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Posts written by joe 7

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    EP 29: "UN AMICO DALLO SPAZIO" - COMMENTI

    LA SPIETATEZZA DI ZURIL

    Quando Haruk viene colpito dai raggi, le sue urla di dolore sono talmente strazianti che lo stesso Gandal ne è impressionato. Però Zuril non fa una piega e osserva freddamente i risultati dell'esperimento. Lo scienziato è insensibile al dolore altrui: Haruk per lui è solo una cavia come le altre. Perderà la sua flemma solo quando sarà coinvolto suo figlio Fritz o quando è in gioco Rubina, la figlia di Vega, di cui è innamorato: di un amore passionale, però, non certo altruista. Insomma, quando si agita è solo per i fatti suoi. Non per i fatti dei suoi pazienti.

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    IL RANCH BETULLA BIANCA

    Qui vediamo il ranch all'alba; e si vede ancora la porta di ingresso e di uscita, uguale identica a quelle dei saloon del west.

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    E' già stata vista in passato, per esempio nell'ep17, "La bufera di neve".

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    A Rigel piace molto l'ambiente western, anche nei dettagli. ^_^

    LA SCUOLA YATSUGATAKE DI MIZAR

    E' la prima volta che vediamo per intera la scuola di Mizar, che si chiama "Yatsugatake": è il nome dei monti attorno alla zona, realmente esistenti in Giappone. Come si vede, durante l'intervallo, o prima delle lezioni, i bambini fanno il braccio di ferro per sfida. E' da notare che Mizar non lo fa: fa solo da spettatore, forse da arbitro. Sembra che abbia imparato la lezione di Actarus (ep22: "La difesa magnetica"), che cioè la forza non è la sola cosa che conta.

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    Nei primi episodi, anche Venusia andava alla stessa scuola di Mizar, prendendo lo stesso autobus: ma dopo lei è stata "adultizzata", come ha spiegato bene Gerdha, e quindi non la si vedrà più come studentessa, o scolara, dell'edificio. Al massimo comparirà ancora per la prova atletica durante la famosa "trilogia di Venusia": ma non sarà più una studentessa. Venusia ora è considerata un personaggio adulto, al pari di Actarus.

    LA MAESTRA DI MIZAR

    In questo episodio è la prima, e forse unica, volta in cui vediamo la maestra delle elementari di Mizar, che presenta Haruo/Haruk, il nuovo arrivato, alla scolaresca. Non si sa il suo nome.

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    ACTARUS TAGLIA IL FIENO

    Actarus usa una lama particolare per tagliare in fieno in più parti.

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    LA BAITA DI HARUK

    Il lato inquietante della baita solitaria di Haruk è la testa impagliata del cervo, con gli occhi che si illuminano di rosso quando Haruk deve contattare la base Skarmoon. Si ottiene un effetto diabolico: occhi rossi e corna. Abbiamo l'anormalità, la malvagità, nascosta dietro un'apparente quotidianità.

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    LA COLOMBA E IL PIPISTRELLO

    Un altro aspetto inquietante della storia di Haruk è il mostro di Vega che usa. E' curioso, infatti, che il Dela Dela guidato da Haruk, che ha anche il nome del suo pianeta, rappresenti un animale alato notturno come il pipistrello, mentre invece lui ama le colombe, che sono uccelli diurni e visti come simbolo di purezza. Questo esprime la perversione del personaggio: è un pò come passare al lato oscuro.

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    VENUSIA E ACTARUS

    Qui Venusia e Actarus si parlano tra di loro: è l'unica volta nell'episodio. Ma è un momento importante, un punto di svolta. Infatti, fino ad allora, non si era fatto nulla di concreto contro la minaccia di Haruk: ma le cose cambiano quando Venusia e Actarus parlano, e capiscono che Mizar è in pericolo. E che forse è proprio quel ragazzo, Haruo, ad essere il problema. Inoltre, Actarus capisce il pericolo della colomba-spia. E' stato proprio l'intervento di Venusia, per quanto non intenzionale, che cambia la situazione. Da lì Actarus parte per diventare Duke Fleed e affrontare Haruk. L'intervento di Venusia è stato minimo, ma decisivo: anche perchè Actarus la tiene sempre in gran considerazione, quando la ascolta. Un altro aspetto del rapporto Actarus-Venusia.

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    LA TRASFORMAZIONE DI HARUK

    Haruk racconta a Mizar che, sotto il dominio di Vega, lui stesso è diventato un assassino usando le sue stesse colombe come arma: o come pistole, o come bombe volanti. Quindi si tratta di attività che lui aveva già fatto in passato. Tuttavia, qui è stato recalcitrante nel farlo: forse è stato l'incontro con Mizar e con l'ambiente terrestre a fargli venire degli scrupoli.

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    IL PACIFICO PIANETA DELA

    Curiosamente, il pianeta Dela di Haruk, a giudicare dai vestiti e dalle strane costruzioni, è piuttosto simile al pianeta Fleed. Haruk, probabilmente, come lo sarà Gauss in futuro, rappresenta il Duke Fleed che ci sarebbe stato se si fosse messo al servizio di Vega con Goldrake.

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    IL GRANDE EROE HARUK

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    DUKE FLEED HA DAVVERO INGANNATO HARUK?

    E' vero che Duke Fleed ha parlato delle colombe, facendo distrarre Haruk: ma non sembra che l'abbia fatto con l'intenzione di provocare, ma piuttosto con un'intenzione sincera. Tant'è vero che, anche dopo la sua sconfitta, Actarus pensa all'amore che lui aveva per le colombe. Inoltre, Haruk, anche dopo lo shock, ha comunque la forza di mettere ancora in difficoltà Goldrake: quindi non è che abbia perso perchè "pensava alle colombe".

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    L'ANIMALISMO DELL'ANIME

    Anche qui, tuttavia, si segue sempre il pensiero di "chi ama gli animali non può essere cattivo". Se è per questo, Adolf Hitler amava la sua cagnetta Blondie e lo spietato Hermann Goering, fondatore della Gestapo, la polizia segreta nazionalsocialista, era contro la vivisezione degli animali. Non è che una persona che ami gli animali automaticamente sia "buona"...

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  2. .
    EP 29: "UN AMICO DALLO SPAZIO" (VERSIONE COI DIALOGHI COMPLETI)
    "Addio amico extraterrestre" (titolo seconda versione italiana)
    "Addio, amico dello spazio!!" (titolo originale giapponese)

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    TRAMA

    Alla Base Skarmoon, Zuril mostra un gigantesco strumento a Gandal.
    Gandal: Sarebbe questo il compressore cellulare?
    Zuril: Presto potremo miniaturizzare ogni essere vivente.
    Gandal: Cosa, miniaturizzare?
    Zuril: Sì, anche se per ora solo gli abitanti del pianeta Dela, grazie alla loro struttura cellulare, possono resistere a questa brusca compressione.
    Gandal: Capisco.
    Zuril: Fate venire qui il Comandante Haruk.
    Arriva un essere gigantesco, con una catena in mano.
    Zuril: Come d'accordo, la tua missione è sorvegliare il Centro Ricerche e scoprire la base di Goldrake.
    Haruk: Bene.
    Gandal: Aspetta!
    Zuril: Cosa c'è?
    Gandal: Sai che durante la sperimentazione del compressore sono morti quindici soggetti!
    Zuril: Haruk si è offerto di sua spontanea volontà.
    Gandal: Ma perchè non usare un'altra cavia?
    Haruk: Pur di battermi contro Goldrake, sono pronto a sopportare qualunque sofferenza e sacrificare la mia vita!
    Zuril: Bravo, ben detto! Così parla un vero eroe. Presto una tua statua in bronzo si ergerà sul pianeta Dela.
    Haruk: Vorrei che fosse collocata in una piazza con molte colombe.
    Zuril: Colombe?
    Haruk: Mi piacciono da quando ero bambino.
    Entra nello strumento.
    Zuril: Molto bene, ora dovrai sforzarti di resistere al dolore.
    Haruk annuisce.
    Zuril: Preparati, sto per attivare il compressore cellulare.
    Zuril lo accende, Haruk viene investito dai raggi e grida. Gandal è sconvolto, Zuril invece osserva freddamente la scena.

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    Al mattino, al Ranch Betulla Bianca, mentre tutti stanno facendo colazione, Mizar sbotta:
    Mizar: Ecco cosa dovevo fare!
    Venusia: Ehi!
    Rigel: Che modi sono questi?
    Mizar: Scusa, mi sono ricordato che devo dare da mangiare alla colomba!
    Venusia: La colomba?
    Mizar: Era ferita e si era rifugiata in classe. Ora noi ce ne prendiamo cura.
    Actarus: Così anche tu hai un compito importante da svolgere.
    Mizar: Ciao!
    Mizar esce dal ranch e raggiunge la scuola: però vede che c'è un altro bambino che non conosce, che si sta prendendo cura della colomba e poi la rimette delicatamente nella gabbia.
    Mizar: Ehi, ma...
    Appena il bambino si volta e vede Mizar, si allontana subito.
    Mizar: Aspetta! Che tipo strano, chissà chi è? Non l'ho mai visto qui a scuola!
    Prima che inizi la classe, i bambini giocano tra di loro, alcuni a braccio di ferro, altri incitando gli sfidanti. Ad un certo punto, arriva la maestra.
    Maestra: Bambini, tornate ai vostri posti. Da oggi avrete un nuovo compagno di studi: diamogli il benvenuto. Si chiama Haruo Ideura. Suo padre fa il boscaiolo. Si sono appena trasferiti vicino al monte Yatsugatake. Haruo è ancora nuovo di queste parti, perciò, mi raccomando, cercate di fare amicizia con lui.
    Tutti: Sì.
    Maestra: Dato che abiti vicino alla fattoria dei Makiba, potresti sedere accanto a Mizar. Ti presento Mizar Makiba.
    Mizar: Grazie mille per aver dato da mangiare alla colomba.
    Haruo: Mi piacciono molto le colombe.
    Mizar: Credo proprio che saremo ottimi amici noi due. Benvenuto.
    Si stringono la mano.
    Mizar: (pensa) Che mano gelida, però!

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    Mizar racconta ad Actarus di Haruo.
    Mizar: Sai, da oggi abbiamo un nuovo compagno di classe. Siamo già amici: dice che gli piacciono le colombe.
    Actarus: Allora andrete d'accordo.
    Mizar: Però è successa una cosa strana.
    Actarus: Cosa?
    Mizar: Quando gli ho stretto la mano, l'ho sentita viscida e fredda.
    Actarus sussulta.
    Mizar: Tutto a posto?
    Actarus: Sì, non è nulla. (pensa) E' caratteristico della pelle di molti extraterrestri.

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    Actarus va al Centro Ricerche e vede il bambino Haruo appollaiato su un ramo, di fronte al Centro Ricerche.
    Actarus: Oh, ma...ehi, cosa fai lassù?
    Haruo scende e si allontana rapidamente.

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    Alla scuola elementare Yatsugatake, i bambini si salutano: è finita la lezione.
    Bambini: Ciao, a domani!
    Haruo: Ehi, è vero che sei amico di quelli del Centro di Ricerche Spaziali?
    Mizar: Eh? E tu come lo sai?
    Haruo: L'ho sentito dire in classe. Mi ci puoi portare un giorno?
    Mizar: Va bene.
    Haruo: Grazie, la scienza mi interessa.
    Mizar: Sei proprio uguale a me, a me piacciono le colombe e le ricerche scientifiche.

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    Mizar e Haruo si dirigono verso il Centro di Ricerche, e incontrano Alcor che esce proprio da lì.
    Alcor: Ciao, Mizar. Sei già uscito da scuola?
    Mizar: Già. Volevo chiederti una cosa.
    Alcor: Cosa?
    Mizar: Il mio amico Haruo vorrebbe tanto visitare il Centro Ricerche. Possiamo farlo?
    Alcor: Ho paura di no, purtroppo è severamente vietato l'accesso agli estranei.
    Mizar: Eh?
    Alcor: Siamo uno degli obiettivi delle truppe di Vega. Mi dispiace, ma è meglio se ora tornate a casa.
    Mizar: Va bene.
    Haruo si allontana rapidamente.
    Mizar: Ehi, Haruo, aspetta!
    Alcor: Aveva un'aria molto strana.

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    Haruo raggiunge la baita in montagna e contatta Zuril.
    Zuril: Allora, sei già riuscito a trovare qualche indizio?
    Haruo: Come supponevo, il centro è sotto stretta sorveglianza. Un sistema di allarme a raggi infrarossi impedisce di penetrarvi.
    Zuril: E' chiaro che hanno qualcosa da nascondere. Scopri di che si tratta.
    Haruo: Grazie a una colomba, sono diventato amico del piccolo terrestre, ma, malgrado questo, non mi hanno consentito l'accesso al laboratorio.
    Zuril: Una colomba?
    Haruo: Lo tengono nel cortile della scuola.
    Zuril: Molto bene. Visto che non puoi entrare, userai quella colomba per spiare il Centro dall'esterno.
    Haruo: Ma come?
    Zuril: Trasformalo in cyborg e mandalo da loro.
    Haruo: (esita)
    Zuril: Mi hai capito?
    Haruo: Aspetti, la prego! Il nostro obiettivo è sconfiggere Goldrake, perciò prenderò subito il mostro Dela Dela e...
    Zuril: Sciocco, non aver fretta di batterti. Prima di tutto, dobbiamo scoprire la base segreta di Goldrake.
    Haruo: Ma, signore...
    Zuril: Ricorda, l'effetto della compressione cellulare durerà solo altre 24 ore.
    Haruo: Sì, ma...
    Zuril: Ascolta. So che non vorresti sacrificare quella colomba, ma, se ti lasci indebolire dai tuoi sentimenti personali non riuscirai a portare a termine la tua missione. Haruk, conosco bene il tuo valore: ma, per vincere il nemico, bisogna vincere se stessi. Così si comporta un vero eroe! Haruk, vai! Non perdere tempo!

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    Mizar, a scuola, si accorge che il piccione è scomparso dalla gabbia.
    Mizar: Eh? Il piccione non c'è! Ma...

    Ragazzo della scuola: Eccolo là!
    Ragazzo della scuola: Che fine ha fatto il piccione?
    Ragazzo della scuola: Siamo sicuri che l'hai preso tu!
    Ragazzo della scuola: Dì qualcosa, Haruo!
    Haruo: Io non so nulla.
    Ragazzo della scuola: Sei un bugiardo, ora andremo a cercarlo a casa tua!
    Ragazzo della scuola: Forza, confessa!
    Mizar: Fermo! Lasciatelo in pace. Se dice che non ne sa nulla, sarà così.
    Ragazzo della scuola: Ma...
    Mizar: Dovevo occuparmi io del piccione, era il mio turno. Vi chiedo scusa. E' colpa mia, Haruo.

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    Haruo scappa via, mentre un piccione robot inizia a spiare il Centro Ricerche. L'alieno contatta Zuril.
    Haruo: Ministro, sono riuscito a spiare all'interno dell'osservatorio. Attendo istruzioni.
    Zuril: Molto bene. Invierò subito il mostro Dela Dela: tu continua a tenerli d'occhio.
    Haruo: Ricevuto.
    Gandal: Mostro spaziale Dela Dela, pronto ad entrare in azione!

    Intanto, sul monte Yatsugatake, all'inizio del sentiero, Mizar si sta incamminando verso la casa di Haruo.
    Mizar: Chissà perchè oggi Haruo non è venuto a scuola?

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    Il mostro Dela Dela si avvicina alla Terra e viene avvistato al Centro Ricerche.
    Assistente: Professore, un disco volante si sta dirigendo qui!
    Alcor: che succede?
    Procton: Credo che sia un mostro spaziale.
    Alcor: Accidenti! Se solo il mio TFO non fosse stato distrutto!

    Procton: (via radio) Actarus! Actarus!
    Actarus: Che succede?
    Procton: Un mostro spaziale viene verso di noi.
    Assistente: Professore, uno strano segnale radio proviene dal monte Yatsugatake!
    Procton: Come, proviene dalla montagna?
    Actarus: E' impossibile che i nostri nemici si siano già insediati in quel monte.

    Venusia si avvicina ad Actarus:
    Venusia: Mizar è andato a trovare il suo amico che abita su quella montagna: credo che sia in pericolo?
    Actarus: Come?
    Venusia: Mi ricordo che ha detto che andava a casa di quel suo nuovo compagno di scuola.
    Actarus ricorda quello che gli aveva detti Mizar: "E' successa una cosa strana. Quando gli ho dato la mano, l'ho sentita viscida e fredda"
    Actarus: Tu sai perchè Mizar è andato là?
    Venusia: I suoi compagni di classe avevano accusato Haruo di aver fatto sparire la colomba che avevano trovato, così lui non è più andato a scuola.
    Actarus: Hai detto una colomba?
    Venusia: Mizar si fida di quel bambino. Sarà andato da lui per tirarlo su di morale.
    Actarus: Ora capisco, Padre. se vedi una colomba nei pressi del Centro, fai attenzione. Sospetto che i nostri nemici se ne servano per spiarci.
    Procton: Bene, ricevuto.
    Venusia fa cadere il secchio.
    Venusia: Ma allora...Mizar è in pericolo!
    Actarus: Vai da lui mentre è in cammino e digli di tornare subito qui.
    Actarus parte con la moto per raggiungere Goldrake.

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    Alcor controlla l'esterno del Centro, quando vede una colomba e gli spara.
    Haruo: Non capisco! Cosa succede? AAAH! No, l'effetto del raggio compressore si sta esaurendo!

    Mizar raggiunge lo chalet dove si trova l'alieno.
    Mizar: Quella dev'essere la casa di Haruo.
    Osserva delle piume per terra: piume di colombe.
    Mizar: Ma...
    Arriva Haruo.
    Haruo: Cosa se venuto a fare?
    Mizar: Sei stato tu! Perchè hai ucciso quella colomba?
    Haruo: (imbarazzato) Ma di che parli?
    Mizar: Di questa! (gli mostra la piuma) Volevo darti questa ocarina a forma di colomba...io ci tenevo davvero alla nostra amicizia...
    Haruo: Anche se provassi a spiegarti, non riusciresti a capire.
    Mizar: Se non vuoi parlarmi, non importa, sono certo che avrai i tuoi motivi. Almeno la penso così.
    Haruo all'improvviso grida.
    Mizar: Ma che ti succede?
    Haruo: Niente. Ma vedrai che finalmente ora capirai. Non saresti mai dovuto venire qui. Hai fatto male a interessarti di me. Molto male! Comunque, ormai non te ne potrai più andare. Ora vedrai chi sono in realtà!
    Haruo si trasforma in Haruk.
    Haruk: Sono il comandante Haruk e vengo dal pianeta Dela. Sei stato davvero un buon amico e non vorrei ucciderti. Purtroppo, dato che conosci la mia vera identità, non posso lasciarti andare!
    Haruk solleva Mizar con un braccio solo.
    Mizar: No, lasciami, mettimi giù!

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    Intanto, Actarus si trasforma in Duke Fleed e fa partire Goldrake.

    Mizar è stato legato a un palo all'interno della baita. Haruk contatta Zuril:
    Haruk: Devono aver distrutto il cyborg spia!
    Zuril: Che succede? Goldrake è entrato in azione!
    Haruk: Ma allora si saranno accorti anche della mia presenza!
    Zuril: Idiota! Ora dovrai combattere fino ala morte, se necessario. E non tornare alla base finchè non avrai distrutto Goldrake!
    Haruk: Bene, è ciò che desidero!

    Haruk si avvicina a Mizar.
    Mizar: Ma allora, tu mi vuoi uccidere!
    Haruk: Purtroppo devo farlo, non ho scelta.
    Mizar: Allora tu mentivi quando hai detto che ti piacevano le colombe! Erano tutte bugie!
    Haruk: Era la verità. Quella era l'unica cosa vera.
    Mizar: Allora perchè hai dovuto ucciderlo? Perchè?
    Haruk: Smettila! Sul pianeta Dela, io avevo delle colombe...è la verità! Se non ci fosse stata la guerra...
    (compaiono delle scene in flashback)
    Haruk: ...forse sarei rimasto solo Haruk, uno a cui piacevano le colombe! Ma la guerra finì per cambiare ogni cosa. Senza neanche accorgermene, iniziai a uccidere, restando indifferente, trasformando le mie amate colombe in strumenti di morte...proprio io, che avevo ricevuto i più alti onori ed ero acclamato da tutti come il valoroso Haruk! Ormai sono un essere privo di scrupoli, disposto a tutto pur di fare il mio dovere!
    Haruk osserva l'ocarina a forma di colomba che è caduta a terra. Cerca di ignorarla, per ammazzare Mizar avvolgendogli attorno la catena: ma non ci riesce. Lasca cadere la catena e gli taglia le funi.
    Haruk: Vattene! Non senti questo suono? E' il dispositivo di autodistruzione. Se resti qui, salterai in aria con tutta la baita!
    Mizar scappa via, mentre Haruk raccoglie l'ocarina.
    Haruk: Aspetta, hai dimenticato...
    Afferra l'ocarina e sospira.
    Haruk: Addio, piccolo amico.
    La baita esplode.
    Mizar: Appena in tempo!
    Arriva Venusia con un cavallo.
    Venusia: Mizar!
    Mizar: Venusia!
    Si abbracciano, mentre Haruk sale sul mostro di Vega e affronta Goldrake.

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    Haruk: Ho lasciato andare il ragazzo. In cambio vorrei che ci battessimo lealmente!
    Duke Fleed guarda in basso per sicurezza e vede Venusia e Mizar che si allontanano a cavallo.
    Duke Fleed: D'accordo, sembra che tu sia stato di parola. Qual'è il tuo nome?
    Haruk: Sono il comandante Haruk e vengo dal pianeta Dela. A noi due!
    Si affrontano, e Goldrake lo affronta a bordo dell'astronave: ma non riesce a sconfiggerlo.
    Haruk: No, Duke Fleed, se vuoi sconfiggermi devi affrontarmi rischiando la tua vita!
    Goldrake esce dall'abitacolo e con un colpo tagli gli scudi del mostro.
    Haruk: Anche se non ho più i miei scudi, ora sono molto più agile!
    Attacca Goldrake e sta per sopraffarlo.
    Haruk: Sì, il valoroso Haruk ha vinto ancora!
    Duke Fleed: Come può essere valoroso uno che uccide le colombe?
    Haruk: Eh?
    Duke Fleed: Adesso!
    Goldrake attacca, ma Haruk contrattacca.
    Haruk: Ce l'ho fatta!
    Ma viene sconfitto, cade e muore nell'esplosione.
    Duke Fleed: Forse amava veramente le colombe. Chi ama gli animali non può essere una persona malvagia. Addio, valoroso Haruk.

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    NOTE

    Lo sceneggiatore (scriptwriter) è colui che, partendo da un soggetto, scrive la trama e i dialoghi dell'episodio. Il regista (episode director) è colui che segue lo sceneggiatore e fornisce tutte le indicazioni dettagliate, tipo: come si devono svolgere le scene, come devono essere impostate, per quanti decimi di secondo ogni inquadratura deve essere mantenuta sullo schermo, quanto tempo deve durare una scena, eccetera. Forniscono così l'impalcatura base per i disegnatori. Il character designer è il supervisore generale dei disegni. Mantiene l'omogeneità dei disegni realizzati su tutti gli episodi della serie. Il sakkan (direttore artistico/artistic director) è il supervisore generale dei disegni del singolo episodio. Il bujutsu (autore degli sfondi/designer/art director) è colui che si occupa degli sfondi delle scene.

    Titolo giapponese: Addio, amico dello spazio!!
    Titolo italiano (prima versione): Un amico dallo spazio
    Titolo italiano (seconda versione): Addio amico extraterrestre
    Sceneggiatore (Scriptwriter) Mitsuru Mashima
    Regista (Episode Director): Hiroshi Sagara
    Character Designer: Kazuo Komatsubara
    Sakkan (Artistic Director) Shingo Araki
    Bijutsu, Autore degli sfondi (Designer) Isamu Tsuchita
    Prima data di trasmissione in Giappone: 18 Aprile 1976
    Prima data di trasmissione in Italia: 15 Dicembre 1978
  3. .
    HAZBIN HOTEL: LA SERIE TV CHE RIABILITA I DEMONI
    Un cartone animato dove gli abitanti dell'Inferno sono vittime di un Dio cattivo: un rovesciamento diabolico, denunciato dall'Associazione Internazionale Esorcisti.

    Hazbin-Hotel


    Riabilitare gli abitanti dell'Inferno per sottrarli allo sterminio ordito dal Paradiso: su questo ribaltamento tra buoni e cattivi si gioca la nuova serie tv statunitense Hazbin Hotel.

    Appena creata per Prime Video da Vivienne Medrano (ma preceduta da un episodio pilota nel 2019), è già disponibile in italiano ed è stata accolta con grande entusiasmo, a giudicare dai commenti in margine al trailer. Una serie animata, anche se classificata dai 18 anni in su, per via del linguaggio esplicito e volgare, che forse è il minore dei problemi.

    Quello principale è appunto la raffigurazione quasi tranquillizzante dell'Inferno, contrapposto a un Cielo cattivo e vendicatore. È in fondo una delle mille varianti di quell'«eccessivo e insano interesse» verso i diavoli (contrapposto all'errore speculare di chi invece non ci crede affatto) menzionato da Clive Staples Lewis (scrittore britannico, famoso per "Le lettere di Berlicche" e "Le cronache di Narnia"): c'è l'interesse insano di chi si dà all'esorcismo fai-da-te (con esiti talora tragici, come la strage di Altavilla: si veda il post- scriptum in fondo all'articolo) e quello altrettanto insano di chi coltiva una familiarità quantomeno imprudente col "piano inferiore".

    0001-214
    Anche in Devilman, e soprattutto col suo prototipo Mao Dante, c'è l'ideologia di fondo diavolo buono - Dio malvagio. Ne ho parlato qui.


    Hazbin Hotel prende le mosse da un problema di "sovrappopolazione dell'Inferno" (con buona pace di chi pensa che sia vuoto): a risolverlo, provvedono annualmente degli angeli sterminatori capeggiati da Adamo, detti anche "esorcisti" nella serie, con periodici massacri. "Poveri diavoli", dirà lo spettatore... A salvarli dalla celeste carneficina provvede la protagonista "Charlie" Stella del Mattino, figlia di Lucifero e Lilith, con la brillante idea di creare un luogo - l'Hazbin Hotel, appunto - dove demoni e dannati, che mai verrebbero accettati in Paradiso, possano riabilitarsi. In questo modo potrebbero andare in cielo, invece di essere annientati. L'impresa viene condotta insieme alla sua "compagna" Vaggie (ex angelo sterminatore, ripudiato dal Cielo perché, mossa a compassione di un demone, si era rifiutata di ucciderlo) e di Anthony "Angel" Dust, demone androgino, gay e pornostar, nonché primo ospite dell'hotel. Alla fine sono gli angeli a venire ricacciati in paradiso: l'esatto rovesciamento dell'invocazione con cui si conclude la preghiera a San Michele Arcangelo: "Ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni, i quali errano nel mondo per perdere le anime."

    San-Michele
    San Michele Arcangelo, capo degli Angeli e primo nemico del demonio, dopo la Madonna. Infatti è sempre raffigurato mentre gli schiaccia la testa: e pure la Madonna è spesso rappresentata mentre schiaccia la testa al serpente, simbolo del diavolo.


    Ma, per quanto l'idea possa apparire "accattivante" al pubblico di oggi, specie ai più giovani (e forse pure a qualche teologo), l'Inferno non si può redimere: lo chiarisce sin dal titolo una Nota dell'Associazione Internazionale Esorcisti (AIE), che definisce Hazbin Hotel «un pianificato stravolgimento del racconto biblico, che mistifica il messaggio cristiano di salvezza e lede la coscienza del pubblico, in particolare di bambini e ragazzi».

    Vero, è «formalmente vietata ai minori, ma accessibile a tutti (tanto più perché animata e quindi di sicura presa sui più giovani)», presentando «un universo narrativo falso e deviante sul piano teologico, culturale e educativo». Per inciso, e a costo di essere ripetitivi, non si può fare a meno di chiedersi anche questa volta perché l'unica religione costantemente - e impunemente - presa di mira sia sempre il cristianesimo, dai programmi televisivi alla vita quotidiana, mentre ci si riempie la bocca di rispetto e tolleranza per qualsiasi credenza, fosse anche la più astrusa.

    Il problema principale evidenziato dall'AIE è la «normalizzazione del male», nonché la «sottovalutazione della sua reale pericolosità», ritraendo «demoni e dannati in modo umoristico». Così facendo, li si rende familiari, addomesticati, inducendo nello spettatore un atteggiamento simpatetico verso gli abitanti dell'Inferno, viste addirittura come "vittime" di quel Paradiso "cattivo" che li stermina senza pietà, quando loro in fondo vorrebbero redimersi, in «oltraggiosa e ricercata contraddizione con l'insegnamento cattolico sulla confessione, sul pentimento e la vera conversione del cuore verso Dio».

    Ecco il "diabolico" (è il caso di dirlo) fraintendimento inculcato dalla serie: una redenzione senza conversione. Cioè, senza pentimento. Meglio ancora (anzi, peggio ancora): senza nemmeno volersi redimere.

    Dimenticando che, se, anche per assurdo, il Cielo si aprisse a demoni e dannati, sarebbero proprio loro a non volervi entrare, in virtù di una scelta irrevocabile per il male, compiuta in modo definitivo da loro stessi.

    L'INFERNO VISTO COME IL PAESE DEI BALOCCHI

    L'Inferno, spiegava San Giovanni Paolo II, «è la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell'ultimo istante della sua vita», specificando che «la "dannazione" consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio, liberamente scelta dall'uomo e confermata con la morte, che sigilla per sempre quell'opzione» ("L'Inferno come rifiuto definitivo di Dio", 28 luglio 1999).

    Una tragica realtà, che questa serie tv, invece, "normalizza", con un ulteriore rischio, evidenziato dalla Nota dell'AIE: «La sua visione impietosita dei demoni e della loro sorte (descritta come ingiusta) può favorire una distorta concezione del peccato e incoraggiare una normalizzazione dell'occultismo, aumentando il rischio che le persone, in particolare i giovani, si avvicinino a pratiche magiche, cerchino di interagire con entità maligne, fino ad aderire a una visione satanista della realtà».

    Conseguenze esagerate? E perché mai, se, in fondo, il male non fa più paura e l'Inferno si trasforma in una specie di paese dei balocchi? Abitato, poi da questi diavoletti simpatici e apparentemente innocui, che sono "vittime" di un Dio spietato, lui sì, il vero antagonista.

    Nicolás Gómez Davila (scrittore e filosofo) scriveva che «la più grande astuzia del male è travestirsi da dio domestico e discreto, familiare e rassicurante». Così rassicurante da ribaltare la redenzione: da lotta contro il male a lotta contro il bene; non con la grazia di Dio, ma contro di Lui.

    Cosa facile nella nostra epoca, che se la ride delle "arcaiche" paure del diavolo, ma manifesta una vera e propria fobia nei confronti di Gesù Cristo.

    TITOLO
    Anche il tranquillizzante e umoristico Geppo contiene la stessa ideologia errata: diavolo buono, Dio malvagio perchè fa soffrire i dannati. Ne ho parlato qui


    E QUESTA NON E' L'UNICA COSA CHOC DELLA SERIE.

    A peggiorare la situazione basta cercare il profilo della creatrice della serie, tale Vivienne Medrano, che ha su Wikipedia la sua bella pagina di presentazione. Potrete leggere una breve biografia e una cronologia dei lavori di animazione di cui è autrice e a cui ha partecipato. Tutto liscio e interessante, se non che, chi ha compilato il lemma (probabilmente lei stessa), ha ritenuto qualificante del profilo professionale inserire, giusto come ultima frase, la dicitura: «She is bisexual» ("lei è bisessuale").

    Come se sapere con chi le piace avere incontri amorosi fosse un criterio utile per valutare le sue capacità tecnico-artistiche nell'animazione. Cosa che naturalmente non è, ma rappresenta un immediato sintomo delle ideologie che le sue produzioni porteranno con sé. Tra l'altro, giova ricordare che Hazbin Hotel è stato pubblicizzato come un "prodotto scritto da autori queer per spettatori queer".

    E infatti, ecco che il tedio assale subito a scoprire che "Hazbin Hotel" nasconde la promozione dei soliti triti e ritriti temi "woke".

    Charlie è, infatti, bisex come la sua autrice: ad aiutarla nella gestione dell'hotel c'è Vaggie, la sua fidanzata, e Angel Dust, personaggio complesso e intrappolato in un circolo vizioso di droga, sesso, abusi e rimorso. Ma non finisce qui, perché tutti i personaggi fanno riferimento alla comunità arcobaleno, fin da prima dell'uscita del pilot su YouTube nel 2019. Sono presenti, infatti, come già detto, Charlie che è bisessuale; Vaggie che è lesbica; Alastor, manager dell'Hotel, asessuale e aromantico; il già citato Angel Dust, gay e pornoattore; Husk, barista e addetto alla reception, pansessuale; Sir Pentious, secondo ospite dell'Hotel, bisessuale. L'unico personaggio eterosessuale - e quindi normale - è Niffty, la cameriera e cuoca dell'Hotel.

    Questa allegra compagnia di personaggi, insomma, si qualifica non più e non tanto per ciò che fa (salvare le anime dei peccatori e redimerle fino a renderle degne del Paradiso), bensì per le loro private inclinazioni e attività sessuali, seppur dichiarate a priori prima dell'inizio della serie TV, ma senza evidenze all'interno del cartoon stesso. Il che è comunque il cuore stesso dell'ideologia liberal dominante tanto oltreoceano che presso di noi.

    Sempre le storie e le azioni dei protagonisti, poi, vengono raccontate con una sorta di messaggio non proprio idilliaco collocato sottotraccia: ovvero, si contrappongono contro alcuni angeli del Paradiso, perché lungo la storia si scopre che sono proprio loro – chiamati "Gli Sterminatori" e capitanati da Adamo - che scendono di tanto in tanto all'Inferno a distruggere le anime dei dannati in sovrannumero (quelle che Charlie vuole appunto salvare dai "malvagi" angeli). Su tutto poi sovrasta sempre la figura di Lilith, un vero e proprio modello per il neofemminismo tossico contemporaneo, con la sua ribellione al maschio e la sua descrizione di "donna indipendente", per quanto infernale.

    Insomma, i margini di inaccettabilità e inquinamento contenuti in "Hazbin Hotel" non si riducono alla sola rappresentazione positiva di Lucifero. Essi sono, forse per la prima volta dall'inizio della valanga "woke", sapientemente mescolati e mimetizzati all'interno di un amalgama, dove non mancano impulsi e strizzate d'occhio al sentire collettivo tradizionale.

    Un amalgama che viene usato sia come schermo per nascondere, sia come veicolo per trasmettere le usuali balordaggini sessocentriche tipiche della cultura liberal, progressista e transumana dell'Occidente. Che, forse, essendo consci gli autori che la soglia di allarme delle persone è sempre più alta e intollerante su questi temi, viene proposta con sempre più tranelli ed elementi distrattivi mescolati o posti attorno ai confini delle tematiche centrali.

    Tutto sta a non cascarci, a non essere superficiali a riconoscere il demonio, quello vero, che sta nascosto al centro di produzioni come queste, per poterlo mettere efficacemente al centro del mirino.

    BIBLIOGRAFIA

    Articolo di Stefano Chiappalone
    www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7718
    La Nuova Bussola Quotidiana, 26 febbraio 2024; Pubblicato su BastaBugie n. 863
    Articolo di Matteo Del Re, Provita & Famiglia, 1° febbraio 2024

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    POST-SCRIPTUM: LA STRAGE DI ALTAVILLA

    Si tratta di un avvenimento tremendo accaduto in questi giorni. Anche se ne avrete già sentito parlare, riassumo qui la faccenda per sommi capi. Ad Altavilla Milicia, nel Palermitano, un uomo ha ucciso sua moglie e i suoi due figli, mentre la terza figlia, in stato di shock, ha dovuto assistere al massacro. Hanno partecipato anche altre due persone al fatto, sembrerebbe. L'omicida e la figlia sopravvissuta avevano detto che si trattava di riti per "scacciare il demonio": da qui il massacro. Gli esorcisti (quelli veri) hanno fatto chiarezza sul fatto: è vero che la famiglia aveva frequentato una comunità evangelica locale, che però poi hanno abbandonato per dar vita a una comunità religiosa "fai da te". E men che meno c’entra la Chiesa Cattolica, dove l’esorcismo "nulla ha a che vedere con pratiche magico-rituali dagli esiti violenti", come precisa in una Nota l’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE), sottolineando con preoccupazione "l’aumento crescente di “offerte di esorcismo” da parte di sedicenti esorcisti, che spesso si servono del web e dei social". La Nuova Bussola Quotidiana, in un'intervista con Padre Francesco Bamonte, vicepresidente dell’AIE, ha chiesto il suo pensiero al riguardo:

    Padre Bamonte, qual'è il principale equivoco quando si associa l'esorcismo alla tragedia di Altavilla?
    L’esorcismo, inteso come azione finalizzata ad allontanare entità maligne, è presente in tutte le religioni, sia pure con enormi differenze nel modo di concepirlo e di praticarlo. Nella tragedia di Altavilla l’equivoco più grande non è dunque l’uso del termine “esorcismo”, ma il pensare che quanto lì è avvenuto abbia a che fare con gli esorcismi della Chiesa Cattolica, mentre non è così.

    E neanche l'omicida è cattolico, benché i media facciano di tutta l'erba un fascio. Ma anche nel caso di un cattolico e persino di un sacerdote, non si può mica praticare un esorcismo "fai da te"?
    Nella Chiesa Cattolica, oltre ai Vescovi, gli unici che possono svolgere autorevolmente il ministero di esorcista sono solo i sacerdoti che hanno ricevuto dal loro Vescovo l’incarico di esercitarlo e che a questo fine sono stati adeguatamente preparati. Non basta dunque essere sacerdoti per esercitare il ministero di esorcista.

    Nel comunicato AIE si precisa che l'esorcismo non va mai contro la libertà della persona. Come è possibile confondere un ministero di guarigione con l'uccisione dei presunti indemoniati?
    Non solo l’esorcismo cattolico non va mai contro la libertà della persona, ma ne difende e tutela l’integrità spirituale, morale e fisica. È un assurdo pretendere di cacciare il demonio maltrattando il corpo di una persona posseduta. Peggio ancora uccidendola. Nei confronti di chi facesse questo, se sano di mente, la giustizia civile deve fare il suo corso al pari di tutti coloro che commettono delitti in piena lucidità.

    In quale clima "religioso" (ovviamente deviato) può essere maturata una follia simile?
    Su questo non ho elementi sufficienti per rispondere. Ciò di cui sono certo è che in quel clima non ha trovato spazio la sana dottrina cattolica e la prassi che ne deriva.

    In sintesi, il dramma di Altavilla è legato a un esorcismo, come si sente dire, o piuttosto a un caso di fanatismo che nulla ha a che fare con la Chiesa e in generale con il cristianesimo?
    Se dalle indagini di polizia non emergeranno elementi di giudizio che permettano di dire altro e se si ha chiaro quello che ho precisato all’inizio, ossia che l’esorcismo, inteso come azione finalizzata ad allontanare gli spiriti del male, è presente in tutte le religioni, non c’è nessun problema a dire che il dramma di Altavilla è legato ad un esorcismo. Basta puntualizzare che si tratta di qualcosa che non ha niente a che fare con ciò che la Chiesa Cattolica, fondandosi sulle Sacre Scritture e l’esempio e il mandato di Cristo, insegna circa il senso, il valore e il modo di realizzare un esorcismo.

    Intervista presa dal sito della Bussola Quotidiana.
  4. .
    DANTE, IL PADRE DELL'ITALIANO

    Dante


    Qui interrompo un momento la presentazione della Divina Commedia per chiarire meglio l'importanza di Dante e della sua opera. Prima di scrivere la Commedia, Dante fece il De Vulgari Eloquentia, "L'eloquenza del volgare". Perchè lo fece? Prima bisogna chiarire bene il termine "volgare".

    "VOLGARE": UN TERMINE DA CHIARIRE

    Dire "volgare" oggi significa dire "grossolano, rozzo". Ma questo non c'entra nulla col "volgare" a cui si riferisce Dante: il poeta infatti, con questo termine, si riferisce solo al linguaggio comune, cioè l'italiano puro e semplice.

    Ai tempi di Dante, le opere letterarie erano scritte in latino, la lingua dotta, quindi comprensibile a pochi. Dante, invece, decise di usare il volgare, o meglio l'italiano, per la sua opera, la Commedia. Allora il "volgare", o italiano, era solo la lingua comune usata per le poesie d'amore (come lo Stil Novo), o religiose, o comiche. Era considerata, come diremmo oggi "lingua da fumetto", quindi di poco conto.

    Dante, invece, voleva che il suo poema, anche se si trattava di un'opera monumentale, fosse letto, o ascoltato, dal maggior numero di persone possibile, e per questo utilizzò la lingua comune, italiana, detta allora "volgare", che tutti conoscevano e potevano capire. In questo modo, Dante dimostrò ai letterati "ciò che potea la lingua nostra": cioè, che con la lingua italiana era possibile affrontare qualsiasi argomento, esattamente come col latino.

    Quindi, la sua opera "De vulgari eloquentia", cioè "L'eloquenza della lingua volgare", suona meglio tradotta così: "L'eloquenza della lingua italiana", perchè è proprio di questo che Dante parlava. Il titolo, come si vede, è in latino, e tutta l'opera è stata scritta in latino, proprio per dimostrare ai dotti, usando la loro lingua latina, l'eloquenza dell'italiano comune, qui chiamato "vulgarus". Proprio dopo aver scritto quest'opera, cioè il De vulgari eloquentia, Dante passò dalle parole ai fatti: e infatti iniziò a scrivere la Divina Commedia in italiano. O "volgare", se preferite. Infatti, se avesse voluto scriverla nel dotto latino, avrebbe dovuto intitolarla "Comoedia", come esigeva il latino. Invece, il titolo era un italianissimo "Commedia".

    Di conseguenza, quando parliamo qui di "lingua volgare", parliamo della lingua italiana, esattamente quella usata da Dante nella "Commedia". "Nel mezzo del cammin di nostra vita", per esempio, è scritto in lingua italiana, che allora si chiamava volgare, cioè comune. Certo, qui è usata in modo elegante: Dante usa dei toni poetici, inventa persino delle parole nuove...ma resta il fatto che la Divina Commedia era stata scritta con la lingua di tutti. La lingua "volgare", cioè la lingua italiana. Per questo, Dante è considerato il padre della lingua italiana, perchè le diede dignità: dimostrò che con essa si poteva scrivere un'opera come la Divina Commedia. E dici poco.

    E non si è limitato ad usare un vocabolario popolare: lo ha anche arricchito, inventando parole o espressioni nuove che sono giunte fino a noi e sono di uso quotidiano. Facciamo qualche esempio.

    TREMARE I POLSI

    Quando parliamo di un'impresa così impegnativa da "far tremare i polsi"....stiamo citando Dante, perchè è stato il primo che ha usato quest'espressione, quando si trova davanti alla lupa nella selva oscura (Inferno, Canto 1):

    Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; (Virgilio), vedi la belva che mi ha fatto voltare;)
    aiutami da lei, famoso saggio, (aiutami da lei, famoso sapiente,)
    ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi. (poiché essa fa tremare ogni goccia del mio sangue.)

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    MI TACCIO

    Quando nei talk show si dice "mi taccio", detto da una persona che ha parlato a lungo, anche questa espressione viene da Dante; all'Inferno, tra gli Eretici, Farinata degli Uberti risponde alle domande del poeta, usando alla fine quest'espressione (Inferno, Canto 10).

    Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: (Mi rispose (Farinata): "Qui giaccio con più di mille dannati:)
    qua dentro è ’l secondo Federico, (qua dentro è Federico II di Svevia,)
    e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio". (nonché il cardinale Ottaviano degli Ubaldini; non ti dico nulla degli altri".)

    INURBARSI

    Molti sono anche i neologismi, cioè le parole inventate da Dante, spesso formati dal prefisso in- seguito da un nome o un aggettivo. Così abbiamo inurbarsi, che significa entrare in città, dal Purgatorio, nella Cornice dei Lussuriosi (Canto 26): lì le anime chiedono a Dante come mai lui è davanti a loro col suo corpo, cosa che non dovrebbe essere possibile nell'aldilà. E la risposta di Dante li stupisce come accade al montanaro, quando giunge in città e ammira muto ciò che non è abituato a vedere:

    Non altrimenti stupido si turba (Queste anime del Purgatorio restano stupite) allo stesso modo di come rimane meravigliato e istupidito)
    lo montanaro, e rimirando ammuta, (il montanaro, e ammira ammutolito (i monumenti cittadini)
    quando rozzo e salvatico s’inurba, (quando rude e selvaggio va in città)

    INGEMMARSI

    Ingemmarsi significa adornarsi luminosamente: anche questa è una parola inventata da Dante. L'ha detta nel Paradiso (Canto 15), riferendosi a Cacciaguida, chiamandolo "topazio" che ingemma la croce di luce che Dante vede nel Cielo di Marte.

    "Ben supplico io a te, vivo topazio ("Ora ti supplico, splendente topazio)
    che questa gioia preziosa ingemmi, (che sei incastonato questo prezioso gioiello (la croce),
    perché mi facci del tuo nome sazio" (di rivelarmi il tuo nome.")

    Croce-di-Marte


    INDIARSI

    "Indiarsi" significa "diventare Dio". Compare nel Canto 4 del Paradiso, durante la spiegazione di Beatrice, in cui dice a Dante che tutti contemplano Dio allo stesso modo, anche se sono presenti in Cieli diversi: sia il serafino più vicino a Dio (che "s'india", appunto), sia Mosè, Samuele, Giovanni Battista o Evangelista, la stessa Vergine Maria, hanno tutti la loro sede nello stesso Cielo (l'Empireo) in cui risiedono tutte le anime.

    D’i Serafin colui che più s’india, (Quel Serafino che è più vicino a Dio,)

    "Indiarsi" è una parola alta come poche altre: significa in primis l’atto di innalzare a Dio, e, per estensione, divinizzare. Per esempio, l’entusiasmo delle critiche più autorevoli può indiare l’opera di uno scrittore, e l’esperienza della conquista di una vetta difficile indía l’alpinista agli occhi del comune mortale.

    BELLA PERSONA

    "Bella persona" viene dal 5° Canto dell'Inferno, pronunciata da Francesca da Rimini, insieme a Paolo, nel girone dei Lussuriosi:

    “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, (“Amore, che subito ("ratto") accende il cuore nobile ("gentile"),
    prese costui de la bella persona (ha fatto innamorare costui (Paolo) del mio bel corpo)
    che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende” (che mi è stato tolto (da Gianciotto, il marito tradito, che l'ha uccisa); e il modo in cui mi fu tolto (l'omicidio) ancora mi ferisce.)

    E' un'espressione con cui Francesca da Rimini si riferisce al proprio corpo, di cui Paolo si innamorò e da cui l’anima è stata violentemente separata con l'omicidio. Dante qui la usa in senso fisico; oggi l’espressione si riferisce invece a chi ha doti morali (generosità, lealtà, ecc.).

    COSA FATTA, CAPO HA

    E' un'espressione presa dall'Inferno, Canto 28, dove ci sono i Seminatori di discordie (Ottavo Cerchio, Nona Bolgia). Uno dei dannati, Mosca dei Lamberti, alza i moncherini delle sue mani mozzate, da cui il sangue ricade sul volto: si presenta a Dante dicendo che la sua colpa fu l'uccisione di un nemico della sua consorteria, cosa che scatenò gravi conseguenze per i Toscani tutti, e aggiunge "Cosa fatta capo ha" cioè, il danno è stato fatto ed è irreparabile.

    gridò: "Ricordera’ti anche del Mosca, (Mosca dei Lamberti) gridò: "Ti ricorderai anche di Mosca dei Lamberti,)
    che disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta", (che disse - ahimè! - "Cosa fatta capo ha",)
    che fu mal seme per la gente tosca". (che causò tanto male alla gente di Toscana".)

    Era un proverbio toscano, che Dante ha fatto entrare nell’italiano standard: significa che ogni cosa viene fatta con uno scopo, un obiettivo e, una volta fatta, non può più essere disfatta, nè annullata: non si può più tornare indietro. La si usa spesso per mettere fine a discussioni su cose ormai accadute, perché sono inutili.

    GALEOTTO FU

    L'espressione "galeotto fu" è usata adesso per indicare un oggetto, una persona o un avvenimento considerati “scintilla” per la nascita di una relazione amorosa… e non solo. Per esempio: io ho iniziato ad appassionarmi alla lingua inglese grazie alla serie tv Gossip Girl. Perciò, se qualcuno mi chiede “Come mai hai deciso di studiare l’inglese?”, potrei rispondere “Eh… galeotto fu Gossip Girl”.

    Questa espressione è tratta dal Quinto Canto dell'Inferno, tra i Lussuriosi, in cui compaiono Paolo e Francesca: quest'ultima racconta a Dante che loro due erano cognati, e, anche se Francesca era sposata con Gianciotto, si erano innamorati l’uno dell’altra leggendo un libro sulle avventure di Lancillotto e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Galeotto, o Galehaut, era il siniscalco di Ginevra, che faceva da mallevadore ai due amanti del romanzo: tradì Re Artù, spingendo la regina Ginevra tra le braccia di Lancillotto. Nello stesso modo, il libro spinge metaforicamente Francesca tra le braccia di Paolo, facendo nascere la scintilla dell’amore, per la quale saranno uccisi dal marito di Francesca, fratello di Paolo.

    "la bocca mi basciò tutto tremante. ("Paolo) mi baciò la bocca tutto tremante.)
    Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: (Galeotto fu il libro e chi lo scrisse;)
    quel giorno più non vi leggemmo avante". (da quel giorno non leggemmo altre pagine".)

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    IL BEL PAESE

    "Il bel paese" è un'espressione poetica usata ancora oggi per indicare l'Italia. Dante la usa nell'Inferno, al Canto 33, quello del terribile racconto del Conte Ugolino, che i Pisani avevano lasciato morire di fame e di sete, e quindi lui, per fame, probabilmente mangiò i suoi figli. Dante condanna i Pisani per questo atto orribile, confrontandoli col "bel paese" dell'Italia:

    Ahi Pisa, vituperio de le genti (Ahimè, Pisa, vergogna dei popoli)
    del bel paese là dove ’l sì suona, (del bel paese (l'Italia) dove risuona il «sì»,)

    "Risuona il sì" significa che Dante confronta l'italiano, che dice "sì", con le lingue francesi d' "oc" (cioè il "sì" della Francia del Nord) e d' "oil" (cioè il "sì" della Provenza della Francia del sud).

    IL BEN DELL'INTELLETTO

    Quando Virgilio, nel Canto 3 dell'Inferno, porta Dante davanti alla porta dell'Inferno, quella con la famosa frase "Lasciate ogni speranza voi ch'entrate", parla del "ben de l'intelletto":

    "Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto (Noi siamo giunti nel luogo dove, come ti ho detto,)
    che tu vedrai le genti dolorose (vedrai le anime dannate)
    c’hanno perduto il ben de l’intelletto". (che hanno perduto la luce dell'intelligenza divina.")

    "Il ben de l'intelletto" è una perifrasi tradizionale per indicare Dio: infatti, solo Dio, il Sommo Bene, può gratificare ed appagare in pieno la ricerca intellettuale dell'uomo. I dannati hanno perso la possibilità di vedere Dio, Verità suprema e il massimo Bene cui tende l'intelletto umano. Hanno peccato perché non si sono lasciati guidare dalla Ragione, che “naturalmente” indirizza l'uomo a Dio. Oggi questo termine si usa per indicare il ragionamento e la lucidità mentale.

    SENZA INFAMIA E SENZA LODE

    Nel Canto 3 dell'Inferno, nell'Antinferno, Dante vede gli Ignavi, cioè coloro che nella vita non fecero nè il bene nè il male: quindi vissero "senza infamia e senza lode". Oggi l'espressione è usata per indicare qualcosa di mediocre.

    Ed elli a me: «Questo misero modo (Lui (Virgilio) mi rispose: «Questa è la misera condizione)
    tegnon l’anime triste di coloro (delle anime tristi di quelli)
    che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. (che vissero senza infamia e senza meriti.)

    STAI FRESCO

    Il termine compare nel Canto 32 dell'Inferno, nel Cocito dei traditori (o meglio, nell'Antenora, dove ci sono i traditori della Patria), dove Bocca degli Abati, scoperto da Dante, è costretto a rivelare la presenza di altri dannati come lui, in particolare Buoso da Duera, che, ironia della sorte, aveva tradito in quel momento proprio Bocca, dicendo il suo nome a Dante: una cosa che lui non voleva rivelare. E, per ripicca, Bocca degli Abati svela il nome di Buoso a Dante, e di altri dannati, che "stanno freschi" nel ghiaccio del Cocito.

    "là dove i peccatori stanno freschi"

    Oggi, dire "stai fresco" è molto comune: indica qualcosa che non accadrà mai e lo si dice per disilludere qualcuno. Indica anche qualcosa che andrà a finire male. Per esempio, Stefania non sa fare i dolci: quando si organizza una cena tra amiche e Stefania dice “Porto io il dolce”, tutte quante pensano: “Ah perfetto, stiamo freschi allora!”

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    NON TI CURAR DI LOR, MA GUARDA E PASSA

    E' una famosa frase detta da Virgilio nel 3° Canto dell'Inferno: si riferisce agli Ignavi nell'Antinferno. Sono rifiutati dal Paradiso perchè non hanno mai fatto il bene, e anche dall'Inferno perchè non hanno mai fatto neanche il male. Costoro, che mai hanno vissuto, perché mai hanno scelto, una volta morti devono inseguire un’insegna, straziati dalle punture di mosconi e vespe. Così, loro, che nella vita non hanno mai inseguito un ideale e non avrebbero mai offerto il proprio sangue per qualcosa, ora devono versarlo per i vermi che sono in terra. Virgilio li descrive sbrigativamente, con disprezzo, senza neanche presentare qualcuno di loro a Dante: non sono neanche degni di essere citati.

    "Fama di loro il mondo esser non lassa; ("Il mondo non lascia che ci sia di loro alcun ricordo;)
    misericordia e giustizia li sdegna: (la misericordia e la giustizia divina li sdegnano: )
    non ragioniam di lor, ma guarda e passa". (non perdiamo tempo a parlare di loro, ma dà una rapida occhiata e passa oltre".)

    Oggi si usa quest'espressione per consigliare di non preoccuparsi dell'opinione comune, o delle calunnie e malvagità altrui. Oppure: “non fare caso alla gente, a quello che la gente dice o fa”.

    FERTILE

    Oggi è un termine molto usato, ma si tratta di un latinismo che allora non era ancora diffuso: "fertile", infatti, deriva dal latino "ferre", che significa "portare, produrre": da qui il significato odierno di "fecondo, produttivo". E' stato detto nel Paradiso, al Canto 11, in cui Tommaso d'Aquino descrive la vita di San Francesco, e, tra le altre cose, descrive il luogo di nascita del santo come una "fertile costa": "fertile" perchè, secondo il latinismo, la "costa" del monte Subasio ha "portato" i natali a San Francesco.

    "fertile costa d’alto monte pende", ("digrada la fertile costiera di un alto monte (il Subasio)"

    Questo latinismo ha raggiunto in modo impressionante il linguaggio comune di oggi.

    MOLESTO

    Anche questo è un latinismo: deriva da "molestus", che deriva a sua volta da "moles", "peso, fardello", presente ancor oggi (es: "ho una mole di lavoro da fare!"). Molesto ha attestazioni fin dal 1200, ma è stato certamente Dante a immettere il vocabolo nel giro della lingua letteraria e a decretarne la fortuna. Dante lo usa diverse volte: tre nell'Inferno e, curiosamente, una in Paradiso, e proprio riferita a lui. La prima è pronunciata da Farinata degli Uberti (Canto 10 dell'Inferno), in cui dice che "forse (io) fui troppo molesto", riferendosi al paese di Firenze. La seconda, nel 13° Canto dell'Inferno, nel girone dei Suicidi, è detta da Pier della Vigna, in riferimento al corpo del suicida, che, dopo il Giudizio, sarà per sempre appeso accanto alla propria anima sofferente, tramutata in albero:

    "Qui le trascineremo, e per la mesta ("Li trascineremo qui (le nostre spoglie, cioè i nostri corpi) e per la triste)
    selva saranno i nostri corpi appesi, (selva saranno appesi,)
    ciascuno al prun de l’ombra sua molesta." (ciascuno all'albero della propria ombra nemica".)

    La terza è nel 28° Canto dell'Inferno, in cui Bertran De Born, tra i Seminatori di Discordie, alza la sua testa decapitata (la pena per loro è essere tagliati in continuazione) e dice quanto è "molesta" la sua pena:

    "Or vedi la pena molesta,
    tu che, spirando, vai veggendo i morti:
    vedi s’alcuna è grande come questa."

    Infine, c'è il termine "molesto" in Paradiso, nel Canto 17, in cui Cacciaguida parla di quanto darà fastidio agli uomini la Divina Commedia:

    "Ché se la voce tua sarà molesta ("Infatti la tua voce, se sarà spiacevole)
    nel primo gusto, vital nodrimento (al primo assaggio, poi lascerà un nutrimento vitale)
    lascerà poi, quando sarà digesta." (quando sarà assimilata.")

    Nel passo del Paradiso "molesto" ha il senso di ‘sgradito, aspro’; nei passi dell’Inferno, invece, ha una connotazione decisamente più negativa che si rifà al significato latino di ‘pesante, gravoso, difficile da sopportare’. Il vocabolo continua ad avere una tradizione vitalissima nel corso dei secoli. Oggi molesto significa "irritante", "fastidioso"

    MESTO

    Anche questo è un latinismo: viene da "maestus" che significa “essere triste, addolorato” ed è introdotto per la prima volta da Dante nell’Inferno, dove indica i peccatori, che sono, ovviamente, “mesti”. Abbiamo già fatto cenno a "mesto" nel discorso del suicida Pier della Vigna, che in quel passo parla sia di "mesto" che di "molesto":

    "Qui le trascineremo, e per la mesta ("Li trascineremo qui (le nostre spoglie, cioè i nostri corpi) e per la triste)
    selva saranno i nostri corpi appesi, (selva saranno appesi,)
    ciascuno al prun de l’ombra sua molesta." (ciascuno all'albero della propria ombra nemica".)

    Ma la prima volta che viene usata è nel primo canto dell'Inferno, in cui Dante parla dei dannati dell'Inferno rivolgendosi a Virgilio, dicendo che lui li descrive come "mesti":

    "e color che tu fai cotanto mesti." ("e coloro che descrivi tanto miseri.")

    E pure nel canto 17 dell'Inferno, dove Dante, mentre attende l'arrivo del demone Gerione, va dove si siedono i dannati, cioè la gente mesta: "dove sedea la gente mesta." Tuttavia nel corso dei secoli "mesto" ha avuto un’attenuazione di significato: da addolorato, triste, oggi significa "triste e malinconico".

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    QUISQUILIA

    "Quisquilia" viene anch'esso dal latino e significa "pagliuzza": Dante usa questo termine nel Canto 26 del Paradiso. Adesso significa “bazzecola, inezia, piccolezza”, ossia questioni di poca importanza. Dante descrive come Beatrice riesce ad eliminare ogni “quisquilia” , pagliuzza" dagli occhi del poeta, cioè ogni impurità, per salvarlo.

    "così de li occhi miei ogni quisquilia / fugò Beatrice"

    LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CH'ENTRATE

    Questa espressione è divenuta ormai un proverbio. È l’incisione che si trova sulla porta dell’Inferno (Canto 3), il luogo di pena eterna, e oggi è usata come avvertimento ironico, o con tono amaro, a chi sta per entrare in un luogo o in una situazione che potrebbero rivelarsi pericolosi.

    FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI

    “Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza” Queste sono le parole che Ulisse rivolge a i suoi compagni nel canto 26 dell’Inferno, chiedendo loro di pensare alla loro origine: in quanto esseri umani, non sono stati creati per vivere come animali, ma per perseguire obiettivi più nobili, come la virtù e la conoscenza. Usa questa frase per convincerli a superare i limiti del mondo allora conosciuto e andare oltre, per scoprire cose nuove. Oggi, l’espressione è utilizzata con lo stesso significato: è un invito a non comportarsi come bestie, ma seguire la virtù e la scienza come grandi ideali.

    NON MI TANGE

    Questa espressione significa “non mi preoccupa, non mi sfiora nemmeno, non mi interessa”, ed è pronunciata da Beatrice, che era discesa nell’Inferno, più precisamente nel Limbo, dove si trova Virgilio, per mandarlo ad aiutare Dante, perduto nella Selva Oscura. Virgilio le chiede come mai non ha avuto timore di scendere in un posto simile, cioè l'Inferno, e lei risponde che, essendo ormai salva, queste brutture dell'Inferno non la possono nè toccare nè impensierire.

    "la vostra miseria non mi tange"

    Ancora oggi, usiamo scherzosamente quest'espressione per indicare qualcosa che ci interessa poco. Per esempio, se tutti sono preoccupati di sapere chi sarà il vincitore della Champions League al momento della finale, io potrei dire che “la cosa non mi tange”, perché non mi interessa molto il calcio.

    IL FIERO PASTO

    Con quest'espressione indichiamo un pasto bestiale, disumano, assurdo. Infatti, Dante la usa in riferimento al pasto del conte Ugolino (Canto 33 dell'Inferno). Questi, in vita, era stato imprigionato in una torre insieme ai suoi figli e nipoti, condannati lì senza né cibo né acqua. Al momento della fame, però, secondo la leggenda, Ugolino mangiò i corpi dei suoi stessi figli e nipoti. Ecco, quindi, il pasto feroce e disumano.

    IL CASO UNICO DELL'ITALIANO: GRAZIE A DANTE, E' UNA LINGUA NATA SPONTANEAMENTE

    Dante


    Per capire il senso del titolo, devo partire un pò da lontano. Il centralismo, il monolitismo statuale e governativo è un'ossessione giacobina: un solo Stato, una sola Nazione, un solo Governo, un solo Esercito, una sola Lingua, una sola Burocrazia, una sola Capitale. E' questo il programma degli ideologi della Rivoluzione Francese, in contrasto radicale coi tradizionali Regni cristiani, che erano policentrici, che rispettavano l'identità, i costumi, le lingue, i privilegi, i sistemi fiscali delle antiche regioni che li componevano. L'unione avveniva, semmai, nella Corona, cioè nella dinastia regnante: un solo re, "padre di tutti i suoi popoli", ciascuno dei quali con la sua autonomia - e lingua - da rispettare.

    E' la Rivoluzione che distrugge questa ricchezza di culture e pretende di tutto governare da Parigi, dalla quale sono inviati nelle province i rappresentanti onnipotenti del governo che Napoleone chiamerà "prefetti". Si dichiara guerra anche, soprattutto, alle lingue locali, imponendo a tutti quella della Capitale dove risiedono i ministeri.

    Qualcuno si è stupito del ritorno di "localismi" contemporaneamente all'avanzare del processo di unificazione europea. Come mai questo, che sembra un anacronismo? Nessuna sorpresa, se si riflette: la riscoperta della propria identità, della propria "piccola patria", è una reazione comprensibile, del tutto prevedibile, di fronte alla prospettiva di vivere in un mondo indifferenziato, senza la rassicurante persistenza delle proprie tradizioni, del sentimento di far parte di una famiglia umana, circoscritta e riconoscibile. Il "mondialismo" è in realtà una condizione disumana, se intesa come omologazione di tutti a tutto e come cancellazione delle differenze.

    Sta di fatto che l'ex-Unione Sovietica si è poi divisa in una serie di repubbliche; la Jugoslavia pure. La Cecoslovacchia (nazione inventata a tavolino, come la Jugoslavia) si è spezzata in due. Il Belgio non esiste praticamente più, se non per una finzione un pò ipocrita, mentre valloni e fiamminghi vivono da separati in casa. La stessa Gran Bretagna, dopo secoli di coabitazione, vede inglesi, scozzesi, gallesi, nordirlandesi organizzati per vie parallele e non più strettamente unite. Persino in Svizzera, pur già da secoli federale, sembra manifestarsi una separazione tra i quattro gruppi linguistici (tedesco, francese, italiano, ladino) che mette in discussione la tradizionale unità, nelle cose essenziali, tra i cantoni confederati. In Francia, madre del centralismo, bretoni, occitani, alsaziani, lorenesi (oltre, ovviamente, ai còrsi) dopo secoli fanno risentire la loro voce contro il rullo accentratore parigino, chiedendo di ritrovare, almeno in parte, l'autonomia perduta.

    Quell'autonomia è stata concessa con sin troppa liberalità dalla Spagna che, anche per reazione contro il monolitismo franchista, si è riorganizzata in modo pluralista. Alle Autonomias, come vengono chiamate le regioni, sono andate molte competenze che già erano di Madrid, polizia compresa. Ma tanta apertura non è bastata: i più di mille morti provocati dal terrorismo basco sono noti a tutti, ma la Catalogna, la Valencia, le Baleari, pur avendo (almeno sinora) rifiutato la voce della violenza, in realtà, giorno dopo giorno, si sforzano di accentuare la distanza dalla Capitale ufficiale, perseguendo un disegno soberanista, cioè di piena sovranità, con un legame solo formale col resto della Spagna. Quasi altrettanto tenace è la Galizia, ma anche territori come la Navarra e l'Andalusia sopportano con fastidio crescente quanto è definito come "castigliano", cioè di Madrid.

    E l'Italia? Bisogna innanzitutto ricordare che il nostro Paese è caratterizzato da una storia che è, in fondo, il contrario della Spagna. Questa ha avuto una precoce formazione come Stato, ma non è mai riuscita a diventare compiutamente una Nazione. Nel 1469, il matrimonio tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia crea un'organizzazione che ha ben poco a che fare con gli stati unitari in senso moderno. Soprattutto, nelle varie zone sopravvivono gli idiomi propri e sarà sempre una frustrata illusione castigliana quella di riuscire ad imporre la propria lingua - pur, in certi periodi, diventata obbligatoria per tutti - sradicando catalano, basco, galiziano. Sempre - e ancora oggi, come rivelano tutte le inchieste - ogni cittadino iberico dichiarerà di sentirsi figlio della sua regione storica, prima che "spagnolo". La bandiera ufficiale dello stato non sventola, malgrado la legge lo preveda, accanto a quella "autonoma" a Barcellona, a Valencia, a Bilbao, a Palma di Maiorca.

    Diverso, se non contrario, il destino dell'Italia. Unificata politicamente ben trecento anni dopo la Spagna, da molti secoli aveva già un'unità nazionale, che gli stranieri ben riconoscevano. Nel mondo, già a partire dal Cinquecento, un "italiano" era riconosciuto e indicato come tale, al di là della frammentazione politica della Penisola. Il segreto italico di una storia, malgrado tutto, comune, nonostante le grandi differenze, di un sentimento nazionale diffuso precocemente (almeno tra le classi colte) pur nello spezzettamento sta nella lingua.

    Talvolta si dimentica che, se in Italia si parla italiano, ciò è dovuto alla libera scelta degli uomini di cultura e di governo di ogni angolo di quello che, solo molto tardi, sarebbe divenuto uno Stato. Il francese, lo spagnolo, l'inglese stesso sono stati imposti in modo autoritario a genti che, pur nei confini politici dello stesso Regno, parlavano idiomi diversi. In Italia non ci fu una Parigi, una Madrid, una Londra dove sedesse un Governo che amministrasse con una lingua ufficiale e che con essa imponesse l'insegnamento, oltre che le leggi e i decreti. Da noi, l'idioma comune fu il frutto di una scelta libera: poiché occorreva uno strumento per intendersi tra le varie parti della Penisola, i gruppi politicamente e culturalmente dirigenti finirono coll'accordarsi, prima nei fatti e poi nelle teorie, di letterati e filologi, sulla variante di volgare latino illustrato nel Trecento da una triade sublime: Dante, Petrarca, Boccaccio (e i due sono stati influenzati da Dante)

    E' dunque il dialetto toscano, e in particolare fiorentino, che divenne la koinè, la lingua franca per la comunicazione e poi anche quella per la letteratura prima e poi per la cultura in generale, quando il latino fu abbandonato anche dai dotti,. Lingua "democratica", dunque, l'italiano, nel senso che fu scelto e non imposto, se non dal prestigio di una grande cultura. Ma anche, per molti secoli, lingua "aristocratica", nel senso che fu soprattutto scritto e fu parlato nella vita quotidiana quasi soltanto dai toscani. Manzoni, per il suo gran romanzo, dovette praticamente "inventarsi" una lingua colloquiale (ribadendo la scelta del fiorentino) e neanche l'unificazione politica e la scuola elementare obbligatoria riuscirono ad intaccare del tutto i dialetti.

    In Italia fu proprio l'esistenza di un linguaggio comune, anche se usato solo dai gruppi egemoni e in momenti "alti", che contribuì potentemente a creare una coscienza nazionale, ben prima di istituzioni statuali comuni.

    L'italiano come idioma davvero praticato da tutti, o quasi, anche in àmbito familiare nasce coi mass media moderni: la radio, il cinema sonoro e, soprattutto, la televisione. Va riconosciuto: l'Eiar prima e la Rai poi hanno fatto per la nostra lingua (e, dunque, per il sentimento nazionale) infinitamente di più che una lunga serie di scrittori e di ministri dell'istruzione pubblica.

    L'unità di fondo della Penisola, che è stata per tanti secoli divisa, si è riconosciuta in un linguaggio comune, anche se dotto, sufficiente a legare insieme le varie parti. L'italiano è ormai saldamente installato anche nell'espressione quotidiana della maggioranza dei cittadini. Gli stessi Leghisti di un tempo non potevano usare un'altra lingua: non esiste, per esempio, un "lombardo". Anche tra confinanti bergamaschi e bresciani la comprensione è difficile; e il modo dialettale di parlare di un comasco poco ha a che fare con quello di un mantovano. Ed è così per ogni altra regione italiana, anche di quelle che, essendo isolane, sembrano più "unitarie": i "sardi" sono almeno tre se non quattro e così per i "siciliani". E' praticamente impossibile che avvenga uno smembramento dell'Italia a causa dei vari dialetti: il padre Dante, e con lui gli altri grandi "toscani" con lui, garantiranno sempre che il loro popolo sia, malgrado tutto, unito, pur nelle sue infinite, e preziose, diversità.

    BIBLIOGRAFIA

    Vittorio Messori, articolo su Jesus, Gennaio 2003.
  5. .
    27 - LA PELLE DELL'ORSO

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    Sebastiano e Tinette preparano la carrozza per la signora Sesemann, la nonna di Clara. Heidi pettina Clara, che qui non ha il suo fiocco.
    "E' severa tua nonna?" le chiede Heidi.
    "Ma no" risponde lei "E' gentile e allegra. Lei preferisce vivere in paese, non le piace stare in città. Io in città ci devo stare, perchè solo qui ci sono degli insegnanti privati. Mia nonna è l'opposto della Rottenmeier."
    "Posso chiamarla nonna, allora?"
    "Ma certo!"

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    Heidi sente che la Rottenmeier la chiama dal suo studio:
    "Adelaide!"
    Heidi va da lei e apre la porta.
    "Misericordia, non sai nemmeno bussare?" dice lei. "Esci di lì, chiudi la porta e poi bussa."
    Heidi esegue, poi la Rottenmeier le dice:
    "Oggi verrà la signora Sesemann. Tu come ti comporterai con lei? Fai finta che io sia la signora Sesemann. Cosa dici per salutarmi?"
    "Come stai, nonna?"
    "Ma non puoi chiamarla nonna! Devi chiamarla signora! Lei è la padrona di casa, mostrale rispetto! Lei non sopporta la maleducazione, capito?"
    "Allora è come lei" commenta Heidi.
    "Non dire sciocchezze" ma poi la Rottenmeier si ferma perchè sente dei rumori: Sebastiano e Tinette stanno lavorando. Si alza e va da loro, chiedendo:
    "Cosa state facendo?"
    "Stiamo preparando per la signora Sesemann" spiega Sebastiano "A lei piace questo quadro."
    "E le piacciono le tende coi colori chiari" aggiunge Tinette.
    "La casa la amministro io. Voi non dovete cambiare niente, chiaro?"
    "Sì, signora Rottenmeier."
    "E tu, Adelaide, non chiamarla nonna."

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    Sta arrivando la carrozza con la signora Sesemann e tutti scendono a riceverla, mentre Heidi borbotta:
    "Non sopporto la Rottenmeier. Dunque, devo dire signora, signora, signora..."

    La signora Sesemann scende con addosso una pelliccia d'orso e la Rottenmeier quasi sviene tra le braccia di Sebastiano.
    "Oh, mi scusi" dice lei "me l'ero messa per fare una sorpresa alle bambine."
    "L'ha presa in prestito da un circo per farla svenire apposta" sussurra il conducente a Sebastiano.
    "Che ne pensa? Stupenda, vero? Chissà che faccia farà Claretta!"
    "Aspetti, Clara è debole, non bisogna spaventarla!" dice la Rottenmeier seguendola.

    d3 d4 d7


    La nonna entra nella camera di Clara e fa finta di fare l'orso, ma Clara la riconosce subito e si mette a ridere abbracciandola.
    "Ti trovo bene, Clara, mi fa molto piacere" dice lei "Dov'è la bambina svizzera? Facciamole la sorpresa anche a lei!"
    Vanno da Heidi e la nonna entra facendo finta di fare l'orso. Heidi scappa, poi ride perchè ha capito.
    "Oh, mi hai scoperta" dice lei.
    "Salve, nonna."
    "Adelaide! Ricorda cosa ti ho detto!" dice la Rottenmeier.
    "Non importa" dice la nonna.
    "Deve rispettare le regole" insiste la Rottenmeier "Ricomincia!"
    "Sì...er...come sta, signora gentile?" dice Heidi, confusa.
    "Gentile signora!" corregge la Rottenmeier, seccata.
    "Oh, dite così voi in montagna?"
    "No, noi diciamo ciao."
    "Allora va bene ciao. Se vuoi, per te sarò la nonna."
    "Certo!"
    "Come ti chiami?"
    "Mi chiamo Heidi, ma qui mi chiamano Adelaide."
    "Il suo nome vero è Adelaide" spiega la Rottenmeier.
    "E tu che nome preferisci?" chiede la nonna.
    "Mi piace Heidi."
    "Allora ti chiamerò Heidi."
    La Rottenmeier, ancora seccata, fa notare che è arrivata l'ora della lezione.
    "Ma è arrivata la nonna" protesta Clara.
    "Su, andiamo: vorrei vedere a che punto siete con gli studi" dice la nonna.

    e7 g6 g7


    Quando arriva il maestro, saluta la signora Sesemann:
    "Sarà un anno che non viene qui, signora."
    "Su, inizi la lezione" taglia corto la nonna.
    Il maestro ricomincia a far recitare ad Heidi l'alfabeto e la situazione è così noiosa che la nonna si addormenta e quasi anche la Rottenmeier.

    i1 i3 i4


    Più tardi, a cena, sono quasi le sette e sono tutte a tavola, tranne la Rottenmeier, perchè l'ora di cena stabilita da lei sono appunto le sette: quindi sono tutte in anticipo. Clara non mostra molto appetito e la nonna le dice che deve mangiare per crescere. "E coi piatti si fanno delle magie" aggiunge lei "E anche coi bicchieri. Vuoi vedere?"
    "Certo!" replica Clara, curiosa.
    Si fa portare sette bicchieri a calice, pieni d'acqua a livello decrescente: poi, in quello più pieno, mette dentro un seme che si sviluppa subito, diventando un fiore immerso sott'acqua. Clara e Heidi sono sorprese.
    "Ma questo è solo l'inizio" dice la nonna, e fa suonare bicchieri usando il cucchiaio, facendo risuonare le sette note, e Clara capisce che sta suonando "Il piccolo montanaro" di Frontini.
    "Esatto, è il piccolo montanaro. Su suonate con me: basta fare come faccio io."
    Sebastiano porta a Clara e Heidi sette bicchieri, ciascuno fatto allo stesso modo di quelli della nonna, e tutti suonano "il piccolo montanaro". Tutti ridono, quando arriva la Rottenmeier:
    "Adelaide, è un'altra delle tue trovate? Non si fa musica con le stoviglie!"
    "L'idea è stata mia" spiega la signora Sesemann e la Rottenmeier rimane spiazzata.

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    Alla sera, Heidi e Clara, che è a letto, parlano della nonna:
    "Tua nonna è divertente" dice Heidi.
    "Sì, e tu oggi non hai pensato alle montagne."
    "Come lo sai?"
    "L'ho visto dalla tua faccia."
    "Oh!"
    "E' meglio se torni a letto, se no la Rottenmeier se ti vede ti sgrida. (la imita) Adelaide, cosa fai ancora qui? Torna subito a letto! Misericordia!"
    Heidi ride e saluta Clara.

    n6 o3


    Mentre va in camera sua, sente delle voci: sono quelle della Rottenmeier e dei due servitori, che fanno cenno al fatto che tra un pò la nonna se ne andrà. Heidi torna a letto pensierosa. Poi bussano: è la nonna, che dà un regalo a Heidi. Si tratta di un libro di fiabe
    "Ci sono anche le figure" aggiunge la nonna.
    Heidi è perplessa: purtroppo non sa leggere.
    "Davvero? Allora te la leggo io?"
    "Sì. Ma la Rottenmeier dice che tu via via, è vero?"
    "No."
    "Bene."
    La nonna legge le favole e Heidi alla fine si addormenta. La nonna se ne va lasciando il libro sul cuscino di Heidi.

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    COSA LEGGE LA NONNA A HEIDI?

    Si tratta di un libro di fiabe dei Fratelli Grimm.

    o9


    Infatti, il titolo dice in tedesco (siamo a Francoforte): "Kinder und Hausmarchen", cioè "Fiabe del focolare", il nome tedesco delle Fiabe dei Fratelli Grimm. Per capirci, sono le fiabe di Hansel e Gretel, Rapunzel, Cappuccetto Rosso, I musicanti di Brema, Pollicino, Biancaneve, Tremotino, Cenerentola, Rosaspina (cioè "La bella addormentata nel bosco").

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  6. .
    CHE COSA E' SUCCESSO A NICO ROBIN?

    Il problema della saga di Egghead Island è la frammentazione delle scene: non c'è consequenzialità, soprattutto per quanto riguarda i membri di Cappello di Paglia. Sembra che Oda ci faccia dare un'occhiata su di loro solo ogni tanto, senza mai farci vedere per bene quello che è successo tra una scena e l'altra.

    Per capirci, è come quando si esce un momento dalla sala del cinema per andare in bagno, poi si torna dentro, ma ormai la storia era già andata un pò avanti e tu non sai bene cosa è successo nel frattempo. Allora, mentre guardi, recuperi il tempo perduto cercando di capire gli avvenimenti di poco prima, osservando le scene e i dialoghi. Questo è quello che succede in questa frammentatissima opera di One Piece.

    Passiamo ai dettagli: nel capitolo 1078 vediamo Rufy e Zoro, con gli improbabili alleati Rob Lucci e Kaku, che combattono contro i potenti Seraphim di Orso Bartholomew e Mihawk Occhi di Falco (infatti ne sono una loro versione formato mini e giovane). Un momento, dov'è il mini Occhi di Falco??? Rob Lucci dice chiaro e tondo che quel Seraphim dev'essere andato a colpire gli altri della ciurma di Rufy, i più deboli, per provocare loro un danno psicologico. Zoro scatta subito (notate: senza neanche aspettare un ordine da Rufy!) perchè, tra le persone della ciurma che si erano allontanate, e che potevano essere di bersaglio per il mini Mihawk, c'è Nico Robin. Rufy dice a Kaku di accompagnare Zoro, che non ha il senso dell'orientamento e può perdersi.

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    Ma perchè Zoro è scattato? Dopotutto Robin è un tipo tosto, non ci sarebbe da preoccuparsi. Ma il Seraphim di Mihawk è forte come Mihawk! Cioè, è il più forte spadaccino del mondo, forse superiore anche a Zoro! Neanche Robin può affrontare un tipo simile.

    In quel momento, Robin si trova insieme a Chopper e Atlas, uno dei cloni dello scienziato Vegapunk (qui chiamato "Stella"). I tre stanno cercando Vegapunk. E' da notare che Robin dice che, se Nami sarà in pericolo, Sanji verrà subito ad aiutarla. Quindi, è anche per questo che Zoro non va a proteggere Nami: a lei ci pensa Sanji. Infatti, Nami, Brook ed Edison, l'altro clone di Vegapunk, sono minacciati da Seraphim di Jinbe: ma Sanji è già lì ad aiutarla.

    Ma a Robin chi ci pensa? Chiaro, ci pensa Zoro. E' quasi come se Robin lo dicesse implicitamente, facendo riferimento a Sanji che aiuta Nami. Atlas, intanto dice agli altri che c'è una stanza sigillata del laboratorio: forse Vegapunk è lì. Robin le risponde di fare strada, che lei e Chopper la seguiranno. E qui la scena - ahimè - si interrompe. =_=

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    Che succede allora? Cosa ci fa vedere adesso Oda? Un mar di cose che non c'entrano nulla con questo argomento.

    In ordine di apparizione:
    - il tradimento di York e Vegapunk che è suo prigioniero, forse proprio nella famosa "stanza sigillata" descritta da Atlas;
    - la terribile disfatta di Kidd per opera di Shanks il Rosso e dei suoi alleati, i giganti Dori e Brogi;
    - l'arco narrativo di Kobi e Garp alla base di Barbanera;
    - la disfatta di Trafalgar Law per mano di Barbanera;
    - Bagi, il clown, che, insieme a Mihawk (quello vero) e Crocodile, partono alla ricerca dello One Piece;
    - Sabo che racconta ai suoi compagni rivoluzionari quello che ha visto a Marijoa (o Mary Geoise), giùil flashback con la morte di Cobra Nefertari. :wacko:

    Dopo ben 11 capitoli, nel capitolo 1089 ("Sotto assedio") si torna dalla banda di Rufy, dove hanno già fatto tutto: la traditrice York è già stata sconfitta, Vegapunk è già stato liberato, senza sapere nulla su come questo sia successo. Nella scena qui sotto si vedono tutti, tranne Robin e Kaku (che aveva seguito Zoro, ricordate?). Che è successo a loro?

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    Ecco che, nel capitolo successivo (1909, "Kizaru"), compare Robin: è ferita al petto, anzi, è l'unica ferita tra la ciurma. Come è successo? Cosa è successo? Non c'è nessuna spiegazione.

    L'unica ipotesi possibile è che il Seraphim di Mihawk l'abbia attaccata e Zoro avrà combattuto contro di lui. Anche Zoro è ferito (ha un cerotto sulla faccia, e, curiosamente, anche Robin: osservate l'immagine sopra e quella sotto).

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    Nami poi pesta York, e Zoro la ferma, dicendo che è disarmata: il balloon con la sua frase, guarda caso, è proprio sopra la testa di Robin, che sembra guardare Zoro sorridendo. E' probabile che l'abbia salvata lui.

    Poi, Chopper chiede a Robin se lei sta bene, e risponde che sta meglio, grazie alle sue cure. Robin è seduta, mentre, vicino a lei, c'è Kaku, disteso, che dice che "ci sono voluti ben due Seraphim a ridurlo così". Uno sarà Mihawk, ma l'altro chi sarebbe? Di certo dev'esserci stata una lotta furibonda, e Kaku avrà combattuto contro i Seraphim assieme a Zoro, ma purtroppo Oda non ci ha fatto vedere niente. =_=

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    I quattro Seraphim (Orso, Boa Hancock, Mihawk e Jinbe) sono tutti prigionieri dentro delle bolle infrangibili. Chi le ha fatte? Come sono stati sconfitti? Booh!

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    Passiamo al capitolo 1091, dove Zoro affronta Rob Lucci, che li aveva ingannati, e lo manda fuori dalla zona dove ci sono gli altri, Robin compresa (come se avesse voluto proteggerla).

    Poi arriva San Saturn, che si scontra con Rufy e Orso Bartholomew. Abbiamo poi il lungo flashback di Orso. Si passa quindi a 14 capitoli dopo. =_=

    Nel capitolo 1105, vediamo ancora Robin ferita, stavolta distesa su un divano sospeso, mentre Nami, oltre a chiedere di Rufy (un RufyNami veloce), parla anche di Zoro, dicendo il nome, e, accanto a lei, Chopper si rivolge a Robin, dicendone il nome: quindi qui i nomi Zoro e Robin sono accostati. E fino ad ora è tutto quello che sappiamo di questa non-storia.

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    Che conclusioni si possono tirare fuori? Sembra che Zoro abbia cercato di salvare Robin senza riuscirci in pieno, perchè lei è rimasta ferita. Ma lei è comunque riconoscente allo spadaccino per quello che ha fatto. Gli elementi qui sono stranamente vaghi: come mai Oda ha trascurato proprio questo passaggio nell'avventura di Egghead? :=/:

    Forse perchè era...troppo compromettente per il rapporto Zorobin?

    In ogni modo, due cose sono certe:
    1) Zoro ha combattuto contro qualcuno assieme a Kaku (e saranno stati sicuramente i Saeraphim, soprattutto quello di Mihawk);
    2) Robin è rimasta ferita. La ferita, poi, sembra essere stata fatta da un'arma da taglio.

    E, se così fosse...bè, significherebbe che Robin è stata tagliata sul petto da una spada da parte del mini Mihawk.

    E chi è stato colpito da Mihawk allo stesso modo, in passato? Zoro. :huh:

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    Quindi, sembra che ci sia ora un altro legame in più tra Zoro e Robin...una cicatrice sullo stesso punto! E' possibile che la cicatrice poi scompaia dalla pelle di Robin...ma resta il fatto che lei è stata colpita allo stesso modo di Zoro. Entrambi, quindi, hanno avuto una ferita sul petto, nelle stesse circostanze.

    Senza contare che Robin significa "pettirosso", e il pettirosso è detto così proprio perchè ha il petto di quel colore, apparendo ferito e macchiato di sangue proprio su quel punto...

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    Robin è su un sedile azzurro, Zoro su uno blu. Però sono sedili adiacenti, e disposti come se uno fosse rivolto verso l'altro. Inoltre, Robin sorseggia tranquilla la bibita, mentre uno squalo le salta sopra: è tranquilla perchè sa che Zoro la difende. E infatti lo spadaccino è già in posizione per sguainare la spada. Anche se sembra che non veda lo squalo, è certo che comunque l'affetterà. Inoltre, lo squalo, in quel periodo prima del time-skip, è il simbolo di Zoro.

    Pure Nami e Rufy sono uno accanto all'altra. Chopper, che è in mezzo a loro, è saltato su, lasciando libero il posto, e mostrando così i due che sono vicini. Inoltre, Chopper osserva Sanji, che è in posizione di difesa, ed è in piedi su un sedile verde, il colore di Zoro: quindi fa le veci di Zoro. E Usop, che è seduto su un sedile viola (il colore di Robin) fa le veci di Robin, gridando per lo spavento, perchè vede lo squalo. Oda fa sempre dei Zorobin molto elaborati e intrecciati. ^_^
  7. .
    35 - LA LETTERA IN INGLESE

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    Peline dorme nella sua casetta, e si sveglia due ore più tardi del solito. Deve recarsi ancora a Saint-Pepoy a fare la traduttrice. Intanto, riesce a pescare un pesce e lo mette nella sezione chiusa per l'allevamento pesci, che ha messo su. Poi si pettina. Raccoglie un fiore e se lo mette sui capelli. chiedendo al cane:
    "Come sto, Barone?"
    Poi va all'osteria di Rosalie.
    "Allora, com'è andata? Ti hanno mandata a fare l'interprete, vero? Me l'hanno detto!" dice Rosalie appena la vede.
    "Bè, alla fine ero molto stanca: quando sono tornata ho dormito subito."
    "E' difficile fare l'interprete?"
    "Mah, Rosalie, io conosco l'inglese, va bene, ma non so molto di macchine. Però il signor Pandavoine ha detto che gli sono stata utile."
    "Adesso devi raccontarmi tutto. Ma proprio tutto. Sei diventata la leggenda della fabbrica: nessuno è mai salito sulla carrozza del signor Pandavoine come te!"
    Peline racconta ogni cosa, anche che Pandavoine si ricordava della sua voce. Alla fabbrica la tempestano di domande.

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    Va da Toluel, aspettando che la portino a Saint-Pepoy. Ma Toluel vuole sapere da lei qualche informazione segreta su Pandavoine.
    "Mi ha parlato dei macchinari, tutto qui" risponde Peline.
    "Non fare la furba con me!" replica Toluel.
    "Ma non lo faccio."
    "Tu devi dirmi tutto quello che ti dice il signor Pandavoine."
    "Ho capito" replica Peline, che comincia effettivamente a capire qualcosa.

    Arriva Guillaume, il cocchiere, per prendere Peline: mentre la ragazza sale in carrozza, Guillaume dice di nascosto a Toluel che sono arrivate delle lettere in inglese per il signor Pandavoine.
    "Ah, capisco. Quando torni, portami qui quella ragazza."
    "Va bene."

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    Mentre viaggia in carrozza, Peline pensa a quello che le ha detto Toluel.
    "Hai fatto colpo sul signor Pandavoine" commenta intanto Guillaume.

    Nel frattempo, Theodore, il nipote, dice allo zio Pandavoine che quella ragazza, quell'Aurelie, non è adatta per l'incarico di traduttrice.
    "Si veste male. Credo che sia molto povera. Il fatto che conosca l'inglese non significa che devi assumerla, zio."
    "Se tu avessi studiato l'inglese invece del tedesco, sarebbe stato più semplice" replica duro Pandavoine.
    "Il tedesco è la lingua dei dirigenti, l'inglese è la lingua degli ingegneri" si giustifica Theodore.

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    Arriva Peline e Pandavoine dice a Theodore che adesso può andare. Perplesso, l'altro se ne va. Pandavoine dà un pacco di lettere a Peline e le dice di separare le lettere in inglese dalle altre.
    "Sì, signor Pandavoine. Non devo fare l'interprete?"
    "Lo farai dopo. Fai come ti ho detto."
    "Sì. Ecco, le lettere in inglese sono quattro. Ah, e c'è il giornale in inglese."
    "Da dove vengono le lettere in inglese?"
    "Da Glasgow."
    "Ah" sospira "non è arrivata la lettera che aspettavo. Traducimi quel giornale."
    "Ma non conosco i termini tecnici" protesta Peline.
    "Ti dirò io il loro significato. Cerca la colonna del tessile."
    "L'ho trovata."
    "Leggila in francese."
    Peline traduce e, quando l'articolo fa un cenno a delle spedizioni in India, per un attimo Peline sobbalza: è il paese da cui è partita.

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    "Che ti succede? Hai sussultato" dice Pandavoine.
    "Niente, continuo."
    Peline continua a leggere, quando annunciano che sono arrivati gli ingegneri. Pandavoine e Peline scendono e, quando escono dallo stabilimento, Benoix, il direttore dello stabilimento, fa per aiutarlo, ma Pandavoine gli dice duramente che sa com'è fatta questa fabbrica: l'ha costruita lui. Peline è sorpresa dell'ostinazione e dell'orgoglio di Pandavoine. Riprende il suo lavoro di interprete, poi torna a Maraucourt, accompagnata da Guillaume. Dorme dalla stanchezza.
    "Siamo quasi arrivati" dice Guillaume, svegliandola "Ricordati di dire tutto a Toluel."
    "Eh?"

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    Quando Peline è ancora davanti a Toluel, lui le chiede delle lettere in inglese.
    "Non so se posso farlo" replica Peline.
    Toluel, stizzito, replica: "Senti, un mio ordine è un mio ordine. Posso licenziarti!" Poi si calma e dice: "Cerca di capire. Se al signor Pandavoine succedesse qualcosa, la baracca la dovrei mandare avanti io. Allora?"
    Peline tace.

    Dopo un pò, si vede Peline che cammina in silenzio per le vie di Maraucourt. Incontra Barone in piazza. Va all'osteria di Rosalie, raccontandole l'accaduto e confidandole che aveva mentito a Toluel.

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    Rosalie non è sorpresa dalla faccenda.
    "Vedi, Aurelie, il signor Pandavoine aspetta da tempo notizie su suo figlio da parte dell'avvocato Philippe, che è andato fino in India a parlare con dei religiosi per rintracciarlo. Sembra che il signor Pandavoine non sia più arrabbiato col figlio Edmond. E poi, ormai è in età avanzata."
    "Ma...e se il figlio fosse morto?" chiede Peline, incerta.
    "Qui sta il punto. Theodore e il signor Toluel vogliono succedere al signor Pandavoine. Edmond era una persona molto a modo, adatta a gestire bene un'azienda: così mi dice sempre mia nonna. Così tutti a Maraucourt aspettano il suo ritorno."
    Peline è pensierosa: solo lei sa la verità, che cioè Edmond - suo padre - è morto di malattia in Bosnia. Saluta Rosalie e torna a dormire nella casetta.

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    DOCUMENTAZIONE

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  8. .
    LA MONELLA CHIE - VOTO: 8,5
    "Lascia stare, mi arrangio io!"

    Trama e disegni: Etsumi Haruki
    Pubblicazione in Italia: Toshokan

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    L'entusiasta Chie.



    Il nome originale del manga è Jarinko Chie, appunto "Chie, la monella". E' stato scritto e disegnato su Manga Action (famoso per aver pubblicato Lupin III, Lone Wolf and Cub) da Etsumi Haruki, che ha realizzato, in sostanza, solo questo manga, che però in Giappone ha avuto un enorme successo ed è durato ben vent'anni (1978-1997), raggiungendo la quantità di 67 volumi. L'autore, nel 1980, ha ricevuto per questo manga il pregiato premio Shogakukan, insieme a Lamù nello stesso anno (il premio Shogakukan è uno dei più importanti del manga in Giappone).

    Chie Takemoto è una ragazzina che ha i genitori separati, per via dello stile di vita disordinato del padre, Tatsu: ubriaco, rissoso, scommettitore, fracassone, infantile. Nonostante questo, Tatsu vuol bene alla figlia e pure alla moglie separata, anche se lui non lo ammette. Chie, oltre ad andare a scuola, gestisce un piccolo ristorante, che è quello del padre, in un quartiere povero di Osaka sud. All'insaputa di suo padre, Chie visita di tanto in tanto sua madre: la bambina vorrebbe riunirli insieme, ma bisogna che il padre trovi lavoro e che possano rappacificarsi. Ad occuparsi di Chie sono i nonni, cioè i genitori di Tatsu. Nonostante la mancanza di un nucleo familiare completo, Chie, anche se si considera "la ragazza più sfortunata del Giappone", affronta la vita e i suoi piccoli guai quotidiani con una grande vitalità, sperando sempre in una futura riconciliazione dei genitori.

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    Nessuno fa fessa la ragazzina! ^_^


    Questo manga descrive un Giappone del passato, quello dell'immediato dopoguerra (tipo Rocky Joe), in cui la povertà era visibile, anche se non a livelli estremi come quelli di Joe Yabuki. Si viveva in un modo abbastanza dignitoso e si cercava di campare al meglio. La ragazzina ha un carattere tosto e riesce a tener testa a tutti: si tratta di storie brevi e autoconclusive, che possono durare per un episodio o più, in cui si ride (è una commedia, dopotutto), ma si prova comunque pena per la bambina che è costretta ad arrangiarsi. Lei, però, non si piange addosso, anzi si fa rispettare.

    I disegni sono tipici dei manga degli anni '70, con espressioni a volte esagerate, a volte normali; i tratti a volte sono semplici, in altre circostanze sono pieni di dettagli.

    Si tratta di una commedia di vita quotidiana, per quanto un pò "sopra le righe" (tante scene sono inverosimili, tipo i gatti che parlano o i cattivi buffi), con un sottofondo un pò amaro, ma in cui si spera sempre che la ragazzina risolva i suoi problemi: e l'ottimismo di Chie fa sempre sperare il lettore che le cose, alla fine, in un modo o nell'altro, si metteranno a posto. Intanto veniamo immersi in gag assurde, situazioni movimentate, comprimari fuori di testa o quasi, scene comiche e drammatiche insieme. E' un manga piacevole da leggere, anche se il contesto giapponese qui descritto è ovviamente diverso dal nostro, quindi non di immediata comprensione.

    UN'AMBIENTAZIONE PARTICOLARE

    Infatti, l'ambientazione di Osaka della piccola Chie può essere capita bene solo in Giappone, dove i giapponesi conoscono Osaka come una città con determinati stereotipi, tutti descritti chiaramente nel manga di Chie: un ambiente con persone affettuose e senza pretese, con un dialetto marcato e un forte senso dell'umorismo, dove sono presenti dei piccoli gangster locali, qui ridicolizzati. Il padre di Chie, sempre secondo gli stereotipi (stavolta negativi) di Osaka, gioca d'azzardo con la tendenza a litigare con tutti. Tenete da conto che lo stesso autore del Manga, Etsumi Haruki, è di Osaka...

    Ma quello di Chie non è un caso unico sugli stereotipi di Osaka. Per esempio, il personaggio di Ukyo Kuonji, di Ranma 1/2, è di Osaka: quindi, secondo il modo di pensare dei giapponesi sugli abitanti della città, è un pò sciocca, ma con una forte mentalità imprenditoriale come Chie, e gestisce pure lei un piccolo ristorante di okonomiyaki, che sono dei piatti tipici di Osaka. Da questo punto di vista, Ukyo è come Chie.

    Ukyo
    Ukyo di Ranma 1/2



    L'ANIME DI CHIE

    Ci sono stati due adattamenti animati del manga: il primo è stato nel 1981, come film, però: prodotto dalla TMS Entertainment e da Toho, fu diretto nientemeno che da Isao Takahata. Però ha uno sviluppo lento e poco coinvolgente. Nonostante questo, ebbe successo, anche per via del fatto che descriveva la società giapponese di allora, e furono realizzate successivamente ben due serie televisive sulla bambina.

    Chie
    Chie coi continui problemi col babbo Tatsu.

  9. .
    ALFREDO BRASIOLI

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    Autoritratto dell'autore, realizzato per "Il piccolo Missionario". Le immagini che si vedono tutte intorno sembrano essere le "idee fisse" di Brasioli, come indicato dalla freccia sulla fronte: il tipo di personaggi, lo stile di disegno, le mani...



    Il Giornalino, il settimanale cattolico per ragazzi, oggi compie 100 anni (fu fondato nel 1924). In passato ho parlato di alcuni autori di valore che hanno lavorato su quelle pagine (e in altre parti, naturalmente): Gianni De Luca col suo Commissario Spada o il Padre Brown di Landolfi. Conto di approfondire meglio l'argomento in futuro per festeggiare il centenario: intanto, per prima cosa, vorrei presentare un altro grande autore di talento che ha lavorato sul Giornalino e su innumerevoli altre riviste e libri. Parlo di Alfredo Brasioli.

    Ci sono degli autori ingiustamente dimenticati nel panorama fumettistico: Alfredo Brasioli è uno di quelli. Fu non solo un disegnatore, ma anche pittore, scultore, sceneggiatore, incisore. E' difficile fare un elenco esaustivo di tutto quello che ha fatto: però un'impostazione di base qui la possiamo fare.

    LA VITA: I PRIMI LAVORI

    Alfredo Brasioli (9 Maggio 1935 - 22 Novembre 2016) nacque a Bovolone, in provincia di Verona: un paese nelle valli della bassa veronese. A Verona frequentò l'Accademia di Belle Arti, dove vinse, già adolescente, due concorsi nazionali di grafica e cartellonistica. Negli anni '50, dopo gli studi artistici e le prime esperienze lavorative di grafica pubblicitaria, grazie alla fama acquisita fu chiamato a Roma, dove poi si trasferì definitivamente con sua moglie. Collaborò presso diverse case editrici, soprattutto di area cattolica: le Edizioni Paoline, la AVE, ecc. Tra le sue prime opere, realizzò i fumetti “Lo Stregone Bianco” e “Il Fantasma di Land-Town” per Yoga Club, una rivista promozionale per i succhi di frutta Yoga. Negli anni ’60 illustrò storie e articoli per le riviste cattoliche Vera Vita e Voci d’Oltremare. Si tratta di giornalini distribuiti solo in parrocchia, quindi trovarli è un'impresa ardua.

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    "Voci d'Oltremare" (chiamata V.O.M), giornalino tascabile di parrocchia degli anni '60, simile ai vari Monello o Trottolino.



    LA COLLABORAZIONE CON ALBERTO MANZI

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    Il maestro Alberto Manzi nella sua trasmissione "Non è mai troppo tardi".


    Brasioli realizzò dei modelli ed illustrazioni per la famosissima trasmissione "Non è mai troppo tardi" della RAI, realizzata in collaborazione col Ministero della Pubblica Istruzione. Fu trasmessa negli anni '60 e condotta dal maestro di scuola elementare Alberto Manzi. Si trattava di un corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta. A quei tempi, infatti, la scuola pubblica era stata appena istituita e, se i bambini cominciavano ad imparare, molti adulti, invece, non sapevano nè leggere nè scrivere: non era una cosa necessaria allora, perchè si doveva pensare solo al lavoro. I sacerdoti e gli uomini di cultura potevano aiutare chi aveva bisogno di scrivere o leggere. Ma, con la diffusione capillare dei mass media (riviste, giornali, libri, fumetti, eccetera), che ebbe un vero e proprio boom negli anni '50 e '60, saper leggere autonomamente era diventata una cosa necessaria. Il progetto ebbe un grande successo internazionale, tanto che fu imitato da ben 72 paesi. Alberto Manzi fu aiutato da diverse persone in questo programma: e, tra di esse, ci fu appunto Brasioli.

    Alberto Manzi, oltre ad essere insegnante delle Scuole Elementari, fu anche sindaco e pedagogista; ma, oltre a questo, fu uno scrittore, e Brasioli illustrò le copertine e le pagine di molti suoi libri (realizzati prima della famosa trasmissione: quindi, Manzi e Brasioli si conoscevano già da prima. Infatti, entrambi collaborarono sulla rivista "Il Vittorioso"). Manzi, grazie ai suoi cugini che vivevano in Perú, conobbe Don Giulio, padre Salesiano in missione: questa esperienza sarà poi ispiratrice dei suoi romanzi El Loco, La Luna nelle baracche e il postumo E venne il sabato. Scrisse anche dei libri per ragazzi: il più famoso è Orzowei, pubblicato nel 1955, da cui fu tratta negli anni '70 la serie televisiva omonima di grande successo per la regia di Yves Allegret, per la Tv dei ragazzi.

    Brasioli continuò la collaborazione con Manzi, illustrando le copertine e le pagine interne dei suoi libri di testo che aveva realizzato per la scuola elementare: "Il Mondo é la mia Patria", della casa editrice A.V.E.

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    El Loco, una storia di Manzi ambientata in Sudamerica e illustrata da Brasioli.



    LA MOSTRA ALLA UCAI

    Negli anni '70, Brasioli frequentò a Roma l'Accademia di Arti e Mestieri "San Giacomo" e organizzò nel 1976 una mostra personale di pittura e scultura nella galleria della UCAI, l'Unione Cattolica Artisti Italiani, dove sperimentò i diversi stili, soggetti e forme presenti nell‘opera fumettistica.
    La UCAI nacque a Roma nel 1945 da un'idea di Monsignor Giovan Battista Montini (il futuro papa Paolo VI), allora Segretario di Stato del Vaticano e assistente di Pio XII. Dopo la fine della guerra e gli orrendi bombardamenti americani effettuati a Roma, c'era bisogno di speranza, bellezza, desiderio di un domani migliore. Montini invitò gli artisti (pittori, scultori, musicisti, poeti...) ad associarsi tra di loro in un'organizzazione, appunto l'UCAI, che contribuisse alla ricostruzione morale del Paese, a risollevare le coscienze, a rieducare alla Bellezza e al senso del Trascendente. La fondazione fu celebrata in una Messa Ufficiale il 16 Dicembre 1945, data di nascita della UCAI (che quindi l'anno prossimo compirà 80 anni), nella Basilica di S. Maria Maggiore (che, tra l'altro, come costruzione, è un capolavoro artistico senza pari). La messa fu celebrata dallo stesso Montini.

    I SUOI LAVORI SUCCESSIVI

    Per completare l'elenco (mai esaustivo) delle opere di Brasioli, l'autore realizzò numerose illustrazioni e storie comiche per le riviste per bambini delle Edizioni AVE ed ELI, di divulgazione educativa e culturale di impegno cattolico. Per esempio, "La Giostra", "TOT", "Segno nel Mondo", "Tutti Insieme", "Ciao", "Davai", "Festa", "Ragazzi", "Ki“... In particolare, lavorò per oltre 50 anni per i famosi periodici "Il Piccolo Missionario" e "Nigrizia", editi dai Missionari Comboniani di Verona (fu anche un un ritorno alle origini, essendo lui veronese). Realizzò le illustrazioni di molti libri di ispirazione cattolica.

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    Un libro su Santa Caterina da Siena, con illustrazioni di Brasioli.


    Fu illustratore per diverse iniziative editoriali, tra le quali quelle delle edizioni ERI-RAI (la casa editrice della RAI) ed edizioni EFIM (l'EFIM era un ente che gestiva i fondi pubblici di finanziamento dell'industria meccanica: fece anche diverse pubblicazioni).

    Brasioli pose particolare cura nella divulgazione scientifica, storica, saggistica e tecnologica, con la collaborazione pluriennale a riviste sportive come "Il Subacqueo“ e "Il Tennista“. Fu chiamato anche da grafici pubblicitari famosi come il progettista Piergiorgio Maoloni1, per lavori a livello nazionale ed internazionale.

    ILLUSTRAZIONI

    Le illustrazioni realizzate da Brasioli - in genere, tutte di argomento religioso - sono semplicemente sterminate. Per esempio, possiamo ricordare i suoi oltre 200 disegni per il diffusissimo messalino "La Domenica", per le letture delle Messe, realizzati con costanza per tre-quattro anni, e i "Vangeli per i ragazzi" pubblicati a cura della CEI.

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    RICONOSCIMENTI E CONCLUSIONE

    Alfredo Brasioli fu premiato nel 2001 dall’Associazione Nazionale Amici del Fumetto ed Illustrazione (ANAFI) per "la lunga ininterrotta militanza fumettistica esercitata, specie nei periodici di area cattolica, conducendovi senza esibizionismi un costante lavoro dagli esiti di particolare finezza esecutiva e di elegante levità". Più che disegnatore, fu soprattutto un divulgatore: la maggior parte del suo lavoro, infatti, era rivolto all'educazione. Continuò a lavorare, fino alla fine, anche quando ebbe problemi di salute. Fu sepolto al cimitero Flaminio, a Roma: sulla lapide è stato posto un disegno del Cristo, da lui eseguito anni prima per la "Giornata Mondiale del Malato".

    OPERE FUMETTISTICHE PRINCIPALI

    I lavori a fumetti di Brasioli occupano solo un terzo circa della sua enorme attività: tuttavia, si tratta di opere di tutto riguardo. Ricordo qui le principali.

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    Brasioli realizzò anche dei fumetti storici: "Padre Matteo Ricci, il missionario andato in Cina"; "Un uomo e il suo sogno - Storia illustrata della fisarmonica". In particolare, fu autore, sceneggiatore ed illustratore di una monumentale opera a fumetti con tavole esplicative: il "De Bello Gallico", tratto dal testo omonimo di Giulio Cesare. Fu pubblicato dalle Edizioni ELI (European Language Institute) di Loreto. Il fumetto "De Bello Gallico" aveva 72 pagine e fu tradotto in oltre 30 lingue. Brasioli fece al riguardo una ricerca storica molto approfondita

    Nell'originale De Bello Gallico, Cesare descrive la sua conquista della Gallia: si trattava, in sostanza, di un resoconto da presentare al Senato, che gli era nemico, per difendere il suo operato. Tuttavia, nel realizzarlo, Cesare mostrò la sua cultura e filosofia. Infatti, oltre alla campagna militare, descrisse gli usi e i costumi delle tribù barbariche dei Galli. La narrazione di Cesare è stilisticamente semplice e sintetica: anzi, fin troppo. Per questo, il De Bello Gallico è sempre stato la bestia nera per gli studenti di latino nei compiti in classe...

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    Il De Bello Gallico presentato da Brasioli.


    Brasioli, come abbiamo accennato prima, fu collaboratore della rivista per ragazzi Il Vittorioso (rivista cattolica a fumetti (1937-1970), dove collaborarono, tra gli altri, anche Jacovitti e Gianluigi Bonelli). Con lo pseudonimo di "Alfre", realizzò più di 300 opere su quella rivista. A seguire, negli anni '70 ha realizzato i fumetti a puntate di fantascienza ed epica "Ulix", "Sigfrido", "Aktar" e "Uxur" per la rivista per ragazzi "Il Giornalino".

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    Ulix fu pubblicato sul "Giornalino" in due parti, la prima nel 1977 e la seconda nel 1980. Ogni parte è divisa in 6 puntate. La prima parte fu pubblicata dal numero 46/1977 al numero 51/1977; la seconda fu pubblicata dal n. 33/1980 al n. 39/1980. La storia si basa sulla sceneggiatura dello scrittore di fantascienza italiano Alcide Montanari. E' un adattamento religioso/fantascientifico/post-apocalittico, che richiama vagamente l'Odissea. Ulix - un nome che richiama, appunto, Ulisse - si trova in un mondo sconosciuto, senza memoria: incontra diversi popoli e viene aiutato da un anziano cieco con dei poteri particolari, che si chiama Shamah. Il richiamo al poeta cieco Omero è evidente, ma anche il nome è significativo: infatti richiama la preghiera di base di Israele, lo "Shamà, Israel", cioè : "Ascolta, Israele!", in cui si richiama l'obbedienza a Dio. E infatti Shamah fa da guida a Ulix, aiutandolo nelle sue difficoltà e dandogli, a poco a poco, una direzione e una guida per il suo ritorno a casa, dove vivono sua moglie Keliana (l'equivalente di Penelope) e suo figlio Niko (Telemaco). Ulix vive in un mondo ostile, da dopobomba, dove i pochi sopravvissuti vivono in modo barbarico, tornando all'età della pietra e facendo sacrifici umani, oppure vivendo da cristiani, ma appartati, come fanno Ulix e la sua gente, alla quale poi fa ritorno.

    Ulix
    La particolare costruzione narrativa di Brasioli a volte esplode in scene culminanti.



    SIGFRIDO

    Sigfrido parla appunto dell'eroe della Saga dei Nibelunghi di Wagner, ma con un'impostazione cristiana dei miti nordici. Fu pubblicato sul Giornalino in 8 puntate: dal numero 15/1985 al numero 23/1985. La sceneggiatura, coi dialoghi molto aulici e teatrali, di grande efficacia, fu realizzata da Renata Sofia Gelardini (1920-2012) un'importante sceneggiatrice di fumetti2. L'impostazione artistica, l'alto livello narrativo e dei dialoghi lo rende un capolavoro.

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    Sigfrido incontra Brunilde, chiamata qui Brynild, come nell'originale.



    AKTAR, IL FUOCO SACRO

    Aktar, il fuoco sacro fu pubblicato sul Giornalino in quattro puntate: dal numero 11/1999 al numero 14/1999. La sceneggiatura è di Raoul Traverso3 e Corrado Blasetti4, due autori di punta del Giornalino. Aktar è una storia ambientata ancora nel mondo dei Nibelunghi, con un personaggio, appunto Aktar, fisicamente simile a Sigfrido: ma caratterialmente diverso. La narrazione, comunque, non è coinvolgente e i personaggi sono poco caratterizzati. I disegni di Brasioli sono comunque sempre di alto livello, molto particolareggiati.

    Aktar
    Il vichingo Aktar.



    UXUR, IL POPOLO DEGLI STAGNI

    Uxur, il popolo degli stagni fu pubblicato sul Giornalino in quattro puntate: dal numero 32/2000 al numero 35/2000, sempre con la sceneggiatura di Raoul Traverso e Corrado Blasetti. Si tratta della vita di una popolazione antica dell'isola della Sardegna: ma somiglia di più a un documentario, che a una storia vera e propria con un protagonista. Infatti, Uxur, il protagonista, che diventa capo della popolazione dei sardi del luogo, non si distingue particolarmente dagli altri. Anche questa è una storia poco riuscita.

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    Uxur, il protagonista.



    LO STILE DI DISEGNO DI BRASIOLI: L'IMPORTANZA DELLE MANI

    Appassionato delle opere di Michelangelo, del Bernini e di altri autori, Brasioli rimase colpito, in particolare, dalle opere di Carlo Saraceni5, soprattutto il "San Carlo Borromeo", che gli fece comprendere l'importanza comunicativa delle mani nei personaggi, utilizzate sapientemente per esprimere i loro sentimenti.

    Ispirazione
    "San Carlo Borromeo" di Carlo Saraceni


    E infatti è difficile non notare le mani intrecciate dei personaggi di Brasioli, che sono piene di vita e di tensione verso qualcosa. Da notare che le mani sono una delle parti del corpo più difficili da disegnare. E le mani erano la prima cosa che lui disegnava, dopo aver fatto gli schizzi generali.

    Mani
    Loki l'ingannatore, travestito da donna: la sua mano, vista di davanti, simula la devozione (la ghianda, cioè l'offerta); ma, vista da dietro, mostra invece l'inganno (il mignolo scompare, diventando un fascio di capelli). Nei disegni di Brasioli, le mani comunicano i sentimenti e le situazioni.



    LE ISPIRAZIONI ARTISTICHE

    Lo stile di Brasioli è molto particolare: è difficile trovare un autore di fumetti preciso al quale lui si possa essere ispirato. Ha creato il proprio stile in piena autonomia, disegnando spesso dal vero: prendeva ispirazione persino da un tronco scavato di un albero, o dalla carrozzeria distrutta di un'auto, incontrata durante le sue lunghe passeggiate. Diciamo che prendeva spunto proprio da quello che vedeva. Come maestri, ha avuto gli autori del tardo gotico: se si osservano le opere fiamminghe, o quelle del rinascimento e del barocco, soprattutto i quadri, si può trovare qualcosa dall'ispirazione generale di Brasioli. Aveva un innato senso delle proporzioni, pittoricamente intese. Infatti, se si fa attenzione, si vede che le sue immagini sono dei quadri. Per esempio, la grandiosa immagine di apertura del castello reale di Xanten, all'inizio della storia di Sigfrido, non ha nulla da invidiare alle opere di Pieter Bruegel il Vecchio, in cui è la natura e il paesaggio a farla da padrone, mentre le persone sono spesso strette in un angolo e quasi invisibili.

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    Il maestoso castello di Xanten, capitale dei Nibelunghi. Si provi a metterlo a confronto con la Torre di Babele di Bruegel.



    IL SUO STILE PERSONALE

    Brasioli disegna spesso storie di un'epoca passata: Sigfrido, Ulix (che può essere visto come una sorta di "dopobomba" e quindi di una ricaduta nel passato). Anche le ambientazioni del Vangelo, che lui riusciva a rendere ottimamente, erano ambientazioni del "passato". Pure Uxur e Aktor sono ambientati nel passato. Brasioli, infatti, amava rappresentare questo tipo di storie e di ambientazione. Il passato è sempre stata per lui una fonte di curiosità e conoscenza: in sostanza, per Brasioli il futuro è una porta che abbiamo di fronte a noi. Ma è nel passato la chiave.

    Ha uno stile molto raffinato: le sue donne sono sempre eleganti, i suoi uomini sono sempre netti e decisi; ha una grandissima cura dei particolari, attento a dettagli come le pieghe dei vestiti e le decorazioni degli elmi, delle else delle spade, eccetera. Persino i balloon dei dialoghi, così tondi e con le linee che volano verso la persona che parla, sono caratteristici. E persino gli spazi NERI tra le vignette di Sigfrido è una cosa assai insolita. Nelle opere principali e fino agli anni 2000 sceglieva ed eseguiva personalmente i colori: poi le tecnologie di stampa cambiarono e da allora rinunciò alla preparazione dei colori.

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    L'enorme cura dei dettagli di Brasioli. Da "Sigfrido" (del 1985: quindi i colori furono scelti da Brasioli).



    BRASIOLI LO SCENEGGIATORE

    Quando Brasioli ha anche sceneggiato delle storie, sono in genere delicate e intimiste. In "Il disertore" sul Giornalino, Brasioli presenta una storia breve, in cui un soldato della Prima Guerra Mondiale scappa dalla guerra e si rifugia in una fattoria, dove una donna anziana lo aiuta di nascosto. La storia si conclude qui, con un messaggio di Buona Pasqua della donna, dato di nascosto al fuggitivo. Anche questa è una storia ambientata nel passato, anche se, in questo caso, più recente.

    Disertore
    "Il disertore", opera completa di Brasioli. La diserzione in tempo di guerra era punita con la fucilazione sommaria: quindi c'era poco da scherzare...


    Brasioli ha creato diversi fumetti in autonomia, sia come sceneggiatore che come disegnatore, per comunicare e suggerire, con delicatezza ed eleganza, degli spunti di riflessione sui grandi temi dell'esistenza umana. Solo che non sono facili da trovare: tuttavia possiamo ricordare "In hoc ness", pubblicato nella rivista "Vitt & dintorni" dell'Associazione Amici del Vittorioso, nel numero 50/2003.

    IL CATTOLICESIMO DI BRASIOLI

    La religione cattolica è presente in modo molto forte nelle opere di Brasioli: non solo "Il disertore" si conclude con un messaggio che rimanda alla Pasqua, ma anche le osservazioni del personaggio di Ulix sono spesso cristiane, come pure la storia di Sigfrido - una storia pagana - è stata interpretata in chiave cristiana. Lo sceneggiatore di queste due ultime opere non era lui, ma si vede bene quanto Brasioli abbia partecipato, nel suo lavoro, a queste storie. Lui ha sempre voluto trasmettere, per quanto possibile, il messaggio cristiano nelle sue opere. Infatti, Brasioli veniva da una famiglia cattolica e ha sempre avuto la fede cristiana sin da piccolo, con la quale ha voluto dare speranza a tutti con le sue opere. La visione religiosa e cattolica di Brasioli lo accompagnò per tutta la vita, in una forma di "misticismo dell'arte", che trascende i suoi lavori, facendo notare la presenza di Dio anche attraverso il quotidiano.

    La bravura di Brasioli gli avrebbe permesso di lavorare anche per altre case editrici come la Bonelli, cosa che fecero altri autori del "Giornalino": ma avrebbe dovuto cambiare il suo stile, cosa che non era disposto a fare. Per questo lavorò solo presso chi gli permetteva di esprimere liberamente il suo modo di disegnare, appunto nelle riviste cattoliche.

    Le sue opere sono ricordate con articoli, pubblicazioni ed iniziative realizzate da Elena e Paolo Brasioli (contatto: [email protected]).

    BIBLIOGRAFIA

    2016 Alfredo "Alfre" Brasioli in blog "Fondazione Franco Fossati"
    2016 Alfredo Brasioli in blog Lambiek
    2016 Ciavola Blog: "Ciao Alfredo: perchè gli incontri della vita non vadano perduti"
    2020 "Speciale Ulix" in blog Oblò APS
    2022 Il "De Bello Gallico" di Caesaris a fumetti, opera epica, del 1996, dal sapiente ed elegante tocco artistico di Alfredo Brasioli in AFNews Tag: Paolo Brasioli"
    2022 "Le mie mani nelle tue mani di Alfredo Brasioli": articolo di Paolo Brasioli, nel sito dell'UCAI Nazionale
    2022 "Speciale Brasioli" Oltre quell'orizzonte! L'opera fumettistica "Ulix" di Alfredo Brasioli nella ricerca del "sapere del tutto" a 45 anni dalla pubblicazione!" di Paolo Brasioli in rivista: "Fumetto" ANAFI, (Associazioen Nazionale Amici del Fumetto e dell'Illustrazione) 123/2022
    2022 "Alfredo Brasioli: Alfre, disegnare per capire, disegnare per divulgare...spiegare...emozionare!" in AFNews Tag: Paolo Brasioli"
    2023 Gli animali nella Bibbia - Alfredo Brasioli

    1978 "Trofeo Medusa Aurea" da Accademia Internazionale Arte Moderna, Roma.
    1996 Speciale Brasioli e fumetto "Jaufrè Rudel di Giosuè Carducci" in rivista "Informa Vitt" n. 2/1996
    2003 Speciale Brasioli e fumetto inedito "In hoc Ness" in rivista: "Vitt & dintorni" (Associazione amici del Vittorioso) numero 50/2003
    2013 Speciale Brasioli in rivista "Vitt e dintorni" (Associazione amici del Vittorioso) numero 23/2013
    2021 "Speciale Brasioli" in rivista "Vitt & dintorni" (Associazione Amici del Vittorioso) numero 50/2021
    2023 "Alfredo Brasioli, opere che incantano" articolo monografico / ricordo pubblicato il 17/11/2023 su "Pianura 24 - il quotidiano della Bassa Veronese"
    2023 Universitat Autonoma de Barcelona (SPA) - Hellenistic UAB-Ancient Macedonian Studies : "Drawing (on) the classic". Prof.ssa Silvia Barbantani, Università Cattolica del Sacro Cuore: "Space Odyssey(s). Alfredo Brasioli's "Ulix": a little known classical epic gem from the Years of Lead"

    ---------------------------------
    1 Piergiorgio Maoloni (1938–2005) è stato uno dei grandi padri della grafica italiana. Ha creato un nuovo dialogo tra la parola e l'immagine. Si può definire un intellettuale della comunicazione, un designer sempre in anticipo sui tempi. Realizzò dei progetti che cambiarono il modo di fare e di scrivere i giornali, in Italia e all'estero. Ha contribuito alla realizzazione grafica e al restyling di alcuni dei più importanti quotidiani e periodici italiani, tra cui "La Stampa", "Il Messaggero", "Il Giorno", "Avvenire", "Il Sabato", ecc.

    2 Renata Sofia Gelardini (1920-2012): fu una delle prime sceneggiatrici italiane di fumetti. Iniziò a lavorare all’Istituto Luce di Roma come segretaria dei documentari, collaborando con registi come Giorgio Ferroni e Mario Damicelli. È qui che apprese con profitto la tecnica e l’arte dello scrivere in sceneggiatura. Da qui passò poi all'Avventuroso e al Giornalino, dove creò i personaggi di Amar Singh, Dev Bardaj e i Biondi lupi del Nord, con le matite di Ruggero Giovannini. Realizzò anche delle storie di Kriss Boyd, il personaggio di fantascienza realizzato da Nevio Zeccara. Fece molte trasposizioni di classici a fumetti: ricordiamo Quo Vadis, Ben Hur, Pattini d’argento, Il Corsaro nero, La regina dei Caraibi, I misteri della giungla nera, I viaggi di Gulliver (quest'ultimo, in particolare, coi disegni di Lino Landolfi), Le Mille e una notte (disegnato da Gino Gavioli). Realizzò anche I racconti di Padre Brown, sempre con le splendide realizzazioni grafiche di Lino Landolfi. Infine, è bene non scordare l’epopea dei miti germanici con il Sigfrido disegnato da Alfredo Brasioli nel 1980 e la collaborazione con Tommaso Mastrandrea per la scrittura di Paulus, trasformato in un vero e proprio capolavoro dalla straordinaria realizzazione grafica di Gianni De Luca. Realizzò anche dei romanzi, dei libri scolastici, delle raccolte di fiabe e leggende. Renata Gelardini fu una figura gigantesca del fumetto italiano che andrebbe riscoperta.

    Gelardini



    3Raoul Traverso, soprannominato Roudolph o Sanmauro (1915-1993), ha fatto molte versioni a fumetti di romanzi classici: in particolare ricordiamo La Tempesta, Romeo e Giulietta, Amleto, realizzati da Gianni De Luca.

    4Corrado Blasetti ha realizzato per il Giornalino le storie umoristiche di Bellocchio e Leccamuffo, oltre a storie varie di ambientazione western o fantasy.

    5 Carlo Saraceni, detto anche Carlo Veneziano (Venezia, 1579-1620), pittore italiano, fu uno dei primi seguaci di Caravaggio, di cui interpretò la pittura, fondendola con un tonalismo di origine veneziana.
  10. .
    PARADISO CANTO 16 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - CACCIAGUIDA PARLA A DANTE (prima parte)

    Nobilt
    Qui Dante parla della nobiltà e di altri argomenti, prima di entrare nel vivo del Canto. Immagine presa qui.


    NOBILTA'

    Dante inizia il Canto rivolgendosi direttamente alla nobiltà come concetto, chiamandola "nobiltà di sangue". Infatti, ci sono diversi tipi di nobiltà, in genere tre: la prima è la nobiltà di sangue, che è la più nota. Ovviamente è quella di chi proviene da una famiglia nobile, cioè dichiarata tale per investitura del Re (e la nobiltà di Dante è proprio quella di sangue, visto che il suo avo Cacciaguida fu nominato Cavaliere, cioè Nobile, da Re Corrado III). E' da ricordare che solo i Re possono dare l'onore della nobiltà alle persone: se oggi ci sono pochi nobili, è perchè ci sono pochi Re.

    Poi c'è la nobiltà di spada, che è derivata dai Cavalieri nominati nobili dal Re e con una tradizione all'uso delle armi: cioè una stirpe di combattenti. Non è il caso di Dante, anche se lui ha combattuto in varie battaglie: ma l'uso delle armi non faceva parte della tradizione degli Alighieri. Comunque la distinzione tra nobiltà di sangue e di spada non è netta: sono comunque nobiltà che provenivano dalle casate più antiche.

    Infine, c'è una nobiltà più recente, dei tempi di Dante, chiamata nobiltà di toga: si tratta di quelle famiglie che avevano raggiunto la nobiltà grazie al servizio prestato al Re. Chiaramente, tutte e tre queste nobiltà venivano concesse solo dal Re.

    Dante, parlando della nobiltà di sangue, dice che è ben poca cosa: tuttavia, sulla Terra, dove l'uomo è debole e attratto dai beni terreni, è tenuta in grande considerazione. E di questo, dice il poeta, io non me ne dovrò stupire: infatti, proprio qui, in Paradiso, dove ora l'uomo è attratto solo da Dio...io, Dante, me ne sono vantato davanti a Cacciaguida, nel sentire che lui, il mio avo, era stato nominato Cavaliere da re Corrado.

    O poca nostra nobiltà di sangue, (O nobiltà di sangue, che sei poca cosa,)
    se gloriar di te la gente fai (se induci la gente a vantarsi)
    qua giù dove l’affetto nostro langue, (sulla Terra dove il nostro affetto è più debole,)

    mirabil cosa non mi sarà mai: (non me ne potrò mai stupire: )
    ché là dove appetito non si torce, (infatti, là dove il nostro appetito non si volge ai beni terreni,)
    dico nel cielo, io me ne gloriai. (intendo dire in Paradiso, io me ne vantai.)

    La nobiltà, però, è come un mantello, dice Dante, che si accorcia presto, poiché il tempo, di giorno in giorno, lo taglia, se non gli si "aggiunge del panno"; cioè, diventa una cosa vana, se non è mantenuta dai discendenti. Essere nobili, infatti, è una responsabilità da mantenere, non è un privilegio di cui vantarsi. Il nobile, per il fatto di essere tale, dovrebbe essere colui che difende chi ha bisogno; colui che combatte nel nome del Re; colui che cura la propria eleganza, la sua disciplina, il controllo di sè, il rispetto per gli altri, il rispetto per le donne. Inoltre, essere nobili significava anche sposare chi ti è stato scelto di sposare, per mantenere la stirpe: non si poteva sposare chi ti pare. Non c'era allora l'idea dell' "amore romantico": ogni matrimonio era un impegno. Ci si voleva bene, certo, ma non si fantasticava dietro la favola del Principe Azzurro o dietro la bomba sexy da sposare. Nel matrimonio ci si accettava l'un l'altro, pur con tutti i difetti che ciascuno ha: e con questo realismo si andava davvero avanti. "Noblesse obbligé", si diceva un tempo: cioè, "i nobili hanno degli obblighi". In sostanza, essere nobili è essere un modello per tutti, e questo costa. E non sempre questo modo di pensare è stato rispettato.

    0007-013
    "Per favore...ci salvi"

    0007-015
    "Io sono di stirpe nobile, e proteggerò tutta questa gente!"


    Qui sopra vediamo Noelle Silva, la ragazza di Black Clover, che appartiene appunto alla famiglia nobile dei Silva: sa di essere nobile, e, in quanto tale, vuole proteggere chi non lo è, perchè sa che questo è il suo dovere. Non si sente mai superiore agli altri perchè non sono nobili, ma piuttosto si sente responsabile per loro. Oppure, in Goldrake, è la nobiltà di Actarus/Duke Fleed, sia quella d'animo che quella di stirpe, che lo porta a difendere la Terra. La nobiltà - rettamente intesa, ovvio - si ispira alla santità, perchè richiama le qualità migliori dell'uomo. E infatti la nobiltà è nata col Cristianesimo.

    IL "VOI" A CACCIAGUIDA

    Il poeta torna poi a rivolgersi a Cacciaguida, dandogli per rispetto del "voi" e non del "tu" come ha fatto prima: una forma di cortesia che fu usata per la prima volta a Roma, nei riguardi di Giulio Cesare, quando prese il potere, secondo la tradizione, e che ora i Romani non seguono più.

    Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, (Col "voi", che fu offerto per la prima volta a Roma)
    in che la sua famiglia men persevra, (e il cui popolo ora non segue quest'uso,)
    ricominciaron le parole mie; (le mie parole ripresero rivolgendosi (a Cacciaguida)

    L'idea di Dante del "voi" che nacque con l'avvento di Cesare era molto diffusa nel 1300. Ma sembra che questo modo di rivolgersi col "voi" onorifico nacque nel 300. I popoli del Lazio, sin dai tempi di Dante, sono soliti usare del "tu" anche con persone di riguardo; da qui la critica di Dante.

    Nel latino classico, come pure nel greco, non c’erano "forme di rispetto": tutti si davano del tu. Un’eco di quest’uso si nota nella Commedia di Dante, che si rivolge con il tu a quasi tutti i personaggi che incontra, tranne in pochissimi casi, nei quali, in segno di rispetto, Dante tributa il voi: per esempio, Farinata degli Uberti e Brunetto Latini ("Siete voi qui, ser Brunetto?") nell'Inferno; Guido Guinizelli nel Purgatorio; e, ovviamente, Cacciaguida in Paradiso.

    cortesia
    "Tu, voi, lei": tutte forme di cortesia, da rispettare per mantenere il rispetto di se stessi. E non è riservata ai nobili: è richiesta a tutti.



    LA RISATA DI BEATRICE

    Tornando al poema: quando Dante dichiara che si rivolgerà col "voi" a Cacciaguida, Beatrice, che sta un po' in disparte, sorride della debolezza di Dante, e sembra la dama che tossì durante l'incontro fra Lancillotto e Ginevra. Qui Dante fa riferimento alla dama di Malehaut, che, nel romanzo francese di Lancillotto e Ginevra, assiste, non vista, al primo colloquio d'amore fra i due, e allora manifesta la sua presenza tossendo:

    onde Beatrice, ch’era un poco scevra, (allora Beatrice, che stava un po' in disparte,)
    ridendo, parve quella che tossio (ridendo, sembrò colei che tossì)
    al primo fallo scritto di Ginevra. (al primo compromettente incontro di Ginevra con Lancillotto (di cui è scritto nei romanzi francesi.)

    il "primo fallo" della regina è il compromettente incontro, non il bacio, che avviene con Lancillotto ("scritto" vuol dire "narrato"). Inoltre, Dante non ha detto esplicitamente a voce che userà il "voi": l'ha solo pensato. Ma bisogna ricordare che in Paradiso Beatrice può leggere nel pensiero di Dante, quindi aveva già capito la sua intenzione.

    Lancillotto-e-Ginevra
    La regina Ginevra lega il suo fazzoletto al braccio di Lancillotto, prima che parta per la guerra.


    IL COMPLEANNO

    Dante si rivolge all'avo come suo capostipite ("voi siete il padre mio"), e dichiara che quanto gli ha detto (la sua nomina a Cavaliere) lo ha riempito di gioia e d'orgoglio ("voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io": cioè, "voi mi sollevate a tal punto che io sono superiore a me stesso"). Quindi gli domanda chi furono i suoi antenati, cioè le persone che erano state a loro volta gli avi di Cacciaguida. Inoltre, gli chiede in che anno sia nato Cacciaguida.

    A quei tempi, infatti, era più importante la data di morte, in cui si raggiungeva il Paradiso, che la data di nascita. Il compleanno era poco festeggiato, quindi, nel Medioevo. Quello che si festeggiava, piuttosto, era l'onomastico, cioè il giorno in cui si festeggia il Santo del quale si portava il nome.

    Il compleanno, o genetliaco (letteralmente “relativo alla nascita”), nel mondo antico e pagano era, invece, una consuetudine. Non dobbiamo pensare, naturalmente, a una celebrazione simile a quella attuale e diffusa in tutta la popolazione: molto probabilmente, l’usanza di festeggiare il compleanno coinvolgeva solo i cittadini benestanti. Per esempio, nel Vangelo, Salomè aveva danzato durante la festa di compleanno del re Erode.

    Questa usanza scomparve nel Medioevo con l’avvento del Cristianesimo, perchè era considerata un'usanza pagana: inoltre, l’uomo nasce macchiato dal peccato originale, quindi non c'è alcun motivo per festeggiarne la nascita, perchè, anche se la nascita di qualcuno era sempre una gioia, si trattava comunque di entrare nelle tribolazioni e nella battaglia per la propria salvezza. "Vita militia est", "la vita è una battaglia" dice il Libro di Giobbe della Bibbia: questo era il pensiero cristiano. Cioè, la battaglia contro il proprio peccato e per il proprio miglioramento. Sin dal momento della nascita, si inizia a combattere. Quindi non si festeggiava l'inizio della battaglia, ma la sua fine, cioè la vittoria: il giorno della morte, appunto.

    Per questo si festeggiava il giorno della morte, cioè della vittoria sul peccato, soprattutto per i santi: infatti, la data in cui si festeggiano i Santi è la data della loro morte, cioè il giorno in cui erano entrati in Paradiso. Per esempio, Don Bosco è morto il 31 Gennaio 1888 e viene festeggiato appunto il 31 Gennaio. Quindi la morte - quando è buona, cioè si muore in grazia di Dio - anche se è un dolore per gli altri, per chi si è salvato diventa un buon motivo per fare festa.

    La Chiesa, come ho detto, riconosceva solo la celebrazione dell’onomastico, perché commemorava i santi e i martiri. Inoltre, nel Medioevo solo le persone di cultura conoscevano la propria data di nascita, mentre gli altri abitanti spesso ignoravano non solo il giorno, ma persino l’anno nel quale erano nati. A loro, infatti, non importava nulla di sapere quando erano nati: che vantaggio dava il saperlo? Importava piuttosto impegnarsi per salvare la propria anima e andare in Paradiso: cioè, morire bene.

    In parrocchia, più che la data di nascita, si registrava (e si registra ancora adesso) la data di battesimo, cioè il giorno in cui si era entrati a far parte del Corpo Mistico di Cristo, cioè si è diventati cristiani di fatto, e la data della cresima, in cui si confermava in modo consapevole il battesimo ricevuto.

    battesimo
    La data del Battesimo è la data più importante del cristiano, perchè è in quel giorno che diventa cristiano, cioè fa parte del Corpo Mistico di Cristo. E' il primo passo verso la Salvezza.


    Nell'entrata nell'Età Moderna, cioè nell'Umanesimo e Rinascimento ('400-'500), tornò l'interesse per la conoscenza della data di nascita (ma non ancora per la celebrazione del compleanno). Alla base di questo cambiamento fu, purtroppo, il profondo rivolgimento culturale provocato dall’Umanesimo e dal Rinascimento, che fecero aumentare l’attenzione solo per la vita terrena, considerata la sola degna di interesse, trascurando quindi quella eterna, considerata irrilevante. O non c'è, o ci salviamo lo stesso, tanto Dio perdona tutti, si pensava erroneamente. Inoltre, la Riforma protestante, che aveva abolito il culto dei santi, fece perdere valore alla ricorrenza dell’onomastico.

    Intorno al '500, la celebrazione del compleanno si affermò in alcune famiglie aristocratiche europee e, lentamente, raggiunse tutta la popolazione. Nell’800 la consuetudine di festeggiare il compleanno si diffuse in tutta la popolazione dei Paesi occidentali, assumendo gradualmente forme simili a quella attuali.

    La celebrazione divenne popolare in tutti i Paesi occidentali e si sono affermate numerose consuetudini, in primis l’uso delle candeline e la canzoncina “Tanti auguri”. Nel resto del mondo, invece, la celebrazione del compleanno è meno comune: nei Paesi islamici, per esempio, non è accettata, e così pure in Africa e in Cina.

    L'ALTRA RICHIESTA DI DANTE

    Oltre agli avi di Cacciaguida e alla sua data di nascita, Dante gli chiede anche a quanto ammontava la popolazione di Firenze a quei tempi, e quali erano le principali famiglie fiorentine. L'anima di Cacciaguida si illumina per la gioia di rispondere, simile a un carbone avvolto dalla fiamma che si avviva al soffiare del vento. Poi inizia a rispondere alle domande.

    "Ditemi dunque, cara mia primizia, ("Dunque ditemi, caro mio antenato,)
    quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni (chi furono i vostri avi e quali furono gli anni)
    che si segnaro in vostra puerizia; (che si annoverarono nella vostra fanciullezza;)

    Dante chiama Cacciaguida "primizia", "cioè capostipite".

    ditemi de l’ovil di San Giovanni (ditemi quanti erano allora gli abitanti dell'ovile di S. Giovanni (di Firenze)
    quanto era allora, e chi eran le genti (e quali erano le famiglie)
    tra esso degne di più alti scanni." (più ragguardevoli all'epoca.")

    Firenze è chiamata "l'ovile di San Giovanni": infatti, il patrono di Firenze è S. Giovanni Battista, al quale s'intitolava il battistero. Richiama il luogo ("ovile") che consacra i cittadini di Firenze alla fede cristiana (come "pecore che seguono il Buon Pastore"); è anche simbolo di quell'ideale di vita tranquilla che sarà vagheggiata poi da Cacciaguida nel corso del Canto.

    Come s’avviva a lo spirar d’i venti (Come il carbone tra le fiamme diventa più incandescente, se soffia il vento,)
    carbone in fiamma, così vid’io quella (così io vidi quella)
    luce risplendere a’ miei blandimenti; (luce che risplendeva allettata dalle mie parole;)

    Nel seguito ci sarà la risposta di Cacciaguida.

    Edited by joe 7 - 3/3/2024, 18:12
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    26 - L'ARRIVO DELLA NONNA

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    Il padre di Clara sta per tornare a casa. Sebastiano avvisa dell'arrivo della carrozza e tutti aspettano deferenti. Quando il signor Sesemann entra e sta per andare da Clara, la Rottenmeier cerca di dirgli qualcosa su Heidi, ma Sesemann ha fretta di rivedere la figlia e anche la famosa bambina svizzera che è diventata sua amica. Sesemann abbraccia Clara ed è contento di rivederla.
    "Sono contento di vedere che stai bene. Dov'è la tua amica svizzera?"

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    Sesemann si volta e vede Heidi seduta su un divano in modo un pò rigido: non sa come comportarsi.
    Sesemann si volta e vede Heidi seduta su un divano in modo un pò rigido: non sa come comportarsi.
    "Oh, dunque tu sei Heidi" dice Sesemann, porgendole la mano "Vai d'accordo con Clara? Guarda che mia figlia è testarda, non cambia mica idea."
    "Oh, ma io non ho problemi con Clara, ci vogliamo bene" dice Heidi sorridendo.
    "Ma cosa dici, papà?" protesta Clara "Cosa penserà adesso Heidi di me?"
    Sesemann ride "Sono contento che andiate d'accordo. Vi ho portato dei regali a tutte e due."
    "Anche a me?" chiede Heidi stupita.
    "Certo, anche a te. Vi faccio vedere, venite."

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    Dà una bambola a Clara e una a Heidi e le bambine sono felicissime. Più tardi, Sesemann mangia alla tavola da solo, mentre la Rottenmeier lo aggiorna:
    "Insomma, questa Heidi è un maleducata, mi creda."
    "Clara le vuole bene."
    "Sì, ma lei porta a casa degli animali, o dei bimbi ambulanti, ha liberato l'uccellino...è una selvaggia!"
    Sesemann continua a mangiare, ma è un pò perplesso.
    "Insomma, lei sta dicendo che Heidi non è normale?"
    "Rovina l'educazione di Clara" insiste lei.
    Sesemann diventa pensieroso.

    b9 c3


    Intanto, Clara pettina la nuova bambola e le fa le trecce, mentre Heidi la osserva incuriosita. Arriva il papà di Clara e chiede a Heidi se lei gli può prendere un bicchiere d'acqua, bello fresco.
    "Certo" risponde lei, e corre subito verso la cucina.
    Ora che Heidi si è allontanata, Sesemann abbassa la voce e dice a Clara:
    "Senti, Clara, tu pensi che Heidi sia strana?"
    Clara è sorpresa.
    "Heidi è normale come me. La Rottenmeier non sopporta Heidi."

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    Intanto, Heidi prende l'acqua dal rubinetto e la assaggia per provarla: ma non è fresca come voleva lui. Allora va fuori alla ricerca di una fontana con della buona acqua fresca.

    Clara continua a parlare al padre: "Heidi pensa molto alle montagne, lei viene da lì, me ne parla sempre, ci vorrebbe tornare. Non è stupida."
    "Ah, soffre di nostalgia."
    "Ma io le voglio bene. Lasciala qui!"
    "Siete molto amiche."
    "Sì, è la mia migliore amica del mondo. Non mandarla via."

    Sesemann si accorge che Heidi non è ancora tornata. Ma quanto ci mette a riempire un bicchiere? Chiama il maggiordomo:
    "Sebastiano, mi chiami la bimba."

    In quel momento, Heidi corre per le vie e vede una donna che porta un grosso cesto di vestiti, da cui è caduta una calza.
    "Signora, ha perso un calzino" dice Heidi.
    "Ah, grazie, mettimelo in tasca."
    Heidi lo fa, poi le chiede:
    "Sa mica dove si trova dell'acqua gelata?"
    "Certo, seguimi, ci vado proprio lì a lavare i panni."
    Vanno al lavatoio, che è pieno di donne che lavano le vesti. Heidi cerca di passare tra di loro facendosi forza, ma non ci riesce.
    "Una bambina? Ma che ci fai qui? Non puoi stare qui!" dice una di loro.

    e8 e9 g1


    Intanto, a casa Sesemann si sono accorti che Heidi è scomparsa. Sebastiano e Tinette escono a cercarla lungo le strade. Tinette brontola dicendo che "quella bimba scappa sempre".

    Heidi continua la sua ricerca dell'acqua fresca, e chiede a una persona:
    "Sa dov'è una fontana?"
    Gliela indica: è una fontana a muro e Heidi prende l'acqua. Ma non è buona. Continuando a camminare, all'improvviso vede una fontana grande e prende lì l'acqua: è bella fredda, molto buona. Le si avvicina un signore che le chiede se può avere un bicchier d'acqua: Heidi glielo porge e lui la beve.
    "E' ottima. Dove porti l'acqua?"
    "Al signor Sesemann."
    "Oh, non c'è l'acqua corrente in casa Sesemann?"
    "Il signor Sesemann la vuole gelata."
    L'uomo ride e le dice: "Salutami allora il signor Sesemann."
    "Sì" e Heidi riprende il cammino, tornando verso casa Sesemann, facendo attenzione a non far cadere l'acqua: quindi, per tutto il tempo, tiene gli occhi fissi sulla tazza con l'acqua, mentre la gente la osserva sorpresa. Addirittura fermano i cavalli mentre lei passa per la strada osservando il bicchiere.

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    "Avete visto? Quella bimba è un vero guaio, chissà dove sarà finita!" esclama la Rottenmeier, mentre Sesemann e Clara aspettano preoccupati il ritorno di Sebastiano e Tinette: ma i due dicono che non l'hanno trovata.
    "La cerco io, ma dopo la mandi via" dice la Rottenmeier.

    Ma, appena sta per scendere le scale, vede all'improvviso Heidi che sale verso di lei, fissando attenta la tazza con l'acqua, senza accorgersi della Rottenmeier, che guarda la scena stupita. Heidi le passa davanti e raggiunge Sesemann, che, sorpreso, le dice:
    "Heidi, hai preso l'acqua?"
    "Sì, era nella fontana. Questa è buona."
    Sesemann la beve e si accorge che è un'acqua ottima, fresca al punto giusto.
    "Sei stata brava, l'acqua è molto fresca."
    "Un uomo mi ha detto di salutarla" dice Heidi.
    "E chi era?"
    "Non me l'ha detto, ma era alto, coi baffi bianchi e un bastone con la testa di cavallo."
    "Ma è il dottore!" esclama Clara ridendo.
    La Rottenmeier se ne va seccata.

    l1 m3 m4


    Dopo, Sesemann, Clara e Heidi giocano a carte, poi a scacchi. Sesemann fa anche dei giochi di prestigio per le bambine; poi suona il pianoforte e le bambine cantano accompagnando la musica.

    Alla sera, la Rottenmeier va da Sesemann, che le dice:
    "Ho deciso di tenere Heidi con noi: è una bambina normale. Siccome però può avere dei problemi con lei, ho chiesto a mia madre di venire ad aiutarla."
    "Ah" la Rottenmeier sobbalza leggermente. Detesta la madre di Sesemann.
    "Qualcosa non va?"
    "No, affatto."
    "Mia madre penserà a Heidi e lei a Clara, così tutto sarà a posto."
    "Va bene" risponde a malincuore la Rottenmeier.

    n3 o5 o6


    Il giorno dopo, Sesemann saluta la figlia, perchè deve partire. Ma Clara non ne è contenta.
    "Non essere triste" la consola lui "il mese prossimo starò di più con te."
    "Ma tu riparti sempre subito."
    "Ho una sorpresa per te: verrà la nonna, è già partita."
    Clara è felice della notizia:
    "Verrà la nonna?! Grazie, papà!"
    Le bambine salutano Sesemann dalla finestra, mentre parte.

    "Chi è la nonna?" chiede Heidi.
    "E' la mamma del papà. E' molto buona."
    "Anche Peter ha una nonna."
    "Lei è molto spiritosa, una volta ha nascosto la minestra a Tinette. Andiamo, il maestro ci aspetta."
    "Vengo subito."
    Heidi era incuriosita e voleva conoscere questa nonna di Clara.

    p3 q1



    COMMENTO

    Clara pettina la sua nuova bambola avuta dal papà: come si vede, ha molti ricambi e decorazioni. E' una bambola per bambine ricche, e Heidi ne ha avuta una uguale.

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    Il pezzo forte dell'episodio è il cammino di Heidi attraverso le vie della città di Francoforte: essendo una bambina, neanche si rende conto di quello che sta facendo, nè dei pericoli ai quali può andare incontro. Miyazaki e gli altri autori hanno fatto un capolavoro nel rappresentare una città tedesca nella sua quotidianità dell'800.

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    Heidi a Francoforte conosce non solo l'uso delle carte, ma anche degli scacchi e del pianoforte. Quando tornerà sulle montagne, per quanto quella di città sia stata un'esperienza tante volte sgradita, quello che ha imparato lì le sarà utile (imparerà anche a leggere). Non è più la stessa Heidi di prima quella che tornerà, ma una Heidi più arricchita nell'animo e nella cultura.

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    Il trucco del pollice staccato l'avevano fatto anche a me da piccolo. :lol:

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  12. .
    ZOROBIN EGGHEAD ARC - 11

    Capitolo 1100: "Grazie, Bonney"
    Robin legge il giornale, e sotto di lei Mihawk fa lo stesso: è l'avversario di Zoro, e una volta Robin aveva portato la croce di Mihawk e una spada in una covercolor.

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    Copertina Weekly Shonen Jump n. 2 (2024), che contiene il capitolo 1101 di One Piece.
    Ci sono Nami e Rufy insieme: uno dei tanti momenti RufyNami.

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    Capitolo 1102: "La vita di Kuma"
    Nel flashback, vediamo Zoro e Robin assieme, uno accanto all'altra, mentre gridano il loro "NO" a Orso Bartholomew.

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    Capitolo 1102: "La vita di Kuma"
    Zoro e Robin, in vignette vicine, mostrano entrambi in primo piano la loro mano destra.

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    ALTRE ANALISI SU ALTRE FONTI

    Grazie all'utente Karima 11, posto alcune analisi Zorobin, stavolta basate sull'anime di One Piece. Di solito cerco gli Zorobin nel manga, ma non disdegno quelli che si trovano nell'anime.

    ARCO NARRATIVO DAVY BACK FIGHT

    Le analisi della versione manga del Davy Back Fight sono qui. Nell'anime, durante il Davy Back Fight, Robin cerca di aiutare i suoi: ma un uomo pesce coi tentacoli cerca di bloccarla. Zoro, però, pianta la sua spada davanti ai tentacoli, fissa l'uomo pesce e gli dice:
    "Preferisci essere cotto o messo alla griglia?"
    L'altro abbozza e si ritira spaventato.

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    FILM L'ISOLA SEGRETA DEL BARONE OMATSURI

    Si tratta di uno dei film più cupi di One Piece: tuttavia Robin qui ha dei vestiti da diva. ^_^ Qui Sanji chiede a Robin se lei avrebbe accettato l'invito del Barone Omatsuri, ma Zoro risponde seccato che "nessuno avrebbe accettato quell'invito".

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    Inoltre, bisogna sapere che spesso ci sono delle connessioni tra manga e anime. Per esempio, nella covercolor del capitolo 287 (con 2 e 7, i numeri di Robin), la T-shirt di Zoro ha un teschio...con dentro un fiore. E il fiore è il simbolo di Robin, mentre il teschio può essere visto come Zoro, vista la sua pericolosità. Chopper, accanto a lui, è come un figlio col padre. E Robin è disegnata accanto a loro: la coppia e il figlio.

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    E il film che c'entra? C'entra, c'entra...intanto, l'"isola segreta" del barone Omatsuri è un richiamo all'"isola segreta" di Ohara, da dove viene Robin: e sulla spalla del Barone Omatsuri spunta... un fiore con un teschio all'interno! :huh: E proprio davanti a Robin!

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    Ma non solo: quando la malvagità del fiore si scatena sul corpo di Omatsuri, compaiono i membri della ciurma di Cappello di Paglia che sono stati catturati. E il primo in basso è Robin; l'ultimo in alto è Zoro, che è messo in una posizione tale che sembra essere sul punto di cadere sopra Robin, come se stesse ancora pensando a lei. E Robin, a sua volta, ha il corpo rivolto proprio verso di lui.

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    ONE PIECE GOLD EPISODIO 0

    Si tratta di un prequel al film One Piece Gold: potete vederlo su Youtube qui (fino a quando non lo elimineranno):

    Qui Sanji e Brook osservano Robin che gioca a pallavolo con Nami sbavando, e subito Zoro chiede al cuoco se la carne è pronta. Evidentemente, non gli va che guardino Robin. E poi, è disteso in un punto da dove può vedere Robin, il furbone. Oltre a questo, qui sotto si vede Zoro che chiama "idiota" Sanji quando fantastica sui trattamenti di bellezza su Robin.

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    AVVENTURA A NEBULANDIA

    Questo è uno Zorobin piuttosto curioso: uno degli Uomini Pesce ringrazia Robin chiamandola "Lady", un titolo onorifico e Zoro ne sembra imbarazzato. Robin lo ascolta da dietro, e lui preferisce soprassedere...

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  13. .
    34 - UN GIORNO INDIMENTICABILE

    In fabbrica, il lavoro riprende e Peline ricomincia ad usare il carrello. Ormai sono passati due mesi da quando è arrivata a Maraucourt e da quando lavora alla fabbrica. Jean, una donna che lavora in fabbrica, nota che, da quando c'è Aurelie lei lavora più speditamente: i carrelli si svuotano e si riempiono molto più in fretta. Peline ormai sa far andare il carrello con una mano sola e si lascia anche trascinare sulle rotaie, salendo sul carrello.

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    Barone è davanti al cancello ed entra in fabbrica. Onix, il capomastro, sta contando le balle di cotone e vede il cane, ma non ci fa caso. Però, ad un certo punto, Barone fa la pipì su una delle balle di cotone: il capomastro, allora, si arrabbia e lo insegue. Barone fugge e raggiunge Peline: lei capisce che il suo cane si è messo in un guaio e lo nasconde sotto una scatola. Arriva il capomastro e lo cerca, ma Barone fa muovere la scatola: Onix lo nota e lo insegue, e così pure gli altri della fabbrica: alla fine Barone viene buttato fuori.
    "E se ci provi ancora a venire qui ci faccio le pantofole con la tua pelle, cagnaccio!" gli grida Onix.

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    Rosalie dice a Peline che Toluel, il sovrintendente e braccio destro di Pandavoine, le vuole parlare.
    "Cielo, spero che non sia per via di Barone!" pensa lei.

    Nel frattempo, il conducente di Pandavoine, Guillaume, si confida con Toluel, dicendogli i risultati del suo spionaggio:
    "Oggi il signor Pandavoine ha ricevuto delle lettere in inglese."
    "Ah. Ne sai qualcosa? Da dove vengono?"
    "Non si sa. Ci sono problemi di traduttori, come lei sa. Comunque, ieri il signor Pandavoine ha avuto bisogno delle cure per andare a dormire."
    "Capisco. Sta arrivando quell'operaia che ho chiamato, esci da quella porta e aspettala."
    "Va bene."
    Guillaume se ne va, mentre Peline entra.

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    "Mi ha chiamato, signor Toluel?"
    "Sì. Ho saputo da Fabry che tu conosci l'inglese. E' vero? Bada, mentire non ti servirebbe a niente!"
    "Sì, conosco l'inglese, mia madre era inglese..."
    "Bene, devi partire subito. Guillaume, preparati!" grida alla finestra.
    Peline non capisce quello che sta succedendo e, pensando che abbia a che fare col suo cane, dice a Toluel:
    "Signore, mi dispiace per quello che è successo, Barone non è cattivo..."
    "E chi sarebbe questo Barone?" chiede sorpreso Toluel.
    "E' il mio cane. Vede..."
    "Un cane che si chiama Barone? Ma che stai dicendo? Non dire stupidaggini, devi andare subito a Saint-Pepoy, vai da Guillaume, lì ti aspetta il signor Pandavoine!"
    Peline è sorpresa e felice: va a trovare il nonno.
    "Il signor Pandavoine?"
    "Sì. Devi fare da interprete per gli ingegneri meccanici inglesi che hanno portato le loro macchine".

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    Nel frattempo, Pandavoine striglia il direttore dello stabilimento di Saint-Pepoy:
    "Benoix, con questo sono quattro giorni di ritardo. Eppure avevi detto che avevi un buon interprete. Volevi ingannarmi?"
    "No, assolutamente, signor Pandavoine" dice l'altro, sudando freddo "Ero sicuro che saremmo riusciti a capire..."
    "Benoix, non dica sciocchezze."
    Sentono bussare ed entra Guillaume:
    "Ho portato l'interprete" e fa entrare Peline.
    Pandavoine le chiede: "Tu conosci l'inglese?"
    "Mia madre era di lingua inglese, signore."
    "Ma tu lo parli correttamente o no? Lo capisci o no?"
    "Bè, io parlo l'inglese di tutti i giorni, non ho delle specializzazioni..."
    "Va bene, ci dobbiamo muovere lo stesso."

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    Nella fabbrica, gli ingegneri inglesi cercano invano di spiegare ai dipendenti di Pandavoine che devono abbattere le fondamenta della fabbrica e rinforzarle, se no non potranno sostenere le nuove macchine. Ma l'interprete designato travisa tutto e dice ai dipendenti che "hanno detto che devono abbattere tutta la fabbrica", sconcertandoli.

    In quel momento, arrivano Peline e il signor Pandavoine: la ragazza si presenta agli ingegneri inglesi, parlando con la loro lingua, e loro ne sono sollevati:
    "Ah, parlate l'inglese. Meno male!"
    Spiegano la situazione a Peline, che capisce subito e dice agli ingegneri francesi che vorrebbero solo abbattere il pavimento e rinforzarlo, non la fabbrica. Gli altri ne sono sollevati.

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    Poi Peline continua la traduzione e i problemi si risolvono rapidamente. Pandavoine dice all'improvviso a Peline:
    "Tu sei quella ragazza, Aurelie. Sei quella degli occhi." (nell'incontro precedente, Peline/Aurelie aveva suggerito a Pandavoine di curarsi gli occhi per recuperare la vista)
    "E' vero. Ha riconosciuto la mia voce?"
    "Non dimentico mai una voce. Continua a fare l'interprete."
    "Sì" e Peline torna tra gli ingegneri, traducendo.

    Pandavoine dice a Benoix:
    "Assumete quella ragazza come traduttrice. Con stipendio."
    Benoix è sorpreso: si tratta solo di una ragazzina. Ma non osa dir niente: mai contraddire il signor Pandavoine.

    Alla fine, Peline torna a Maraucourt in carrozza con Guillaume, il cocchiere, che si complimenta con lei.
    "Non c'è niente da complimentare" obietta Peline "Parlo l'inglese da quando sono nata. Chiunque nelle mie condizioni avrebbe potuto farlo."
    Alla fine, Peline torna a casa: mentre Barone insegue i paperi attorno al prato, prepara la cena.

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    DOCUMENTAZIONE

    Queste scene sono tipiche delle fabbriche tessili di quei tempi di fine '800, coi macchinari di allora. Come si vede, molte delle lavoratici sono donne: infatti spesso era così, e lo è anche adesso.

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    SCENE AGGIUNTE COI SOTTOTITOLI

    Nel DVD della Yamato Video, sono state aggiunte delle scene che erano state tagliate nella prima trasmissione italiana in TV: le hanno messe con la lingua giapponese originale e coi sottotitoli in italiano. E' strano che abbiano tagliato quelle scene: non erano importanti, ma non c'era nemmeno motivo di tagliarle. Forse a quei tempi avevano un minutaggio limitato e hanno dovuto fare dei piccoli tagli per starci dentro.

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  14. .
    AKANE BANASHI - VOTO: 8/9
    Akane entra nel mondo del Rakugo (recitazione) per vendicare suo padre!

    Trama: Yuki Suenaga
    Disegni: Takamasa Moue
    Inizio pubblicazione in patria: 14 Febbraio 2022; ha 9 volumetti, o tankobon.
    Pubblicazione in Italia: JPop

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    TRAMA

    "Akane banashi", cioè "La storia di Akane" (ma si può tradurre significativamente anche con: "Le chiacchiere di Akane"), inizia con la presentazione del rakugoka, cioè narratore, Tohru Osaki, il cui nome d'arte è Shinta Arakawa, perchè appartiene alla scuola di rakugo del severissimo Issho Arakawa. Shinta (di solito è chiamato col nome d'arte, non con quello vero) è il padre della protagonista della nostra storia, Akane Osaki. Inoltre, la giovane Akane è una grandissima fan di suo padre e, appassionata di rakugo, lo pratica di nascosto, grazie a quello che ha capito, spiando suo padre mentre si allenava.

    Per capire meglio la storia, bisogna spiegare cos'è esattamente il rakugo. Si tratta di un'arte di narrazione giapponese, in cui un attore unico, chiamato appunto rakugoka, descrive una storia lunga, complicata e divertente che coinvolge tanti personaggi. Nel farlo, cambia i toni e gli atteggiamenti dei personaggi, restando sempre inginocchiato sul posto, nella tipica posizione classica seiza. Per capirci, la posizione seiza è proprio quella che fa Akane qui sotto, in una tipica scena di rakugo: inginocchiata su un cuscino, davanti a una specie di separè, con un ventaglio in mano, sta facendo la sua narrazione.

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    Queste figure erano allegate insieme al primo numero di Akane Banashi.



    Un giorno, il padre di Akane partecipa all'esame di qualificazione per diventare "Shinuchi", cioè "narratore Rakugo ufficiale", cosa che gli permetterebbe di guadagnare bene da questo tipo particolare di lavoro, tanto da poter mantenere la sua famiglia, composta dalla moglie e dalla figlia Akane. Ma l'esame è un fallimento: Issho Arakawa, il maestro della scuola di rakugo, espelle bruscamente sia lui che tutti gli altri partecipanti del concorso, senza dare nessuna spiegazione al riguardo. Tutti gli iscritti sono sconcertati, compreso il padre di Akane, che torna al lavoro di impiegato e muore di dolore poco dopo.

    Da quel giorno, l'unico obiettivo di Akane è vendicare suo padre e dimostrare che la sua arte di rakugo, che aveva imparato dal padre, è davvero degna del titolo di "Shinuchi". E, ovviamente, anche sfondare nel rakugo, facendo così un lavoro che le piace sin da piccola.

    In queste prime storie, Akane segue la guida di Shiguma Arakawa, che era stato il maestro di suo padre; poi partecipa al concorso "Coppa Karaku" di rakugo, in cui il giudice sarà lo stesso Issho Arakawa, che aveva provocato indirettamente la morte di suo padre. Con la sua abilità, Akane attira subito l'attenzione, anche se ha dei rivali di tutto rispetto.

    Akane banashi ha ricevuto un'accoglienza positiva ed è stata nominata per il Manga Award 2022, il 16° Manga Taishō e il 47° Kodansha Manga Award.

    LA DIFFICOLTA' DI RAPPRESENTARE L'ARGOMENTO

    Nonostante il manga parli di un'arte in declino come lo è il rakugo, gli autori esordienti Yuki Suenaga (sceneggiatura) e Takamasa Moue (disegni), con l'aiuto del rakugoka professionista Keiki Hayashiya, hanno scelto di raccontare questa “storia di Akane”. In ogni caso, il rakugo è un argomento poco conosciuto dalle nuove generazioni giapponesi, figurarsi quindi all'estero. La JPOP ha avuto coraggio nel pubblicarla in Italia.

    Ma non solo: una storia incentrata sul rakugo richiede un'attività statica del personaggio: infatti, deve restare sempre fermo e seduto mentre racconta. Non è che possa fare tante corse e battaglie alla One Piece. Solo un buon disegnatore può dargli la dinamicità necessaria per essere apprezzato. Per questo, gli ottimi disegni di Takamasa Moue danno vita al personaggio di Akane e alla sua narrazione, creando moltissime espressività del suo volto, con una gamma molto versatile di sentimenti.

    AKANE "LA VOLPE": IL CUORE DELLA STORIA

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    La vera forza del manga, tuttavia, non è il rakugo: come sempre, è il personaggio.

    Akane è il vero motore della storia: travolgente ed entusiasta, agisce con insistenza, cercando di trovare il modo migliore di comunicare il suo racconto agli spettatori, anche nelle situazioni più difficili. Da questo punto di vista - cioè quello di "comunicare" - richiama il problema della comunicazione di "Komi non può comunicare". Entrambe le ragazze cercano di comunicare, superando le loro difficoltà: psicologiche e interne nel caso di Komi, esterne e di spettacolo nel caso di Akane. E' un percorso di crescita che, in modi diversi, fanno entrambe.

    Akane è un tipo carismatico: facile all'indignazione, ironica, sicura di sè fino all’immodestia, capace di impegnarsi al massimo senza risparmiarsi, sa farsi notare senza fatica. Non solo: lo sceneggiatore sa creare situazioni e dialoghi che permettono ad Akane di mostrare le sue capacità in un mondo riservato, difficile, e impegnativo come quello del rakugo. Il disegnatore le dà un volto dai tratti vagamente "da volpe": infatti, i suoi capelli neri terminano in un colore più chiaro, richiamando una caratteristica tipica della coda delle volpi. E i capelli chiari cambiano al mutare dei personaggi che lei interpreta. Bisogna sapere che, nelle leggende giapponesi, la volpe è famosa proprio per le sue capacità di trasformismo...

    Akane ha una vasta gamma di espressioni, con una varietà piuttosto rara nel mondo dei manga. Ma è una dote richiesta dal rakugo: e Takamasa Moue compie un lavoro superbo nel caratterizzare la ragazza e far trasparire la sua profonda personalità attraverso la sua comunicazione non verbale. Usando espressioni e gestualità fatte col ventaglio (che è l'unico dei due oggetti di scena consentiti nel rakugo: il secondo è il cuscino) Akane cattura l’attenzione sia degli spettatori (nel manga), che dei lettori.

    Akane non è un tipo delicato e raffinato, nè aggraziato ed elegante come, per esempio, Maya della "Maschera di vetro" (Glass no kamen - Il grande sogno di Maya), bensì l’esatto opposto. Ha un carattere spigoloso e un po’ rude, ma è capace di coinvolgere sia il lettore che i coprotagonisti. Per sua natura, è una trascinatrice.

    L'autore, Yuki Suenaga, ha affermato che Akane banashi ha avuto origine proprio da Akane: un personaggio da lui inventato, ma col quale non sapeva bene cosa fare. Tra l'altro, è anche un fan del rakugo (c'era da aspettarselo...). Anche se era un argomento ostico, era anche un'occasione per provare qualcosa di nuovo.

    L'artista, Takamasa Moue, si era preoccupato: l'argomento era interessante...ma i lettori l'avrebbero trovato tale? Per questo ha cercato di coinvolgerli, ricercando tutte le possibili espressività per Akane. Anzi, spesso segue una rappresentazione di rakugo e pensa a come trasmetterne la velocità e l'intonazione.

    La Scuola Arakawa di Akane banashi è modellata sulla Scuola Tatekawa di rakugo, il cui maestro, Danshi Tatekawa VII, nel 2002 espulse un gruppo di zenza (rakugoka all'inizio del percorso) nel 2002, dopo aver avuto la sensazione che non si stessero impegnando abbastanza. L'autore Suenaga, però, ha affermato che Issho Arakawa è stato invece modellato su Enshō Sanyūtei VI, un altro maestro di rakugo. O forse ha fatto così per evitare polemiche? Chi lo sa.

    Mentre seguiamo le trasformazioni e l’ascesa della protagonista, apprendiamo di più su quest’arte popolare fatta su misura per gli spazi angusti di sale da the e teatrini frequentati da salariati e pensionati. Anonime stanze dalle decorazioni essenziali, dove un singolo interprete rakugoka, seduto compostamente in posizione seiza, col solo aiuto di un ventaglio, trasformato all’occorrenza in bastone, pipa, mestolo, liuto o quello che volete, e delle variazioni della sua voce, trasforma in un palcoscenico con più personaggi di diverso sesso ed età.

    Con Akane banashi ci godiamo le tecniche usate per catturare l’attenzione degli spettatori e poi tenerla inchiodata, col puro mestiere, fino all’inchino finale che ottiene un plauso a volte contenuto, a volte entusiasta.

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    Il paragone coi manga sportivi (spokon) ci sta, visto che ci troviamo in una situazione tipica, per esempio, della nostra Pat la ragazza del baseball, dove la protagonista deve trovare la tecnica ideale per lanciare la sua palla curva e, con lei, comprendiamo le insidie dello sport e la sua storia.

    Questa doppia anima di manga rakugo e sportivo fa sì che la costruzione delle tavole passi da inquadrature sobrie e quasi dimesse, come i teatri dove si recita, a tavole frammentate e su più livelli, dove si vede lo sforzo di Akane nel comunicare. Da inquadrature medie, quasi televisive, in un attimo si passa a campi estremi e asimmetrici, mirati a farci immedesimare con gli spettatori.

    Insomma, è una storia realizzata con molta cura. Avrà successo? Speriamo...perchè, nonostante la buona volontà degli autori, Akane Banashi è scesa al 35° posto in Manga Plus, la sezione internet della rivista della Shueisha Weekly Shonen Jump. Quindi è una serie piuttosto snobbata dal pubblico giapponese. Tuttavia, Eichiro Oda e Hideaki Anno di Evangelion l’hanno apprezzata e raccomandata, ed è già arrivata quasi al 100° episodio, e questo è già un buon traguardo. Si vedrà.

    UNA CONSIDERAZIONE: LA SCOMPARSA DELLA COMUNICAZIONE PERSONALE

    Il rakugo è un’arte che, per forza di cose, sta scomparendo, di fronte alla tecnologia che avanza: un pò come il teatro e le vare forme di intrattenimento reale, in cui sono coinvolti attori e spettatori in carne ed ossa. Il corpo, infatti sta scomparendo sempre di più nelle forme di comunicazione: e questo non è un buon segno, visto che, per comunicare davvero, e a livello umano, si deve essere sempre almeno in due, in carne ed ossa, e non in carne e in vuoti imput tecnologici, che non danno una vera comunicazione, ma l'illusione di una comunicazione, cosa che nasconde una profonda solitudine.

    BIBLIOGRAFIA
    www.giornalepop.it/akane-banashi-e-il-rakugo/
    https://magazineubcfumetti.com/2024/01/20/...e-puro-carisma/
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    GOLDRAKE: SFIDA NELL'ALTA SIERRA!

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    A volte ci sono delle sorprese che ti fanno pensare: "Ma io questa scena l'ho già vista!". Vi sarà capitato diverse volte. Bè, a me è capitato vedendo un film degli anni '60, dove ho trovato dei riferimenti inaspettati a Goldrake. Solo che l'anime è venuto dopo il film (Goldrake è del 1975), quindi è assai probabile che gli autori di Goldrake abbiano visto "Sfida nell'alta sierra", il film in questione. Infatti, provate a vedere quello che succede nel film, come ho descritto qui sotto, e fate poi le vostre considerazioni. Io personalmente ritengo molto probabile che gli autori di Goldrake abbiano preso spunto dal film.

    SFIDA NELL'ALTA SIERRA

    Sfida nell'Alta Sierra (nell'originale: Ride the High Country, cioè "Cavalcata nelle Terre Alte") è un film western del 1962 diretto da Sam Peckinpah.

    Questa è la trama: il protagonista, l'anziano pistolero Steve Judd (l'attore Joel McCrea), che vive in un paese di confine, incontra il suo vecchio amico Gil Westrum (Randolph Scott), che passava per il paese. Tempo fa, erano stati compagni d'avventura: ora sono avanti negli anni e hanno pochi soldi. Il tempo del West sta finendo.

    Steve propone a Gil di aiutarlo per un'ultima impresa che permetterebbe loro di guadagnare un pò di soldi: si tratta di un lavoro che deve fare per conto di una banca, e un aiuto come quello di Gil gli farebbe comodo. Devono andare in un villaggio di minatori, in mezzo alle montagne (le "Terre Alte" del titolo), per prelevare il loro oro e depositarlo alla banca, facendo la guardia durante il tragitto. Infatti i due, Steve e Gil, sono stati degli abili pistoleri, e le loro capacità sono ancora inalterate. Gil accetta la proposta; insieme a loro, su richiesta di Gil, si aggrega anche il giovane Heck Longtree (Ron Starr), appena conosciuto. Ma la verità è che Gil e il giovane Heck si conoscevano già da prima e il loro obiettivo è rubare l'oro dei minatori, prendendolo da Steve, nel viaggio di ritorno.

    Durante il viaggio di andata, si fermano in una fattoria per trovare riparo. Lì ci vive Joshua Knudsen (R.G. Armstrong), un agricoltore protestante molto religioso, ma di una religiosità superficiale e fanatica. Ha una figlia in età da marito, Elsa (Mariette Hartley). La ragazza è promessa sposa di Hammond, un uomo che lavora nella miniera dove i tre stanno andando, quindi il padre bada al comportamento della figlia. Lei, però, non sopporta che il padre la tenga sempre d'occhio. Con l'arrivo dei tre ospiti, Elsa decide di fuggire da suo padre e di seguire il gruppo, anche perchè tra lei e il giovane Heck è scoccata la scintilla. Comunque, Elsa decide di raggiungere il villaggio dei cercatori insieme a loro, per sposarsi col promesso sposo.

    Una volta arrivati al villaggio e prelevato l'oro, Elsa scopre che il suo futuro marito è in realtà un bruto, e i suoi fratelli sono ancora peggio. Nonostante tutto, lei lo sposa in un matrimonio-farsa: ma, la sera stessa in cui viene celebrato lo sposalizio, Elsa per poco non viene violentata dai fratelli del suo neo-marito. I tre protagonisti, vedendo questo, decidono di salvarla, portandola via con loro. Ma il gruppo dei minatori fratelli (ben cinque) li insegue.

    Durante il viaggio di ritorno, Gil e il giovane Heck cercano di attuare il loro piano, fuggendo con l'oro: ma Steve, che già sospettava qualcosa, se ne accorge e li disarma. Tuttavia, ha bisogno lo stesso di loro, perchè i cinque minatori/fratelli Hammond tra un pò li attaccheranno. Col patto di restituire poi le armi a Steve, i due vengono liberati e riescono, in uno scontro a fuoco, ad uccidere due dei cinque fratelli; gli altri tre scappano.

    Steve riporta Elsa alla fattoria di suo padre. Ma, ad attenderli, ci sono gli altri tre fratelli Hammond, che avevano ucciso il padre di Elsa e avevano preparato un'imboscata. Steve e Gil sfidano a duello i tre fratelli e riescono ad ucciderli. Ma Steve viene ferito a morte e il ragazzo, Heck, è rimasto ferito. Prima che Steve muoia, Gil gli promette che porterà a termine il compito al suo posto, e si allontana con Heck ed Elsa.

    COMMENTO

    Sfida nell'Alta Sierra è del 1962. UFO Robot Grendizer, il nostro Goldrake, è uscito per la prima volta il Giappone nel 1975, tredici anni dopo: quindi è probabile che gli autori abbiano visto il film, viste le somiglianze. Per cominciare, la giovane Elsa è vestita praticamente come Venusia, colori a parte. E lavora in una fattoria come lei.

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    Il padre di Elsa, Joshua, è vestito di nero, ha un cappello nero, è di umore nero. E' ridicolmente "cattivo", proprio come Rigel, il padre di Venusia.

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    Elsa, per far colpo sui tre nuovi arrivati (soprattutto sul più giovane) si veste di rosa. Come Mineo o Naida.

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    E il padre la guarda MALISSIMO. Come Rigel. ^_^

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    Poi arriviamo al momento clou tra Elsa e il giovane Heck. Tra l'altro, "Heck" sta per "diamine, cavolo, accidenti": insomma, è un'esclamazione, non un nome. A volte significa anche zotico, rozzo, campagnolo. Comunque, "Heck" è il soprannome del ragazzo, non il nome (quindi ha come soprannome un insulto... :huh: ) Va bè, comunque "Heck" ha un nome vero sconosciuto, e qui lo si potrebbe richiamare a Duke Fleed, ma siamo alla parodia... ^_^

    Comunque, Elsa, di notte, si avvicina a Heck per parlargli. E lui è disteso su una balla di fieno. Non vi ricorda niente questa scena? Forse quella dell'episodio 3 di Goldrake? ^_^

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    Heck amoreggia con Elsa, scherzando con lei e mettendole sotto il naso una spiga di fieno. Non vi ricorda niente questa scena? Forse quella del famoso episodio di Naida?

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    Poi arriva Rigel, pardon, il padre di Elsa, Joshua, che li scopre e sta per dare un sacco e una sporta al povero Heck. Proprio come stava per fare Rigel, che, anzi, Actarus lui lo voleva impiccare! ^_^ Nel film arrivano i due compari di Heck e mettono pace alla discussione, calmando gli animi.

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    Poi il film va per la sua strada. Ma queste scene mi erano rimaste impresse, perchè richiamavano letteralmente le stesse scene descritte in Goldrake. D'altra parte, Goldrake è una storia di fantascienza sì, ma ambientata in un contesto western...quindi ci sta che gli autori qualche film western lo avranno visto, per documentarsi un pò. E credo proprio che abbiano visto, tra gli altri, Sfida sull'Alta Sierra, che era arrivato anche in Giappone.. ^_^
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