erano dieci volte più numerosi di loro. Orlando non voleva suonare subito l'Olifante, cioè il corno d'avorio, per avvisare il Re, senza aver combattuto prima: se lo avesse fatto, sarebbe stato un atto di viltà.

    ORLANDO-1
    Orlando suona per l'ultima volta l'Olifante.


    Olivieri disse ai Franchi:
    "Signori, che Dio ci dia la forza: ci aspetta una grande battaglia!"
    Gli altri risposero:
    "Maledetto chi fuggirà!"
    Con loro c'era l'Arcivescovo con la spada, Turpino: si mise su una balza, a cavallo, sopra di loro, dicendo:
    "Signori, inginocchiatevi e pentitevi per i vostri peccati; io vi assolverò tutti. Se moriremo, avremo un posto tra gli Angeli in Paradiso!"
    I Franchi si inginocchiarono e Turpino li assolse e li benedisse. All'arrivo dei saraceni, Orlando estrasse la Durlindana, la sua spada santa, e lui e gli altri attaccarono col grido di guerra dei Franchi: "Montjoye!"1. Lo scontro fu spaventoso e caddero a centinaia, sia da una parte che dall'altra. Orlando resse ben quindici scontri, l'uno dopo l'altro, facendo strage di saraceni e aprendo varchi sanguinosi da dove potevano passare i Franchi. Con lo stesso valore combatterono l'Arcivescovo con la spada, Turpino, e Olivieri: dopo ore di terribili scontri, i mori si ritirarono.

    Ma stava già arrivando un secondo enorme esercito di saraceni, comandati dallo stesso Marsilio: Roncisvalle doveva essere presa a tutti i costi. La Francia doveva cadere! Settemila trombe suonarono insieme, centomila saraceni partirono all'attacco, urlando "Allah u Akbar!", "Dio è grande". Orlando, soprattutto, era l'obiettivo: caduto lui, tutti gli altri, presi dallo sconforto, sarebbero stati una facile preda. La battaglia diventò ancora più aspra, e Orlando era pieno di ferite: la sua armatura, aperta in più punti, mostrava numerose punte di frecce. Ma nessuna di esse era mortale e lui attaccava in continuazione, mietendo musulmani come una falce implacabile. I paladini caddero numerosi, e di ventimila ne rimasero solo sessanta, compreso Orlando, Olivieri e Turpino, e continuavano a combattere. I musulmani indietreggiarono, impressionati dalla loro forza.

    Orlando, a quel punto, suonò l'Olifante: Carlo Magno lo sentì, ma Gano di Maganza, accanto a lui, lo ingannò, facendogli credere che si trattava di un altro tipo di suono. Ma Orlando suonò ancora, e Carlomagno allora capì il tradimento di Gano: infuriato, ordinò di imprigionarlo. Poi si diresse verso Roncisvalle insieme ai suoi: ma ormai era troppo tardi. In quella valle, i Mori, decimati, erano scappati e tutti gli altri erano morti: anche Olivieri e Turpino erano morti.

    Orlando era l'unico rimasto vivo, ma era ormai moribondo. Tutto era silenzio, e lui vagò tra i morti, dirigendosi verso la Spagna, per mostrare che era morto vincendo (se si fosse diretto verso la Francia, avrebbe dato l'impressione di voltare le spalle al nemico e di fuggire). Cadde a terra: con un ultimo sforzo, si alzò, ormai cieco, cercando di spezzare Durlindana, facendola sbattere contro una pietra. La spada santa, che conteneva le reliquie dei santi, non poteva cadere nelle mani dei pagani mori. Conteneva infatti nell'elsa un dente di San Pietro, del sangue di San Basilio, dei capelli di San Dionigi, un pezzo del manto della Vergine. Durlindana non si spezzò e Orlando non aveva più forze: nascose tra le vesti la sua spada, chiese perdono a Dio dei suoi peccati e morì.

    Carlomagno arrivò troppo tardi: però vendicò Orlando e gli altri, conquistando Saragozza e uccidendo Marsilio. Gano di Maganza, il traditore, finì squartato (Dante parla di lui nell'Inferno tra i traditori).

    Così dice la leggenda della Chanson de Roland del monaco Turoldo (da non confondersi con David Maria Turoldo, teologo del '900). Nella realtà, sembra che siano stati i Baschi a commettere l'eccidio di Roncisvalle e non i Mori. Non che cambi molto la sostanza: quella fu un'aggressione comunque, fatta a sorpresa dai Baschi, non certo una battaglia all'aperto, e i Franchi caddero combattendo valorosamente. Inoltre, anche se i Baschi erano cristiani, erano però conniventi coi musulmani: quindi non è che ci sia una gran differenza in questo caso.

    Inoltre, Carlomagno combattè davvero contro i Mori - è un fatto storico - e attaccò anche Saragozza, roccaforte musulmana: ma non aveva abbastanza forza per attaccare e liberare una Spagna interamente musulmana. Il suo vero impegno era contro le tribù barbare che attaccavano a Est e fondare il nuovo Sacro Romano Impero. Per i Mori di Spagna ci sarebbe stata la Reconquista, ma questa è un'altra storia.

    Orlando, nella leggenda, è visto come un essere dalla forza eccezionale, che ha lasciato dei segni al suo passaggio: la Breccia di Orlando, per esempio, è una gigantesca spaccatura naturale, larga 40 metri e alta 100, presente lungo il confine tra la Francia e la Spagna, nei Pirenei. Secondo la leggenda, la Breccia fu creata da Orlando quando cercò di distruggere Durlindana. In quanto a Durlindana, sembra che sia stata trovata a Rocamadour, in Francia, incastrata nella roccia.

    BRECCIA-DI-ORLANDO
    La breccia di Orlando.


    L'Olifante si troverebbe a Bordeaux. La tomba di Orlando, secondo la tradizione, è sepolto a Blaye, in Francia, nella Basilica di Saint-Romain, necropoli dei duchi Merovingi d'Aquitania. Infatti, per tradizione, Orlando era stato un signore di Blaye. Bordeaux e Blaye divennero luoghi di pellegrinaggio ancor prima della composizione della Chanson de Roland (1050-1100).

    Successivamente, altri autori trattarono la figura di Orlando: l'Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Ma, come si vede anche nei titoli, l'aspetto eroico del personaggio è stato messo a parte per far risaltare solo l'aspetto passionale: Orlando segue la volubile Angelica, principessa del Catai, che lo fa impazzire. Orlando non viene visto più come eroe, diventando quasi una caricatura.

    -------------------------------
    1 Montjoie ! o Montjoie Saint-Denis! era il grido di battaglia e il motto del Regno di Francia. Il grido si riferisce al leggendario stendardo di Carlo Magno, detto l'Orifiamma ("fiamma d'oro"), o "Montjoie": era conservato presso la Basilica di Saint Denis, cioè San Dionigi, il primo vescovo di Parigi, che fu decapitato sotto Valeriano. Lo stendardo era di colore rosso, perchè, per tradizione, fu immerso nel sangue di San Dionigi. In francese antico, "montjoie" indica i piccoli cumuli di pietre posizionati al ciglio delle strade, per ricordare eventi importanti o indicare un cammino: il grido di battaglia fu presumibilmente usato nel senso di “tenere la linea!”.

    MONTJOIE
    Lo stendardo di Carlo Magno, detto Orifiamma o Montjoie: lo si metteva su una lancia.



    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xviii.html

    Edited by joe 7 - 6/4/2024, 21:56
  11. .
    PARADISO CANTO 17 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - CACCIAGUIDA PROFETIZZA L'ESILIO A DANTE

    DANTE-TOMBA-2
    La tomba di Dante a Ravenna. E' posta presso la Basilica di San Francesco. E' un monumento nazionale, e attorno ad essa è stata istituita una zona di rispetto e di silenzio, chiamata "zona dantesca". Sul letto di morte, il 13-14 Settembre 1321, Dante volle essere vestito col saio francescano e scelse come luogo di sepoltura il convento dei Frati Minori. A destra della tomba c'è una colonnina di alabastro del Carso, con una ghirlanda d'argento donata dalla città di Fiume: regge un'ampolla argentea donata nel 1908 dalle città di Trieste, Trento, Gorizia e dalle provincie dell'Istria e della Dalmazia, territori a maggioranza italiana: italiani che conobbero, dopo la Seconda guerra Mondiale, la terribile deportazione comunista e l'atroce morte delle foibe. Sul soffitto arde perennemente una lampada votiva, alimentata dall'olio d'oliva dei colli toscani, offerto da Firenze ogni anno, la seconda domenica di Settembre, in memoria dell'anniversario della morte del poeta.


    DANTE CHIEDE A CACCIAGUIDA NOTIZIE SULLA SUA VITA FUTURA

    Qui Dante si paragona al mito di Fetonte: era il figlio di Apollo e Climene. Un giorno, Fetonte fu deriso dal compagno Epafo, che non credeva che lui fosse davvero figlio di Apollo. Fetonte, allora, si rivolse alla madre Climene, per avere rassicurazioni. Lei gli confermò che era davvero il figlio di Apollo, il dio che trasporta ogni giorno il Sole sul carro. In seguito, lo stesso Apollo, per confermare la sua paternità, permise al figlio Fetonte di guidare il carro del Sole per un giorno. Ma lui non riuscì a dominare i cavalli e combinò dei disastri tali che fu fulminato da Giove e cadde nel fiume Eridano, dove morì annegato. Per questo, Fetonte, come dirà Dante, è esempio di come i padri debbano essere "scarsi", cioè non condiscendenti, coi figli.

    FETONTE
    La caduta di Fetonte


    Qual venne a Climené, per accertarsi (Come colui (Fetonte) che andò dalla madre Climene per avere rassicurazioni,)
    di ciò ch’avea incontro a sé udito, (su quanto aveva udito contro di sé)
    quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; (che ancora oggi induce i padri a non essere condiscendenti,)

    tal era io, e tal era sentito (così ero io, e così ero percepito)
    e da Beatrice e da la santa lampa (sia da Beatrice sia dalla santa luce (Cacciaguida)
    che pria per me avea mutato sito. (che prima aveva cambiato posizione (si era spostato dalla luminosa Croce del Cielo di Marte) per me.)

    Beatrice invita Dante a manifestare il suo pensiero: non perché le anime non possano conoscerli, ma affinché il poeta si abitui a esprimerli liberamente con la sua bocca, così che i suoi desideri vengano esauditi. Dante si rivolge allora a Cacciaguida, chiamandolo "O cara piota mia che t'insusi": "piota" vuol dire "pianta del piede", quindi, per estensione, "radice", "avo"; "t'insusi" significa "t'innalzi": è un neologismo (parola inventata) dantesco. E gli dice che Cacciaguida si innalza a tal punto che, come le menti terrene vedono che in un triangolo non possono esserci due angoli ottusi (cosa geometricamente impossibile), così lui, Cacciaguida, vede le cose contingenti (cioè gli avvenimenti) prima che accadano, perchè osserva nella mente di Dio, in cui tutto è un eterno presente.

    Ebbene, il suo avo certamente sa che lui, guidato da Virgilio, aveva sentito, sia all'Inferno che in Purgatorio, delle oscure profezie sul suo conto (quelle sull'esilio), per cui il poeta vorrebbe avere maggiori ragguagli sul destino ("fortuna") che lo aspetta. Infatti, anche se lui è preparato ai colpi della sorte...una sciagura prevista è più facile da affrontare di una imprevista: "saetta previsa vien più lenta", cioè "una freccia prevista arriva più lentamente". Dante, in questo modo, obbedisce a Beatrice e rivela ogni suo dubbio all'anima del suo antenato.

    CACCIAGUIDA PARLA CHIARO

    Cacciaguida risponde splendendo nella sua luce, con un discorso chiaro e perfettamente comprensibile: e non con parole tortuose e oscure ("ambage") tipiche degli oracoli dei pagani ("la gente folle") dei tempi prima della crocifissione di Gesù Cristo.

    Né per ambage, in che la gente folle (non con parole tortuose, in cui i pagani)
    già s’inviscava pria che fosse anciso (si invischiavano ben prima che fosse crocifisso)
    l’Agnel di Dio che le peccata tolle, (l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Cristo) (curiosamente, questo è il 33° verso di questo Canto: e la vita di Cristo, tradizionalmente, è stata di 33 anni)

    ma per chiare parole e con preciso (ma con parole chiare e con un limpido)
    latin rispuose quello amor paterno, (discorso mi rispose quel padre amorevole) (nota: qui il latino non c'entra: Cacciaguida non sta parlando in latino, ma in toscano antico)
    chiuso e parvente del suo proprio riso (avvolto e splendente nella luce del suo sorriso)

    CENNI DI CACCIAGUIDA ALLA PRESCIENZA DIVINA

    Prima di rispondere, Cacciaguida spiega che il suo leggere il futuro non è leggere quello che dovrà necessariamente accadere perchè così "è scritto": quello che accadrà sarà sempre frutto della libera scelta dell'uomo. E Dio ha già tutto - passato, presente, futuro - davanti a Sè, e di questa visione ha parte Cacciaguida: ma non è come uno che dice cosa accadrà, come fa per esempio il regista di un film, che usa i personaggi come vuole lui. Piuttosto, Dio vede quello che accadrà per la libera scelta degli uomini. E' il mistero dell'Onnipotenza divina e della libertà umana, che si incontrano.

    "La contingenza, che fuor del quaderno ("Gli eventi contingenti (cioè quelli che accadono), che al di fuori dell'estensione)
    de la vostra matera non si stende, (del vostro mondo terreno non si estendono,) (cioè: gli eventi futuri, che non si possono prevedere)
    tutta è dipinta nel cospetto etterno: (sono tutti dipinti nella mente di Dio:)

    necessità però quindi non prende (essi però non sono per questo necessari,) (cioè: non sono eventi che devono obbligatoriamente accadere)
    se non come dal viso in che si specchia (come non lo è il fatto che solo perché qualcuno la osserva)
    nave che per torrente giù discende. (una barca scenda la corrente.) (cioè: l'osservatore osserva la barca che va, ma la barca non va perchè la vede l'osservatore. Va per conto suo, l'osservatore la vede soltanto)

    Da indi, sì come viene ad orecchia (Da lì (dalla mente divina) come viene all'orecchio)
    dolce armonia da organo, mi viene (la dolce armonia di un organo, viene a me)
    a vista il tempo che ti s’apparecchia. (la vista del tempo (futuro) che si prepara per te.)

    Il beato spiega, insomma, che tutti i fatti contingenti, presenti e futuri, sono già scritti nella mente divina: il che non implica che debbano accadere necessariamente, come l'occhio che osserva una nave scendere la corrente di un fiume sa che questo avverrà, ma non lo rende per ciò inevitabile. Allo stesso modo, spiega Cacciaguida, egli prevede il tempo futuro di Dante, come la dolce musica di un organo giunge alle orecchie umane.

    L'ESILIO DI DANTE

    Dante, profetizza l'avo, dovrà abbandonare Firenze, allo stesso modo in cui Ippolito dovette partire da Atene per la malvagità della sua matrigna Fedra. Cacciaguida fa riferimento al mito di Ippolito, figlio di Teseo, che respinse le profferte amorose della matrigna Fedra e fu da lei accusato di fronte al padre di averla violentata. Questi credette alla moglie e cacciò ingiustamente il figlio da Atene. E' probabile che qui Dante paragoni Firenze a Fedra, indicandola cioè come città «matrigna».

    IPPOLITO-E-FEDRA
    Ippolito accusato da Fedra, accanto alla quale è seduto il marito Teseo. Ippolito nega l'accusa, ma la condanna è inevitabile. Fedra ha in mano una spada, segno del suo suicidio: infatti si ucciderà come "prova" della verità di quello che ha detto.


    Il complotto dell'esilio è già in corso (il personaggio di Dante nella Commedia non è ancora stato esiliato, a differenza del Dante reale), nella Curia dove "ogni giorno si mercanteggia Cristo" (cioè le cose sacre). Gli uomini di Chiesa avevano infatti complottato per favorire la presa del potere dei Guelfi Neri a Firenze. Non è necessario pensare che Dante attribuisca direttamente a papa Bonifacio VIII la volontà di esiliarlo, dai versi qui sotto:

    e tosto verrà fatto a chi ciò pensa (e questo sarà presto compiuto, da chi pensa a ciò)
    là dove Cristo tutto dì si merca. (là (nella Chiesa) dove si mercifica Cristo (le cose sacre) ogni giorno.)

    Come si vede, non si fa cenno al Papa, ma solo alla Curia e agli uomini di Chiesa, anche se un riferimento in tal senso non si può escludere del tutto. La colpa dell'esilio sarà poi imputata ai vinti, così come di solito avviene (la storia è sempre raccontata dai vincitori): Dante, infatti, ufficialmente sarà esiliato per punizione per aver fatto degli atti di corruzione. Ma ben presto la punizione divina verso i Fiorentini dimostrerà la verità dei fatti (infatti, tutti oggi sanno che Dante fu ingannato). Dante, tuttavia, dovrà lasciare ogni cosa più amata, e questo costituirà la prima pena dell'esilio:

    Tu lascerai ogne cosa diletta (Tu lascerai ogni cosa che ami)
    più caramente; e questo è quello strale (di più; e questa è la pena)
    che l’arco de lo essilio pria saetta. (che l'esilio fa provare per prima.)

    Successivamente, Dante proverà com'è duro accettare il "pane altrui", mettendosi al servizio di vari Signori:

    Tu proverai sì come sa di sale (Tu proverai come è amaro)
    lo pane altrui, e come è duro calle (il pane altrui, e come è duro)
    lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale. (salire e scendere le scale altrui (accettare l'aiuto dei potenti).

    Ciò che gli sarà più fastidioso sarà la compagnia di altri esuli come lui ("compagnia malvagia e scempia", cioè folle). Infatti, diventeranno tutti ingrati, stupidi e ingiusti ("compagnia...tutta ingrata, tutta matta ed empia") contro il poeta. Ma, poco dopo, saranno loro, e non Dante, ad avere le "tempie rosse di sangue e di vergogna": quello che accadrà dimostrerà infatti la loro follia. Cosicché, conclude Cacciaguida, sarà stato un bene, per Dante, essersene separato.

    Dante qui fa riferimento alla battaglia della Lastra (località vicino a Firenze): laggiù, il 29 luglio 1304, i fuoriusciti fiorentini di parte Bianca, come Dante, vi si radunarono, tentando di rientrare a Firenze con le armi. Ma il tentativo fallì miseramente. Dante non aveva preso parte alla battaglia.

    PROFEZIE SU CANGRANDE DELLA SCALA

    CANGRANDE
    Statua equestre di Cangrande della Scala, signore scaligero di Verona, condottiero e mecenate. Oltre a Dante, ospitò anche Giotto.


    Dante troverà anzitutto rifugio a Verona, sotto la protezione di Bartolomeo Della Scala ("il gran lombardo"), che, sullo stemma della casata, reca l'aquila imperiale ("il santo uccello"). Egli sarà così benevolo verso il poeta che gli concederà i suoi favori senza bisogno di ricevere richieste.

    A Verona, Dante vedrà il fratello minore di Bartolomeo, Cangrande della Scala1, che alla nascita è stato fortemente influenzato dal pianeta Marte ("questa stella forte": ricordiamo che siamo sempre nel Cielo di Marte), così che le sue imprese saranno straordinarie. Nessuno se n'è ancora accorto, perché è ancora molto giovane, avendo egli solo nove anni (ai tempi in cui Dante scrive la Commedia Cangrande era già adulto: ma nel Canto Dante ambienta tutto nel 1300, circa dieci o quindici anni prima, quando Cangrande aveva ancora nove anni).

    Ma prima che papa Clemente V, chiamato "il Guasco" cioè "il guascone" perchè francese, inganni Arrigo VII di Lussemburgo,2 il valore di Cangrande risplenderà chiaramente, mostrando la sua noncuranza per il denaro e gli affanni.

    Le sue gesta saranno così illustri che i suoi nemici non potranno tacerle: quindi Dante dovrà attendere il suo aiuto e i suoi favori, dal momento che Cangrande ha generosamente mutato le condizioni di molte persone, trasformando i mendicanti in ricchi e viceversa. Cacciaguida aggiunge altri dettagli relativi alle future imprese di Cangrande, imponendo però il silenzio a Dante, che ascolta incredulo quanto riferito dall'avo. Cacciaguida conclude dicendo a Dante che non dovrà serbare rancore verso i suoi concittadini, poiché la vita di Dante è destinata a durare ben oltre la punizione che li colpirà.

    DUBBI DI DANTE

    Dopo che Cacciaguida ha terminato di parlare, Dante torna a rivolgersi a lui, in quanto desidera ricevere una spiegazione e un conforto, certo di trovarsi di fronte a un'anima sapiente, virtuosa e amorevole. Dante dichiara di rendersi conto che lo aspettano aspre vicissitudini, per cui, pensa, è bene che sia previdente e che non si precluda il possibile rifugio in altre città a causa dei suoi versi, visto che dovrà lasciare Firenze. Infatti, all'Inferno ("lo mondo sanza fine amaro" cioè "il mondo infinitamente amaro"), in Purgatorio e in Paradiso lui ha visto cose che, se riferite dettagliatamente, suoneranno sgradevoli a molti. Tuttavia, se egli non dirà tutta la verità della visione, teme di non ottenere la fama destinata a renderlo famoso presso le generazioni future. Cosa devo fare, chiede Dante: scrivere o no queste cose?

    LA MISSIONE POETICA DI DANTE

    La luce che avvolge Cacciaguida risplende come uno specchio d'oro colpito dal sole: poi l'avo risponde, dicendo che i lettori con la coscienza sporca per i peccati propri o di altri proveranno fastidio per le sue parole: e tuttavia egli dovrà rimuovere ogni menzogna e rivelare tutto ciò che ha visto nel viaggio ultraterreno, lasciando che "chi ha la rogna si gratti":

    indi rispuose: «Coscienza fusca (poi rispose: «Una coscienza sporca)
    o de la propria o de l’altrui vergogna (per la colpa propria o di altri)
    pur sentirà la tua parola brusca. (sentirà certo le tue parole come sgradevoli.)

    Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, (Tuttavia, rimossa ogni menzogna,)
    tutta tua vision fa manifesta; (rendi manifesto tutto ciò che hai visto,)
    e lascia pur grattar dov’è la rogna (e lascia pure che chi ha la rogna si gratti.) (che chi ha colpa ne paghi le conseguenze)

    Infatti, i suoi versi saranno sgradevoli all'inizio, ma, una volta digeriti, saranno un nutrimento vitale per le anime. Questo tuo canto, questa tua Divina Commedia, dice Cacciaguida, sarà un grido, sarà come un vento che colpisce più forte le cime più alte (cioè i più orgogliosi), e questo è motivo di grande onore. Per questo, nei tre regni dell'Oltretomba gli sono state mostrate solo le anime note, le più famose: il lettore infatti non farebbe attenzione ad esempi e personaggi poco noti, né ad argomenti che non fossero già evidenti di per sé.

    Questo tuo grido farà come vento, (Questo tuo grido sarà come un vento)
    che le più alte cime più percuote; (che colpisce di più le cime più alte,)
    e ciò non fa d’onor poco argomento. (e ciò non è motivo di poco onore.)

    Però ti son mostrate in queste rote, (Perciò ti sono mostrate in questi Cieli,)
    nel monte e ne la valle dolorosa (in Purgatorio e nella dolorosa valle dell'Inferno)
    pur l’anime che son di fama note, (solo le anime che sono molto famose,)

    che l’animo di quel ch’ode, non posa (poiché l'animo di colui che ascolta)
    né ferma fede per essempro ch’aia (non dà retta e non presta fede a un esempio)
    la sua radice incognita e ascosa, (che abbia la sua radice nascosta e sconosciuta, (a esempi non noti)

    né per altro argomento che non paia». (né a un altro argomento che non sia di tutta evidenza».)

    COMMENTO

    Questo Canto chiude il "trittico" dedicato all'incontro con l'avo Cacciaguida e alla definizione della missione poetica di Dante. Firenze è ancora al centro di questo Canto, perchè Dante chiede all'avo delle spiegazioni circa l'esilio che gli è stato più volte preannunciato nel corso del viaggio ultraterreno. È molto evidente poi il parallelismo, come nel Canto 15 del Paradiso, fra Dante ed Enea, che incontra il padre Anchise nel libro VI dell'Eneide, in quanto Cacciaguida profetizza a Dante l'esilio e lo investe dell'alta missione poetica che gli ha affidato la Provvidenza: proprio come Anchise preannunciava al figlio le guerre che lo attendevano nel Lazio e la missione provvidenziale della fondazione di Lavinio, da cui avrebbe avuto origine la stirpe romana. La stessa rassegna delle antiche famiglie di Firenze nel Canto 16 si rifaceva alla presentazione da parte di Anchise dei futuri eroi di Roma.

    In questo Canto, invece, tutto è incentrato su Dante, destinato a lasciare la sua città, in seguito alle vicende politiche del 1301-1302 e, come esule sconfitto politicamente, ad adempiere all'altissimo incarico di cui è investito. Il discorso di Cacciaguida è chiaro e privo di ambiguità, diverso dunque dalle velate allusioni di personaggi come Farinata, Brunetto Latini e Oderisi da Gubbio, che avevano predetto l'esilio in modo oscuro, ma diverso anche dai responsi oracolari degli dèi pagani, che si prestavano a doppie interpretazioni (il riferimento è anche alla Sibilla cumana, che Enea incontra nel suo antro e alla quale chiede espressamente una profezia, prima di compiere la discesa agli Inferi dietro la sua guida).

    Cacciaguida predice a Dante le amarezze e le sofferenze del suo girovagare di città in città, accusato di falsi crimini dai suoi ex-concittadini e in contrasto persino con gli altri fuorusciti suoi "colleghi", destinati ad essere sconfitti nella battaglia della Lastra. Costretto poi a mendicare il pane dai Signori, che gli offriranno protezione e rifugio. Tra questi spiccano naturalmente gli Scaligeri di Verona, soprattutto quel Cangrande che sarà il principale protettore del poeta e al quale Dante dedicherà proprio il Paradiso, indirizzandogli anche la famosa e discussa Epistola XIII3 che sarà fondamentale per l'interpretazione del poema.

    EPISTOLE
    Le "Epistole", cioè le lettere di Dante. Si tratta di tredici lettere in tutto, nelle quali Dante scrive (in latino) a diversi interlocutori, durante i suoi vent'anni di esilio.


    Cangrande si colloca al centro della profezia dell'esilio, in quanto Cacciaguida ne traccia un piccolo panegirico e lo presenta come personaggio destinato a grandi imprese, che mostrerà il suo valore militare e politico disdegnando le ricchezze e soprattutto tenterà di ristabilire l'autorità imperiale in Italia del Nord. Naturalmente questo resterà un sogno mai realizzato: ma l'attesa fiduciosa di un personaggio in grado di porre fine ai soprusi e alle ingiustizie politiche attraversa vivissima l'intero poema ed è lo sprone che induce Dante a compiere la sua missione poetica fino in fondo, senza mostrare mai il minimo cedimento o timore.

    Questa missione è poi solennemente dichiarata da Cacciaguida a Dante nella seconda parte del Canto, dopo che il poeta ha espresso i suoi dubbi che nascono proprio dalla profezia dell'esilio, delineatasi finalmente con chiarezza. Dante sa che è chiamato dalla Provvidenza a rivelare tutto ciò che ha visto nel corso del viaggio, ma sa anche che i suoi versi riusciranno sgraditi a molti, e quindi teme di precludersi possibili aiuti e protezioni, se dirà tutta la verità. Rischiando però, con l'autocensura, di scrivere un'opera di poco conto e quindi di non ottenere la fama imperitura.

    La risposta di Cacciaguida è tale da non lasciare incertezze ed è una chiara esortazione a non essere "timido amico della verità" ("s’io al vero son timido amico"), poiché proprio questo è il compito di Dante: nei tre luoghi dell'Oltretomba gli sono stati mostrati degli esempi di anime dannate o salvate, secondo il criterio della notorietà, poiché solo attraverso personaggi conosciuti il lettore ne sarà colpito al punto di modificare la sua condotta. Dunque sarebbe una grave mancanza da parte di Dante omettere qualche particolare della «visione» o tacere i nomi di quei personaggi da cui potrebbe attendersi ostilità o ritorsioni.

    Il valore del poema è allora soprattutto quello di un'alta denuncia contro i mali del tempo, che sono legati all'assenza di un'autorità centrale in grado di garantire le leggi, alla corruzione diffusa capillarmente nella Chiesa, più in generale all'avidità di guadagno che è dovuta alla diffusione del denaro.

    Il discorso di Cacciaguida è perciò stilisticamente solenne, ma non rinuncia talvolta ad espressioni crude e di immediata evidenza, come la frase "lascia pur grattar dov'è la rogna", che rende bene l'idea della missione affidata a Dante: quella cioè di dire la verità, anche quando questa suonerà sgradevole alle orecchie dei potenti (anzi, nel Canto 27 del Paradiso, San Pietro userà parole ancora più dure contro Bonifacio VIII, colpevole di aver trasformato il Vaticano in una cloaca / del sangue e de la puzza). Del resto, la voce del poeta sarà simile a un vento che colpirà maggiormente proprio le cime più alte, ovvero i personaggi più illustri del tempo, che erano più di altri responsabili della decadenza morale e politica dell'Italia, per cui solo in tal modo Dante potrà legittimamente aspettarsi la fama eterna dal poema sacro al quale, come lui stesso dirà, hanno cooperato Cielo e Terra.

    Infatti, Dante, nella Commedia mostra dei casi clamorosi e inattesi di personaggi dannati all'Inferno (si pensi a Guido da Montefeltro, a Branca Doria che addirittura include fra i traditori degli ospiti di Cocito quand'era ancora vivo) e altrettanti esempi di salvezze imprevedibili in Purgatorio (Catone, Manfredi) e in Paradiso (Traiano, Rifeo, di cui parleremo più avanti), il cui scopo ultimo è affermare l'infallibilità della giustizia divina, anche al di là delle capacità di comprensione umana.

    L'episodio di Cacciaguida si colloca dunque al centro esatto della Cantica e del poema in ragione dell'alto valore morale di questa investitura, che è poi la spiegazione essenziale del successo della Commedia destinato a durare assai più della breve vita del suo autore. La differenza tra quest'opera e le scialbe descrizioni dell'Oltretomba di scrittori precedenti non è solo nella novità della rappresentazione, ma soprattutto nel coraggio della denuncia contro i mali religiosi, politici, sociali del mondo del suo tempo, che acquista tanto maggior rilievo quando si pensi alle oggettive difficoltà di Dante, bandito in esilio dalla sua città, costretto a elemosinare l'aiuto dei potenti, esposto alle possibili vendette dei suoi nemici vecchi e nuovi, (una cosa poco considerata dagli storici e analisti) e nonostante tutto, privo di dubbi nel portare a termine quella che considerava una missione irrinunciabile. Questo dimostra in Dante una coscienza morale e un coraggio non comuni.

    DANTE EXUL IMMERITUS: IL CONTRASTATO RAPPORTO CON FIRENZE

    ESILIO
    Dante in esilio: questo stato di sofferenza del poeta durerà circa vent'anni, fino alla sua morte a Ravenna.


    Sappiamo che, in seguito all'esilio che gli impedì di rientrare a Firenze dal 1302, Dante fu costretto a lunghe peregrinazioni in giro per l'Italia del Nord, che lo portarono a contatto con una realtà politica ben più ampia di quella municipale che aveva vissuto sino a quel momento e ampliarono di molto la sua visione culturale: forse concepì la Commedia anche come un mezzo per affermare la sua grandezza, a dispetto dell'esilio ingiustamente patito: quindi si può dire che, grazie a quel destino, Dante divenne il grande poeta oggi celebrato.

    Sicuramente egli visse il bando dalla sua città come una ferita mai rimarginata, sperando fino all'ultimo di potervi rientrare e, al tempo stesso, nutrendo un forte rancore per i suoi avversari politici che lo avevano esiliato: c'era anche l'accusa infamante (e pare del tutto infondata) di baratteria, cioè di corruzione in atti di governo, che portò alla condanna a morte del poeta e dei suoi figli, nonché alla confisca di tutti i loro beni.

    Si può ben capire la triste condizione dello scrittore, costretto a mettersi al servizio dei signori potenti, a provare come sa di sale / lo pane altrui e a umiliarsi, senza tuttavia mai derogare dalla sua altissima dirittura morale; prova ne sia il fatto che, nonostante la nostalgia della patria lontana e le oggettive difficoltà, Dante non rinunciò mai ad attaccare nelle sue opere le malefatte dei potenti del suo tempo, ai quali certamente la sua parola doveva sembrare brusca come profetizzato dall'avo Cacciaguida.

    Il rapporto di Dante con Firenze fu sempre di amore-odio, dal momento che nella Commedia Dante si scaglia spesso, con forza e sarcasmo, contro i costumi politicamente e moralmente corrotti della sua città (per esempio: Inferno, Canto 26; o Purgatorio, Canto 6), mentre in altri momenti sembra struggersi nel ricordo del luogo che lo ha visto nascere e in cui desidera tornare (per esempio: Paradiso, Canto 25, che vedremo più avanti, in cui Firenze diventa "il bello ovile dove ha dormito agnello e fuori dal quale lo chiudono i lupi che fanno guerra alla città", cioè i suoi avversari politici).

    A Firenze Dante avrebbe voluto rientrare anche per "prendere cappello", cioè ottenere quell'incoronazione poetica cui legittimamente aspirava e che avrebbe potuto ricevere anche a Bologna nel 1320, se avesse accettato l'invito del professore di retorica Giovanni del Virgilio a recarsi in quella città (Dante morì l'anno dopo: forse sentiva che era ormai troppo tardi).

    Dante avrebbe potuto rientrare a Firenze nel 1315, approfittando dell'amnistia che il governo dei Guelfi Neri concesse a tutti i fuorusciti, a condizioni però che Dante giudicò assolutamente inaccettabili. Infatti, Dante avrebbe dovuto ammettere pubblicamente l'accusa di baratteria (corruzione) che gli veniva rivolta. Al posto della pena di morte, avrebbe dovuto solo pagare una multa e trascorrere una notte in carcere. Così avrebbe potuto rientrare in possesso di parte dei suoi beni e porre fine alla sua vita girovaga. Ma è fin troppo evidente che in questo modo i Guelfi Neri ne sarebbero usciti puliti e Dante sarebbe diventato il vero colpevole: era questo il vero motivo dell'"amnistia". Quindi Dante non poteva accettare una simile imposizione: avrebbe significato venir meno alla sua coerenza morale e scendere a patti con coloro che lo avevano ingiustamente allontanato. E, soprattutto, avrebbe dovuto riconoscere una colpa che non aveva commesso. Un prezzo davvero troppo alto da pagare per chi, fino a quel momento, si era distinto come "cantor rectitudinis", cioè "cantore della rettitudine", attraverso le pagine del poema che da anni circolava già nelle città italiane. Non poteva certo farsi passare ingiustamente per intrallazzone, corruttore e bustarellaro, solo per poter tornare a casa.

    Il "gran rifiuto" di Dante acquista maggior rilievo se si pensa che, dopo la morte di Arrigo VII di Lussemburgo nel 1313, quella era davvero l'ultima opportunità per Dante di rimettere piede a Firenze: lui stesso ne era cosciente e la sua fermezza nel rinunciare a tale possibilità è la migliore testimonianza del suo rigore inflessibile, nonché della sua caparbietà nel tenere fede ai propri principi. Ne è una testimonianza l'Epistola XII a un amico fiorentino, forse un interlocutore reale, che lo sollecitava a rientrare lo stesso a Firenze, approfittando dell'amnistia. Dante gli risponde con cortesia, riguardo all'intercessione dell'amico, ma con sdegno nei confronti dei suoi oppositori politici: il passo è rimasto famoso e ha consegnato alle generazioni future l'immagine dell'altera e sdegnosa dignità del poeta, che nei documenti si definiva florentinus natione non moribus, cioè: "fiorentino di origine, ma non nei costumi". Ecco le sue parole riguardo all'infamante condono di cui avrebbe potuto usufruire:

    «È proprio questo il "grazioso proscioglimento" con cui è richiamato in patria Dante Alighieri (qui parla di sè in terza persona), che per quasi tre lustri (15 anni) ha sofferto l'esilio? Questo avrebbe meritato l'innocenza sua, a tutti manifesta? Questo ha meritato il sudore e l'assidua fatica nello studio? Stia lontana da un uomo familiare con la filosofia una così avvilente bassezza d'animo, tale da sopportare di farsi trattare come un carcerato, come di un Ciolo (Ciolo degli Abati, un malfattore fiorentino, che però ebbe l'amnistia) e di altri infami! Stia lontano da me il fatto di un uomo che predica la giustizia e che, dopo aver patito un ingiusto oltraggio, paghi addirittura il suo denaro a quegli stessi che lo hanno oltraggiato, come se lo meritassero! Non è questa, padre mio (è una forma di rispetto verso l'amico), la via del ritorno in patria. Ma, se un'altra via prima o poi, da voi o da altri, verrà mai trovata, una via che però non deroghi alla fama e all'onore di Dante, allora l'accetterò a passi non lenti. Ma, se per nessuna onorevole via si potrà tornare a Firenze...allora io a Firenze non entrerò mai. E che? Forse che non potrò vedere dovunque la luce del sole o degli astri? O forse che dovunque non potrò sotto il cielo indagare le dolcissime verità, senza che per questo io debba tornare in modo abietto e ignominioso al popolo e alla città di Firenze? E certamente non mi mancherà il pane.»

    Col rifiuto di Dante, il 15 ottobre 1315 a Firenze fu confermata la condanna a morte, non solo per il poeta, ma anche per i suoi figli. Dopo la morte di Dante nel 1321 a Ravenna, furono fatti diversi tentativi dai Fiorentini per traslare i suoi resti nella chiesa monumentale di Santa Croce: nessuno dei quali però andò a buon fine, nemmeno quello ad opera di papa Leone X nel primo Cinquecento, perchè furono i Ravennati ad opporsi.

    IL TALENTO PERSONALE E' UN DONO AL SERVIZIO DI TUTTI

    Dante, con la rivelazione dell'esilio, si trova davanti al grande dilemma della vita, che in qualche modo, prima o poi, blocca tutti noi: dovremmo scegliere in base alla convenienza economica (per Dante era trovare ospitalità presso i signori), oppure in base al servizio di tutta la comunità? Dovremmo scegliere per la felicità nostra o per quella degli altri?

    Cacciaguida non ha dubbi al riguardo, come abbiamo visto: le coscienze sporche saranno infastidite dalle parole di Dante, ma la verità, di sapore sgradevole quando è appena assaporata, diverrà poi nutrimento vitale, quando sarà digerita.

    Il poeta ha visto nell’aldilà delle anime di personaggi noti, perché gli uomini sono soliti prestare attenzione soltanto alla fama delle persone. Colpisce la fine psicologia del poeta, che, attraverso la figura del trisavolo, ci spiega perché il Cielo abbia offerto alla vista del Fiorentino soprattutto personaggi illustri. Dante non si scandalizza del fatto che l’uomo riservi attenzione solo alle persone famose. È un tratto tipico dell’uomo, e lo scrittore se ne avvale proprio per diffondere la verità. I rètori si sono sempre giovati di esempi noti per catturare il favore del pubblico. Fin dalla più tenera età, i bimbi si muovono per imitazione degli adulti che hanno dinanzi a sé e poi, con la crescita, diventano grandi attraverso dei modelli e maestri. Colpisce una volta ancora il linguaggio fortemente concreto in un contesto etereo come quello delle anime splendenti e luccicanti del Paradiso. Cacciaguida ricorre più volte al campo semantico del cibo e, in particolare, anche all’ambito della digestione, che appartiene di solito ad un registro basso della letteratura.

    Nell’antichità, tutto quanto riguardava il sesso e la digestione era riservato al genere più basso, ovvero alla commedia, e non poteva essere trattato in forma alta. La rivoluzione del linguaggio dantesco è grande: se, nella vita di san Francesco, Dante aveva utilizzato il lessico erotico per parlare dell’amore tra il santo e Madonna povertà, ora il poeta affronta addirittura il tema della verità, proprio nel canto centrale del Paradiso, con una terminologia che appartiene di suo ad un campo corporeo e materiale: «gusto», «vital nodrimento», «digesta», «grattar», «rogna». Come a dire che la verità non è un discorso o un pensiero, ma si è incarnata nella storia ed ogni volta deve diventare carne per ciascuno di noi, perché possa essere capita. La verità è la realtà: non è una dottrina filosofica.

    Si noti pure come il gioco allitterante della “r” nell’espressione «lascia pur grattar dov’è la rogna» sia il correlato stilistico del fastidio provocato dalla verità. La risposta di Cacciaguida a Dante è di particolare attualità ai giorni nostri, quando sempre più spesso sentiamo parlare di passioni, ma raramente qualcuno ci sprona a scoprire i nostri talenti e a perseguirli. Siamo, infatti, immersi in una società in cui sembra che pochi li possiedano. Invece, come il Vangelo ci ricorda, ciascuno di noi ha almeno un talento. Possederne anche uno solo, ma scoprirlo e farlo fruttare, produce molto di più che avere tanti talenti, ma tenerli nascosti, cioè non usarli mai. Per esempio, se sai disegnare e non disegni, sprechi i tuoi talenti; se sai cantare e non canti, sprechi i tuoi talenti; se sai amare e non ami, sprechi i tuoi talenti, e si potrebbe continuare all'infinito con questi esempi.

    Scegliere partendo da una domanda su di sé e sulla propria felicità spalanca nella vita attese e prospettive insospettate. La risposta alla vocazione (non necessariamente religiosa: le vocazioni sono infinite) è una responsabilità, di fronte a se stessi e agli altri. La vocazione non è, quindi, un’ "illuminazione interiore", ma una chiamata, in cui si deve operare in un certo ambito, come fa Dante. Si potrebbe dire che là dove siamo, là dove lavoriamo, noi tutti siamo chiamati a portare testimonianza della verità che abbiamo incontrato nella vita. Alla faccia dell'attuale boom dei manga "isekai" dove il protagonista muore e si trova in un altro mondo dove si diverte e fa l'eroe. La vita vera si fa qui, non da un'altra parte. Con una nota espressione sintetica di sant’Ignazio da Loyola, potremmo anche dire: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio».

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xvii.html

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    1 Cangrande della Scala. Signore di Verona (1291-1329), Per le sue imprese militari e la sua espansione territoriale fu nominato capitano generale della Lega Ghibellina (1318), venendo scomunicato nel 1320 da papa Giovanni XXII. Prima della scomunica, nel periodo 1313-1318 Dante fu al suo servizio, svolgendo per suo conto varie missioni diplomatiche e dedicandogli tra l'altro il Paradiso (a lui è indirizzata una lettera famosa, detta Epistola XIII, dove il poeta fornisce preziose indicazioni per l'interpretazione di tutto il poema). La figura di Cangrande è generalmente accostata a quella del «veltro», il misterioso personaggio evocato da Virgilio nella profezia dell'Inferno (Canto 1), dove si dice che costui sarà destinato a cacciare la lupa/avarizia dall'Italia e a ristabilire la giustizia (il verso: "e sua nazion sarà tra feltro e feltro" è stato interpretato come allusione proprio al dominio di Cangrande, che si estendeva pressappoco tra Feltre e Montefeltro). Alcuni commentatori hanno voluto vedere in lui anche il «DXV» profetizzato da Beatrice nel Purgatorio nel Canto 33. Cangrande è nominato in modo implicito, ma riconoscibile, da Cacciaguida, in questo 17° Canto del Paradiso, dove l'avo di Dante profetizza l'esilio e dice che gli Scaligeri daranno rifugio e protezione al poeta a Verona: soprattutto Cangrande, di cui si dice che l'influsso della stella di Marte lo porterà a compiere imprese notevoli, ("a mostrare faville de la sua virtute"), a realizzare magnificenze che, secondo Cacciaguida, risulteranno incredibili anche ai contemporanei. Di Cangrande si dice anche che "non si curerà d'argento né d'affanni", il che avvalora l'interpretazione che lo accosta al veltro (di cui Virgilio aveva detto che "non avrebbe concupito né terra né peltro", cioè non avrebbe ricercato né terre né ricchezze materiali).

    2 Clemente V: Bertrand de Got, originario della Guascogna, fu arcivescovo di Bordeaux e divenne papa nel 1305 - dopo Bonifacio VIII e il suo successore Benedetto XI - col sostegno di Filippo il Bello re di Francia, che fece schiaffeggiare Bonifacio VII nel famoso schiaffo di Anagni. Fu Clemente V a trasferire la sede papale da Roma ad Avignone.

    Clemente-V
    Papa Clemente V


    Sotto pressione di Filippo il Bello, Clemente V sciolse l'ordine dei Templari, dei quali Re Filippo incamerò tutti gli averi. Si oppose al tentativo di restaurazione imperiale in Italia, operato da Arrigo VII di Lussemburgo (questo è "l'inganno" descritto da Dante). Morì nel 1314. Dante ne profetizza la dannazione per simonia nell'Inferno (Canto 19), per bocca di papa Niccolò III, che compare fra i simoniaci della III Bolgia. Lì Clemente V è definito un "pastor sanza legge", intento a favorire il re di Francia. Nel Paradiso, oltre al cenno fatto a lui da Cacciaguida, nel Canto 30 Beatrice alluderà a lui come al Papa che "palese e coverto / non anderà con lui (Arrigo VII) per un cammino": cioè, Clemente V tradirà l'imperatore Arrigo VIII, il cui seggio è già pronto nella rosa dei beati, profetizzando che il Papa sarà sprofondato nella stessa buca della III Bolgia, dove sarà prima confitto Bonifacio VIII.

    3 Epistola XIII: "L'Epistola XIII a Cangrande della Scala" è l'ultima delle tredici lettere attribuite a Dante. Questa si divide in due parti: la prima contiene la dedica del Paradiso (che era ancora in corso di lavorazione) a Cangrande della Scala: "(...) ho esaminato i miei piccoli regali e li ho differenziati e poi vagliati, alla ricerca del più degno e gradito a voi. E non ne ho trovato uno adeguato alla vostra eccellenza più di quella sublime cantica della Commedia che si intitola Paradiso. E questa, con la presente lettera, come a Voi consacrata con propria epigrafe, a Voi la intitolo, la offro, la raccomando." La seconda parte contiene un commento della Commedia, che ne favorisce l'interpretazione, spiegandone la differenza tra il senso letterale e quello allegorico. Inoltre, spiega anche alcuni aspetti del Paradiso.
  12. .
    ZAGOR 154-157: TROPICAL CORP (analisi di Ivan)

    Testi: Guido Nolitta (Sergio Bonelli)
    Disegni: Franco Donatelli, con l'aiuto di Francesco Gamba
    Pagine: 321
    Anno: 1978

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    Zagor edizione originale Zenith: n. 205-208 (usciti nel 1978). I numeri reali di Zagor sono 154-157. Infatti, l'edizione Zenith originale pubblicò Zagor a partire dal numero 52, quindi ha la numerazione sfasata che continua ancor oggi, con 51 numeri in più. Prima del numero 52, pubblicava storie di altri personaggi bonelliani come Hondo, Kociss, eccetera. Tutte le varie ristampe di Zagor, invece, seguono la numerazione reale, cioè coi numeri 154-157.

    TRAMA

    Drunky Duck, il postino indiano amico di Zagor, è inseguito dai soldati di un reggimento speciale appena insediatosi a Darkwood: il Tropical Corp, agli ordini del Colonnello Caniff. I militari vogliono uccidere il postino perchè non consegni a Zagor una lettera che il colonnello Perry, amico di Zagor e prigioniero in un manicomio a Charleston, ha affidato a Drunky Duck. Zagor salva il postino e legge la lettera: sembra che Perry sia stato messo in manicomio contro la sua volontà dagli uomini del Tropical Corp, perchè aveva scoperto che loro, per trovare un rimedio contro la febbre gialla, ne avevano diffuso volontariamente il morbo tra gli indiani di Darkwood. Dopo una rocambolesca fuga dal manicomio, Zagor e Cico portano via Perry e vengono inseguiti dai soldati del Tropical Corp, sotto la guida del capitano Nicholson. La caccia del Tropical Corp è spietata e Nicholson usa anche Tonka, l'amico di Zagor, come esca per catturarlo. Anche se lo stesso Nicholson viene ucciso insieme a suoi uomini, Zagor viene catturato e Caniff, insieme al dottor Massey, inietta a Zagor il morbo della febbre gialla. Tonka e un gruppo di indiani riesce a liberare Zagor, ma vengono scoperti e assediati: nello scontro, Massey perde la vita, ma Caniff sta per avere la meglio usando un cannone. All'improvviso, arriva il ministro Pickenz, che Zagor aveva contattato giorni prima grazie a Drunky Duck, che aveva spedito il messaggio (Pickenz conosce Zagor dai tempi di Ora Zero). Il ministro degrada Caniff e lo mette agli arresti, ordinando lo scioglimento del Tropical Corp. Il colonnello Perry - che è anche un medico - riesce a guarire Zagor, trovando un rimedio contro la febbre gialla.

    COMMENTO

    Bella storia del periodo post-golden age, anche se a mio parere si cominciano già ad intravedere dei segnali di stanchezza da parte di Nolitta – almeno rispetto alle sue opere migliori.

    PREGI

    Il Sergione immette nella serie una tematica di non facile trattamento, ovvero la guerra batteriologica. Qui uno spietato commando militare diffonde tra gli indiani di Darkwood il morbo della febbre gialla, in modo da testarne la cura su cavie umane sacrificabili senza rimorsi. Correttamente, Nolitta tiene in considerazione che siamo circa nel 1830, quindi adatta a tale periodo la conoscenza scientifica delle malattie tropicali. (A volte invece gli autori hanno la tendenza a riportare le conoscenze attuali in periodi storici ancora "pionieristici", creando così un effetto stridente.) In questo episodio abbiamo uno Zagor dinamico e risoluto come poche altre volte. Corre, lotta, soffre, si indigna, fa impazzire i nemici, e continua strenuamente a combattere anche quando viene contagiato dal tremendo morbo.

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    E va rilevato che nel fare tutto ciò risulta sempre molto UMANO: ha comportamenti credibili e reazioni coerenti col suo carattere, e per superare le difficoltà deve ogni volta sudare e sputare sangue. Ciò induce il lettore ad empatizzare con le azioni del protagonista (una empatia che purtroppo gli autori moderni riescono ad evocare solo di rado, proponendoci uno Zagor robotico, anaffettivo e pure incoerente da una versione all'altra, che ispira ben poco coinvolgimento emotivo). :(

    Nella gag iniziale, c'è la terza apparizione del Going-Going. Purtroppo sarà anche l'ultima volta con Nolitta. Peccato, poiché a me questo strambo animale mangiatutto piaceva assai.

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    Cico aspirante ranicida è fantastico! "Vi ammazzerò tutti, ranocchioni del demonio! Ammazzerò i grandi! I piccoli! I medi! I verdi, i gialli... Farò una strage! UNA STRAGE!!" :lol:

    Buona la suspense provocata dal fatto che la lettera di Perry si interrompe all'improvviso dopo aver annunciato una "grave minaccia" incombente su Darkwood. Un trucco narrativo molto semplice, ma efficace.

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    Spassosa la sequenza in cui Cico si finge pazzo per essere internato nel manicomio dove è rinchiuso Perry.

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    Sempre a proposito della sequenza del manicomio, è bizzarra la trovata in cui Zagor e Cico si intrufolano nella stanza di Perry...all'insaputa l'uno dell'altro, col rischio di rovinarsi i piani a vicenda. :lol:

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    I militari del Tropical Corp sono delle canaglie di prim'ordine. Su tutti spicca il colonnello Caniff, il cui fanatismo lo spinge a vette di crudeltà quasi demoniache. Veramente odioso. Uno dei pochi villain nolittiani che risulta essere un malvagio senza mezze misure, tipo Raskin o McCarty, il Collezionista

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    Curiosamente, qui Nolitta affida un ruolo "serio" anche a Drunky Duck (e mi pare che sia la prima ed unica volta nella collana). Sarà proprio Papero Sbronzo a garantire l'arrivo della cavalleria nel finale, risolvendo una situazione disperata per gli assediati.

    DIFETTI

    Stavolta il ritmo narrativo di Nolitta non è fluido come al solito. Può essere una mia impressione personale, ma trovo che procede un po' "a singhiozzo", alternando scene briose a lungaggini insolite (tipo il verbosissimo flashback di 10 pagine di Perry). E anche alcune sequenze sembrano buttate lì in modo un po' forzoso, quasi col solo scopo di aumentare il numero di pagine (come la insolita "doppia" sequenza iniziale con Drunky Duck, in cui la gag con Cico avrebbe dovuto essere risparmiata per un altro episodio). Insomma, in confronto a storie precedenti, qui la trama sembra procedere un po' "al rallentatore" persino rispetto alla tipica lentezza nolittiana. Credo che il miglior Nolitta avrebbe compattato questa storia su 2 albi e mezzo, invece che su 3 e passa. Una eccessiva dilatazione dei tempi narrativi c'è e si nota. <_<

    Sconcertante la scena in cui Zagor spara alle spalle di un nemico disarmato. :huh: Sequenza davvero inconcepibile, soprattutto sapendo che la storia è di Nolitta in persona e non di un autore novello che conosce poco il personaggio di Zagor. Chissà cosa gli era passato per la testa mentre scriveva quella scena (va be', anche i grandi hanno diritto a prendersi una sbornia di Grumello ogni tanto).

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    Nel finale mi è parsa troppo immediata la presentazione di Zagor perfettamente guarito subito dopo la vignetta che lo ritraeva moribondo. Ok, dalla didascalia del cambio-scena capiamo che sono passate 2 settimane, ma narrativamente ci stava bene il conservare un po' di incertezza sul destino di Zagor ancora per qualche vignetta.

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    Storia: 8
    Disegni: 7,5
  13. .
    PARADISO CANTO 16 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - CACCIAGUIDA PARLA DELLA DECADENZA DI FIRENZE

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    Cacciaguida saluta con gioia Dante: in questo Canto parlano dell'amata città di Firenze, ormai rovinata.


    Cacciaguida inizia a rispondere alle domande di Dante (quando è nato, chi sono stati i suoi avi, quali erano le persone importanti a Firenze ai suoi tempi) e lo fa con una voce dolce e soave: parla però in una lingua diversa dal fiorentino moderno (cioè quello ai tempi di Dante, ovvio): un fiorentino antico.

    e come a li occhi miei si fé più bella, (e non appena ai miei occhi (la luce di Cacciaguida) diventò più bella,)
    così con voce più dolce e soave, (con voce pure più dolce e gradevole,)
    ma non con questa moderna favella, (benché non parlasse questo linguaggio moderno,)

    Dante qui vuole spiegare che Cacciaguida sta parlando in un fiorentino che non è il suo, cioè quello "moderno" del 1300 ("moderna favella"), ma piuttosto con una parlata fiorentina più antica e dunque diversa da quella dei suoi tempi, in accordo con quanto lui stesso afferma nel De Vulgari Eloquentia, circa il mutamento della lingua comunemente usata nel corso del tempo. Da notare che "volgare" qui non è detto nel nostro senso dispregiativo, ma nel senso di "lingua comune", quella detta dal "volgo", cioè dalle persone comuni, senza significati dispregiativi. Ne ho parlato qui.

    LA NASCITA DI CACCIAGUIDA

    L'avo spiega che, dal giorno dell'Annunciazione a Maria a quello della sua nascita, il pianeta Marte si è trovato in congiunzione con la costellazione del Leone 580 volte, quindi sono trascorsi 1091 anni.

    dissemi: "Da quel dì che fu detto ‘Ave’ (mi disse: "Dal giorno in cui l'arcangelo Gabriele disse 'Ave' a Maria,)
    al parto in che mia madre, ch’è or santa, (fino a quello in cui mia madre, che ora è santa,)
    s’alleviò di me ond’era grave, (mi partorì,)

    al suo Leon cinquecento cinquanta (questo pianeta (Marte, indicato come "questo foco" nel verso successivo) si è ricongiunto alla costellazione del Leone 550)
    e trenta fiate venne questo foco (e 30 volte (580 in tutto),
    a rinfiammarsi sotto la sua pianta. (riscaldandosi sotto la sua zampa. (quella della costellazione del Leone)

    Perchè Cacciaguida parla di Marte? Perchè siamo nel Cielo di Marte. E perchè Cacciaguida si mette a parlare dell'Annunciazione a Maria? Perchè questo fatto è avvenuto all'inizio dell'anno 1 del nostro calendario (lasciamo stare le discussioni che ci sono al riguardo), visto che, in quel momento, Gesù fu concepito: quindi è la data di inizio della nostra era. Per questo Cacciaguida usa quel momento come punto di partenza per contare gli anni. Ora, visto che Marte, nella sua rivoluzione (cioè il suo girare intorno al Sole) attraversa la costellazione del Leone ogni due anni circa, e che nel momento dell'Annunciazione, secondo Dante, Marte era appunto nella costellazione del Leone, Cacciaguida dice che è nato dopo 580 giri di Marte in quella costellazione: facendo i conti, quindi, Cacciaguida è nato nel 1091.

    GLI AVI DI CACCIAGUIDA

    Riguardo ai suoi avi, Cacciaguida dice ben poco: lui e i suoi antenati nacquero nell'"ultimo sesto" di Firenze, cioè l'ultimo sestiere. Un sestiere è la sesta parte della città: Cacciaguida dice che si tratta del sestiere da dove corre "il vostro annual gioco", cioè il Palio di Firenze. Quindi si tratta della zona di Porta San Pietro, lungo la Via degli Speziali, dove si trova il Mercato Vecchio. E' nella vecchia cinta muraria della città, cosa che prova l'antica nobiltà di Cacciaguida e dei suoi avi.

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    Il Mercato Vecchio prima e il Mercato Vecchio dopo: qui nacquero Cacciaguida e i suoi antenati. Il Mercato Vecchio fu smembrato e demolito nel 1888, in pieno Risorgimento dopo l'Unità d'Italia, in una vergognosa speculazione edilizia. Tutta la popolazione della zona fu evacuata e tutte le proprietà furono espropriate. Demolirono gli edifici del Ghetto, di via degli Speziali e di Calimala. Molte furono le antiche testimonianze architettoniche del passato che furono sacrificate senza pensarci troppo: chiese antiche, case-torri, sedi di Arti. Al suo posto fu realizzata Piazza della Repubblica. È famoso il commento che il pittore macchiaiolo Telemaco Signorini, grande amante degli aspetti pittoreschi e popolari di questa parte di città che soleva ritrarre spesso nelle sue opere, lasciò in risposta a un impiegato comunale, che gli chiedeva se, durante la demolizione del mercato, avesse gli occhi lacrimosi per quelle "porcherie" che venivano giù: "No, piango sulle porcherie che vengono su".


    Inoltre, ai tempi di Cacciaguida non doveva esserci il Palio, visto che lui lo indica come "il vostro annual gioco". Non aggiunge altro, dicendo che basta sapere solo questo: dice che è preferibile tacere chi fossero e da dove venissero i suoi avi.

    Basti d’i miei maggiori udirne questo: (Dei miei avi basti udire questo,)
    chi ei si fosser e onde venner quivi, (poiché chi essi fossero e da dove venissero)
    più è tacer che ragionare onesto. (è più opportuno tacere che non narrare.)

    Cacciaguida vuol dire semplicemente che è più opportuno ("onesto") tacere dei suoi antenati, non che è meglio nascondere qualche fatto poco onorevole.

    LA CAUSA DELLA DECADENZA DI FIRENZE: L'IMMIGRAZIONE

    Ora Cacciaguida risponde all'ultima domanda di Dante: cioè chi erano le famiglie nobili di allora che c'erano a Firenze. Alla sua epoca, gli abitanti che potevano portare armi (la nobiltà, in sostanza) erano circa un quinto di quelli della Firenze attuale, circoscritta "tra Marte e ‘l Batista", cioè dalla zona tra Ponte Vecchio (dov'era il frammento della statua attribuita a Marte), e il Battistero di S. Giovanni: infatti sono le zone che indicano gli estremi nord e sud della vecchia città. E' come se avesse detto "tutta Firenze". Ma, anche se erano meno di adesso, continua Cacciaguida, la popolazione di Firenze era pura fino all'ultimo artigiano e non mescolata a quella del contado, come avviene attualmente. Cacciaguida identifica questo "contado" con la gente di "Campi, di Certaldo e di Fegghine", cioè gli attuali Campi Bisenzio, Certaldo e Figline Valdarno, i paesi della provincia fiorentina.

    Quanto sarebbe meglio, lamenta Cacciaguida, che quelle genti che dico fossero ancora vicine ai confini di Firenze e non facessero parte della cittadinanza, e quanto sarebbe meglio che Firenze avesse ancora il suo confine che aveva prima, presso Galluzzo e Trespiano (erano delle borgate a poca distanza dalla città, che un tempo ne segnavano il confine), invece di ospitare queste persone e sostenere il puzzo del "villano d'Aguglione" (Baldo d'Aguglione, giurista e uomo politico. Nel 1299 fu coinvolto in uno scandalo di corruzione, di cui si parla nel Purgatorio, Canto 12, vv. 104-105) e del villano "da Signa" (Bonifazio di Ser Rinaldo Morubaldini, giurista di parte Bianca, passato poi ai Neri e che contribuì all'esilio di Dante) che ha già l'occhio pronto a compiere baratterie (corruzioni).

    Cacciaguida ce l'ha anche con la Chiesa: se non avesse ostacolato l'autorità di Cesare (l'Imperatore tedesco), dei bifolchi non sarebbero diventati dei cittadini di Firenze. Cittadini "fiorentini" che adesso esercitano il cambiare valute e il mercanteggiare ("cambia e merca"). Fiorentini che sarebbero rimasti a "Simifonti", dove i loro avi andavano a chiedere l'elemosina o a trafficare. Simifonti (oggi Semifonte) è un castello della Val d'Elsa, un'area della provincia di Firenze. Dante intende dire che, se la Chiesa non avesse usurpato l'autorità imperiale facendo come voleva, questi villani sarebbero rimasti lì dove andava "l'avolo alla cerca", cioè dove i loro avi chiedevano l'elemosina oppure vendevano la merce.

    Se la Chiesa non avesse fatto così, continua Cacciaguida, Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi (cioè: il castello di Montemurlo, che apparteneva ai conti Guidi, era un avamposto difensivo medievale: fu però ceduto a Firenze, inurbandosi e perdendo la sua funzione di difesa); inoltre, i Cerchi sarebbero ancora nel piviere di Acone (i Cerchi erano una famiglia di mercanti che provenivano dal piviere - cioè gruppo di parrocchie - di Acone in Val di Sieve, fuori da Firenze: invece, sempre "per colpa della Chiesa", questi mercanti dei Cerchi erano entrati in Firenze), e forse i Buondelmonti sarebbero rimasti in Val di Greve (i Buondelmonti avevano un castello in Val di Greve che fu distrutto da Firenze, per cui essi si trasferirono in città: altri "estranei").

    Montemurlo
    Il Castello di Montemurlo, nel Comune omonimo, in Provincia di Prato. Sorto come avamposto difensivo nel Medioevo, appartenne alla famiglia Guidi. Fu trasformato in un complesso residenziale e signorile alla metà del '500.



    UNA SPIEGAZIONE NECESSARIA

    Ora, l'argomento non è chiaro: che c'entra la Chiesa con l'arrivo dei nuovi fiorentini? Dante vuol dire che si trattava di una falsa visione di misericordia che aveva la Chiesa, o meglio gli uomini di Chiesa (bisogna sempre specificarlo: la Chiesa è una cosa, gli uomini di Chiesa un'altra) in cui si era voluto far entrare in Firenze tutti quanti, buoni e cattivi, senza nemmeno valutarli. Questa visione "pauperistica" della Chiesa (molto simile alla Chiesa di oggi, compresi i Governi, cioè il Cesare di oggi, che sostengono la libera immigrazione, facendo entrare chiunque, delinquenti e persone normali), fu dannosissima allora per Firenze come lo è oggi per l'Italia e per il mondo.

    E cosa c'è di male nel cambiare valuta e fare i mercanti? Di per sé, niente. Ma sono lavori che possono favorire la tentazione del "guadagno facile", cioè il vendere e scambiare delle cose di poco valore per cose di grande valore, facendo così le scarpe agli altri. Insomma, il commercio e lo scambio di denaro è una forte tentazione per la furbizia. E anche per diventare avidi e gretti. Guadagnare soldi senza fatica, in questo modo, per la visione cristiana non è accettabile. Non ti permette di vivere in modo sano. E questo spiega perchè le scommesse, il totocalcio, la schedina, il gioco e cose simili non sono cose accettabili dal punto di vista cristiano: perchè sono guadagni facili, ottenuti senza sudore nè sacrificio, che non ti permettono di amministrarli bene, facendoli solo sprecare. Facile avuto, facile perduto, dice il proverbio; inoltre, in questo modo, non si vive in modo sano. Una scommessa di poco conto in una partita a carte, per esempio, ci può stare: ma se si passa il tempo nelle sale da gioco è invece un brutto affare.

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    L'industriale Fujido del Grande Mazinga è un esempio del livello a cui si può arrivare col commercio avido e senza morale.



    CACCIAGUIDA CONDANNA L'IMMIGRAZIONE SELVAGGIA

    E Cacciaguida conclude, dicendo quanto sia dannosa l'immigrazione selvaggia:

    Sempre la confusion de le persone (Sempre la mescolanza delle genti)
    principio fu del mal de la cittade, (ha causato il male delle città,)
    come del vostro il cibo che s’appone; (come l'aggiunta di cibo ad altro cibo non digerito è fonte di malanni;)

    e cieco toro più avaccio cade (e un toro cieco cade più presto)
    che cieco agnello; e molte volte taglia (di un cieco agnello; e spesso taglia)
    più e meglio una che le cinque spade. (una sola spada più e meglio di cinque spade assieme.)

    Cioè: un toro cieco è la potente Firenze che non vede il danno che porta l'immigrazione; e una sola spada, cioè l'immigrazione selvaggia, sempre costante e mai ferma, porta più danni di cinque spade, che vengono da parti diverse e non vanno a fondo come l'altra. In sostanza, la mescolanza delle genti provoca sempre il male delle città (e delle nazioni, possiamo aggiungere).

    Cacciaguida dice poi a Dante che, se vede come sono cadute in rovina Luni e Orbisaglia (città disabitate e in rovina ai tempi di Dante), e che Chiusi e Senigallia stanno per fare la stessa fine (a causa del clima malarico della zona), non gli sembrerà una cosa inaudita, o difficile da credere, il vedere come le casate vadano in decadenza, dal momento che anche le città hanno una fine. Tutte le cose terrene hanno una fine, anche se gli uomini non sempre lo capiscono, perchè alcune cose hanno una lunga durata, mentre la vita umana ha una vita più breve: quindi quelle cose sembra che durino di più solo perchè l'uomo muore prima di esse.

    Le vostre cose tutte hanno lor morte, (Le cose terrene sono tutte mortali,)
    sì come voi; ma celasi in alcuna (proprio come voi; ma ciò è meno visibile in alcune cose)
    che dura molto, e le vite son corte. (che durano molto, mentre la vita umana è assai più breve.)

    Cacciaguida continua: e come la Luna, con le sue fasi lunari, copre e scopre senza sosta le spiagge con le maree, così la Fortuna fa con le sorti di Firenze. Quindi non ti deve sembrare una cosa strana quello che adesso dirò delle grandi famiglie fiorentine, la cui fama ora è stata cancellata dal tempo.

    LE ILLUSTRI FAMIGLIE FIORENTINE

    Nobilt-fiorentina
    La nobiltà ai tempi della Firenze di Cacciaguida.


    Cacciaguida passa in rassegna le principali famiglie fiorentine, già in decadenza ai suoi tempi, nonostante fossero ancora illustri: parla degli Ughi e dei Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli Alberighi che erano illustri cittadini, già allora quando declinavano; e vide famiglie anticamente potenti, come i Sannella, i dell'Arca, i Soldanieri, gli Ardinghi e i Bostichi. Presso Porta San Pietro, che ora è deturpata dalla viltà dei Cerchi (che tradirono Firenze), un tempo abitavano i Ravignani (un'importante famiglia fiorentina), da cui erano discesi il conte Guido Guerra (uno dei tre sodomiti fiorentini visti nel 16° Canto dell'Inferno) e Bellincione Berti, che fu poi capostipite dei Bellincioni.

    Un'altra famiglia fiorentina citata da Cacciaguida è quella della Pressa, che sapeva già come governare ("sapeva già come / regger si vuole"), segno che era stata una famiglia di grande autorità. Poi quella dei Galigai, che avevano già in casa l'elsa e l'impugnatura della spada dorata (cioè, erano cavalieri).

    Poi Cacciaguida cita a ruota libera molte altre famiglie:
    - i Pigli, una famiglia assai insigne con "la colonna del Vaio", cioè la striscia di vaio. Si tratta dello stemma di famiglia, che era una striscia verticale ("colonna") del vaio (che è la pelliccia dello scoiattolo) in campo rosso.
    - i Sacchetti, i Giuochi, i Fifanti, i Barucci, i Galli
    - i Chiaramontesi, detti "quei ch’arrossan per lo staio.", cioè che "arrossiscono per la frode dello staio": furono coinvolti infatti in uno scandalo. Durante Chiaramontesi, frate della penitenza, fu sovrintendente per la vendita del sale e alterò la misura ufficiale dello staio, togliendo da esso una doga di legno e arricchendosi: fu condannato a morte.
    - i Donati, il ceppo da cui nacquero i Calfucci;
    - i Sizi e gli Arrigucci erano già condotti a coprire alte cariche politiche;

    Poi passa alla famosa famiglia ghibellina degli Uberti (quella di Farinata), che fu rovinata dalla loro superbia (furono banditi da Firenze), e quella dei Lamberti, il cui stemma delle palle d'oro rendeva illustre Firenze in tutte le sue imprese. Ora sono entrambe estinte, e anche i Lamberti furono poi banditi da Firenze.

    Fecero una brutta fine anche gli avi dei Visdomini e dei Tosinghi, che ora approfittano del fatto che la sede vescovile è vacante per arricchirsi. Cacciaguida condanna anche la famiglia di Filippo Argenti, il dannato che Dante aveva incontrato nel Canto 8 dell'Inferno (gli Iracondi immersi nello Stige): si tratta della famiglia degli Adimari, "l’oltracotata schiatta", cioè la tracotante famiglia, pronta a infierire sui deboli ma servile verso i potenti. A quel tempo stavano crescendo, pur avendo umili origini.

    Già si erano inurbati da Fiesole (quindi non erano fiorentini) i Caponsacchi, come pure i Giudi e gli Infangati. Anzi, sembra incredibile, ma nell'antica cinta muraria si entrava attraverso una porta intitolata alla famiglia della Pera (famosi banchieri).

    Coloro che si fregiavano dell'insegna di Ugo di Toscana ebbero da lui la dignità cavalleresca, anche se uno di loro (Giano della Bella) oggi parteggia per il popolo, dice Cacciaguida. A dirlo sembra una cosa buona, ma qui Cacciaguida intende il comportarsi in modo populista (atteggiamento ideologico che esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi).

    Cacciaguida parla delle famiglie dei Gualterotti e degli Importuni e Borgo Santi Apostoli (un'antica strada di Firenze) sarebbe stata più tranquilla, se non avesse acquistato dei nuovi vicini. A quei tempi, la casata degli Amidei, sempre in quella zona, era onorata: ma fu da lì che nacquero le disgrazie di Firenze, a causa della giusta indignazione per quello che fecero i Buondelmonti - "i nuovi vicini" di cui parlava Cacciaguida - che ha mandato in rovina ("v'ha morti") la città e pose fine al vivere lieto dei Fiorentini. O Buondelmonte, quanto male facesti a fuggire le nozze con una giovane degli Amidei, seguendo i consigli altrui! Infatti, Buondelmonte dei Buondelmonti rifiutò di sposare una degli Amidei, che forse aveva già compromesso.

    o Buondelmonte, quanto mal fuggisti (o Buondelmonte, quanto male facesti a sfuggire)
    le nozze sue per li altrui conforti! (le nozze con una giovane di quella famiglia, seguendo i consigli altrui!)

    Infatti, per questo gli Amidei lo uccisero e da lì si scatenarono le guerre intestine tra Guelfi e Ghibellini, che lacerarono Firenze. Cacciaguida si lamenta addirittura che il Buondelmonti non sia morto prima: se Dio lo avesse fatto annegare nel torrente Ema quando si era inurbato (cioè entrato ad abitare a Firenze), questo avrebbe evitato a Firenze tanti lutti e ci sarebbe stata molta gioia.

    Molti sarebber lieti, che son tristi, (Molti che oggi sono tristi sarebbero lieti)
    se Dio t’avesse conceduto ad Ema (se Dio ti avesse annegato nell'Ema,)
    la prima volta ch’a città venisti. (la prima volta che ti inurbasti a Firenze.)

    Invece fu destino che egli fosse assassinato, proprio il giorno di Pasqua, presso il frammento della statua vicino a Ponte Vecchio: fatto che scatenò le guerre civili.

    Cacciaguida conclude, dicendo di essere vissuto a Firenze con queste famiglie, in una città tranquilla e pacifica, che non aveva motivo di lamentarsi. Il popolo fiorentino, a quel tempo, era giusto e glorioso, tanto che la città non subì alcuna sconfitta militare: " ‘l giglio / non era ad asta mai posto a ritroso": qui si allude all'usanza di allora di trascinare lo stemma della città vinta in battaglia, con l'asta rovesciata: cosa che secondo Cacciaguida non accadde mai al giglio di Firenze, il suo stemma. Né allora l'insegna cittadina era ancora diventata rossa di sangue per le divisioni interne.

    COMMENTO

    Questo Canto è il secondo momento del trittico dedicato all'incontro con Cacciaguida, che nel Canto successivo dovrà svelargli l'alta missione di cui è investito dalla Provvidenza: cioè scrivere la Divina Commedia. Infatti, questo incontro è collocato proprio al centro della Cantica del Paradiso per la sua importanza, ed è caratterizzato da una certa elevatezza di stile.

    Questo Canto, però, è meno sostenuto degli altri, perchè il discorso è più generale e verte sulla decadenza morale di Firenze, di cui vengono messe in luce le cause: prima di tutto, la venuta delle genti non fiorentine e non abituate al pensiero nobile dei Fiorentini, cioè le arti, la cultura, il rispetto dell'altro, la cura delle proprie tradizioni. Tutta paccottiglia per i nuovi arrivati, ai quali interessavano solo il denaro, il guadagno, il possesso, e ogni furberia. Da qui la corruzione e il degrado.

    Questa affermazione era già stata detta da Brunetto Latini nell'Inferno, Canto 15 e soprattutto da Dante stesso nel Canto 16 dell'Inferno, quando aveva spiegato ai tre sodomiti fiorentini che la causa della corruzione morale della città erano la "gente nova" e "i sùbiti guadagni" (cioè, i guadagni facili, che sono sempre disonesti), che avevano generato orgoglio e dismisura.

    Dante dice che, anticamente, la popolazione fiorentina era pura, perchè discendeva dai Romani, che avevano fondato la città dopo la distruzione di Fiesole. I fiorentini furono poi mescolati ai superstiti della stessa Fiesole, che non erano altrettanto nobili: poi, nel corso del Duecento, i nuovi venuti dal contado, Fiesolani e altri, avevano provocato una vera confusione di genti, che è stata la causa di tutti i mali della città. Infatti, come avevo detto prima, i nuovi venuti si dedicavano soprattutto al commercio e al cambio di valuta, dunque ad attività fondate sullo scambio di denaro e sul guadagno facile, diffondendo col proprio esempio l'avidità e la corruzione, fonte prima delle discordie civili, che insanguinarono Firenze nel primo Trecento e portarono all'esilio dello stesso poeta.

    Dante qui scrive parole durissime contro l'immigrazione e contro la Chiesa, (oggi si scaglierebbe anche contro i governi) che si rende complice di questa tratta di uomini.

    Qui si è accusato Dante di razzismo: ma quello che lui dice ha un valore simbolico molto alto. Infatti, trascurare la propria religione, la propria tradizione, la propria lingua, il proprio paese, la propria cultura, non farà altro che far venire da fuori gente a cui della religione, tradizione, lingua, importerà meno di niente, e il loro solo interesse sarà occupare la terra dove sono arrivati e scacciare via gli altri, oppure scontrarsi con loro, oppure sottometterli. E' una situazione molto attuale, di cui nessuno se ne rende conto; e chi se ne rende conto, teme di essere tacciato di razzismo e sta zitto. Ma il problema non sono tanto gli immigrati, quanto il fatto che gli stessi popoli che vivono nei paesi dove vanno gli immigrati trascurano la propria fede e le proprie tradizioni. E chi semina vento, raccoglie tempesta.

    Cacciaguida fa un lungo elenco di nomi di famiglie nobili fiorentine, molte delle quali a noi sconosciute: tuttavia, rappresentano degli esempi della transitorietà della gloria terrena (quante sono le persone famose che avete conosciuto tempo fa e che adesso non solo non ci sono più, ma non se ne parla nemmeno? Parecchie, immagino), nonché della nobiltà di sangue che all'inizio Dante aveva definito "poca" e che è destinata a scomparire, se non è accompagnata da un agire virtuoso.

    Tra gli esempi fatti da Cacciaguida, i più evidenti sono quello degli Uberti, la grande famiglia ghibellina di Farinata (Canto 10 dell'Inferno), che fu cancellata da Firenze, e quello dei Buondelmonti, che, a causa dell'oltraggio a una fanciulla degli Amidei, avevano originato le divisioni politiche nella città. Anzi, la figura di Buondelmonte dei Buondelmonti, che ruppe la promessa di matrimonio e fu ucciso nell'ambito di una vendetta familiare, diventa quasi emblematica della decadenza morale della città, in quanto l'uomo apparteneva a una famiglia inurbatasi a Firenze in tempi antichi. La sua uccisione fu l'inizio delle discordie intestine che poi avrebbero insanguinato Firenze, alimentate da superbia, invidia e avarizia, come detto da Ciacco nel 4° Canto dell'Inferno. Cacciaguida conclude la rassegna con questo sinistro presagio, precisando che la Firenze in cui lui ha vissuto era molto diversa e godeva di una pace duratura, prevalendo sempre sui suoi nemici e mantenendo intatta la sua gloria, cosa che non si può certo dire della città dalla quale Dante è stato esiliato.

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    Farinata, della nobile famiglia degli Uberti, che Dante incontra tra gli Eretici all'Inferno.



    LA GENTE NOVA E I "SUBITI GUADAGNI": DANTE CONTRO LA CIVILTA' MERCANTILE

    Dante si scaglia anche contro la civiltà dei Comuni, che a quei tempi si stava sviluppando: una civiltà tutta fondata sul commercio e sulla circolazione del denaro, da lui vista come fonte di corruzione e di decadenza politico-morale (abbiamo già spiegato prima il motivo). Questo sembra strano e inspiegabile per noi, che anzi ammiriamo il commercio e la figura del commerciante: ma lo era anche allora, visto che lo stesso Boccaccio, oltre a essere grande ammiratore e contemporaneo di Dante, esaltava proprio la figura del mercante.

    Dante indica l'avidità di guadagno e la cupidigia come le fonti della corruzione e del disordine, sia politico, che morale e culturale, che affliggeva l'Italia del Trecento, bollando la circolazione del denaro - che da lì iniziò a circolare in quantità altissime: oggi ci sono dei miliardari che potrebbero comprare intere nazioni - come il fattore destinato ad alimentare le ingiustizie. Nel Paradiso (Canto 9), Folchetto di Marsiglia si scaglia proprio contro "il maladetto fiore", cioè la moneta del fiorino, diffusa in Europa proprio dai banchieri di Firenze, che finanziavano le monarchie e corrompevano gli uomini di Chiesa.

    E il denaro è stato causa della rovina della stessa Firenze (simbolo del mondo civile e cristiano), da cui sono scomparsi onore e cortesia, a causa della "gente nova" e i "sùbiti guadagni", ovvero la propensione agli affari e alle corruzioni da parte dei contadini inurbatisi in città, diffondendo a Firenze il degrado morale.

    Il mercante, dice Dante, spesso cerca di lucrare (cioè guadagnare in modo illecito) attraverso l'uso del denaro; è portatore di qualità negative come l'astuzia e l'occhio aguzzo; tenta di ottenere un guadagno spesso raggirando il prossimo. Tutte caratteristiche che Boccaccio e il Trecento esaltavano, in quanto appartenenti a una mentalità più simile alla nostra. E' il lato oscuro del commercio, che Dante vuole mettere in evidenza. L'avidità di denaro infatti porta gli uomini a compiere ogni sorta di misfatto, e ciò è fonte di sofferenza per tutti quelli che, come lui, si battono per il bene e per la corretta applicazione delle leggi. Se il denaro è fonte del male, allora Dante tuona contro tutti coloro che ne fanno un idolo.

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xvi.html

    Edited by joe 7 - 17/3/2024, 16:12
  14. .
    FABRICANT 100: UNA LADY FRANKENSTEIN CON MOLTI MISTERI E UNA SCADENZA CHIARA - VOTO: 8

    Trama e disegni: Daisuke Enoshima
    Edizione italiana: inedito in Italia.

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    Stavolta commento un manga che è iniziato nel 2022 e finito nel 2023, con scarse probabilità di essere pubblicato in Italia, tra l'altro. Comunque mi aveva colpito molto, ed è un peccato che non abbia avuto successo. Ma sono cose che capitano.

    L'AUTORE

    Daisuke Enoshima è un autore alle prime armi, che in passato aveva realizzato una storia breve autoconclusiva (o one-shot, come si dice di solito) chiamata Fabricant 1001 : fu pubblicata su Weekly Shonen Jump nel 2021. Ebbe un certo successo e si decise di realizzarne una serie completa l'anno successivo, il 2022, con lo stesso titolo, "Fabricant 100", sempre su Weekly Shonen Jump. La serie durò fino al capitolo 36, quello della chiusura. In sostanza, questo manga fu solo una meteora. Ora Enoshima sta facendo l'assistente per "Elusive samurai" di Yusei Matsui. Peccato, perchè questo manga aveva delle forti potenzialità.

    TRAMA

    Uno scienziato stile Frankenstein, fissato sull'idea di creare un "essere umano ideale", chiamato "Fabricant", muore insoddisfatto, anche dopo aver realizzato il "Fabricant" più potente, il centesimo: un Fabricant di aspetto femminile chiamato appunto "Fabricant 100". I 100 Fabricant realizzati cercano di soddisfare il desiderio del suo creatore, anche se è morto, cercando di sostituire le parti "imperfette" dei loro corpi con delle parti "perfette" prese dagli umani particolarmente dotati nello sport o nelle arti, eccetera. Così diventeranno - secondo loro - degli "esseri umani ideali" come li voleva il loro creatore.

    Tra queste vittime c'è la famiglia Yao, massacrata dai Fabricant perchè dotata delle capacità di guarire rapidamente e di invecchiare lentamente: una famiglia quasi immortale, quindi. Ashibi Yao, un ragazzo, è l'unico sopravvissuto: data la sua giovane età (14 anni) non aveva ancora ottenuto i "poteri" di famiglia, per questo era stato risparmiato. Ashibi, però, vuole vendicarsi dei Fabricant e, per farlo, tira dalla sua parte la centesima Fabricant, la più potente: in cambio del suo aiuto per sterminare tutti gli altri 99 Fabricant, lei potrà avere il suo corpo per utilizzarne le membra perfette quando sarà diventato adulto. E lui, per attirare i Fabricant, basta che, nelle sue vicinanze, si ferisca con un anello affilato (può guarire rapidamente dalle ferite): loro non possono resistere a quel richiamo, perchè desiderano avere le membra di Ashibi. Da qui cadono nelle braccia della potente Fabricant 100.

    Però, anche se lei è la più forte, non per questo le cose saranno semplici. Infatti, Fabricant 100, oltre alla sua forza non ha delle abilità particolari, cosa che la mette in svantaggio rispetto agli altri Fabricant, dotati invece di diversi poteri e capaci di tattiche assai elaborate.

    FABRICANT 100 STRAVOLGE FRANKENSTEIN

    E' ovvio che "Fabricant 100" si basa sulla storia di Frankenstein della scrittrice Mary Shelley. Al posto del mostro, però, qui abbiamo una Lady Frankenstein stile signora dell'800 dai capelli biondi, piuttosto formosa e con degli occhi rossi piuttosto inquietanti, dello stesso colore del sangue. Il suo corpo ha molte cicatrici, come tutti i Fabricant: in particolare, ha una cicatrice che le attraversa tutto il collo, che lei, curiosamente, copre col suo fiocco.

    Invece di dare la caccia al proprio inventore, come faceva l'originale mostro di Frankenstein, lei sta attenta al proprio..."salvatore", cioè a colui che potrebbe renderla umana, sacrificando le sue membra (letteralmente eh, non per modo di dire!) per lei: il giovane Ashibi Yao. Uno smembramento che ha quasi del cannibalismo: come soggetto della storia, è assai cupo. Non ci sono truculenze nè efferatezze, anzi c'è un tono da commedia. Nonostante questo, l'argomento sollevato è inquietante.

    Nelle storie gotiche dell'orrore, di solito, il protagonista fa la parte della vittima, perchè degli esseri oscuri vogliono rubare il suo corpo e usarlo contro la sua volontà. L'esempio classico è quello di Dracula che vuole il sangue di Mina Harker. Qui, invece, è il contrario: è proprio Ashibi Yao che offre il suo corpo, o meglio le sue membra, al Fabricant 100, per avere la sua vendetta contro chi gli ha sterminato la famiglia. E' una specie di patto col diavolo, simile a quello che accade in Black Butler.

    Il manga mostra anche come l'idea di "perfezione" diventi perversa e accechi le persone (in questo caso, i Fabricant), spingendole a fare cose orribili (smembrare i corpi, e dici poco!) per raggiungere il loro ideale immaginario di "umano perfetto". Non c'è una gran differenza con chi voleva fare una società "perfetta" ghigliottinando a tutto spiano. O a forza di campi di concentramento o gulag.

    IL MISTERO DI FABRICANT 100

    Il personaggio di Fabricant 100 non ha un nome, e questo significa che è in cerca della sua identità, perchè non sa chi è. Ha una personalità misteriosa, gentile e feroce e nello stesso tempo, con una dinamica divertente di interazione con Ashibi. Infatti, manco fosse una cameriera dell'800 che deve badare a lui, è iperprotettiva nei suoi confronti, perché non vuole che le nuove membra che avrà si rovinino. Non c'è un vero "altruismo" nelle sue azioni: tuttavia, sembra proteggerlo con una certa cura, oltre che per interesse: ma non sarà mai chiarito questo aspetto, fino alla fine del manga. Mostra di avere un'immensa forza nei combattimenti, anche se gli avversari sapranno essere difficili comunque da battere. In ogni caso, fino alla fine non si saprà mai davvero quali sono i pensieri di Fabricant 100.

    Fabricant-100


    FABRICANT 100 DICE AI LETTORI COME FINIRA' LA STORIA SIN DALL'INIZIO

    Questa storia permette all'autore di far sapere sin dall'inizio ai suoi lettori come finirà la storia: cioè con l'eliminazione di tutti i 99 altri Fabricant. Da questo punto di vista, ricorda un pò Manji, il samurai dell'Immortale, che aiuta la ragazza Rin a effettuare la sua vendetta e, nello stesso tempo, ottenere il suo obiettivo: uccidere mille criminali, o meglio, tutti i samurai assassini dell'Ittoryu. Infatti, il manga si conclude con la vittoria sull'ultimo sopravvissuto.

    Ashibi conserva un taccuino in cui registra le uccisioni effettuate dal Fabricant 100, osservando quanti altri Fabricant da eliminare sono rimasti. Una volta che il taccuino sarà completo, la storia ovviamente sarà finita. Naturalmente, la ricerca per uccidere i 99 Fabricant sarà piena di storie secondarie e comprimari vari, come l'organizzazione di Mortsafe, deputata all'eliminazione dei Fabricant. Tuttavia, Enoshima è chiaro sin dall'inizio: il suo manga ha già una fine tracciata.

    Questa novità sul debutto di Fabricant 100 rispetto ai manga tradizionali è piuttosto audace. Si sa quanto sia difficile stabilire e mantenere un manga popolare: ma con questo chiaro obiettivo, Enoshima potrà finirlo quando vuole, se sarà necessario.

    E, siccome il manga non ha avuto il successo previsto, Fabricant 100 si conclude dopo 5 volumi. Però Enoshima ha potuto finirlo in ogni caso come voleva: con l'eliminazione dei 99 Fabricant.


    E alla fine ne rimarrà solo uno...(Highlander)


    I FABRICANT NON MOSTRANO DI AVERE BONTA'

    Ashibi Yao, come sappiamo, ha una missione da compiere: quella di vendicarsi. Ma spesso è tormentato da diversi problemi morali: i Fabricant, in sostanza, hanno davvero un cuore o no? La risposta è: no. Non ci sono Fabricant "buoni": qualunque cosa facciano o dicano, è sempre col fine per ottenere organi freschi il più facilmente possibile.

    I Fabricant non mostrano affetti particolari verso gli uomini, compresa la Fabricant 100. Lei fa di tutto per assicurarsi che Ashibi stia bene, ma è pronta ad ucciderlo una volta che lui compirà i 18 anni e potrà smembrarlo. Lei sa anche diverse cose sui Fabricant, che nasconde ad Ashibi: quindi non è un sodalizio tra persone amiche.

    Per esempio, il Fabricant 33, "Bad Samaritan", alleva bambini orfani dalle strade, solo per raccogliere i loro occhi una volta che saranno sani. Alcuni di loro l'avevano capito: ma a loro non importava, a causa del loro miserabile passato. Infatti, erano comunque felici di avere avuto, per un pò di tempo, almeno un riparo. Ma il Fabricant 33 non è mai riuscito a capire perché l'abbiano ringraziato per averli messi in una casa e in un rifugio.

    Insomma, i Fabricant sono estranei ai sentimenti umani: semplicemente non li comprendono, nè possono comprenderli. Non c'è empatia. Da qui è chiaro che nessun Fabricant raggiungerà mai l'umanità perfetta, anche se avrà davvero un corpo perfetto.

    La Fabricant 100 sarà un'eccezione? Raggiungerà mai l'umanità? Capirà mai qualcosa dell'essere umano? Tutta la storia gira attorno a questa domanda (infatti ha come titolo proprio il nome della protagonista). Una domanda alla quale non si dà una risposta definitiva: la conclusione la dovrà tirare fuori il lettore.

    Fabricant-4



    I SOGNI DELLA RAGIONE GENERANO MOSTRI

    Questo è il messaggio di "Fabricant 100": una scienza priva di morale, e di rispetto per la vita, genera mostri. Goya , il famoso pittore, aveva fatto un soggetto in cui una persona addormentata sogna dei mostri: sono i mostri generati dalla sua ragione senza controllo. Una ragione incontrollata, senza limiti, senza morale, che crede di essere Dio, ha un delirio di onnipotenza che porta a risultati orribili ed enormi sofferenze: aborti, sperimentazioni, eutanasia, vaccini mai sperimentati. La ragione incontrollata genera mostri, e, come tutti i mostri, questi sono assetati di sangue umano. Come i Fabricant.

    Goya



    TUTTI I VOLUMI DI FABRICANT 100

    Fabricant-100
    I 5 volumi di Fabricant 100: la serie completa.



    BIBLIOGRAFIA
    www.cbr.com/shonen-jump-new-manga-...n-frankenstein/
    https://screenrant.com/shonen-jump-fabrica...tion-end-early/
    https://tvtropes.org/pmwiki/pmwiki.php/Manga/Fabricant100

    ----------------------------
    1 il nome originale è 人造人間100, cioè Jinzou Ningen 100. "Jinzou" sta per "artificiale", "fatto dall'uomo", e "Ningen" sta per "essere umano". Quindi significa "Essere umano artificiale numero 100".

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    Addio, Fabricant 100. Tutti ti dimenticheranno, io no. ^_^

  15. .
    L'ULTIMO SALUTO AD AKIRA TORIYAMA, IL CREATORE DI DRAGONBALL

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    Come ormai tutti sanno, il 1° Marzo 2024 ci ha lasciati il maestro Akira Toriyama, creatore di Dr. Slump e Arale e soprattutto di Dragonball. Nel parlare di lui, si deve per forza parlare di questa opera ciclopica, che è stata appunto il frutto del genio di Toriyama: analizzando Dragonball, si comprenderà meglio l'autore.

    Intanto, perchè Dragonball ha avuto così tanto successo, al punto da essere stato un'icona in tutto il mondo, tanto da fare da apripista ai manga giapponesi? In Italia, per esempio, il primo manga che fu pubblicato in edizione non ribaltata, quindi con la lettura alla giapponese da destra a sinistra, fu proprio Dragonball, ed ebbe un successo enorme, tanto che da allora tutti i manga pubblicati in Italia furono non ribaltati.

    Qual era il segreto di Toriyama e del suo successo con Dragonball?

    Il segreto è la spontaneità e la "purezza" del personaggio di Goku, secondo me. Le storie di Dragonball sono violente e leggere, drammatiche e semplici nello stesso tempo. C'è un equilibrio incredibile tra serietà e gioco: come un bambino piccolo, Goku è incredibilmente serio e nello stesso tempo incredibilmente giocoso. Osservate un bambino appena nato: vi osserverà seriamente, con attenzione: il suo sguardo è focalizzato su di voi. Vi analizza, cerca di capire chi sei. E' serio. Ma nello stesso tempo gioca facilmente, sorride, si diverte con poco. La stessa cosa fa Goku: è un bambino, sia nel corpo che nell'animo. I suoi capelli, con un ciuffo davanti e uno dietro, richiamano le orecchie di Topolino, che ha le proporzioni da bambino, come Goku.

    Tutto nel mondo di Dragonball è a misura di bambino: le macchine arrotondate, le capsule che si trasformano in quello che vuoi, i personaggi che hanno nomi buffi. Per esempio, tanti hanno dei nomi di vegetali: Vegeta (ovvio), Kakarot (carota), Crilin (castagna), Taobaibai (pesca bianca bianca); oppure di alimenti: Tenshinhan (piatto cinese). Il nemico spesso è Freezer, proprio il luogo dove si mettono gli alimenti. Oppure, nomi di colori: il Red Ribbon (nastro rosso), il Comandante Red, eccetera. E un bambino è attratto dai colori.

    In particolare, il nome di Bulma sta per Bloomer, "mutandine", una costante della ragazza. Ma i bloomer sono anche dei pantaloncini femminili da palestra (cosa che ricorda l'allenamento, una costante in Dragonball). Tutta l’opera è costellata da battute e scene a sfondo erotico, soprattutto tra Bulma e il Maestro Muten, e addirittura il primo arco narrativo si conclude con...delle mutandine richieste al Drago che viene evocato. Ma Son Goku è completamente estraneo a questo contesto, che rimane comunque a livello infantile: come un bambino, Goku non ha interesse verso l'altro sesso.

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    Son Goku è un personaggio semplice, puro, pulito addirittura: è senza peccato, tanto che può viaggiare su una nuvola. Se il martello di Thor può essere sollevato solo da chi ne è degno, quindi da chi ha il cuore puro, Son Goku lo solleverebbe senza problemi e lo darebbe a Thor dicendo: "Scusa, hai dimenticato questo". Oppure, può estrarre la spada Excalibur dalla roccia e darla ad Artù. In un certo senso, possono essere visti come dei prototipi di Goku il Conan di Miyazaki o il Piccolo principe Valiant (o Hols): entrambi puri, semplici e coraggiosi, entrambi col nonno che è morto ma che loro rimpiangono e rispettano, perchè ha dato loro un'impostazione di vita (Goku è stato allevato da suo nonno, che è morto prima dell'inizio del manga). Conan è molto forte, come Goku in proporzione, e Valiant è il più coraggioso tra gli uomini del villaggio. Ma, anche se sono delle persone semplici e oneste, non hanno l'infantilismo di Goku.

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    Valiant/Hols: un prototipo di Goku


    La caratteristica di Goku è l'entusiasmo, l'amicizia con gli altri, lo stupirsi di ogni cosa. E ama crescere, svilupparsi, vivere: per questo gli piace diventare sempre più forte, caratteristica equivalente alla vita, per lui. Sin dall'inizio Goku è dotato di una grandissima forza: ma non se ne vanta mai. Per lui essere forte è una cosa naturale, come respirare, scrivere o camminare. Se incontra qualcuno più forte di lui, ne è felice perchè questo per lui è uno stimolo per diventare ancora più forte. Come i bambini piccoli, non ha malinconia, nè rimpianti, nè invidia.

    Ha un senso della giustizia fortissimo, sempre come i bambini: tutti i bambini vogliono che il lupo cattivo le prenda. Si infuriano davanti alle ingiustizie. Quando Goku incontra un malvagio, si infuria per la sua malvagità e lo affronta senza problemi, non importa quanto sia forte. E' più forte di lui? Con dell'allenamento alla fine lo batterà. E' meno forte di lui? Il cattivo le prende e dovrà perdere.

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    Il malvagio non riuscirà mai a portare Goku dalla sua parte: è troppo puro per cascarci. In una scena del suo lungo scontro col Red Ribbon, l'esercito più potente del mondo, siamo arrivati quasi alla fine. Goku raggiunge il Comandante Black, il capo del Red Ribbon, e gli chiede:
    "Sei tu il capo?"
    "Sì. Ascolta: ho una proposta da farti."
    "Una proposta?"
    "Sì. Che ne dici di lavorare per noi? Possiamo conquistare il mondo, insieme!"
    "Non mi interessa. Io sono qui per far risorgere il padre di Upa, che è morto per colpa vostra!"
    Black è contrariato, però continua a insistere:
    "Allora facciamo così. Ti puoi prendere le sfere del drago che abbiamo, fai risorgere il padre di Upa e poi vieni a lavorare per noi. Che ne dici?"
    "Ti ho detto che non mi interessa! Non ci tengo a lavorare per una banda criminale!"
    "Ho capito. Allora non mi lasci scelta."
    Lo scontro si riprende, e, come potete immaginare, alla fine Goku batte Black e si riprende le sfere.

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    Il segreto di Goku è la sua semplicità: anche quando diventerà più grande, si sposerà con Chichi e avrà il figlio Gohan, il suo animo resterà semplice come quello che aveva da bambino. Come i bambini, non ha nemmeno il concetto della morte: infatti, nel dialogo di prima, parla con tranquillità di far risorgere una persona con le sfere del drago.

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    Grande o piccolo, Goku resta sempre Goku.


    La bontà d'animo di Goku rassicura: lui guarda il mondo con ingenuità, con candore, rimanendo sempre se stesso. Non cambia, non tradisce: rappresenta la tradizione, in un mondo che diventa sempre più alieno e meccanizzato (capsule Hoipoi, apparecchi volanti, marchingegni futuristici, seppur ritratti con un design per bambini).

    La trama di Dragonball è elementare, schematica, sfacciatamente ripetitiva, persino: Goku incontra uno più forte di lui che lo batte, poi lui si allena e lo batte. Poi incontra uno ancora più forte, eccetera. Eppure coinvolgono, appassionano lo stesso: non ci sono mai stati prima degli scontri così megagalattici, così totali, e questo coinvolge moltissimo. E gli scontri avvengono anche tra i comprimari. Ma il cuore di Dragonball resta sempre il personaggio di Goku.

    Il talento di Toriyama nella costruzione della tavola e nella narrazione, oltre alla sua capacità di creare un mondo e un mare di personaggi secondari indimenticabili, ha contribuito al successo, senza dubbio. Ma è Goku il vero motore di tutta la storia.

    Anche Rufy di One Piece, che è stato realizzato da un ammiratore di Toriyama, Eichiro Oda, è stato realizzato sulla falsariga di Goku: apparentemente debole perchè fatto di gomma (Goku sembra debole perchè è un bambino), è invece fortissimo. E' semplice come Goku, si stupisce facilmente anche lui, ama l'avventura e ha l'obiettivo di trovare lo One Piece, che è quasi l'equivalente delle Sfere del Drago, attorno alle quali spesso gira tutta la storia di Goku.

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    Credo che sia stato questo il segreto del successo di Dragonball e del talento del maestro Toriyama.

    Riposa in pace, maestro.
2225 replies since 31/8/2013
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