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    PARADISO CANTO 10 - QUARTO CIELO DEL SOLE - I 12 SPIRITI SAPIENTI DELLA PRIMA CORONA: PAOLO OROSIO, SEVERINO BOEZIO, ISIDORO DI SIVIGLIA (quinta parte)

    PAOLO OROSIO

    Persecuzione
    Tra i motivi delle persecuzioni dei Cristiani a Roma, c'era anche l'accusa di aver portato delle disgrazie, perchè loro non adoravano gli dei romani. Paolo Orosio (e Sant'Agostino), con le loro opere, hanno confutato questa tesi, difendendo il Cristianesimo.


    Siamo sempre nel Quarto Cielo del Sole, dedicato agli Spiriti Sapienti. San Tommaso d'Aquino continua la presentazione dei 12 spiriti sapienti della prima corona: prima lo stesso San Tommaso, poi Sant'Alberto Magno (il suo maestro), Graziano (col suo diritto canonico), Pietro Lombardo (monaco), Re Salomone e Dionigi l'Areopagita. Ora tocca a Paolo Orosio, la cui opera storica aiutò sant'Agostino:

    Ne l’altra piccioletta luce ride (Nell'altra luce più piccola ride)
    quello avvocato de’ tempi cristiani (quell'avvocato dei tempi cristiani (Paolo Orosio)
    del cui latino Augustin si provide. (della cui opera in latino si avvalse sant'Agostino.)

    Paolo Orosio nacque a Tarragona, in Spagna, nel 390. Presi gli ordini sacerdotali, si recò in Africa per completare gli studi di teologia con S. Agostino: già da allora nacque, forse, quell'amicizia e quella consonanza di interessi culturali che portò alla stesura dell'imponente "Historiarum Libri VII adversus paganos", cioè "I sette libri di storie contro i pagani".

    Si tratta di un'opera storica che abbraccia il periodo compreso fra la creazione di Adamo ed oggi (cioè il 417, la data della realizzazione dei sette libri). Quella stesura era stata sollecitata da Agostino come controprova storica della sua opera "De civitate Dei", "La città di Dio": scritta tra il 413 e il 427, è un'opera monumentale, realizzata dopo il Sacco di Roma compiuto dai Visigoti di Alarico. Fu scritta sia per confutare le accuse dei pagani, che attribuivano ai cristiani la responsabilità della caduta della Città Eterna, sia per confortare i cristiani sgomenti. La tragedia dell'invasione dei Visigoti diventa infatti per Agostino un evento nodale, che gli permette di rileggere l'intera vicenda dell'umanità da un punto di vista più ampio, utilizzando l'immagine delle «due città»: quella di Dio e quella di questo mondo, realtà nelle quali l'aspetto storico e quello escatologico sono inscindibilmente legati. L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica della storia dal punto di vista cristiano.

    Citt-di-Dio


    Tornando a Paolo Orosio, i sette libri dell'Historiarum costituiscono la prima storia universale cristiana:
    - Il primo libro descrive la creazione del mondo fino alla fondazione di Roma;
    - il secondo libro parla della storia di Roma fino al sacco della città (quindi fino a tempi allora recenti); poi cambia registro e parla della storia dell'Impero Persiano fino a Re Ciro e della storia della Grecia fino alla battaglia di Cunassa, in cui i Greci sconfissero i Persiani e uccisero Re Ciro;
    - il terzo libro parla della storia dell'impero macedone sotto Alessandro Magno e i suoi successori, con la storia romana contemporanea;
    - il quarto libro torna a parlare della storia di Roma fino alla distruzione di Cartagine (si tratta di approfondimenti);
    - gli ultimi tre libri trattano ancora della storia romana, dalla distruzione di Cartagine fino alla caduta di Roma e ai giorni dell'autore.

    E' di sostegno alla Civitate Dei di Agostino perchè in quel libro, tra le altre cose, Agostino dimostra che l'Impero Romano non era protetto dagli dèi pagani, ma aveva sofferto di varie calamità tanto prima quanto dopo l'affermarsi del Cristianesimo come religione ufficiale. I libri di Agostino e Orosio servivano quindi a confutare la tesi pagana secondo la quale l'aver abbandonato gli dèi romani era stata la causa delle calamità che avevano portato al sacco di Roma da parte dei barbari e alla fine dell'impero romano d'Occidente. Agostino voleva che questo fosse dimostrato, attraverso l'opera di Orosio, in un'opera storica a sé stante, analizzando per intero la storia di tutti gli imperi e delle popolazioni dell'antichità, con l'idea fondamentale che Dio e la Provvidenza determinano i destini delle nazioni. Agostino sosteneva che due imperi principalmente avevano governato il mondo: quello di Babilonia, a est, e quello di Roma, a ovest: Roma aveva ricevuto l'eredità di Babilonia tramite gli imperi Macedone e poi Cartaginese. Quindi ci furono quattro grandi imperi nella storia: un'idea ampiamente accettata nel Medioevo. Si trattava, in sostanza, di libri di apologetica: cioè, dal termine greco “apologia”, che significa “dare una difesa”: infatti l’apologetica cristiana, dunque, è la scienza che fornisce una difesa a favore della fede Cristiana.

    Infatti l'opera storica di Orosio, ben conosciuta da Dante, come da tutto il Medioevo, insieme ai suoi scritti contro le posizioni eretiche di Pelagio e di Priscilliano, gli valsero l'appellativo di "avvocato dei tempi cristiani": da qui il termine "avvocato", benchè non lo fosse di nomina. Le Historiae furono uno dei testi di storia antica più accreditati nel Medioevo; fu persino l'unico libro di storia scritto in latino conosciuto dal mondo islamico per oltre un millennio. Di Paolo Orosio non si sa quello che accadde alla fine della sua vita, nè si hanno delle sue reliquie: si pensa sia morto in un naufragio.

    SEVERINO BOEZIO

    Boezio-1
    Severino Boezio cerca di difendere i cristiani dalla violenza del re degli Ostrogoti e ariano1 Teodorico: questi, livido di rabbia e di follia, lo fa incarcerare e giustiziare.


    Il successivo spirito beato, che è l'ottavo, o "l'ottava luce", presentato da Tommaso d'Aquino è Severino Boezio, la cui opera spiega la fallacia del mondo e il cui corpo giace nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, a Pavia:

    Or se tu l’occhio de la mente trani (Ora, se l'occhio della tua mente fai scorrere)
    di luce in luce dietro a le mie lode, (di luce in luce dietro alle mie parole,)
    già de l’ottava con sete rimani. (ti resta da scoprire chi sia l'ottava luce.)

    Per vedere ogni ben dentro vi gode (Dentro vi gode colui che ora vede il sommo bene (Severino Boezio)
    l’anima santa che ‘l mondo fallace (l'anima santa che dimostra la fallacia del mondo)
    fa manifesto a chi di lei ben ode. (a chi legge bene le sue opere.)

    Lo corpo ond’ella fu cacciata giace (Il corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra)
    giuso in Cieldauro; ed essa da martiro (nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro; e dal martirio)
    e da essilio venne a questa pace. (e dall'esilio terreno la sua anima giunse a questa pace.)

    Severino Boezio (480-524), venerato come Santo, fu filosofo e scrittore latino della tarda antichità: anzi, fu uno dei più illustri uomini di cultura del suo tempo. La sua attività di raccolta e trasmissione della cultura classica (aritmetica, geometria, musica, ma anche filosofia, soprattutto Aristotele e Platone) fu premiata dalla vasta diffusione dei suoi scritti nella scuola medievale. Fu il principale collaboratore del re ostrogoto Teodorico, ricoprendo la carica di magister officiorum.

    Boezio, nel clima di rilancio della cultura classica, concepì l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e Aristotele. Inoltre, il suo trattato sulla musica, "De institutione musica" fu estremamente influente sulla musica medievale, sia sulla teoria che sulla pratica; fu lo scritto medievale più diffuso sulla musica. Era definito l'ultimo dei romani ed il primo degli Scolastici, per la funzione che svolse di mediatore fra il pensiero classico, romano e greco, e il nascente pensiero cristiano medievale.

    Il re degli Ostrogoti, Teodorico, ariano convinto, però, difese con la violenza la diffusione dell'arianesimo, minacciando di morte i cattolici se si dovesse venire a sapere che gli ariani erano stati in qualche modo maltrattati: "Io ucciderò dieci cattolici per ogni ariano che l'Imperatore di Bisanzio oserà maltrattare!" Teodorico, nei suoi ultimi anni, diventò sempre più sospettoso di tradimenti e congiure. Le violenze e gli omicidi si susseguirono, con la distruzione di molte chiese cattoliche.

    Boezio, uomo di grande cuore, tentò invano di far ragionare il sovrano: "Sire" supplicò "non macchiarti di atroci delitti..." "Osi difendere i cattolici? Soldati, arrestatelo!" Boezio fu condannato a languire per due anni nel carcere più duro. Ma la furia di Teodorico non si placò: ordinò a papa Giovanni I di andare di persona a Bisanzio, dall'Imperatore Giustino, con questo avviso: "Tu devi convincere l'Imperatore Giustino a rispettare gli Ariani! Se non ci riuscirai, bada! Distruggerò le tue chiese una dopo l'altra e passerò a fil di spada tutti i cattolici!" Più che la tolleranza, Teodorico desiderava l'annientamento del Cattolicesimo.

    Giovanni I obbedì, per cercare di rabbonire il re, e si recò a Bisanzio, dall'Imperatore Giustino, che lo accolse con tutti gli onori. Il Papa chiese all'Imperatore di non essere troppo severo con gli ariani (cosa difficile da fare, vista la loro prepotenza verso i cattolici) e ripartì per l'Italia. Teodorico, però, non fu soddisfatto dell'esito della missione pontificia: appena Papa Giovanni I tornò in Italia a Ravenna, lo catturò e lo mise in prigione senza acqua nè cibo, facendolo morire di fame. La stessa sorte toccò ai vescovi che lo avevano accompagnato a Costantinopoli.

    Intanto, nel periodo trascorso in carcere, Boezio scrisse la sua opera più letta e più tradotta: il "De consolatione philosophiae" ("La consolazione della filosofia"), in cui l'autore, sul modello dei dialoghi platonici, immagina di tessere un colloquio, in prosa e con versi, con la Filosofia, venuta di persona a consolarlo dell'immeritata condanna.

    Infine, Boezio fu giustiziato, insieme ai ministri Albino e Simmaco, con una corda attorcigliata alla testa, fino a fargli schizzare gli occhi (era la "garrota", cioè lo strangolamento), poi fu finito a bastonate e decapitato. Il suo corpo fu poi sepolto in un'urna nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro ("Cieldauro", come dice Dante), sempre a Pavia. Papa Leone XIII (1810-1903) ne approvò il culto per la Chiesa in Pavia: è festeggiato il 23 ottobre.

    Tornando a Teodorico, dopo la morte di Boezio il re ostrogoto cominciò ad essere tormentato da visioni e da fantasmi: morì all'improvviso il 30 Agosto del 526, spaventato da una testa di pesce sul piatto in cui credette di ravvisare il volto di Severino Boezio, che lui aveva fatto assassinare tanto ingiustamente.

    Boezio-2
    Teodorico, ormai impazzito, resta sconvolto nel vedere le fattezze di Boezio, da lui condannato, nel pesce che gli viene servito in tavola.


    Un'altra tradizione narra che un cavallo nero si presentò a Teodorico, che volle montarlo a tutti i costi. Il cavallo, insensibile alle redini, iniziò a correre con il cavaliere incollato alla sella, finché giunse al Vesuvio e rovesciò Teodorico nel suo cratere. Lo racconta Carducci nella sua poesia "La leggenda di Teodorico":

    Sul castello di Verona
    batte il sole a mezzogiorno,
    (...)
    ed il re Teodorico
    vecchio e triste al bagno sta.
    (...)
    e d'un tratto al re da canto
    un corsier nero nitrí.

    Nero come un corbo vecchio,
    e ne gli occhi avea carboni.
    era pronto l'apparecchio,
    ed il re balzò in arcioni.
    Ma i suoi veltri ebber timore
    e si misero a guair,
    e guardarono il signore
    e no 'l vollero seguir.

    In quel mezzo il caval nero
    spiccò via come uno strale
    e lontan d'ogni sentiero
    ora scende e ora sale:
    via e via e via e via,
    valli e monti esso varcò.
    Il re scendere vorría,
    ma staccar non se ne può.
    (...)
    Ecco Lipari, la reggia
    di Vulcano ardua che fuma
    e tra i bòmbiti lampeggia
    de l'ardor che la consuma:
    quivi giunto il caval nero
    contro il ciel forte springò
    annitrendo; e il cavaliero
    nel cratere inabissò.

    Ma dal calabro confine
    che mai sorge in vetta al monte?
    non è il sole, è un bianco crine;
    non è il sole, è un' ampia fronte
    sanguinosa, in un sorriso
    di martirio e di splendor:
    di Boezio è il santo viso,
    del romano senator.


    L'opera di Boezio ebbe grande diffusione nel Medioevo, specie per le citazioni indirette di Aristotele, i cui testi non erano ancora noti direttamente. L'importanza di Boezio per la trasmissione della cultura del pensiero antico è grandissima. Le sue opere furono fondamentali per Dante non solo nel periodo della sua formazione, ma anche in seguito, quando, nel momento critico della morte di Beatrice, in lui si concretizzò la nuova acquisizione spirituale e poetica, il passaggio, cioè, dall'amore-passione all'amore-introspezione.

    Basilica
    Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro, a Pavia: qui, oltre ai resti di S. Severino Boezio, è sepolto anche Sant'Agostino. Nel 1796, le truppe di Napoleone Bonaparte spogliarono la chiesa, che fu sconsacrata e usata come stalla o deposito, mentre i frati vennero cacciati e i conventi affidati ai militari: cose di ordinaria amministrazione per Napoleone e i suoi, che fecero così per tutte le chiese d'Italia. Per forza che ai cristiani i Napoleonici non piacevano: quella infatti era la loro vera Libertè, Egalitè, Fraternitè. Delle navate crollarono e la chiesa rimase aperta all'esterno, con gravissimi danni anche per gli affreschi sopravvissuti. Successivamente, fu restaurata.



    ISIDORO DI SIVIGLIA

    Isidoro-di-Siviglia
    S. Isidoro di Siviglia e il nichilismo del Nome della Rosa di Umberto Eco: due visioni antitetiche.


    Tommaso d'Aquino ora presenta Isidoro di Siviglia a Dante: "Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro / d’Isidoro". Santo e dottore della Chiesa (560 circa - 636), fu arcivescovo di Siviglia. Grande uomo di cultura, fu un instancabile compilatore di opere enciclopediche, in cui raccolse e tramandò tutto il sapere dell'epoca, partendo da fonti classiche e cristiane.

    Fece molte opere, tra cui la Regola dei Monaci e la storia della Spagna. E' noto soprattutto per gli "Etymologiarum libri", detti anche "Libro delle etimologie" o "Libro sull'origine delle cose": si tratta di un'ampia opera di 20 volumi, di fondamentale importanza nel Medioevo: ebbe infatti una grandissima diffusione. Nel raccogliere tutta la conoscenza che allora si sapeva (grammatica, matematica, geometria, musica, astronomia, medicina, legge, la Chiesa Cattolica, Dio, gli angeli, le lingue, le città, i paesi, l'architettura, l'agricoltura, ecc.), davano molto risalto all'etimologia, cioè all'origine delle parole. Infatti, si riteneva - e giustamente - che le parole hanno una corrispondenza con le cose: "nomina sunt consequentia rerum", cioè "i nomi sono la conseguenza delle cose" diceva, infatti, la filosofia scolastica, che diceva che le cose esistono, sono riconoscibili e definibili. Ogni parola cui si faccia ricorso per descrivere qualcosa, spesso contiene l’essenza della cosa stessa: per esempio, il vino (vinum) è così chiamato perché "rinfresca" le vene (venae) di nuovo sangue. Isidoro si serve insomma dell'arte dell'etimologizzare come strumento di comprensione del mondo intorno a lui, incoraggiando i lettori a fare lo stesso. Infatti Dio è Parola: per questo si deve dare molta importanza alle parole.

    Fu uno straordinario sintetizzatore della scienza antica e un maestro dell’Europa medioevale, accanto a Gregorio Magno ed altri. Morì il 4 aprile del 636 (il giorno della sua festa è appunto il 4 Aprile), e il suo corpo fu deposto nella cattedrale di Siviglia, accanto alle spoglie del fratello Leandro e della sorella Fiorentina, anche loro santi. Papa Giovanni Paolo II lo designò nel 2002 come patrono di Internet e di chi ci lavora, essendo stato l'autore della prima enciclopedia mai scritta (antesignana di Internet, appunto, attraverso cui è possibile accedere a tutto lo scibile umano, e dei database, in quanto raccolte di dati ordinati e classificati).

    La concretezza di Isidoro, con le sue "etimologie", sono tutta un'altra cosa dal nichilismo del "Nome della rosa" di Umberto Eco, che, oltre a mostrare un medioevo di fantasia, è un libro che si conclude con una frase che è l'esatto contrario di quell'affermazione della Scolastica: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus", cioè: "La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi" (Bernardo di Cluny). E' una frase che era già implicita nel titolo ed è il cuore del messaggio del libro di Eco. Dice infatti che delle cose abbiamo solo i nomi, ma non sappiamo definirle: in questo modo, però, si rifiuta sia la realtà, che la scienza, che la verità, in un delirio nichilistico che è l'esatto contrario del cristianesimo, che dice invece che le cose sono vere e riconoscibili.

    Infatti, Umberto Eco abbandonò la fede cristiana e diventò un "nominalista": cioè non credeva che esistessero verità universali (tanto meno Dio), ma solo nomi convenzionali, che non sanno definire la realtà. In sostanza, si tratta di una sfiducia completa nelle risorse della ragione, a cui è preclusa la possibilità di conoscere il vero delle cose, cioè la loro essenza, in ultima analisi la verità. E' la riproposizione dello scetticismo per cui la verità non esiste, e se esiste non si può conoscere, e se si può conoscere non si può comunicare. E si arriva così al nichilismo moderno che fu caro a Nietzsche (che però finì pazzo).

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    1 Ariano: seguace dell'eresia ariana, predicata dal prete alessandrino Ario e basata sulla negazione della natura pienamente divina di Cristo, considerato inferiore a Dio Padre e creato da Lui. Nel 325 il Concilio di Nicea condannò l'arianesimo e definì l'ortodossia cristiana cattolica, secondo cui il Figlio e il Padre sono consustanziali, cioè sono entrambi Dio, nelle parole del Credo che si dicono ancora oggi: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di Lui tutte le cose sono state create."

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-x.html
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    11-12 SETTEMBRE 1683: LA BATTAGLIA DI VIENNA. LA LEGA SANTA FERMA I TURCHI (seconda parte)

    L'OFFENSIVA TURCA: 1664 - LA BATTAGLIA DI SAN GOTTARDO

    Battaglia-di-San-Gottardo
    L'offensiva dei fucili dei Moschettieri di San Gottardo. L'uomo che suona il tamburo è il "Tamburino", che suona la cadenza di sparo dei soldati, che così mantengono il ritmo. Essendo di bassa statura, è difficile che venga colpito. Era comunque un ruolo molto pericoloso: basta ricordare la fine del Tamburino sardo.


    Prima della battaglia di Vienna, è stata fondamentale la battaglia di San Gottardo. L'impero ottomano, che aveva ormai conquistato i paesi balcanici fino alla pianura ungherese, il 1° agosto 1664 era stato fermato nella sua avanzata dagli eserciti imperiali austriaci guidati dal grande condottiero Raimondo Montecuccoli, appunto nella battaglia di San Gottardo, in Ungheria. Non è da confondersi col passo di San Gottardo: qui si tratta di un paese con lo stesso nome (Szentgotthárd, nell'originale ungherese). E' chiamata anche battaglia di Mogersdorf, la città austriaca vicino all'ungherese San Gottardo: la battaglia coinvolse tutta quella zona. E' chiamata anche Battaglia del fiume Raab, che era appunto il fiume che divideva i due eserciti.

    I Turchi erano in 100.000, mentre il Montecuccoli aveva a sua disposizione solo 28.000 uomini, con altri 30.000, tra croati ed alleati vari. Per la battaglia imminente, Montecuccoli prevedeva che la battaglia doveva essere decisa dal fuoco e non dall’urto, in cui sarebbe stato avvantaggiato l’esercito ottomano, superiore di numero: diede quindi l’ordine ai moschettieri (dotati di moschetto, vedi la figura sotto) di disporsi su due file, sparando con fuoco di fila. Significa che, mentre una delle due file sparava, l’altra doveva ricaricare le proprie armi, escludendo quindi la pratica (molto diffusa all’epoca) di una salva , cioè uno sparo simultaneo di più armi da fuoco sparata contemporaneamente da tutte le armi, cosa che avrebbe permesso al nemico di avvicinarsi tra una salva e l'altra.

    moschetto
    Il moschetto, fucile ad avancarica e con un colpo solo. Significa che poteva essere caricato con un proiettile infilato nella canna e fissato con un bastone, come il Lungo Fucile di Ken Parker. Si trattava di un'arma da cecchini.


    Il Montecuccoli impedì che il centro del suo schieramento, attaccato più volte da forze preponderanti, collassasse, grazie all'aiuto dei moschettieri: successivamente ripetè lo schema che Annibale aveva applicato nella battaglia di Canne. Infatti, una volta che il centro si fosse inflesso (cioè, tirato indietro), attirando a sè un numero eccessivo di turchi in uno spazio limitato, si potè effettuare un attacco convergente da entrambe le ali, destra e sinistra. In questo modo, il numero stesso dei nemici, molto alto, ma nello stesso tempo ammassato in uno spazio ristretto, che tendeva sempre più a restringersi, avrebbe impedito un’azione difensiva efficace e portato al collasso totale dell’esercito, come in effetti accadde. Questa vittoria fu di notevole importanza, perchè diede a Vienna la possibilità di costruire le fortificazioni che vent'anni dopo avrebbero avrebbero resistito all'assalto turco il tempo necessario per l'arrivo dei Polacchi con gli Ussari alati di re Sobieski, fermando definitivamente l'avanzata turca verso il cuore dell'Europa.

    RAIMONDO MONTECUCCOLI, IL GRANDE CONDOTTIERO (1609-1680)
    "Per la guerra servono tre cose: denaro, denaro, denaro." Raimondo Montecuccoli, un talento italiano al servizio degli Asburgo

    Montecuccoli


    Raimondo Montecuccoli nacque nel 1609 a Montecuccolo, una frazione di Pavullo del Frignano, in provincia di Modena. Grazie alla protezione di suo zio, generale d'artiglieria, il giovane riuscì a farsi notare nell'esercito austriaco, fino a essere nominato alfiere nell'assedio di Amersfoort (Paesi Bassi, 1629), dove fu il primo a entrare attraverso la breccia aperta nelle mura. Promosso tenente, tre anni dopo si fregiava già del titolo di capitano, alla guida di una compagnia di fanti che partecipò alle vittorie di Neuhandenburg (Paesi Bassi) e Magdeburgo (Germania) nella guerra dei Trent'Anni. L'azione più importante fu compiuta però nel 1633, dove, durante l'assedio di Kaiserslautern (Germania), condusse una carica di cavalleria lungo le mura delle artiglierie, un'azione che gli valse il titolo di colonnello. Da allora la sua carriera ebbe un'impennata prorompente: prese parte a tutte le importanti campagne militari d'Europa. Fu nella Guerra di Castro nella Tuscia (1643-44), vinta sotto il suo comando supremo dagli alleati (Modena - Parma - Firenze - Venezia). Fu comandante supremo nella vittoriosa Campagna di Polonia (1657-1659) e nella Guerra col Turco nella Battaglia di San Gottardo (1º agosto 1664). Dal 1668 al 1680 fu Presidente del Consiglio di guerra di Corte in Austria. Partecipò anche alla Campagna del Reno contro la Francia (1672-1675), che risultò essere il suo nemico prediletto, soprattutto grazie all'abilità dei suoi comandanti, che lo portarono a misurarsi con nemici del suo valore. Infatti, il comandante avversario, Henri de La Tour d'Auvergne, visconte di Turenne, noto anche col soprannome di Grand Turenne, seppe dimostrarsi un altrettanto geniale condottiero. Lo scontro fra i due esperti dell'arte bellica è ricordato con ammirazione da Voltaire e Napoleone Bonaparte: le abili mosse e contromosse operate durante le battaglia e le innovazioni all'ars bellica europea fecero letteralmente scuola militare per le generazioni successive (lo stesso Eugenio di Savoia, anche lui grande condottiero, imparò molto sulla tattica dagli scontri tra Montecuccoli e Grand Turenne). Turenne morì nella feroce battaglia di Salzbach (o Sasbach: un paese tedesco del sud), stroncato da una palla di cannone che gli fratturò il petto. Malgrado la sua morte, le truppe francesi vinsero la battaglia. Nonostante ciò, Montecuccoli attaccò nuovamente i sudditi del re sole, ad Altenheim (1º agosto 1675), e, malgrado perdite più elevate di quelle degli avversari (5000 imperiali austriaci per 3000 francesi) riuscì a ricacciarli oltre il Reno. Montecuccoli fu senza dubbio un riformatore militare: era un convinto assertore della superiorità dei moschetti sulle formazioni di picchieri, tanto che portò all'adozione di un nuovo modello di moschetto più leggero (senza necessità di sostegno a predello), nonché alla creazione di unità d'élité chiamate granatieri. Incrementò l'addestramento dei tiratori come unità tattica, al fine di migliorarne la capacità di manovra sul campo. Sotto la sua guida, gli Asburgo ebbero ai propri ordini un esercito regolare, fondato sulla milizia nazionale e rinforzato da mercenari spagnoli e italiani. Montecuccoli si interessò anche all'artiglieria, introducendo l'artiglieria leggera reggimentale. Migliorò infine i servizi di pagamento ed equipaggiamento delle truppe. Morì a Linz, nell'Austria imperiale, nel 1680, coi titoli di: Principe del Sacro Romano Impero, Duca di Melfi, Luogotenente generale, Feldmaresciallo, Signore di Hohenegg (Baviera tedesca), Osterburg (città tedesca), Gleiss (dominio austriaco) e Haindorf (città austriaca); Presidente dell'Imperial Consiglio, Aulico Militare, Gran Maestro dell'artiglieria e fortificazioni, Governatore della regione di Győr (città ungherese) e proprietario di un reggimento di cavalleria, Real Consigliere Segreto, Camerlengo (addetto alla camera del tesoro del sovrano), Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro, uno dei più prestigiosi d'Europa e consegnato a pochi: è valido ancora oggi.

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    Il Principe Ereditario di Spagna Felipe porta il Toson d'oro (la collana della foto), come pure suo padre re Juan Carlos.


    Montecuccoli ha come scrittore un posto di spicco nella letteratura italiana del Seicento, tanto da essere soprannominato come il "moderno Vegezio" (autore del trattato sulla vita militare, De Re militari, "Sulle cose militari"). Negli scritti, per la maggior parte di argomento militare, si può ritrovare tutta la sua cultura: matematica, architettura, botanica, storia antica. Le sue principali opere, scritte fra il 1640 e il 1670 sono: Delle battaglie, Trattato della guerra, Dell'arte della guerra, Aforismi dell'arte bellica. Ugo Foscolo pose alla base dell'incisione che apre la sua edizione degli Aforismi l'epigrafe: «Raimondo Montecuccoli. Con gli scritti rese eterno quanto aveva compiuto con le sue gesta». Lo stesso Ugo Foscolo definì Raimondo Montecuccoli «...il maggiore e il più dotto fra i capitani nati in Italia».
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    11-12 SETTEMBRE 1683: LA BATTAGLIA DI VIENNA. LA LEGA SANTA FERMA I TURCHI (prima parte)
    La grande alleanza, promossa da Papa Innocenzo XI, respinge i musulmani come accadde il 7 ottobre 1571, sotto san Pio V, nella vittoriosa battaglia navale a Lepanto

    ussaro-alato
    Gli Ussari Alati della Polonia: furono l'armata finale che vinse l'offensiva turca.


    Prima di arrivare alla battaglia di Vienna, ci sono delle circostanze storiche da ricordare. Lo scenario politico-militare nella seconda metà del Seicento, il secolo terribile che aveva sconvolto e cambiato per sempre l'Europa, si presenta tutt'altro che pacifico.

    GUERRA DEI TRENT'ANNI

    La Guerra dei Trent'Anni (1618-1648), iniziata come guerra di religione tra protestanti e cattolici, era continuata come conflitto di potere fra la Casa regnante di Francia e quella imperiale degli Asburgo d'Austria. Per raggiungere questo scopo, il primo ministro francese Armand du Plessis, che era anche cardinale della chiesa, cioè il Cardinale duca di Richelieu (sì, lo stesso dei Tre Moschettieri di Dumas), inaugurò una politica fondata sul solo interesse nazionale a scapito degli interessi dell'Europa cattolica, e, in accordo col re di Francia, si alleò coi principi protestanti e con gli ottomani. Questo nonostante il fatto che Richelieu fosse cattolico...

    Richelieu
    Il Cardinale Richelieu: una vita spesa al servizio del Re di Francia.



    LA PACE DI WESTFALIA E I DANNI CONSEGUENTI

    I Trattati di Westfalia (che era una regione tedesca) del 1648 permisero la diffusione della fede protestante, favorendo così l'indifferenza religiosa che abbiamo oggi. Infatti, oggi si pensa: protestanti, cattolici, ortodossi, che importa? Buddisti, animisti, testimoni di Geova, che importa? Tutte le religioni sono uguali, tanto tutti si salvano, tanto quello che conta è l'amore, eccetera. Tutte queste baggianate sono il leit motiv di oggi, e sono dovute, tra le altre cose, anche a questa "pace di Westfalia".

    Questi trattati sancirono l'indebolimento definitivo del Sacro Romano Impero (che era cattolico, ma non poteva più reggere davanti all'indifferentismo religioso) e sulla Germania, devastata e divisa fra cattolici e protestanti e frazionata politicamente. Da qui si sviluppò l'egemonia del re di Francia Luigi XIV, interessato solo al potere, senza più pensare di dover rendere conto a Dio un giorno, proprio come i politici attuali.

    Infatti, la "pace di Westfalia" ha portato alla nascita dello Stato moderno, che decide per conto suo cosa credere e che fede professare. Considera così inutili e irrilevanti tutte le fedi religiose, e considerando se stesso come depositario della verità, ottenendo un potere supremo e assoluto, senza limiti di natura religiosa o morale. Lo Stato diventa così, anche se fosse ufficialmente democratico, potenzialmente una dittatura tra le più feroci e sanguinarie mai uscite dalla storia dell'umanità. Non avendo Dio sopra di sè, si deifica esso stesso, diventando onnipotente e padrone dei suoi cittadini in ogni cosa, sia nei pensieri che nelle cose più intime, nelle loro relazioni, nel loro modo di vivere. Lo si è visto nella terribile e violentissima dittatura sanitaria del 2020. La Pace di Westfalia è, in sostanza, la nascita del Grande Fratello. Se ci si allontana dalla fede cristiana e cattolica ci si avvicina sempre al Grande Fratello.

    Grande-Fratello


    Inoltre, tutti questi "Stati assoluti", non avendo nulla di divino sopra di sè, saranno inevitabilmente in una eterna belligeranza, mantenendo un equilibrio di potere instabile e basato solo sulla pura forza, che porterà alle due Guerre Mondiali.

    Il ruolo dominante raggiunto in Europa dalla Francia spinge il Re Sole ad aspirare alla stessa corona imperiale. Bisogna ricordare infatti che il Re di Francia era solo re, e non imperatore, che ha un'autorità maggiore. E l'imperatore di allora era appunto quello del Sacro Romano Impero, Leopoldo I. In teoria, l'imperatore doveva essere la massima autorità politica del mondo abitato, superiore a tutti i re e superato nel contesto religioso solo dal Papa, essendo vicario di Cristo. Ma la Pace di Westfalia distrusse questa impostazione per sempre.

    In questa prospettiva, Luigi XIV non esita a cercare l'alleanza degli ottomani, indifferente a ogni ideale cristiano ed europeo ("l'empia alleanza", definita dal Papa). Sul finire del secolo, l'Europa cristiana è prostrata e ripiegata su se stessa, fra divisioni religiose e lotte dinastiche, mentre la crisi economica e il calo demografico, dovuti alla guerra, completano il quadro e la rendono oltremodo vulnerabile ai musulmani.
  4. .
    WE WERE SOLDIERS: L'INUTILE CARNEFICINA DELLA GUERRA DEL VIETNAM
    Interpretato da Mel Gibson, il film insegna quali sono le qualità di un vero leader e fa vedere il dramma della guerra per chi resta a casa

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    We were soldiers (2002) racconta la storia del colonnello Hal Moore, interpretato da Mel Gibson, che viene mandato dal generale dell'esercito americano a comandare il settimo battaglione in quella carneficina inutile che è stata la guerra del Vietnam, nella vallata Ia-Drang, ribattezzata "Valle della morte", perchè lì si moriva come mosche.

    Il fatto che questa guerra sia stata un inutile massacro viene fatto capire bene in tutto l'arco del film, quando fa vedere scene dove i soldati, di entrambi le fazioni, pensano alle proprie famiglie, magari guardando le loro fotografie. Nessuno dei due eserciti vorrebbe combattere quella battaglia, ma sono lì per ordini superiori, costretti ad ammazzarsi a vicenda. Questo film, infatti, mostra il dramma della guerra visto anche dalla parte di chi resta a casa: delle mogli e dei figli che temono ogni momento la lettera che riferisca loro che il capofamiglia è morto.

    Inoltre, il film fa riflettere su come, in ogni contesto di grave difficoltà, come lo è una guerra, viene fuori chi sono realmente le persone. Le difficoltà, infatti, non cambiano le persone, così come i soldi e il successo non hanno il potere di farlo, nonostante si dica spesso il contrario. Queste cose, invece, mostrano soltanto chi sei davvero. La prova, come pure la benedizione, mostrano solo chi sei in verità.

    Nel mezzo dei drammi di questa guerra, il film ci mostra l'eroismo di un capo che non abbandona mai i suoi sottoposti. Il colonnello Moore era un vero uomo nella vita e lo è stato anche nella guerra. In lui possiamo vedere le caratteristiche della figura del leader.

    Innanzitutto, bisogna dire che l'autorità di Hal Moore è indiscussa. Nessuno mette mai in dubbio i suoi ordini.

    Noi, ormai, ci siamo abituati ad una società dove l'autorità è stata abbattuta, al grido sessantottino di "niente padri né padroni". Per noi è diventato normale mettere in discussione l'autorità (tranne quando è di sinistra). Ma per i soldati non è così. Fra i militari c'è una rigida gerarchia e nessuno può disobbedire agli ordini dei superiori. L'ambiente militare è forse rimasto l'unico ai giorni nostri dove l'autorità sia presa ancora seriamente. Non si può giocare allo stupido gioco della democrazia lì dove è in ballo la vita delle persone!

    L'AUTORITÀ VA RISPETTATA, A MENO CHE NON VADA CONTRO LE LEGGI DI DIO

    Infatti, se in ambito militare non ci fosse questo tipo di obbedienza, non sarebbe possibile mantenere l'ordine all'interno di una guerra, dove le emozioni e la paura prendono il sopravvento sui singoli e si verrebbe inevitabilmente sconfitti. Per mantenere questo ordine, nei codici penali militari sono previste le pene più severe, compresa la pena di morte (che è stata abolita nel 1994 in Italia). Se disertare da una guerra, dove c'è un alto rischio di morire, fosse punito solo col carcere, molti preferirebbero quello alla guerra. Invece, la pena di morte è un ottimo deterrente per evitare che qualcuno disobbedisca.

    Nel Vangelo stesso sono confermati questi principi. Una volta, un centurione che aveva un servo malato, chiede a Gesù di guarirlo e, nel farlo, fa una professione di fede un po' strana:
    "Anch'io infatti sono nella condizione di subalterno, e ho dei soldati sotto di me, e dico ad uno: "Và!", ed egli va; e a un altro: "Vieni!", ed egli viene; e al mio servo: "Fà questo!", e lui lo fa".
    Gli stava dicendo che, come lui è signore dei soldati che ha sotto di lui e loro obbediscono ai suoi comandi, così Gesù è Signore del mondo e ha il potere di ordinare alla malattia di andarsene dal suo servo e questa gli avrebbe obbedito subito. Gesù, sentite queste parole, non gli dice di mettere dei fiori nei suoi cannoni, o di essere più democratico coi suoi soldati, ma esclama:
    "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!".

    Un altro episodio molto significativo avviene poco prima della crocifissione. Infatti, quando Gesù viene processato, Pilato, il procuratore romano, vedendo che non rispondeva alle accuse, si arrabbia con lui dicendogli:
    "Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?".
    Gesù gli risponde:
    "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto".
    Il potere quindi deriva dall'alto, cioè da Dio, e chi lo esercita fa le sue veci su questa terra. È per questo che l'autorità va rispettata, a meno che non vada contro alle leggi di Dio. Ed è per questo che comandare è un compito di grandissima responsabilità.

    Se quindi l'autorità va ubbidita, chi esercita il potere non deve spadroneggiare sui sottoposti, anzi, al contrario, deve servire tutti.

    Poco prima della partenza, il colonnello Moore fa un discorso davanti ai suoi soldati e alle loro mogli, dove giura che lui sarà il primo a scendere sul campo di battaglia e sarà l'ultimo ad andarsene. E così farà con eroismo durante tutto il corso della battaglia, tanto che che un suo stesso soldato gli dirà di ripararsi un pò, perché, se lui, che è il capo, fosse morto, il battaglione intero sarebbe spacciato.

    SENZA AUTORITÀ NON C'È PIÙ ORDINE, MA CAOS

    Il colonnello continuerà a guidarli, anche quando la situazione sembrerà perduta a causa dell'inferiorità numerica: sempre stando in prima linea fino all'ultimo assalto, con le munizioni quasi finite e le baionette già montate.

    Al contrario, il generale dei vietnamiti se ne sta al sicuro nel suo bunker sotterraneo, mentre manda i suoi uomini a centinaia al massacro.

    Quanto sono diverse queste due concezioni di potere! Entrambi, sia il generale vietnamita che Moore, credono nell'autorità, ma soltanto uno dei due la vede come un servizio e non come un tornaconto personale. Anzi, lui è quello che ha il dovere di impegnarsi più di tutti, di essere padrone di sé anche quando la paura invade i cuori degli altri. È davvero il primo a scendere sul campo di battaglia e l'ultimo ad andarsene, come aveva detto.

    Questa era la concezione di potere che avevano i medievali, quando erano i nobili a fare le guerre e non ci si stupiva di vedere il re di Francia, Luigi IX, combattere e morire nella crociata per liberare la Terra Santa dall'invasore musulmano.

    È la concezione di potere che ha Gesù. Nessuno infatti dubitava della sua autorità fra gli apostoli, tanto che dirà:
    "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono."
    Tuttavia, laverà i piedi ai dodici apostoli, per insegnare loro che lui non esercita questo potere per il suo vantaggio, ma per servirli. E non lo dirà solo a parole, ma lo dimostrerà coi fatti, quando verranno le guardie a catturarlo e lui si farà avanti dicendo:
    "Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano."
    Proteggendo così i suoi apostoli.

    Autorità e servizio non sono dunque in opposizione, ma sono due aspetti complementari che deve avere il superiore, per essere giusto. Senza autorità non c'è più ordine, ma caos, perché ognuno fa ciò che gli pare e non ci si può dirigere tutti verso un unico fine. Ma se il potere non è inteso come servizio, diventa lo strumento per dominare sulle altre persone e quindi non fa il loro bene.

    La storia del colonnello Hal Moore ci fa vedere la figura di un vero uomo e di un vero capo che si spende totalmente per i suoi sottoposti, tanto da arrivare a dire con commozione alla fine della battaglia:
    "Non me lo perdonerò mai... Che i miei uomini sono morti e io no!"

    BIBLIOGRAFIA

    Pietro Guidi - Basta bugie
  5. .
    27 – IERI, OGGI E DOMANI
    (Ieri, oggi e domani: titolo giapponese originale)

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    Siamo all'ora di cena e tutti stanno mangiando a tavola, quando Maria Kutschera domanda la parola, poi dice:
    "Vorrei avere solo della zuppa alla sera fino a Pasqua, niente carne: è un problema?"
    "Ma Pasqua è tra sei settimane. E' sicura? Lei è ancora giovane" chiede Matilda, la governante.
    "Appunto, questo è il periodo di Quaresima, devo fare un pò di penitenza. All'abbazia di Nonnberg mangerei ancora meno."
    Matilda, perplessa, acconsente: "Va bene, ma questo non deve influire sul suo lavoro."
    "Certo" poi lei si alza: "Posso tornare nella mia stanza? Devo fare diverse cose, ora che ho un pò di tempo."
    "Certo, Frau Maria" risponde il Barone.
    Joanna e Maria Von Trapp chiedono a Frau Maria di se possono venire a trovarla più tardi, e lei acconsente: poi se ne va.

    Alla fine, nella camera di Maria ci vanno tutti, anche il Barone, incuriositi (l'unica assente è Matilda): la vedono che sta ricamando una tovaglia.
    "Perchè lo fa?" chiede il Barone.
    "Quando lo finirò, lo manderò all'Abbazia di Nonnberg, che potranno venderlo e i soldi guadagnati serviranno alle suore."
    "Ma lei sta già mandando parte del suo salario a Nonnberg!"
    "Sì, ma questa è una cosa diversa. Ho deciso di fare questo lavoro per 40 giorni e di finirlo entro Pasqua."
    Joanna e Maria, le figlie del Barone, vorrebbero fare qualcosa anche loro, e dicono:
    "Noi decidiamo di alzarci 30 minuti prima, così andremo con Frau Maria in chiesa a Igen tutte le mattine"
    "Mmm, è una cosa noiosa" esclama Werner, uno dei fratelli, ma il padre lo rimprovera. Poi si rivolge a Joanna e Maria:
    "Mi sembra una buona idea, così fate anche un pò di moto."
    "Quando farà più caldo, vorrei fare un pò di escursionismo con Frau Maria: intanto faccio pratica". dice Maria, la ragazza.
    Intanto, Matilda, contrariata del fatto che tutti si siano recati nella camera di Frau Maria - i contatti dovrebbero essere al minimo, secondo lei - va da loro. Gli altri ragazzi continuano a parlare: chiedono a Frau Maria: "Cosa potremmo fare noi?"
    "Non so, c'è qualcosa che vorreste fare?"
    "Donare soldi?" chiede Werner.
    "Si può fare, ma non è una cosa che ti coinvolge personalmente. Il sacrificio dev'essere personale, oltre che voluto."
    "Cosa dovrei fare, allora?"
    "Prova a sopportare qualche piccola difficoltà, quando ti capita, per esempio."
    Arriva Frau Matilda, che dice che dovrebbero andare a dormire. "Dovreste anche mettervi a studiare, adesso" aggiunge.
    "Frau Matilda" le risponde Hedwig "Se lei non mangia il suo cioccolato preferito per 40 giorni, allora potrei studiare di più, in cambio."
    Matilda è imbarazzata, ma poi scatta: "Cosa vuoi fare, un ricatto? Và a letto, e anche tutti voi!"

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    Le giornate passano: Agatha, la bambina più piccola, fa ancora la pipì a letto e per questo viene sculacciata da Matilda. Frau Maria accompagna Maria, la ragazza, e Joanna in chiesa, poi le porta a scuola, dove salutano i loro fratelli che escono (le due ragazzine sono ancora troppo giovani per andare a scuola). Mentre camminano, cantano delle ballate tirolesi:

    It's spring and we're singing on the meadows (E' primavera e cantiamo sui prati)
    and it echoes through the mount of Tyrol. (davanti ai monti del Tirolo.)
    The talking duck sings a wonderful chorus, (L'anatra parlante canta un coro meraviglioso,)
    wagging his butt and singing quack quack. (agitando il sederino e cantando quack quack.)
    The woodpecker in the grove is good at drumming (Il picchio nel boschetto è bravo a suonare il tamburo)
    it plays from early morning without getting tired, (suona dal primo mattino senza stancarsi)
    the naughty lamb is good at the polka. (l'agnello birichino è bravo nella polka.)


    Alla sera si riuniscono nella camera di Frau Maria: Hedwig ricama assieme a lei e parlano insieme.
    "Come vanno i tuoi studi, Rupert?" chiede Frau Maria.
    "Bene, ma devo impegnarmi di più, gli esami sono vicini."
    "Sono sicuro che sarai un bravo medico."
    "Non ha ancora passato l'esame, però" obietta Hedwig.
    Rupert si offende e Frau Maria cerca di mediare: "Non sappiamo cosa accadrà nel futuro, l'importante è fare del proprio meglio."
    "E' vero, scappata di casa!" ribatte Rupert, rivolgendosi ad Hedwig e facendole ricordare quella volta che era scappata via da casa. Hedwig si infiamma e Frau Maria la calma dicendo:
    "Anch'io ero scappata di casa da ragazza."
    Gli altri si incuriosiscono.
    "Anche tuo padre voleva risposarsi?" chiede Joanna.
    "No, mio padre era già morto allora: vivevo con mio zio"
    "Allora perchè eri scappata?"
    "Quanti anni avevi?"
    "Avevo 14 anni allora, come Rupert."

    La scena si sposta in un flashback: si vede una giovane Maria che cammina arrabbiata, uscendo fuori da scuola e inseguita da una sua amica, Annie, che le chiede:
    "Che è successo, Maria? Tuo zio ti ha picchiata ancora?"
    Lei sospira.
    "E' sempre peggio. Gli avevo detto che avrei superato l'esame di ammissione alla scuola degli insegnanti...io ci volevo andare! Ma lui mi ha detto: "Come può una ragazzina come te guadagnare abbastanza soldi per lavorare in una scuola così costosa?"
    "Bè, effettivamente quella scuola è a Vienna, per forza che la retta sarà alta..."
    "Ma mio zio potrebbe pagarmi la retta, però non vuole. E io di soldi non ne ho. Cosa posso fare?"
    "Potresti andare a Senmelink. E' un'area di svago per persone ricche: potresti trovare del lavoro lì. Io ci vivo con mia madre, potremmo ospitarti."
    "Ma mio zio non accetterà mai che ci vada. Dovrò scappar via da casa."
    Maria, a casa dello zio, fa le valigie e si incammina in silenzio. Entra nella camera da letto dello zio, dove lui sta facendo il suo sonno pomeridiano: gli prende le monete che erano sul comodino, scusandosi col pensiero: "li prendo solo per il treno". Poi vede il frustino appeso alla parete, lo stesso frustino che lo zio aveva usato diverse volte su di lei per picchiarla. Lo prende e lo porta via. Saluta la zia:
    "Abbi cura di te, Maria" dice lei.
    "Nessuno deve sapere che sto partendo. Se lo zio Siegfried lo venisse a sapere, ti picchierebbe."
    "Mi spiace che tu sia costretta a fare così. Vai, spero che tutto vada bene."
    Maria sale sul treno, che parte: durante il viaggio, apre il finestrino e butta via il frustino dello zio.

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    Si torna al presente: il Barone entra e chiede se può partecipare.
    "Certo."
    "Grazie: siccome fa caldo, non me la sento di andare a dormire troppo presto."
    Poi entra Mimì, la cameriera, che insegue Agatha, la bambina più piccola: il barone la raccoglie. "Che è successo?"
    "La signorina Agatha si è alzata ed è andata in bagno, e ha svegliato la signorina Martina."
    Infatti arriva anche lei, con l'eterno orsacchiotto in mano.
    "Non preoccuparti, Mimì: le porto io a letto" risponde il Barone.
    "Va bene."
    Dopo che Mimì si è allontanata, chiedono a Maria: "E dopo che è successo?"
    Il Barone la guarda con aria interrogativa e Frau Maria spiega: "Sto raccontando di quando ero scappata via di casa da ragazza. Ero andata al posto dove viveva la mia amica Annie, a Semnelink."

    Si torna al passato: Maria e Annie si siedono a un tavolo, osservando la mamma di Annie, che stira delle tovaglie. Mentre lo fa, spiega a Maria:
    "Ho perso mio marito, ma da quando vivo qui stiamo andando bene: ci sono molti hotel qui, dove vivono i ricchi, e la biancheria da lavare e stirare è tanta. Quindi il lavoro, e il guadagno, non mi manca."
    "La mamma è molto brava nei lavori di lavanderia" dice Annie "ha molte ordinazioni."
    "Anche Annie fa del lavoro part time" spiega la madre.
    "Anch'io vorrei trovare lavoro" dice Maria, che, il giorno dopo, va alla reception di un albergo.
    "Cosa può fare lei?" chiede l'uomo.
    "Potrei insegnare ai bimbi: sto studiando per diventare insegnante."
    "Non so, provi a venire dopodomani."
    Da ogni parte, Maria riceve quasi la stessa risposta. Alla sera, è demoralizzata. La madre di Annie gli dà una zuppa calda:
    "Coraggio, Roma non l'hanno fatta in un giorno."
    Ad un certo punto, arriva un fattorino:
    "E' qui Maria Kutschera?"
    "Sì, sono io."
    "Il mio direttore vorrebbe vederla domani."
    "Davvero? Verrò!" Maria è felice: le avranno trovato un posto da insegnante da qualche bambino?

    "Conosci il tennis?" le chiede il direttore, e Maria è spiazzata: non ha mai seguito il tennis.
    "Ehm...perchè me lo chiede?"
    "Il giudice di gara si è ammalto e ne abbiamo bisogno per le partite di stasera."
    "Allora va bene."
    Visto che non sapeva niente di tennis, aveva chiesto al cameriere dell'albergo di informarla sulle regole base. Da lì, acquista abbastanza nozioni per diventare una buona giudice di gara. Tutto andava bene, quando, un sera, Maria vede all'improvviso, sul campo da tennis, suo zio, che l'aveva rintracciata. Gli si avvicina, e lei è spaventata al pensiero di quello che potrebbe fargli. Ma lui le dice:
    "Non aver paura. Ero venuto qui perchè volevo vedere cose stavi facendo. Visto che stai bene, ora torno a casa."
    Poi si allontana senza aggiungere altro. Da allora, Maria non lo vide mai più: era da tempo che soffriva di nevrosi, cioè particolari malattie mentali - una cosa che lo rendeva violento - e da allora fu ricoverato in ospedale. Maria continuò la sua attività, facendo anche la baby sitter, e alla fine guadagnò abbastanza da iscriversi al Collegio Insegnanti di Vienna.

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    Il racconto di Frau Maria si conclude e tutti sono silenziosi. Il Barone, ad un certo punto, dice:
    "Frau Maria, penso di fare qualcosa anch'io per la Quaresima: niente pipa e niente sigaro, e darò le spese al convento di Nonnberg."
    Un altro dice che studierà un'ora di più. Ma ad un certo punto, sono tutti spaventati: Agatha, che è la bambina più piccola, ha in mano un paio di forbici e con quelli taglia il ricamo di Frau Maria. Lei è spaventatissima, perchè la bambina potrebbe tagliarsi: ma lei non le vuole dare le forbici. Però ad un certo punto le cadono, e per fortuna senza far male a nessuno. Maria tira un gran sospiro, mentre Agatha viene raccolta dal Barone.
    "Mi spiace, Frau Maria, la bambina le ha rovinato il lavoro" dice lui."
    "Non importa, ricomincerò domani."

    I GENITORI DI MARIA

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    In questa storia abbiamo l'unica immagine dei genitori di Maria, che erano morti - non si sa bene come - mentre lei era ancora piccola.
  6. .
    26 – SCAMBIO DI DONI
    (Titolo originale giapponese: Arance e piantine di fiori)

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    Il Barone Von Trapp, i suoi figli e la governante Maria Kutschera tornano alla villa dopo che sono stati alle Alpi: il maggiordomo li riceve e con lui c'è Franz, il giardiniere. Maria va da lui e gli dice che ha avuto da Joseph, il maggiordomo del Conte di Belvedere (il padre di Yvonne, la fidanzata del Barone), delle piante del giardino del Conte e vorrebbe metterle nei vasi. Franz le osserva incuriosito: "Sono piantine delle Alpi, molto belle" "Joseph me le aveva regalate come souvenir", spiega Maria.

    Intanto, Werner, uno dei figli del Barone (il più movimentato), che si era storto un piede mentre sciava, chiede a Franz di aiutarlo a scendere dalla macchina. Il giardiniere lo aiuta e gli dice:
    "Anche tu ti sei portato un souvenir dalle alpi, vero?"
    "Era stata una ferita onorevole" dice lui con puntiglio.
    "Davvero? A me avevano detto che eri caduto in un buco mentre sciavi."
    "Eh? Cosa? Ma, no, non...cioè...come fai a saperlo? Glie l'ha detto lei, Frau Maria?"
    "No, no, non sono stata io" replica lei sorridendo.

    Nel frattempo, Matilda, la baronessa, va incontro al Barone Von Trapp, che è nel suo studio: vuole sapere perchè sono tornati così presto dalle Alpi.
    "E' successo qualcosa?" chiede lei.
    "No, nulla di grave, Frau Matilda: purtroppo, Lady Yvonne ha preso l'influenza e non è potuta venire. Quindi avevamo deciso di tornare alla villa."
    "Si è ammalata a Vienna?"
    "No, durante il viaggio. Ora è a Klagenfurt, a casa di sua zia. La conosce?"
    "La zia di Yvonne? Dev'essere la sorella della prima madre. La madre di Yvonne era morta presto e il Conte suo padre si era risposato." "Capisco."

    Intanto, in una rimessa, il giardiniere Franz prepara i vasi e la terra per piantare i fiori, davanti agli occhi di Maria Kutschera e delle due bambine Maria e Joanna.
    "Il clima qui è diverso da quello delle Alpi" spiega il giardiniere "e anche il terreno lo è. Potrebbero non crescere bene."
    "Infatti è meglio per me vederli dal vivo in montagna" conferma Frau Maria "ma, siccome Joseph è stato così gentile da regalarmeli, vorrei provare a piantarle."
    "Spero che fioriscano. Chissà che fiori saranno?" si chiede Joanna.
    Frau Maria raccoglie uno dei fiori: si tratta solo di una piantina non ancora fiorita, ma lei sa già che tipo di fiore è. "Questa è una rosa delle Alpi" spiega "Dovrebbe fare dei fiori color rosa scuro." ù
    "Oh, è un tipo di rosa allora?" chiede Maria, la ragazzina.
    "Non conosco molto i fiori di montagna" osserva il giardiniere "ma quella piantina ha le foglie che somigliano a quelle delle azalee."
    "Infatti" conferma Frau Maria "La chiamano rosa, ma per la verità è un tipo di azalea."
    "E quella?" chiede Joanna.
    Frau Maria la raccoglie. "Questa, con delle foglie fatte così, dovrebbe avere dei fiori simili al giglio."
    "Li conosci bene!" dice Maria, la ragazzina, sorpresa.
    "Li ho conosciuti quando facevo le mie escursioni in montagna."
    "Quindi Frau Maria fa alpinismo" osserva il giardiniere.
    "Sì. Quando mi arrampicavo sulle montagne, e vedevo i piccoli fiori spuntare fuori dalla neve, mi sembrava che mi salutassero."
    "E ti dicevano ciao?" chiede Joanna, divertita.
    "Certo, e anche: "sono lieta di conoscerti", con un inchino!"
    Joanna ride e poi dice che vorrebbe arrampicarsi anche lei su una montagna.
    "Lo faremo a primavera" dice Frau Maria.
    Ma la ragazzina, l'altra Maria, dice triste che non potrà farlo, visto che è stata debole di cuore.
    "Ti sbagli, puoi farlo anche tu. Arrampicarsi irrobustisce il cuore" replica la Kutschera.
    "Davvero?"
    "Certo, anzi, ti prometto che lo faremo prima che io torni all'abbazia di Nonnberg"
    L'altra Maria, nel sentirlo, è un pò triste. Perchè mai Frau Maria deve tornare in quell'abbazia?

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    Un pò più tardi, Maria Kutschera, nella sua stanza, mette la piantina della rosa delle Alpi sulla finestra. Ma una folata di vento improvvisa la mette in imbarazzo: il barone Von Trapp, che era appena entrato nella camera di Maria, vede la scena e ne rimane colpito. Poi si riprende e si rivolge a lei: "Frau Maria, le vorrei parlare."
    "Ah, Barone, mi dica."
    "Vorrei andare a visitare Yvonne, che si è ammalata, e pensavo di portare uno dei miei figli con me. Che ne pensa?"
    "Non so, bisognerebbe chiederlo a loro."

    Si riuniscono tutti nel tavolo della biblioteca, e, dopo che il padre spiega le sue intenzioni, segue un silenzio pesante. Lui cerca di rompere l'imbarazzo:
    "Vi siete divertiti tutti a casa sua, dove avete sciato. Non c'è nessuno che vuole venire con me?"
    Werner e Joanna verrebbero volentieri, ma Hedwig, la sorella maggiore e la più contraria in assoluto al nuovo matrimonio del padre, obietta: "No. Se andiamo a trovarla, significa che approviamo il suo matrimonio con papà."
    "Hedwig" spiega bruscamente Matilda, la governante "tuo padre è già fidanzato con Yvonne. E' già tutto stabilito. E' inutile mettersi contro il suo matrimonio"
    "Può rompere il fidanzamento!" risponde Hedwig.
    "Non può farlo."
    "Non è giusto" dice la figlia Maria.
    Ma Frau Maria precisa: "Vostro padre vuole che abbiate un buon rapporto con Yvonne, e andare a trovarla e vedere come sta è una buona opportunità per cominciare"
    "Esatto" insiste Matilda "E poi voi avete bisogno di una madre."
    "Ma lei ha detto che non vuole diventare nostra madre" la contraddice Maria, la ragazzina.
    "Ricordate che Yvonne aveva perso sua madre da giovane" dice il barone "e suo padre si era risposato. Dopo le sue esperienze, non vuole costringervi a vederla come una madre."
    "Sì" conferma Frau Maria "Penso che Yvonne sia una persona onesta, non dice bugie".
    Ma, a sentire questo, Maria, la ragazza, non ce la fa più e sbotta:
    "Ma tu...perchè la difendi? Perché prendi le sue difese?” Maria inizia a piangere “Forse perché vuoi tornare all’abbazia di Nonnberg? Perché vuoi tornare indietro? E’ per questo che vuoi lasciarci a Yvonne?”
    Frau Maria, sorpresa della sua reazione, nega, ma la ragazza scoppia in pianto.

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    Poco dopo, il Barone sta per partire: sale in macchina con un mazzo di fiori, mentre Matilda lo segue.
    “Tra poco i bambini torneranno a scuola" spiega Matilda "Non voglio che prendano anche loro l’influenza. Quindi è meglio se ci vai solo tu, Georg.”
    “Capisco.”
    Ad un certo punto, arriva Frau Maria, con un vaso di fiori in mano: “Signor Barone, questa è una rosa alpina. Potrebbe portarla a Yvonne come regalo da parte dei bambini?”
    “Va bene.”
    Georg entra in macchina.
    “Faccia attenzione. Mi spiace di avervi fatto preoccupare” dice Maria Kutschera, e il barone apre il finestrino: “Intende per mia figlia Maria?”
    “Sì. Sono sicura che lei capirà: si tratta di un’incomprensione.”
    Il Barone la guarda per un momento in silenzio, quasi con aria di rimprovero: non è stata un’incomprensione, e nelle accuse della ragazza c’era qualcosa di vero. La Kutschera è imbarazzata.
    “Ehm…”
    “Deve andare” dice Matilda, seccata “se no il sole tramonterà quando arriva”.
    Von Trapp chiude il finestrino e parte.
    “Buon viaggio, capitano” lo saluta Frau Maria.

    Il Barone arriva al castello della zia di Yvonne, la Baronessa Grindewald, dove la nipote ora si sta riposando. Dopo un po' di attesa, la Baronessa lo riceve. Von Trapp si alza e la saluta, baciandole la mano.
    “Come sta, Baronessa Grindewald? Sono il Barone Georg Von Trapp.”
    “Lieta di conoscerla. Grazie per essere venuto a trovare Yvonne. Prego, si sieda.”
    “Come sta?” chiede Von Trapp, ma lei non gli risponde. E cambia discorso, dicendo:
    “Lei è il leggendario eroe, giusto?”
    Il Barone non sa cosa dire, e lei riprende:
    “Quando le è stato conferito il medaglione dell’ordine di Maria Teresa, tutti ne hanno parlato.”
    “Sì…” risponde lui, imbarazzato.
    “Che mare era?” continua lei, e Von Trapp ci mette un po' a capire che lei si riferisce al luogo della battaglia, quella che gli aveva poi permesso di avere l’onorificenza.
    “Ehm…il mare Adriatico, Baronessa.”
    “Avete eliminato tutti i nemici col sottomarino. Siete quasi diventato un Generale della Marina, avevate vinto al battaglia….ma poi l’Austria ha perso la guerra” conclude con un sospiro.
    Von Trapp è imbarazzatissimo e non sa più che dire. Per fortuna arriva Yvonne, in vestaglia, a salvarlo:
    “Zia, con queste storie lo metti in imbarazzo.”
    Von Trapp, sollevato, la saluta e lei riprende: “Mi spiace che mia zia vi abbia stancato coi suoi ricordi.”
    “No, ecco…”
    La Baronessa si alza e li saluta: “Capisco. Andrò via adesso. Signor Barone, faccia come se fosse a casa sua.” Poi si allontana e i due restano soli.

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    Yvonne tossisce e il Barone le cinge le spalle.
    "Stai bene? E' meglio se ti stendi a letto"
    "Tu sei venuto a trovarmi, non voglio incontrarti mentre sono a letto."
    Yvonne si siede e il Barone le dà i fiori.
    "Questi sono per te."
    "Oh, grazie!"
    "E questo è da parte dei bambini."
    Yvonne fissa il regalo in silenzio.
    "E' una rosa alpina, deve fiorire" spiega il Barone.
    "Non puoi mentirmi, Georg. Non è opera dei bambini questa. E' di Frau Maria."
    "No, er, i bambini erano andati a sciare alla tua residence e volevano ringraziarti..."
    "Ti sembro davvero così stupida, Georg?" Poi tossisce ancora, e il barone la accompagna a letto.

    "Stai meglio adesso?" chiede lui.
    "Sì, si tratta solo di un pò di tosse. In fondo sono felice di essermi ammalata, perchè sei venuto a trovarmi e possiamo stare un pò da soli. Quando ci saremo sposati, potremo vivere sempre da soli, no? Senza essere disturbati da nessuno. Potremmo mandare i bambini al collegio scolastico per nobili a Vienna. Anzi, perchè non andiamo a vivere a Vienna?"
    "Non so..."
    "I bambini più grandi possono andare alle scuole superiori, mentre i più piccoli possono essere affidati a una nutrice. E le altre ragazze possono benissimo occuparsi di se stesse, giusto?" Il Barone non risponde e lei continua: "E' divertente passare il tempo al collegio scolastico: lì gli insegnanti e gli studenti sono tutti di famiglia nobile. Non possono avere la giusta educazione per essere nobili se continuano a vivere in famiglia..."
    "Yvonne" la interrompe Von Trapp "non ho intenzione di mandare via i bambini in un collegio scolastico"
    La donna, allora, cambia disco: "Non intendevo mandarli via, anch'io vorrei stare con loro."
    "Se vogliono andare in un collegio scolastico, allora va bene, ma non posso dire loro di andare lontano da casa."
    Yvonne è contrariata, ma non lo dà a vedere.
    "Vuoi un pò di frutta?" chiede lei, cambiando discorso "Abbiamo delle arance di serra."

    Nello stesso tempo, nella villa di Von Trapp, Maria Kutschera toglie la pianta di rosa alpina dalla finestra e la mette in camera.
    "E' più caldo qui dentro, vero? Cresci in fretta."

    Tornando da Yvonne, lei sbuccia l'arancia usando le posate, stando a letto e usando in vassoio da letto.
    "Ho sentito che gli aranci fanno bene a chi ha l'influenza".

    Mentre mangia gli spicchi di aranci, torniamo a Frau Maria, che suona la chitarra davanti al Maria Von Trapp, che è a letto. E canta: "Dormi, dormi sul petto di tua madre, dormi nelle mani di tua madre, il suono di un cuore gentile che sta per avere un sogno felice" Ma Maria, la ragazza, non riesce a prender sonno. Frau Maria mette giù la chitarra e le chiede:
    "Maria, ti senti sola?"
    "Io sono sola!"
    "Anche se io trovo qualcosa di buono su una persona che non ti piace, come Yvonne, questo non significa che tu per me non sia più importante. In Yvonne avevo trovato qualcosa di buono e l'ho accettato: certo, è difficile farlo su qualcuno che non ti piace. Di solito, delle persone che non ti piacciono ricordi solo le cose negative e su quelle che ti piacciono solo le positive. Bisogna guardare tutto, invece, e amare le persone così come sono."
    Saluta Maria, spegne la luce e si allontana.
    "Buonanotte, Maria"
    "Buonanotte, maestra Maria".

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    La mattina dopo, la macchina di Von Trapp si allontana dal castello della Baronessa Grindewald. Quest'ultima si reca nella camera di Yvonne, che si è ripresa e si sta pettinando allo specchio.
    "Il capitano Von Trapp è tornato a casa sua. Che è successo allora tra voi due?"
    Yvonne appoggia la spazzola. "Non vuole mandare i suoi figli in collegio."
    "Capisco. Dunque il leggendario eroe è anche un uomo che tiene alla sua famiglia."
    "Io non ho nessuna intenzione di vivere in mezzo ai suoi sette figli!"
    "Sei incontentabile. Non puoi pretendere che un uomo con sette figli sia uguale a uno scapolo."
    "Ma, zia, io non posso pensare ad altri che a Georg!"
    "Bè, è un buon partito, non lo nego. Ma non puoi trascurare quello che pensano i figli di lui."

    Il Barone è pensieroso per tutto il viaggio. Quando arriva a casa, li trova a pranzo. Tutti lo salutano, e Von Trapp dice:
    "Vedo che sono arrivato in tempo per il dessert."
    Tira fuori da un sacchetto degli aranci e li getta a tutti quelli che sono a tavola, uno per uno, compresa Matilda e Frau Maria. Matilda è sorpresa, mentre Frau Maria è in qualche modo sollevata. E tutti ridono insieme.

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    COMMENTI

    E' da notare il compianto della Baronessa Grindewald riguardo alla fine dell'Austria. Infatti, nel 1918, dopo la fine della I Guerra Mondiale, l'Impero Austro-Ungarico scompare. Esisteva da ben più di mille anni, cioè sin dai tempi di Carlo Magno, con la figura dell'Imperatore d'Austria che era - almeno ufficialmente - al di sopra di tutti i Re d'Europa. L'Austria, da Impero, divenne una Repubblica.

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    Carlo I d'Asburgo, l'ultimo Imperatore d'Austria, morto in esilio. Fu proclamato Beato da Papa Giovanni Paolo II.


    Anzi, il periodo storico di Maria Kutschera e Von Trapp è quello in cui avviene in Germania la salita al potere di Hitler, e manca poco all'Anschluss (1938), cioè l'annessione dell'Austria alla Germania nazionalsocialista hitleriana. E sarà proprio in Austria che saranno costruiti da Hitler vari campi di concentramento, tra cui quello tristemente famoso di Mauthausen (quello di Auschwitz fu costruito in Polonia). Il futuro dell'Austria a quei tempi, sotto un aspetto di tranquillità, era buio.

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    Il modo di Yvonne tagliare l'arancia con le posate è quello richiesto dalle regole di galateo, quando si è a tavola con persone di un certo livello.

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  7. .
    PARADISO CANTO 10 - QUARTO CIELO DEL SOLE - I 12 SPIRITI SAPIENTI DELLA PRIMA CORONA: PIETRO LOMBARDO, SALOMONE, DIONIGI L'AREOPAGITA (quarta parte)

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    Dante e Beatrice con Tommaso D'Aquino (il primo a sinistra) e gli altri Spiriti Sapienti.


    Siamo sempre nel Quarto Cielo del Sole, dove San Tommaso d'Aquino presenta a Dante i Dodici Spiriti Sapienti della Prima Corona: oltre a lui, ci sono Sant'Alberto Magno, che era stato il maestro di Tommaso d'Aquino, e Graziano, che ha dato le basi del diritto canonico (per capire l'importanza del diritto canonico, si legga il precedente articolo).

    Prima di continuare la presentazione, Dante si interrompe un momento, facendo una considerazione: davanti a Dio, noi siamo tutti uguali, ma Dio conosce la realtà per come essa è. E, se davanti a Dio siamo tutti uguali, siamo nello stesso tempo tutti diversi. Lo può vedere anche chiunque guardi le persone attorno a sè: non ne troverà mai due uguali, neanche tra gemelli, che hanno sì un corpo simile, ma comportamenti diversi. Gli uomini, per disposizione divina, sono tutti infallibilmente diversi e nessuno, neppure i gemelli monozigoti, può considerarsi la fotocopia di un altro. Sin dal primo uomo esistito sulla Terra, tutti hanno un DNA diverso e impronte digitali uniche. Nessuno è la fotocopia di un altro.

    Se la diversità è ricchezza, la somiglianza si accompagna sempre alla dissomiglianza, altrimenti sarebbe sterile identità. E se alcuni uomini sono intelligentissimi e sapienti, molti sono semplicemente brillanti, abbondanti poi sono i mediocri e certuni sono piuttosto sciocchi. Tra mille animali della stessa specie, come mille delfini o mille scoiattoli, le somiglianze superano evidentemente le differenze; così come tra mille automobili o tra mille computer. Ma tra mille uomini, le somiglianze di partenza (un corpo, un’anima, un intelletto uguale per tutti) divengono presto universi interiori di irriducibile complessità, unicità e bellezza.

    A livello di grazia, di fede e di virtù è esattamente lo stesso. Siamo tutti peccatori? Sì, ma in modo certamente diverso. Alcuni hanno vinto il peccato e si sono santificati, certe volte già in tenera età. Alcuni hanno dato la vita per Dio, la patria e i fratelli. Altri hanno tolto la vita al prossimo, uccidendo. Alcuni vivono nella fede e nella grazia di Dio, altri sono del tutto senza fede, senza speranza e in disgrazia di Dio. Anche tra i santi poi, alcuni sono più autorevoli di altri (per scienza, dottrina e ruolo), e la Chiesa ha sempre ammesso una gerarchia celeste tra i santi e tra gli angeli, ma anche all’inferno tra i dannati e i demoni, come a livello letterario ha mostrato Dante.

    PIETRO LOMBARDO, "MAGISTER SENTENTIARUM"

    Ora, Tommaso D'Aquino continua la presentazione: il prossimo è Pietro Lombardo.

    L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, (L'altro che dopo di lui abbellisce la nostra schiera,)
    quel Pietro fu che con la poverella (fu quel Pietro Lombardo che, come la poverella del Vangelo,)
    offerse a Santa Chiesa suo tesoro. (offrì alla Santa Chiesa ogni suo avere.)

    La "poverella del Vangelo" citata da Tommaso è il personaggio descritto nel Vangelo di Marco e di Luca: si tratta della "povera vedova" che gettò nel tesoro del Tempio solo due spiccioli: una miseria, rispetto alle grandi cifre che versavano gli altri. Ma Gesù la elogiò dicendo che lei aveva dato più di tutti gli altri: quei due spiccioli infatti erano tutto quello che lei possedeva, mentre gli altri avevano versato solo del loro superfluo.

    Pietro Lombardo nacque nel 1100 a Novara, in Lombardia (da qui l'appellativo "Lombardo"). Si fece prete e studiò a Bologna, insegnando poi a Reims. Fu nominato vescovo di Parigi, dove morì e dove il suo corpo riposa - ma non è sicuro - nella chiesa di Saint Marcel. Il suo epitaffio fu distrutto dagli Illuministi durante la Rivoluzione Francese, nel loro odio anticristiano: una cosa di cui non si parla mai.

    Nel corso dei suoi anni di insegnamento, il Lombardo si era dedicato all'esegesi biblica, cioè all'analisi della Bibbia, scrivendo il commento alle Lettere di Paolo e ai Salmi. Ma la sua opera più famosa, quella a cui si riferisce Dante, è il "Libro delle Quattro Sentenze". Ha diversi altri nomi: Libri Sententiarum, o Libri Quatuor Sententiarum, o Sentantiae. Si tratta di quattro libri che raccolgono le più importanti "sentenze": cioè le analisi più autorevoli sui passi della Bibbia, realizzate da persone di grande fede e cultura come Sant'Agostino, Sant'Ambrogio, eccetera. Fu un'opera gigantesca, che gli valse l'appellativo di "Magister sententiarum", cioè Maestro delle sentenze.

    Anche se era in sostanza una raccolta di fonti, riflessioni, osservazioni, analisi, fu un'opera fondamentale per riassumere tutta la fede cristiana con le citazioni dei Padri della Chiesa, che sono i dottori molto eminenti e santi che gettarono le basi della comprensione della fede cristiana. L'opera di Pietro Lombardo fu molto usata ed elogiata da santi come Bonaventura, Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Queste "Sententiae" non erano state le prime del suo genere, ma sono le più chiare e ordinate di tutte le precedenti, diventando un trattato fondamentale per la Chiesa. Sarà sostituito successivamente dalla Summa Theologica di Tommaso d'Aquino.

    I versi di Dante alludono alle parole del prologo delle Sententiae, in cui il Lombardo diceva di "voler offrire alla Chiesa il suo piccolo tributo, come fece la povera vedova del Vangelo" (Luca 21, 1-4). Anche se questo contributo fu tutt'altro che "piccolo". Il primo libro trattava della Divinità, il secondo della Creazione, il terzo dell'Incarnazione e della Redenzione, il quarto dei Sacramenti e il fine ultimo (cioè la Beatitudine futura). Seguendo quest'ordine, fu stabilito il piano di studi teologici di allora, fino al Rinascimento e oltre.

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    Pietro Lombardo che scrive i "Libri delle quattro sentenze", o "Libri Sententiarum"



    RE SALOMONE

    Ora Tommaso d'Aquino presenta a Dante il quinto spirito della corona dei beati, "la quinta luce": Re Salomone, rispetto al quale nessuno fu più sapiente.

    La quinta luce, ch’è tra noi più bella, (La quinta luce, che è la più bella fra noi,)
    spira di tal amor, che tutto ‘l mondo (spira di un tale amore che tutto il mondo)
    là giù ne gola di saper novella: (desidera conoscere il suo destino:)

    entro v’è l’alta mente u’ sì profondo (dentro vi è l'alta mente dove fu infuso un sapere così profondo,)
    saver fu messo, che, se ‘l vero è vero (che, se le Scritture dicono il vero,)
    a veder tanto non surse il secondo. (non ci fu un uomo più saggio di lui (Salomone).

    Il nome di Salomone, a differenza degli altri presentati prima, qui non viene pronunciato. Inoltre, Dante, parlando del fatto che nel mondo si desidera sapere il destino di Salomone, si riferisce al dubbio sulla sua salvezza. Infatti, alla fine della sua vita, per lussuria senile, re Salomone seguì le donne di altre religioni, insieme ali loro dei, nonostante l'ammonimento che gli diede Dio due volte (Primo libro dei Re, capitolo 11, dal versetto 1 al 10). Il re biblico è definito qui come "l'uomo più saggio mai vissuto": ma solo in riferimento alla gestione del regno, come gli spiegherà poi Tommaso d'Aquino nel Canto successivo.

    Salomone (961-922 a.C.), figlio del re Davide, fu re d'Israele. Grazie all'aiuto del profeta Natan, iniziò un lungo e prospero regno, in cui rafforzò militarmente lo Stato d'Israele e promosse i commerci. Portò a termine la costruzione del grandioso Tempio di Gerusalemme (di cui oggi rimane solo il Muro del Pianto, dopo la distruzione di Gerusalemme per opera dei Romani). All'inizio del suo regno, Dio appare in sogno a Salomone e gli chiede cosa desideri: il sovrano risponde di desiderare la sapienza per poter giudicare con giustizia il popolo di Israele, e Dio gliela concede. Ricordato come re giusto e saggio, a Salomone si attribuiscono i libri biblici dei Proverbi, il Qoelet, detto anche Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e la Sapienza.

    Egli stesso è protagonista di alcuni passi biblici, tra i quali il più famoso è quello del giudizio tra due donne che reclamano la maternità di un solo bambino: il re scopre chi è la vera madre, fingendo di voler tagliare il neonato in due con una spada e di dare metà del neonato a ciascuna. Una delle due donne accetta la proposta, mentre l'altra, piangendo, dice di non farlo e di darlo all'altra donna, perchè non vuole che muoia il bambino. Da qui Salomone capisce che la vera madre è la seconda, perchè nessuna madre vuole vedere morto il proprio figlio (Primo libro dei Re, Capitolo 3, versetti 16-28).

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    Il giudizio di Salomone.



    DIONIGI L'AREOPAGITA

    Tommaso d'Aquino continua la presentazione: lo spirito successivo è Dionigi l'Areopagita, autore di un'opera sull'angelologia (lo studio sugli angeli): il De coelesti Hierarchia, cioè "Sulla gerarchia celeste", che sarà la base dell'angelologia dantesca.

    Appresso vedi il lume di quel cero (Vicino vedi la luce di quel cero (Dionigi l'Areopagita)
    che giù in carne più a dentro vide (che quando era vivo vide più addentro di ogni altro)
    l’angelica natura e ‘l ministero. (la natura e la funzione degli angeli.)

    Dionigi nacque ad Atene e visse nel I sec. d.C. Era uno dei giudici dell'Areopago, che era il più antico tribunale di Atene, presso l'Acropoli (la "città alta" di Atene). Dionigi era anche membro di una famiglia aristocratica. Si convertì al cristianesimo, dopo aver sentito il discorso pronunciato da S. Paolo, proprio nell'Areopago di Atene (da qui il suo soprannome Areopagita). La scena è narrata negli Atti degli Apostoli:

    "Quando sentirono parlare di resurrezione di morti, alcuni lo deridevano (Paolo), altri dissero: "Ti sentiremo su questo un'altra volta". Così, Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi, membro dell'Areopago, una donna di nome Damaris e altri con loro." (Atti degli Apostoli, capitolo 17, versetti 32-34; forse Damaris era la moglie di Dionigi, ma su questo non si hanno dati sicuri).

    Secondo la tradizione, Dionigi afferma di avere assistito ad Atene, prima della predicazione di Paolo, all'eclisse di sole di ben tre ore, verificatasi al momento della crocifissione di Cristo, e probabilmente fu anche questo un fattore che lo spinse alla conversione.

    Dionigi fu poi vescovo di Atene e morì martire, anche se non si sa in quali circostanze: non si sa nemmeno dove sia stato sepolto il corpo. Fu considerato il primo padre della Chiesa, cioè il primo tra i principali scrittori cristiani, il cui insegnamento e la cui dottrina erano ritenuti fondamentali per la dottrina della Chiesa. Dionigi è venerato come santo e patrono di Atene: la sua festa è celebrata il 3 Ottobre. Spesso è confuso col vescovo Dionigi di Parigi.

    Nel corso del tempo gli furono attribuite numerose opere, note come "opere di Dionigi di Atene", identificato con "l'Areopagita", ma oggi meglio attribuite ad uno "Pseudo-Areopagita", perchè l'avanzato sviluppo della dottrina trinitaria e cristologica esposte in queste opere non è riconducibile all'epoca apostolica e non consente una datazione anteriore al VI sec. I suoi scritti principali sono: il "De divinis nominibus", "Sui nomi di Dio": un trattato sulla Trinità, che esamina i nomi che le Sacre Scritture - Antico e Nuovo Testamento - attribuiscono a Dio, trovando in essi il riferimento alla Trinità. E naturalmente il "De caelesti ierarchia", in cui le gerarchie angeliche vengono ordinate in tre triadi, modello che Dante seguirà fedelmente nella struttura del suo Paradiso. Queste opere ebbero una larghissima diffusione durante tutto il Medioevo. Furono commentate da Ugo da S. Vittore, S. Alberto Magno e S. Tommaso d'Aquino, esercitando una grande influenza sulla mistica cristiana occidentale.

    Dionigi
    S. Dionigi l'Areopagita. E' sempre rappresentato con la tunica di vescovo e col Vangelo in mano. La scena sullo sfondo descrive l'eclissi solare di tre ore avvenuta a Gerusalemme durante la Passione di Cristo, alla quale Dionigi fece da spettatore ad Atene (o Eliopoli, secondo altre fonti). Per essere precisi, quella non fu un'eclisse, ma fu proprio un misterioso oscuramento del Sole: un'eclisse normale dura solo pochi minuti, e a Pasqua, festa di novilunio, c'è sempre la Luna Piena, cosa che rende impossibile un'eclissi.



    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-x.html
  8. .
    ZOROBIN ENIES LOBBY ARC 1 - CLASH WITH T-BONE

    Sanji has reached CP9, who has captured Robin, and contacts Rufy, who tells him to attack them. Zoro tells him not to: it should be better that Sanji wait for them. The next scene is really curious: Rufy's observation suggests that he knows well the relationship between Zoro and Robin, despite the apparent detachment of the swordsman. Who is actually a little embarrassed to hear what Rufy says (and the look of the reindeer shows it all!). ^_^

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    Rufy: OK, Sanji, go beat them up! Zoro: Rufy! Do not joke! Tell him to wait for us!


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    Zoro: Hey, cook! Can you hear me? Those dudes are dangerous! Rufy: Leave it alone, Zoro. If you were in his place, you wouldn't listen to us either.


    Of course, Zoro never hesitates when it comes to killing an enemy... but in this scene, where he goes up against Captain T-Bone "Ship Cutter", his determination is very strong, a hidden sign of how badly he wants to reach Robin.

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    Zoro: I JUST TELL YOU ONCE! GET OUT OF THE WAY OR DIE!


    Zoro knows that the enemy is strong, but attacks without hesitation and continues to focus attention on the destination of Enies Lobby...Robin remains in his mind, there is no doubt about this. Also, the same fighting techniques used recall Robin: T-Bone uses an attack named after a bird ("Chokkaku Hikou Poon" = "Perpendicular Flying Bird"), and the bird is Robin's symbol. Zoro uses an attack called "demon" ("Santoru Gyuki" = "Three-sword bull demon technique") and Robin is called "the demon child" (not to mention Zoro, who is famous for being a demon in the shape of a man).

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    Here Zoro points to Robin as someone very important to him, even if this is implied. In front of a Marine like T-Bone, for whom Justice is everything, Zoro states that there are things more important to them (or rather, to him...) than Justice is to T-Bone. And having done this, he goes back to sleep in front of the admiring eyes of the twins Kiwi and Mozu. When Zoro is in front of Robin's eyes (or when he attacks for her), he uses his most powerful blows. Just see him in Dressrosa against Pica, or in Pisces Island against Hyouzo.

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    Zoro: Maybe justice is important to you... but we have far more important goals at stake!


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  9. .
    TELEVISIONE E CELLULARE NON SONO NEUTRI
    La tecnica non è neutra: l'uso di immagini in continuo mutamento riduce l'attenzione e anche la capacità di osservare

    La tecnica, si dice, è neutra: può essere usata bene o male. Poi si fa il classico esempio del coltello: un coltello può essere usato o per affettare del formaggio o per ferire qualcuno. Non è così semplice. Nel signore degli anelli del cattolico Tolkien, c'è il personaggio di Boromir: forte e coraggioso guerriero, commette però un errore che gli costa la vita e mette in pericolo i suoi compagni. Infatti vuole impossessarsi dell'anello del potere. Vuole usarlo, certamente, per fare il bene, contro l'oscuro signore. Ma Gandalf l'aveva avvertito: l'anello non è neutro. Essendo il male, non può essere usato per un fine buono. Può essere usato solo per il male.

    Boromir
    "Boromir, dai l'anello a Frodo!" Se si sostituisce all'anello il cellulare, si capisce meglio l'immagine: il telefonino è visto come la soluzione a tutti i nostri problemi. Mentre invece è proprio lui il problema.



    MCLUHAN: GLI STRUMENTI NON SONO NEUTRI.

    In un certo senso, Tolkien contraddice la nostra tesi iniziale e dà ragione al filosofo canadese Marshall McLuhan (cattolico anche lui). McLuhan sosteneva che i mezzi di comunicazione non sono neutri. Cioè, non è che sono buoni se trasmettono un messaggio buono e sono cattivi se trasmettono un messaggio cattivo. Sosteneva addirittura che il "mezzo" (televisione, computer, telefonino, tablet, ecc.), lungi dall'essere solo un canale di trasmissione, "è il messaggio" stesso. Il contenuto, insomma, è meno importante del mezzo di comunicazione. E' il mezzo di comunicazione il vero problema.

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    McLuhan: "Il mezzo è il messaggio" Cioè: il problema vero è lo strumento, non ciò che viene comunicato attraverso di esso.


    La teoria di McLuhan spiega in modo semplice e chiaro ciò che è accaduto alle nostre capacità cognitive da qualche decennio: si sono cioè ridotte drasticamente. Com'è possibile? Semplice: se io mi abituo a usare sempre la calcolatrice, diventerò sempre meno capace di svolgere calcoli a mente, fino a perdere per sempre questa capacità. Se io uso sempre il navigatore per spostarmi, a lungo andare perderò completamente il senso dell'orientamento. Se io uso sempre il telefonino per sapere qualcosa che non so, faccio a meno di studiare o di usare la memoria, e così ho una mente atrofizzata, perchè poco usata. Se io guardo sempre le immagini di film e filmati vari, soprattutto davanti a telefonini, tablet o computer, alla fine ho gli occhi danneggiati. Fateci caso: sono molti i bambini che hanno gli occhiali, e proprio perchè hanno guardato in continuazione i cellulari. Questo proprio perché gli strumenti non sono neutri, ma ci educano, ci plasmano senza che ce ne accorgiamo. L'uso di immagini, piene di colore, saturi, in repentino e continuo mutamento, ad esempio, riduce la capacità di osservare, contemplare ciò che abbiamo davanti al naso. Mi riferisco, ovviamente, ai video che arrivano a noi attraverso schermi elettronici: cartoni animati, film, video musicali o di altro genere.

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    L'effetto è ancora più evidente se pensiamo alla nostra capacità di accostarci alla musica. È noto che, in occasione dell'esecuzione di alcuni brani musicali, gli ascoltatori svenivano, letteralmente. Uno di questi brani è il finale del Guglielmo Tell, di Rossini, con quelle sue continue cadenze d'inganno che accrescono la tensione quasi senza fine. Scommetto che, al giorno d'oggi, quello stesso brano non farebbe svenire nessuno: non siamo più in grado di concepire la musica come gioco di tensioni e rilassamento.

    TUTTO È RAPIDO

    E che dire della dinamica, azzerata dai nuovi formati di riproduzione? Un tempo si acquistava un disco, lo si metteva sul giradischi e ci si prendeva un'oretta di tempo, al buio, per ascoltare. Il disco, un long playing, era concepito per essere ascoltato tutto, dall'inizio alla fine. L'ascolto era, quindi, un'esperienza che catturava l'attenzione e chiedeva che fosse conservata fino al silenzio finale. Ora esistono le singole canzoni, sempre più corte. Che, in realtà, non ascoltiamo nemmeno: sono il sottofondo della nostra giornata, mentre guidiamo, mentre facciamo attività sportiva, mentre usiamo i mezzi pubblici. Mentre facciamo altro, insomma. Nessuno interrompe le proprie attività per dedicarsi all'ascolto.

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    Tutto è rapido, tutto è provvisorio, niente merita attenzione. Nemmeno un libro, o la persona che abbiamo di fronte. Facciamo zapping con ogni stimolazione che ci si presenta; non abbiamo, quindi, più tempo per nulla. Siamo criceti sulla ruota della vita. Come fare, dunque, per recuperare tempo e capacità di attenzione? La prevalenza della ragione sulle passioni (ansia inclusa), la compartimentazione del tempo e della libertà sono le chiavi per lavorare bene, in modo efficace e senza perdere tempo. Non importano il frastuono e la confusione con i quali il mondo tenta di invaderci: in fin dei conti, siamo sempre liberi (e, quindi, responsabili) di come utilizzare il nostro tempo.

    STUDENTI DEVASTATI DA SCHERMI E MEZZI DIGITALI: LA SOLUZIONE E' TORNARE AL LIBRO
    Dipendenza, ansia e depressione spesso derivano da uso eccessivo del tablet e dello smartphone

    Negli ultimi anni, l'impiego del digitale a scuola ha avuto una forte accelerazione: si credeva che tutti ciò che era digitale potesse costituire il miglior mezzo di apprendimento, ma ultimamente è cominciato un graduale dietrofront sulla questione.

    Inizialmente la politica educativa, soprattutto in Spagna, era basata sul sistema "one-to-one": un computer o tablet per ogni studente. Indicazione che però non si è mai concretizzata veramente e questo costituisce un dato non da poco. Se infatti, per anni, si è sempre detto che l'uso e l'abuso della televisione non favorisse certo l'apprendimento, ma anzi portasse a sviluppare un atteggiamento di passività, non si capisce come mai i colossi del Big Tech (Apple, Amazon, Microsoft, Google e Facebook -Meta-) ad un certo punto abbiano invaso le scuole. Forse per creare, semplicemente, un nuovo canale di business molto redditizio?

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    Scuola digitale



    IL SUCCESSO INIZIALE DEI DISPOSITIVI DIGITALI

    Inizialmente, le scuole erano ossessionate dai dispositivi digitali, che aprivano infinite possibilità che, in teoria, avrebbero dovuto accrescere la motivazione negli studenti. Il libro sembrava un mezzo ormai relegato nel passato, una cosa vecchia e superata. La digitalizzazione della scuola, invece, sembrava indiscutibile. E anche a casa: i bambini hanno giocato e imparato davanti agli schermi. Tuttavia, la questione era più complessa di quanto sembrasse. Infatti, man mano è emersa tutta una serie di possibili ostacoli all'apprendimento che una massiccia digitalizzazione delle scuole comporta. Si è progressivamente scoperto che i dispositivi digitali in classe ostacolano l'attenzione. È come se lo studente scomparisse dietro lo schermo, sviluppando, peraltro, conoscenze limitate e superficiali. L'Hi-tech diminuirebbe anche il gusto per la lettura e la comprensione del testo scritto.

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    Ma più di ogni altra cosa, due sono i problemi principali che emergono dall'uso delle nuove tecnologie: nei bambini, gli schermi producono isolamento e danneggiano la salute, provocando un aumento di ansia e depressione e ingenerando una serie di problematiche legate al sonno. Ciò emerge da molte ricerche, una tra tutte, lo studio di Jean Twenge, professore di psicologia alla San Diego State University, da cui risulterebbe che, in età scolare, l'attivazione del sistema di anticipazione del piacere generato dalla dopamina darebbe origine a comportamenti di dipendenza. Di conseguenza, gli schermi non contribuiscono pienamente all'apprendimento, ma anzi distraggono e diminuiscono l'attenzione in classe, durante lo studio e la lettura. E ovviamente nella vita in generale.

    Senza contare i problemi di vista: l'insieme di problemi alla vista e agli occhi legati ad un utilizzo eccessivo del computer viene chiamato sindrome da visione al computer (Computer Vision Syndrome, CVS). La lettura sullo schermo di un computer, infatti, è diversa dalla lettura su carta, e spesso richiede alla vista un lavoro più duro.

    ANSIA, DEPRESSIONE & CO.

    I danni derivanti dall'uso eccessivo del tablet e dello smartphone, nei bambini (ma non solo nei bambini: questo riguarda tutte le età), è documentato da un altro importante studio The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks (2022) Si tratta di una rassegna di numerosi lavori in cui questi temi sono stati studiati a livello internazionale negli ultimi anni e che vengono analizzati dal mondo della pediatria italiana. Elena Bozzola, Giulia Spina e Rino Agostiniani hanno riscontrato sintomi di ansia, depressione e problemi del sonno, dipendenze, problemi legati al sesso, problemi comportamentali, problemi alla vista che colpiscono i minori che fanno un uso eccessivo degli schermi.

    C'è anche un secondo studio del 2021 che è una comparazione tra la lettura su libri stampati e la lettura in formato digitale: A Comparison of Children's Reading on Carta. In esso May Irene Furenes, Natalia Kucirkova e Adriana G. Bus (dell'università della Norvegia e della Gran Bretagna) passano in rassegna numerose ricerche che dimostrano scientificamente la superiorità cognitiva della lettura di libri, o testi stampati, rispetto alla lettura di testi digitali.

    Per non parlare del consorzio Seattle Public Schools (ben 114 scuole) che ha citato in giudizio Big Tech per i danni inflitti ai suoi studenti sotto forma di dipendenza, ansia, depressione, ecc. direttori di questo consorzio di scuole ritengono che questi problemi di salute interferiscano con il rendimento scolastico dei loro studenti.

    Insomma, studi ed esperienza pratica alla mano, sia nel mondo della scuola sia della ricerca, sta emergendo in maniera sempre più evidente, che le moderne tecnologie, per quanto accattivanti possano essere, non potranno mai sostituire i tradizionali metodi di apprendimento, in particolare la carta stampata e che anzi, il loro uso va decisamente limitato nella scuola, come nella vita.

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    Niente sostituisce un libro: nè il computer nè il telefonino. La stampa non scomparirà mai.



    BIBLIOGRAFIA

    Roberto Marchesini - Basta bugie
    Manuela Antonacci - Basta bugie
  10. .
    1989: FILM CARTONI - ASTERIX E LA GRANDE GUERRA

    ASTGRG


    Titolo originale: "Astérix et le coup du menhir" (Asterix e il colpo di menhir)
    Paese di produzione: Francia, Germania Ovest
    Regia: Philippe Grimond
    Sceneggiatura: Yannik Voight, Adolf Kabatek
    Musica: Michel Colombier
    Casa di produzione: Gaumont (francese), Extrafilm Produktion (tedesca)

    Dopo Le mille e un'ora di Asterix, che fu pubblicato nel 1987, Uderzo farà una pausa di ben quattro anni. Di solito, Asterix usciva dopo uno o due anni. Si dovette aspettare il 1991 per leggere la nuova storia, "La rosa e il gladio", di cui parleremo la prossima volta.

    Nel 1989, però, due anni prima della Rosa e il Gladio, Uderzo realizzerà il remake di "Come fu che Obelix cadde nel paiolo", con nuovi disegni. E, sempre nel 1989, nelle sale francesi uscì il nuovo film a cartoni animati di Asterix: "Asterix e la grande guerra" (nell'originale: "Astérix et le coup du menhir"), che prende spunto da: Asterix e il duello dei capi e Asterix e l’indovino. Riassumendo, tutti i film a cartoni animati usciti in ordine cronologico sono:

    ASTERIX IL GALLICO (1967)
    ASTERIX E CLEOPATRA (1968)
    LE 12 FATICHE DI ASTERIX (1976)
    ASTERIX E LA SORPRESA DI CESARE (1985) (altro titolo: ASTERIX CONTRO CESARE)
    ASTERIX E LA POZIONE MAGICA (1986) (altro titolo: ASTERIX E I BRITANNI)

    TRAMA

    I romani decidono di catturare il druido Panoramix per privare il villaggio ribelle dei Galli della pozione magica che dà loro forza sovrumana. Il piano viene sventato da Asterix e Obelix: però quest'ultimo colpisce accidentalmente Panoramix con un menhir, rendendolo privo di memoria e rimbambito. In assenza del druido, l’indovino Prolix inganna gli abitanti del villaggio con le sue profezie: Asterix è l'unico che non gli crede. Il soldato romano Previdentissimus, mandato dal centurione Fapallidaugustus ad indagare, viene costretto dai Galli a fare da cavia per i tentativi di pozione magica preparati dal delirante Panoramix, con risultati assurdi.

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    Alla fine, una di queste pozioni lo rende più leggero dell'aria, facendolo volare via verso l'accampamento. Fapallidaugustus invia un'altra pattuglia per indagare, che cattura Prolix. Sebbene le leggi romane dichiarino che tali individui debbano essere mandati a lavorare in miniera (equivalente ad una condanna a morte), Fapallidaugustus è convinto delle capacità di Prolix e lo usa per scacciare gli abitanti del villaggio. Prolix, per mandarli via, predice agli abitanti che l'aria del posto diventerà nauseabonda e velenosa.

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    Tutti allora partono per un'isola vicina, tranne Asterix, Obelix, Panoramix e Idefix. Poco dopo che i romani si sono trasferiti nel villaggio, Panoramix, nella sua follia, prepara una pozione molto nociva, i cui vapori avvolgono il villaggio e lui stesso, ripristinando i suoi ricordi e la sua sanità mentale e allontanando i romani, che credono che la previsione di Prolix sia diventata vera. Panoramix prepara rapidamente la pozione magica e convince gli abitanti del villaggio a testare le abilità dell'indovino attaccando l'accampamento romano: se l'indovino non prevederà l'assalto, allora non è un indovino. L'attacco smaschera gli inganni di Prolix, e l'indovino viene colpito anche lui da un menhir, diventando rimbambito come lo era Panoramix. Il centurione Fapallidaugustus viene degradato per il suo fallimento e il villaggio dei Galli torna alla normalità.

    COMMENTO

    Anche se il film è stato preso dal Duello dei Capi, non compare il personaggio di Elpiubelgalix: tutta questa storia, in sostanza, è solo un remake di Asterix e l'Indovino, con solo la storia del menhir che si abbatte sui malcapitati che fa da tenue collegamento ad Asterix e il duello dei capi.

    Siccome è un cartone animato, i movimenti sono più marcati che nel fumetto: qui però sono eccessivi e fastidiosi. In particolare, Panoramix il folle sembra venuto fuori dai Looney Tunes, tipo Bugs Bunny. Ci sono delle sequenze psichedeliche che sembrano roba da trip lisergico: oltre alla follia di Panoramix, abbiamo anche la canzone iniziale di Assurancetourix che sembra un videoclip psichedelico. Si tratta del brano rock "Zonked" dei Ramones. E la parola "zonked" significa, appunto, "sotto l'influenza di droga o alcool". Poi abbiamo anche le mutazioni di Previdentissimus quando prende la bevanda di Panoramix. Insomma, roba da delirio.

    Nell'edizione italiana, la canzone "Zonked" è stata mantenuta in inglese, e i nomi di Asterix e Obelix sono pronunciati in modo errato, ponendo l'accento sull'iniziale delle parole: A'sterix e O'belix. I legionari, come sempre, parlano in romanesco. Tutto il cast vocale fu completamente cambiato rispetto ai film precedenti.

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  11. .
    2013 - LA PRINCIPESSA DELLA BREZZA - COMMENTI
    Altro titolo: LA CITTA' NASCOSTA IN CIELO

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    Questa storia ha delle buone potenzialità, ma è stata sviluppata male. Ci sono dei personaggi interessanti (Camilla, Mister G) che appaiono e scompaiono subito. La storia ha degli sviluppi poco convincenti (ne parleremo meglio più sotto). Il finale è piuttosto deludente, e poco comprensibile, con le sparate filosofiche di Lupin e il delirio del principe biondo Shion, che da saggio silenzioso mostra di essere uno svirgolato. E non si capisce ancora del tutto cosa sarebbe questo "tesoro di Shahalta" o "anima di Shahalta": l'oro oppure il gas speciale? Boh. La "ragazza di Lupin" in questo film, stavolta, è Yutika: ma mi pare piuttosto scialba, in confronto a Camilla, la padellista provetta. :lol: Sarebbe andata meglio, forse, come "ragazza di Lupin": invece, non solo è apparsa solo per pochi minuti, ma gli sceneggiatori (ben tre!) hanno anche avuto la bella pensata di fare di lei la moglie di uno sporco vecchiaccio decrepito di cent'anni. Che spreco di personaggio. =_=

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    Si vede che l'hanno messa da parte perchè ha preso a padellate il personaggio.


    GLI OMAGGI A "CAGLIOSTRO"

    La storia fa il verso al Castello di Cagliostro in tanti dettagli, che sono omaggi voluti: la principessa Yutika e Clarissa, gli uomini di Kochel e gli uomini ragno del Conte, il castello di Shahalta e il castello di Cagliostro, il paese indipendente di Shahalta e quello di Cagliostro, il tesoro nascosto. Anche diverse scene sono simili: per esempio, Lupin che compare dietro a Fujiko all'improvviso, mentre lei stava esaminando dei documenti di nascosto. Oppure quando Lupin, ferito, si tuffa in acqua abbracciando Yutika, proprio come il ferito Lupin afferra Clarissa nella caduta nel lago di Cagliostro.

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    E non ditemi che è casuale. =_=


    In ogni caso, La principessa della brezza non si avvicina nemmeno lontanamente al livello di Cagliostro, mantenendo comunque una buona qualità narrativa e di disegno. Il disegno però, in particolare, è stato appesantito da pessimi interventi di computer grafica, con cui sono state realizzate le automobili e tutte le macchine volanti, dando un senso di estraneità di queste strutture col resto della storia.

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    "Ma che schifezza di elicotteri sono quelli?" "Elicotteri modello 3D, Lupin."


    IL RAPPORTO DELLA BANDA LUPIN COI BAMBINI

    La presenza del neonato Ramu in mezzo a Lupin, Jigen e Goemon richiama alla mente il famoso film "Tre scapoli e un bebè": è curioso il fatto che Fujiko non entri nemmeno in contatto con Ramu. Infatti, sembra che lei detesti i bambini: lo aveva affermato nel film "Bye Bye Liberty" in riferimento al bimbo Michael, e lo si vede anche nel film più recente "La bugia di Fujiko Mine". Di rado nelle storie di Lupin si vede Fujiko coi bambini: lei sembra essere priva di ogni sentimento materno. Jigen, invece, sembra avere proprio la vocazione del "padre", vista la cura con cui bada a Ramu: anche questo lo si vedrà in futuro, per esempio quando farà da mentore al ragazzo Kenny nella sesta serie (ep8, "L'ultimo proiettile"); oppure col suo rapporto col detective bambino Conan nei film-crossover con lui. Goemon, che ha poco spazio in questa storia, qui sembra comportarsi come uno zio che porta i regali al bambino: il sonaglio e il konpeito.

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    Jigen insegna a Kenny la via del pistolero. :B):



    IL LUPIN "TROPPO FILOSOFICO"

    Lupin, in questa storia, si comporta troppo da "vecchio saggio": discute filosoficamente dell'Anima di Shahalta, istruisce Yutika, mette a posto Shion coi suoi discorsi, resta impassibile quando l'immaturo Shion gli spara istericamente, senza nemmeno considerare il fatto che era stato proprio Shion a ferire gravemente Lupin precedentemente con la sua pistola. Sembra quasi un professore saggio o un monaco tibetano, più che un ladro.

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    "Tu non mi sparerai in faccia" "E perchè no?" "Perchè io sono saggio, non sono mica come te!"



    I BUCHI DI TRAMA

    A parte questo, la storia, fatta a sei mani (ben tre sceneggiatori: Katsuro Hidaka, Shigeru Morita, Touko Machida. Un macello.
    =_= ) è raccontata male, e in diversi punti è confusa.

    Per esempio: non si capisce da dove Lupin ha tirato fuori la piccola piramide: lo si capisce solo seguendo attentamente il film. Ma gli sceneggiatori non si curano di spiegarlo. Nè si curano di spiegare la presenza di Ramu, per esempio: figlio di chissà chi (figlio di uno sconosciuto ribelle che è morto, sai che spiegazione), che è finito in una valigia chissà come, e non si capisce perchè cavolo hanno messo un neonato in una valigia, insieme a una scatoletta che contiene il gioiello-chiave per il tesoro. E che poi il bimbo ha MANGIATO e poi ha, er, ESPULSO. :sick: Chi dei tre sceneggiatori si assumerà la responsabilità dell'idea? :XD: :XD: :XD:

    E poi, perchè mai il malvagio Kochel e il principe biondo Shion (apparentemente saggio, ma in realtà rincitrullito) vogliono il bambino, incaricando l'ispettore Zenigata, se era figlio di un signor nessuno?

    Oppure, quando il malvagio Kochel spara al principe biondo e rincitrullito Shion, la struttura volante si spezza all'improvviso, senza motivo, portando via Kochel. E perchè si è spezzata? Boh.

    Per non parlare del principe Shion, che fa l'impassibile per tutto il tempo, poi alla fine stracca facendo il pazzo delirante.

    E Lupin che si lascia sparare in continuazione da Shion senza muovere un muscolo, neanche quando lui gli spara in faccia. Come faceva a sapere che aveva finito i proiettili proprio in quel momento? :huh:

    Senza contare che ancora adesso non si capisce che grado di parentela aveva il principe biondo rincitrullito Shion con Yutika e Rasha, le due sorelle gemelle e principesse in carica. Molte cose, insomma, non vengono spiegate, o sono spiegate male, dando un senso di frammentazione alla storia. Che si fa ammirare per i bei disegni di Kagami (vedi sotto), ma che non salvano di certo il film.

    IL CHARACTER DESIGNER: TAKAHIRO KAGAMI

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    La splendida Fujiko di Kagami. Di Fujiko come questa ormai non le fanno più. =_=


    Il disegno di Takahiro Kagami è buono: in particolare, Fujiko è stupenda, molto simile alla Fujiko classica delle prime storie della serie iniziale di Lupin (cioè la Fujiko di Yasuo Otsuka, che credo sia la Fujiko migliore di tutte le altre versioni). Però Kagami ha il difetto di mettere sempre gli occhioni scintillanti a tutti i personaggi, con riflessi alla Candy Candy che stonano in una serie come quella di Lupin.

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    No, non sono Candy Candy, è che mi hanno disegnato così!



    MISTER G

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    E' curiosa la presenza di un personaggio sostanzialmente inutile e assurdo come Mister G (sarà mica "Il signor G" di Giorgio Gaber?), il vecchio pistolero pazzo che aiuta Lupin gestendo un bar, bevendo solo latte (!) e sparando su tutto ciò che si muove. Non si sa chi sia, nè da dove venga: appare e scompare. Sembra che conosca Lupin sin da quando era neonato e addirittura sembra che abbia conosciuto il nonno di Lupin. Il personaggio - per fortuna - fino ad oggi (2022) non è stato più ripreso, e speriamo che nessuno se ne ricordi. Infatti, reintrodurre Mister G significherebbe cercare di costruire un passato attorno a Lupin (e attualmente si vede che c'è la volontà di fare cose simili: per esempio il nuovo Lupin Zero, che parla della gioventù di Lupin). Ma queste operazioni di background non hanno senso: Lupin è un personaggio senza passato e così deve restare, se no sarà rovinato.

    I VESTITI DI FUJIKO

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    Fujiko compare poco, quindi non sfoggia molti vestiti. Oltre a quello classico di motociclista (con stavolta una tuta rossa anzichè colorata col solito nero: ma le sta bene anche il rosso), porta un vestito da segretaria che non è un granché, con un viola cupo mortificante e degli svolazzi bianchi esagerati che lo fanno sembrare quasi un vestito strappato. Per non parlare degli occhialini dalla montatura rossa, piuttosto assurdi. E' strano comunque che Zenigata non l'abbia riconosciuta. :huh: Infine, sfoggia una tenuta da bikini estivo con pantaloncini strappati in groppa a un motorscooter, per concludere. E' da notare che in questa storia Fujiko interagisce più del solito con Zenigata: non solo gli rivela i piani di Lupin, ma gli fa anche i complimenti per la cattura di Kochel. Dopotutto anche lei, come Lupin, mostra un certo rispetto per l'ispettore.

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  12. .
    2013 - LA PRINCIPESSA DELLA BREZZA
    Altro titolo: LA CITTA' NASCOSTA IN CIELO

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    Regia: Takaomi Kanasaki. Ha realizzato School Rumble e Magician’s Academy.
    Sceneggiatura: Katsuro Hidaka, Shigeru Morita, Touko Machida. Come si vede, la storia è stata realizzata da più mani: e in effetti non è molto omogenea nè ben sviluppata. Ma se ne parlerà poi.
    Character designer: Takahiro Kagami. E' stato il suo unico lavoro su Lupin (peccato, perchè la sua Fujiko è una bomba sexy!). E' famoso soprattutto come character designer dell'anime di "Yu-Gi-Oh" e "Galaxy Express 999: Eternal Fantasy")
    Musiche: Juji Ohno (come al solito)
    1° trasmissione in Giappone: 15 Novembre 2013
    1° trasmissione in Italia: 8 Ottobre 2016 alle 23:45 su Italia 1.
    DVD in Italia: assente.
    Precedente film: Lupin III - La pagina segreta di Marco Polo
    Film successivo: La partita italiana.

    TRAMA

    Siamo ad Amsterdam, di notte: su un dirigibile sospeso in aria, si sta tenendo un ricevimento in cui si celebra la fondazione della Repubblica di Shahalta, una piccola nazione indipendente delle Alpi. Shahalta possiede nella sua terra un tipo particolare di elio, che permette di costruire dirigibili e macchine volanti senza alcun pericolo (per sua natura l'elio è infiammabile). 17 anni fa, il monarca di Shahalta fu deposto e ora la nazione è diventata una repubblica, guidata dal duca Shion Adel, Primo Ministro di Shahalta. Ma lui è controllato nell'ombra dal misterioso Kochel, al cui fianco vediamo Fujiko Mine in veste di segretaria. Kochel è a capo di una multinazionale che amministra in esclusiva l'elio di Shahalta, ma ha altri obiettivi. Durante il ricevimento, un oggetto volante si avvicina al dirigibile: da lì scendono dei pirati dell'aria, che vogliono rubare dei preziosi oggetti che potrebbero condurre all'Anima di Shahalta, un grande tesoro. Ma anche Lupin era interessato alla stessa cosa, in quel momento, e ostacola i pirati, incontrando, tra di loro, una ragazza chiamata Yutika. Ad un certo punto, però, Lupin cade dal dirigibile, finendo nel fiume, insieme alla valigia che Yutika stava portando via. La valigia, però, contiene soltanto un neonato e una scatoletta vuota. Inoltre, i pirati dell'aria avevano rubato una seconda valigia che conteneva i Quattro Tesori di Shahalta, quattro preziosi gioielli. Quando Lupin torna al suo nascondiglio, a Parigi, Jigen è perplesso: che ne facciamo del bambino? E perchè questi pirati dell'aria volevano rubare un bambino e una scatoletta vuota? Che guida al tesoro possono dare? Lupin nota che c'è qualcosa di strano, perchè questa scatoletta vuota ha il simbolo di Shahalta: si tratta però del vecchio simbolo regale, che adesso non si usa più, perchè quello stato è diventato una repubblica. Lupin, tra l'altro, ha anche intenzione di trovare a Shahalta un particolare oggetto prezioso, sul quale si era interessato suo nonno Lupin I.

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    Per trovare i pirati dell'aria, Lupin da adesso si fa vedere mentre fa i suoi colpi sempre col bambino addosso, facendosi anche fotografare. In quel modo, Lupin spera che i pirati dell'aria, interessati al bambino - e alla scatoletta - lo contattino. Zenigata, intanto, viene contattato da Kochel e Shion, che dicono che il bambino preso da Lupin è di Shahalta: ma non dicono chi sia. Chiedono solo a Zenigata di riportarlo indietro, nella massima segretezza. Zenigata vede in una foto il bambino in braccio a Shion, ma è perplesso. Alla fine, Lupin e Yutika si incontrano di nuovo al Colosseo di Roma, inseguiti da Zenigata e dalla polizia. Prima che Zenigata li raggiunga, Yutika dice che lei e i pirati dell'aria volevano riportare il bambino a casa sua, cioè dove vivono loro. Inoltre, la scatoletta dovrebbe contenere un prezioso cristallo. Ma Lupin le fa notare che la scatoletta era già vuota quando lui l'aveva presa. Zenigata e la polizia, in quel momento, compaiono e inseguono Lupin e Jigen, mentre Yutika si allontana col bambino, a bordo di un apparecchio volante. La ragazza raggiunge un castello, che è la base dei pirati dell'aria. Sale fino alla sala principale, portando lì il bambino. Il capo dei pirati dell'aria, un uomo anziano, la rimprovera, mentre, davanti a lui, sul tavolo, ci sono quattro gioielli: si tratta dei Quattro Tesori di Shahalta, che erano nella seconda valigia. Uno dei pirati dell'aria, Bernard, difende Yutika. All'improvviso appaiono Lupin e Jigen, che avevano seguito Yutika di nascosto. Si preparano a scontrarsi coi pirati, quando una donna, Camilla, compare dietro a Lupin e lo stende con una padellata in testa.

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    Quando Lupin si risveglia, si accorge che Jigen ha fatto amicizia coi pirati dell'aria, giocando a freccette con loro. La donna della padellata, Camilla, dà da mangiare e da bere a Lupin. Mentre lui mangia, Bernard si allontana dal gruppo. Intanto, Camilla ringrazia Lupin per essersi occupato del piccolo Ramu: così si chiama il bimbo. Lei non è la madre: Ramu è il figlio di uno dei loro compagni, che è morto, quindi lo adottano tutti insieme. Loro avevano attaccato il dirigibile anche per riaverlo indietro. Lupin ringrazia per la cena e sta per fumare, quando Camilla gli dà una sberla: c'è un bambino lì vicino, quindi vada a fumare da un'altra parte. Sul balcone, Lupin incontra il vecchio capo dei pirati dell'aria, che si chiama Ziva: viene a sapere con sorpresa che Camilla è la moglie di Ziva. Lupin dice che aveva capito che i pirati dell'aria sono tutti di Shahalta: inoltre, il loro comportamento militare fa capire che facevano parte della ex-Guardia Reale. Ziva conferma l'ipotesi di Lupin. Loro vorrebbero proteggere il Tesoro di Shahalta, che Kochel, che trama nell'ombra, vorrebbe avere. Mentre ancora parlano, vengono attaccati dagli uomini di Kochel, richiamati dal traditore Bernard. Oltre ad attaccare i rivoltosi, cercano di prendere i Quattro Gioielli.

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    Ma Lupin e gli altri scappano via con due dei quattro gioielli. Villar, un killer che è con loro, li insegue e tutti raggiungono il piano superiore, dove c'è un apparecchio volante. Ziva affida Yutika a Lupin, dicendo loro di raggiungere Shahalta: laggiù Yutika troverà il suo destino e Lupin, se la aiuta, per premio avrà il Tesoro di Shahalta. Camilla consegna il bambino Ramu a Yutika, poi torna da Ziva. Questi fa esplodere il castello, trascinando con sè Bernard e gli uomini di Kochel. Yutika è sconvolta per la morte dei suoi compagni e lui cerca di tirarla su. Lupin esamina i due gioielli, mentre Yutika si ricorda di quando cercava di volare con gli apparecchi di Shahalta, sotto la guida di Ziva. Inoltre, osservava le macchine volanti di Shahalta e voleva volare come loro. Lupin le dice che è meglio andare tutti a Shahalta a bordo di un apparecchio volante, e così fanno. Intanto, Shion e Kochel estromettono Zenigata dal suo incarico: a Lupin ci penseranno loro. Mentre Zenigata si allontana, uno degli uomini di Kochel lo incrocia e l'ispettore si accorge che quell'uomo odora di polvere da sparo, e questo lo insospettisce. L'uomo porta una valigetta a Kochel: contiene due dei gioielli-tesoro di Shahalta, ottenuti dall'attacco al castello dei ribelli. Ora bisogna trovare gli altri due, che sono in mano a Lupin. Intanto, Lupin, Yutika a Jigen, oltre al bambino, fanno un falò di notte, in un punto nascosto di Shahalta. Jigen si chiede cosa possa essere questo tesoro di Shahalta, ma Yutika dice che non ne ha idea. Lupin, intanto, smonta i due gioielli, costruendo con questi una piccola base piramidale: capisce che i quattro gioielli, messi assieme, formeranno una piccola piramide. Anche se per adesso non si sa che fine abbia fatto il cristallo che era nella scatoletta accanto al bambino. Mentre allattano il bambino, compare Goemon con un sonaglio "trovato per caso", per divertire Ramu.

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    Jigen, Goemon e il bambino si separano, mentre Lupin e Yutika si dirigono di nascosto verso il castello reale di Shahalta. Intanto, Kochel telefona ai suoi alleati, mettendo a punto i suoi piani e Fujiko , che gli porta il caffè, gli dà un bacio. Poi si allontana, frugando tra le carte e trovando quello che cercava: il prezioso brevetto per l'Elio di Shahalta, che permette di volare senza pericolo. E Lupin le compare dietro all'improvviso, proponendo un accordo: lei gli dirà dove sono gli altri due gioielli e lui non la ostacolerà. Lupin accetta: riesce così a prelevare i due gioielli mancanti e ad averli tutti e quattro, coi quali costruisce una piccola piramide trasparente. Intanto, Yutika, nel castello, incontra una donna che canta, suonando un'arpa: si chiama Rasha ed è la principessa di Shahalta, e scambia Yutika per un'ospite. Rasha dice che lei e Yutika si somigliano: anzi, dice che in un libro ha letto che nel mondo ci sono almeno tre persone che si somigliano. Ad un certo punto compare il principe Shion, che chiede a Rasha di ritirarsi. Dopo che lei se n'è andata, Shion dice a Yutika che lei è la sorella gemella di Rasha e quindi è principessa di Shahalta come lei. Shion credeva che Yutika fosse morta 17 anni fa, durante il colpo di stato guidato da Kochel. In quel momento, compare anche Kochel, che dice che la presenza di Yutika è un problema, perchè spingerebbe dei ribelli a ripristinare la monarchia. Chiama i suoi uomini per eliminare Yutika e tra di loro avanza Villar, il killer: ma sul balcone compare anche Lupin, con in mano un sacco. Kochel propone a Lupin un patto: libererà Yutika se lui gli darà gli altri due gioielli-tesoro di Shahalta. Lupin estrae dalla sua borsa una piccola piramide, ottenuta da tutti e quattro i gioielli, che contiene la mappa che dà la posizione del tesoro di Shahalta.
    "Volevate questo, no?".

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    Yutika viene consegnata a Lupin, ma in quel momento il principe Shion gli spara a tradimento. Villar, il killer, attacca Yutika dicendole: "Di che colore è il tuo karma1?". Ma, mentre sta per ucciderla, Lupin si riprende e scappa via con Yutika, buttandosi in acqua. Ma intanto, Kochel e Shion hanno in mano la piramide con la mappa. Zenigata, che ha visto la scena, si tuffa in acqua e recupera Lupin e Yutika. Zenigata era venuto a sapere che Shion è il terzo in ordine di successione al trono, dopo Yutika e Rasha: ma perchè non ha voluto uccidere anche Rasha, oltre a Yutika, allora? Affida Lupin a Yutika e si allontana; la ragazza cura Lupin usando delle erbe. Intanto, Kochel e Shion partono a bordo di un dirigibile, seguendo le indicazioni della mappa nella mini-piramide presa da Lupin. Shion racconta che, quando era accaduta la rivoluzione a Shahalta, lui aveva solo 14 anni (quindi adesso dovrebbe averne 31): già allora sapeva dell'esistenza del tesoro di Shahalta. Ma non ha nessun interesse al riguardo. "E allora cosa ti interessa?" chiede Kochel. Ma l'altro non risponde. Intanto, Lupin e Yutika, a bordo di una macchina, raggiungono un saloon dove si trova un vecchio collega di Lupin, Mister G, un pistolero mezzo pazzo, che conosceva Lupin I, il nonno di Lupin. Questi cura Lupin togliendogli la pallottola: sembra che i due siano amici di vecchia data. Lupin si riposa, mentre Yutika fa un bagno cantando. Intanto, Fujiko, a bordo di una moto, contatta Zenigata, rivelandogli che Lupin sta dando la caccia a Kochel, insieme a Yutika. Quindi è interessato al Tesoro di Shahalta. "Kochel dice di essere un uomo d'affari: ma è solo un criminale" spiega Fujiko "Lo so perchè ero la sua segretaria". Zenigata si allontana: se lui arresterà Kochel, pensa Fujiko, lei avrà libero accesso al prezioso brevetto al gas di Shahalta. Ma all'improvviso compare Villar, che cattura Fujiko, ipnotizzandola.

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    Nel frattempo, Lupin e Yutika mangiano la carne preparata da Mister G, quando compaiono gli uomini di Kochel: avviene una sparatoria frenetica. Yutika e Lupin si allontanano: tra l'altro, la ragazza chiede a Mister G di non bere troppo, e lui risponde che ha sempre bevuto solo LATTE. Inoltre, Mister G si rivela essere una specie di cyborg lanciamissili. Lupin e Yutika scappano a bordo della macchina di Mister G, che è uguale alla Mercedes-Benz che Lupin guidava prima della Fiat 500. Vengono inseguiti dalle macchine dei soldati di Kochel, quando interviene Jigen, che spara alle gomme delle automobili e salta sulla macchina di Lupin, portando con sè il neonato. Yutika chiede a Lupin cosa fare: lui dice che ha già risolto il problema dei quattro tesori (i quattro gioielli-tesoro di Shahalta), ora bisogna sapere come "aprire la porta" del tesoro vero, conclude, mostrando la scatoletta vuota. Continuando la fuga in macchina, Lupin salta un baratro, mentre le altre macchine cadono. "La dea della vittoria sorriderà su di me, Lupin III!" dice il ladro mentre fa il salto. Lupin riesce a passare, mentre tutti cadono nello strapiombo. Nel frattempo, il dirigibile con Shion e Kochel a bordo trasporta anche la principessa Rasha, la sorella di Yutika. Alla fine raggiungono la destinazione: un enorme buco circolare, che dovrebbe contenere il tesoro. Nel frattempo, Lupin, Yutika e Jigen, col bambino, camminano verso quel punto: ma la strada è assai stretta e si rischia di cadere in uno strapiombo. Come se non bastasse, vengono inseguiti da elicotteri da guerra: nella corsa, Lupin rischia di cadere, ma Yutika e Jigen lo salvano. Quando tutto sembra perduto, intervengono i rivoluzionari di Shahalta, guidati da Ziva, che erano sopravvissuti, a bordo di un dirigibile da guerra: gli elicotteri vengono spazzati via.

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    Prima di allontanarsi, danno a Yutika e Lupin un apparecchio volante con cui raggiungere Shion e Kochel. Inoltre, Yutika è considerata da Ziva come sua figlia adottiva: infatti, Ziva si era occupato di lei durante il colpo di stato di Kochel. Yutika e Lupin, sempre insieme a Jigen e il bambino Ramu, salgono sulla macchina volante, riuscendo a seminare gli elicotteri rimasti, che li stavano inseguendo. Intanto, Kochel e gli altri, accompagnati da Villar, scendono nel buco, mentre Lupin e gli atri si avvicinano. Ramu fa i suoi bisogni, e in mezzo alla sua cacca (sì, proprio quella) si trova il gioiello di cristallo che era nella scatoletta: semplicemente, il bambino lo aveva mangiato. Ma, poco dopo, appare Villar con gli uomini di Kochel: e nello stesso tempo arriva Goemon (che porta al bambino un konpeito2). Il samurai e Jigen (col bambino sulle spalle) si occuperanno di Villar e degli uomini di Kochel, mentre Lupin e Yutika raggiungeranno Shion e Kochel. I soldati di Kochel vengono sgominati, ma Villar attacca Jigen. Intanto, Zenigata, coi poliziotti, raggiunge il posto. Kochel, nel frattempo, è sorpreso: hanno raggiunto il punto dove si trova il tesoro, ma si tratta di un'isola galleggiante in mezzo all'aria e senza alcuna strada per poterla raggiungere. Shion in quel momento si ricorda di un poema che una volta aveva sentito dire dal re di Shahalta: "La terra è la mia segnaletica, il cristallo la mia lampada. La luce diventa una madre gentile, che guida i suoi figli perduti alla porta delle loro anime". La "luce" dall'alto illumina l'interno della gigantesca buca, e questa luce illumina un punto dove si trova una "porta", su cui mettere il cristallo: solo allora la porta si aprirà e ci sarà l'accesso all'isola galleggiante. Il cristallo era passato di generazione in generazione nella famiglia reale, però è andato perduto con la famiglia.

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    In quel momento, compare Lupin che chiede se hanno bisogno di questo, mostrano proprio il cristallo di cui parlavano, "uscito" dal bambino. All'improvviso compare Fujiko, che, ipnotizzata da Villar, attacca Lupin e gli prende il cristallo. Però, nel farlo, cade da un burrone: ma Lupin la afferra in tempo. Intanto, Jigen, ipnotizzato da Villar, attacca Goemon; inoltre, il samurai deve anche evitare la lama volante del killer. Inoltre, Fujiko, sempre sotto ipnosi, mentre è sostenuta da Lupin ed è sospesa nel crepaccio, estrae la pistola e si prepara a sparare a Lupin. Mentre Jigen sta per uccidere Goemon, il bambino gli tira la barba: il dolore lo fa ritornare in sè e spara a Villar, ammazzandolo. Con la morte del killer ipnotizzatore, Fujiko ritorna in sè. Ma Kochel ora ha in mano il cristallo e lo bacia (Lupin fa una faccia disgustata, visto da dove veniva l'oggetto), poi lo inserisce sulla porta. Da lì esce un raggio che si solidifica, diventando una strada sospesa che raggiunge l'isola nel vuoto. Kochel ci corre sopra, raggiungendo il punto. Intanto, Lupin tira su Fujiko, finendo con la faccia immersa nel suo petto: cosa che gli fa guadagnare una sberla. Kochel raggiunge il tesoro: una grandissima quantità di oro, gioielli, oggetti preziosi. Ma all'improvviso Shion spara a una gamba di Kochel, dicendo "Che uomo repellente".

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    Accadono delle scosse e la struttura circolare di metallo, che era in mezzo all'isola galleggiante, sale in alto, sospesa da quattro palloni aerostatici. Quando l'isola di metallo raggiunge, salendo lungo il buco, l'altezza del terreno, Zenigata ci salta sopra, per arrestare Lupin. Inoltre, il dirigibile da guerra guidato da Ziva e dai rivoluzionari raggiunge l'isola di metallo galleggiante, che sarebbe l'"Anima di Shahalta", secondo Ziva: un tesoro volante, dove gli uomini di Shahalta avevano nascosto la loro tecnologia segreta per il volo proprio in quel punto, oltre all'oro: infatti, il volo non era dovuto solo all'elio non infiammabile, che era un dettaglio. In quel momento, Shion si mette a ridere e delira come un pazzo: "Questo sarebbe il tesoro di Shahalta? Per avere questo, Kochel ha usato ogni mezzo, ha rovinato Shahalta e ha fatto un colpo di stato mettendo gli uomini di Shahalta l'uno contro l'altro. Non aveva nessun pensiero per questo "Cuore di Shahalta. Kochel ha ucciso i genitori di Rasha e Yutika e poi ha ucciso i miei genitori. Ha eliminato tutta la famiglia reale! Io, che ero l'unico maschio di sangue reale, ero stato usato per i suoi desideri egoistici sul Tesoro di Shahalta! All'inferno questa assurdità! Questo tesoro! Questo popolo!" (nel frattempo, Kochel si riprende dalla ferita, ma Shion gli punta ancora la pistola contro) "Volevi distruggere Shahalta come una iena, ma io distruggerò il Tesoro, l'Anima di Shahalta con le mie mani!" "Che noia. Che vita noiosa hai fatto, allora." gli replica Lupin. "Stai zitto!" Gli punta contro la pistola. "Hai fatto tutta questa strada solo per questo?" continua Lupin. "Stai zitto!" Shion spara, ma ferisce Lupin solo alla guancia: lui, però, non si muove) "Taci, taci, taci!" urla Shion, continuando a sparare. Ma Lupin viene ferito solo superficialmente in più punti. Alla fine, Shion ha la pistola a pochi centimetri dalla testa di Lupin. Ma lui non si muove e tiene le mani in tasca. "Cosa diavolo ne sai tu?" sbotta Shion "Che ne sai tu su come mi sento? Questa terra mi ha tolto tutto e mi ha allontanato! La mia anima è morta 17 anni fa!" Shion spara alla faccia di Lupin, ma la pistola è scarica. Lupin non si muove. Shion si mette a ridere e butta via la pistola; si toglie la giacca e mostra le bombe che porta con sè: ha intenzione di farsi esplodere, portando con sè tutta la struttura. "Tu non sei solo, sai." dice Lupin. Shion si volta e vede la principessa Rasha: poi riceve una pallottola in petto, partita dalla pistola di Kochel. Ma, all'improvviso, l'isola di metallo galleggiante si spezza: un pezzo volante si allontana, portando via Kochel, che cade nel vuoto. Ma Zenigata lo cattura lanciandogli un paio di manette: "Tu hai 18 avvisi di arresto da parte di 13 nazioni. Ti aspetta un lungo interrogatorio! Kochel Van Schotenwald, sei in arresto!" "Ottimo lavoro, Ispettore Zenigata!" esclama Fujiko. "Verrà anche il tuo turno, un giorno" replica lui.

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    Shion, ormai moribondo, è sul grembo di Rasha. "Se odiavi tanto Shahalta, perchè mi hai lasciata vivere?" gli chiede Rasha. Nel flashback si vede il giovane Shion, in mezzo al fuoco del colpo di stato di Kochel, con in mano Rasha da piccola. "Io sono la disperazione di Shahalta" risponde Shion "Ma tu sei la speranza di Shahalta. Tu e Yutika siete la luce che brillerà sul futuro di Shahalta." Poi Shion muore. Lupin, Yutika e Rasha salgono a bordo del dirigibile dei ribelli e osservano l'isola di metallo galleggiante, con a bordo il cadavere di Shion, che ritorna dov'era, sprofondando sottoterra. Dopo qualche giorno, alla capitale di Shahalta si fa festa e la nuova regina, Rasha, fa il suo discorso. Accanto a lei ci sono gli ex-ribelli: Ziva e gli altri, che sono tornati ad essere Guardie Reali. Tra di loro c'è anche Yutika, che ha preferito restare con loro. Inoltre, Ramu viene adottato da Camilla. Lupin e Jigen osservano la cerimonia da uno yacht, sorseggiando del vino. Arriva Fujiko, che gli dice che ha in mano il prezioso brevetto del gas di elio, e si allontana. Lupin dice a Jigen che ha ottenuto quello che voleva: un prezioso cavatappi di Shahalta. Era stato quello l'obiettivo di suo nonno. All'improvviso, arriva Zenigata e tutti scappano.

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    1 Karma: il frutto delle azioni di una vita che determina la vita successiva nel ciclo delle reincarnazioni. E' un concetto induista.
    2 konpeito: caramella giapponese colorata, con la forma di una mazza a punte. E' lo stesso "konpeito" gigantesco e di metallo con cui Kaori, a volte, pesta Ryo in City Hunter (di solito usa il martello, comunque).

    konpeito

  13. .
    PARADISO CANTO 10 - QUARTO CIELO DEL SOLE - I 12 SPIRITI SAPIENTI DELLA PRIMA CORONA: SANT'ALBERTO MAGNO; GIOVANNI GRAZIANO E IL DIRITTO CANONICO (terza parte)

    SANT'ALBERTO MAGNO

    Alberto-Magno
    La Madonna apre alla sapienza Sant'Alberto Magno.


    Tommaso d'Aquino, dopo aver presentato a Dante il secondo dei Dodici Spiriti Sapienti (il primo è lui), cioè il suo maestro Alberto Magno, che si trova accanto a lui, rivela il suo nome a Dante:

    Questi che m’è a destra più vicino, (Questi, che è immediatamente alla mia destra,)
    frate e maestro fummi, ed esso Alberto (fu frate e fu mio maestro: è Alberto Magno)
    è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. (di Colonia, e io sono Tommaso d'Aquino.)

    Considerare S. Alberto Magno solo come il maestro di Tommaso d'Aquino è riduttivo: già quando era in vita era chiamato "Magno", cioè "grande", e "Dottore universale", tanto era vasta la sua sapienza. È considerato il più grande filosofo e teologo del Medioevo. Nacque a Baviera (Germania) nel 1200 circa. Entrato nei Domenicani, ebbe gravi difficoltà a studiare teologia, tanto che pensò di abbandonare l'Ordine. Un giorno, però, la Madonna, di cui era molto devoto, gli apparve e lo esortò a perseverare negli studi dicendogli: “Continua lo studio della sapienza e ne vedrai i frutti: e, affinché non ti avvenga di insuperbirti, verso la fine della tua vita ogni capacità di studiare e di capire ti sarà tolta”. Eccelse non solo in tutte le arti (la logica, la fisica, l'astronomia, la biologia, la botanica, la mineralogia, la chimica e parecchie altre), ma anche nella filosofia e teologia, che distinse nettamente. Sì aprì persino alla mistica: infatti fu anche mistico. Il mistico è il santo che raggiunge il più alto contatto con Dio, per quanto sia possibile in questo mondo, tanto da poterlo vedere anche attraverso i sensi. Insegnò a Parigi, dove ebbe San Tommaso d'Aquino come allievo, di cui profetizzò la grandezza, poi a Colonia e in altri luoghi; divenne anche vescovo di Ratisbona. Anche quando era ancora avanti negli anni, saliva ancora vigoroso la cattedra: ma un giorno, come la Madonna gli aveva predetto, la sua memoria si spense. Anelò allora solo al cielo, al quale volò dopo quattro anni, il 15 novembre 1280. La sua salma riposa nella basilica di Sant’Andrea a Colonia. Papa Pio XI nel 1931 lo proclamò Santo e Dottore della Chiesa; Papa Pio XII lo dichiarò Patrono dei matematici e degli scienziati.

    GIOVANNI (O FRANCESCO) GRAZIANO

    Graziano-Bartolo-da-Sassoferrato
    Graziano: la statua è di Bartolo da Sassoferrato, giurista, ma dà l'idea dell'importanza del personaggio di Graziano.


    Tommaso D'Aquino continua la presentazione della Corona dei Beati, presentando ora il terzo beato, Graziano (1080-1150 circa), di cui non si sa con esattezza il nome: o Giovanni o Francesco. Fu giurista e monaco benedettino della famosa abbazia-eremo di Camaldoli (Toscana). Fu sepolto a Bologna. Fu il fondatore del Diritto Canonico, e distinse tra legge divina (Teologia) e legge umana (Diritto Canonico):

    Quell’altro fiammeggiare esce del riso (Quell'altra luce fiammeggiante è prodotta dal sorriso)
    di Grazian, che l’uno e l’altro foro (di Graziano, che aiutò l'una e l'altra legge (quella divina e quella umana)
    aiutò sì che piace in paradiso. (in modo tale che piace al Paradiso.)

    COS'E' IL DIRITTO CANONICO?

    Qui è necessario spiegare cosa si intende per Diritto Canonico e Giurista: non si tratta di roba di preti nè di roba da giudici, ma di realtà fondamentali, tanto che noi non ce ne accorgiamo nemmeno, tanto le pensiamo come ovvie. Per prima cosa, un giurista non è un giudice, ma uno studioso del diritto. E cos'è il diritto canonico? "Canonico" viene dal greco "kanon", "regola", quindi si potrebbe tradurre con "l'insieme delle regole di tutti i diritti". Il dizionario dice: Il diritto canonico è quell'insieme di norme giuridiche, stabilite o fatte valere dalla Chiesa Cattolica, per ordinare e disciplinare i rapporti umani e quelli sociali.

    Traduzione: all'inizio del cristianesimo - soprattutto dopo che divenne ufficiale grazie a Costantino - la Chiesa portò alla civiltà, col Diritto Canonico, il più importante contributo, inserendo l'elemento etico, là dove il diritto allora attuale, che possiamo chiamare Diritto Romano, non si ispirava che alla grettezza degli interessi di persona e di casta, e dove l'autorità dello Stato era di una rigidità inesorabile.

    La Chiesa, col Diritto Canonico, inserì nel Diritto Romano l'autorità della coscienza, il valore assoluto della persona in quanto tale, l'unità e la solidarietà che deve esserci fra tutti gli uomini, figli ed eguali di un solo Dio, ai quali sovrasta una legge di fratellanza e di amore che è legge divina, destinata, pertanto, ad un'assoluta superiorità sulla legge umana. Per capire meglio la portata di queste importantissime innovazioni, bisogna scendere un pò nei dettagli.

    Nel Medioevo, il Diritto Canonico penetra nella vita dei singoli, della famiglia, dello Stato, trasformando profondamente gli istituti giuridici romani e barbarici. Per esempio, grazie al Diritto Canonico lo schiavo non è più una res, cioè una cosa (in latino), ma è una creatura umana: quindi ha un'anima e una mente, ha un sentimento e una volontà pari a quella degli uomini liberi, va rispettato come tale. Ha uguale dignità. Può contrarre matrimonio, può essere sacerdote, può possedere, non deve essere maltrattato. Se la sua libertà non è proclamata di diritto, essa si manifesta però di fatto, attraverso i riconoscimenti delle leggi longobarde e carolingie, che riconoscevano i Diritti Canonici, e, attraverso affrancazioni (cioè la consegna della libertà) e manomissioni (un'altra forma di consegna della libertà), inizia il lento processo che porterà alla fine della schiavitù.

    schiavi
    Questo era lo schiavo nei tempi pagani: un oggetto da utilizzare. E avveniva prima che ci fossero i Diritti Canonici della Chiesa.


    Grazie al Diritto Canonico, la donna può avere la sua emancipazione, perchè il Cristianesimo, che venera la Madre di Dio e le sante, elevò la dignità morale della donna, purificando la sua missione in seno alla famiglia, riconducendo il matrimonio ad un'origine divina e non alla sola decisione di due persone (o di una sola, cioè il marito), proclamando l'indissolubilità del vincolo matrimoniale tra l'uomo e la donna, e dando alla donna la veste di educatrice dei figli. La donna ebbe anche la possibilità di non sposarsi (cosa invece obbligatoria a quei tempi) o di fare altre attività. Col Diritto Canonico la donna aveva la stessa dignità dell'uomo. Ricordate che nei tempi pagani questa equiparazione era impensabile.

    Roma-antica
    La donna della Roma antica non aveva diritti, se non quelli che le dava il marito. E lo stesso valeva per il figlio, che il padre poteva legalmente ammazzare. Tutto questo prima dei Diritti Canonici.


    Come necessaria conseguenza dell'elevazione morale della donna, il Cristianesimo restaurò la famiglia e, se la famiglia attuale è, nella sua costituzione economica e giuridica, prevalentemente romana (cioè deriva dal Diritto Romano, già presente anche nell'epoca pagana), nel suo ordinamento morale è cristiana. Infatti, se dal Diritto Romano derivavano istituti e norme di natura patrimoniale, deriva dal Diritto Canonico tutto ciò che attiene alle sue finalità etiche. Per esempio, i doveri morali dei genitori verso i figli furono sostituiti alle fredda ferocia della patria potestas romana, in cui il padre aveva il diritto di vita e di morte sui figli (per esempio: se non accettato, un bambino o una bambina appena nati potevano essere buttati subito fuori in mezzo alla strada a morire). Col Diritto Canonico, furono applicate delle modificazioni patrimoniali all'istituto familiare in materia di successione e, in particolare, di testamento. In questo modo c'era il diritto all'eredità.

    Non è possibile dire qui quanto sia stata grande l'influenza del Diritto Canonico su tutti gli istituti giuridici, così come sono oggi disciplinati dalla nostra legge: accenniamo alle dottrine canoniche del possesso, che contribuirono grandemente alla formazione delle norme giuridiche che lo disciplinano, alla prescrizione (cioè l'estinzione di un diritto o di una pena: per esempio, una legge che cade in prescrizione, cioè non è più valida dopo un certo tempo) e alla teorica della buona fede (cioè lo stato di ignoranza di determinate leggi che può scusare una persona).

    Grazie al Diritto Canonico, noi oggi pensiamo che il concetto di punizione, pena, condanna, derivi dalla trasgressione di leggi civili: e tali pene dovrebbero essere commisurate alla trasgressione e tendere a correggere il reo. Ne parleremo meglio dopo. Ma il Diritto Romano di allora, al contrario, esigeva che si dovesse rimediare alla violazione delle leggi divine, non semplicemente a delle "leggi civili": quindi, attraverso la punizione (che doveva essere grave), si doveva concedere una giusta vendetta alle parti lese (e qui parliamo di "offese divine"). Inoltre, questa vendetta doveva costituire uno spettacolo tale da insegnare al popolo i rischi di certi comportamenti. Quindi, o si passava alla flagellazione, o alle belve, o all'impiccagione, eccetera, a seconda dei casi: ma erano comunque tutte punizioni feroci. Il Diritto Romano non esitava a punire i trasgressori delle leggi, divine e umane, con spietata determinazione.

    Colosseo-belve
    Prima del Diritto Canonico, queste scene erano ordinaria amministrazione.


    Persino in materia di Diritto Pubblico è intervenuto il Diritto Canonico, che, in aperto contrasto con l'assolutismo imperiale romano, concepisce lo Stato non come una sovranità illuminata e dispotica (come invece è oggi, perchè lo Stato ha trascurato in molti punti il Diritto Canonico pubblico, tornando pagano e diventando crudele) bensì come un ente destinato, più che all'imperio dei sudditi, alla difesa di essi. Tutta un'altra cosa rispetto all'oppressione della terribile dittatura sanitaria che abbiamo avuto in questi anni a partire dal 2020. Dal 2020 noi siamo tornati alla barbarie degli Stati pagani, anche se non ce ne rendiamo conto.

    Fa parte del Diritto Canonico anche l'arbitrato internazionale, perchè sin dal Medioevo si volle che il Papa, o i Vescovi, fossero chiamati come parti non coinvolte a dirimere le questioni tra i principi, o anche tra principi e popolo. Da qui nascerà poi il diritto internazionale attualmente conosciuto.

    Ambrigio-Teodosio
    Il vescovo Ambrogio di Milano vieta all'imperatore romano Teodosio di recarsi in chiesa, dopo il massacro compiuto da lui a Tessalonica, in Grecia. E' un esempio di diritto internazionale, oltre ad essere un peccato che l'Imperatore deve espiare.


    Il processo civile vigente in Italia, come pure in altri Stati, risente molto dell'influenza del Diritto Canonico, che fu molto elaborato in proposito, sia per l'estesa competenza del foro (cioè l'insieme dei dottori in legge) ecclesiastico, sia per l'elevatezza morale delle norme. Nelle Decretali del Diritto Canonico, le prove di accusa o di difesa (chiamate "sistema probatorio") sono basate sul Diritto Romano, ma il Diritto Canonico le perfeziona. Per esempio, grazie al Diritto Canonico la dichiarazione di accusa e di difesa (detta litis contestatio) in un tribunale poteva avvenire solo in presenza della persona accusata (chiamata "convenuto"): dopo di che, l'accusatore (detto "attore") non poteva più mutare la sua accusa. Infatti, prima del Diritto Canonico si poteva anche processare qualcuno a sua insaputa e cambiare le accuse. Infatti, Gesù era stato processato con accuse diverse in continuazione (che si contraddicevano a vicenda, tra l'altro), senza che lui potesse difendersi.

    Il Diritto Canonico si pose anche il problema di conciliare la libertà di giudizio del giudice con delle norme che stabilissero quale fatto dovesse essere indicato come prova, in modo che l'esito della lite fosse sottratto al puro arbitrio del giudice e determinato, invece, soltanto dalle condizioni stabilite dalla legge: volle, insomma, che il giudizio fosse fondato basandosi solo sui fatti ("iuxta alligata et probata": cioè, "il giudice deve giudicare solo secondo le prove raggiunte e i documenti allegati"), e non soltanto basandosi da una coscienza non sorretta da prove reali. In sostanza, è grazie al Diritto Canonico che si passò dal giudice onnipotente dei pagani al giudice moderno dei processi alla Perry Mason.

    Perry-Mason
    Niente Diritto Canonico, niente Perry Mason e niente tribunali regolari.


    Inoltre, si deve ancora al Diritto Canonico se il processo da allora fu reso scritto (prima era solo orale), se si adottò un cancelliere come pubblico ufficiale per la redazione dei verbali, se si è reso possibile l'appello anche contro le decisioni interlocutorie (che erano decisioni che non chiudevano il processo, ma potevano ostacolare l'appello), se l'appello ha effetto devolutivo (appello cioè realizzato da un altro tribunale, e non dallo stesso di prima) e sospensivo (in cui l'imputato, ufficialmente, non era stato ancora condannato, quindi la sentenza veniva sospesa). In sostanza, l'appello moderno. Introdusse anche il principio in cui, anche in caso dell'assenza (detta contumacia) dell'accusato, il giudice deve ugualmente ricercare la verità coi suoi mezzi legali. Infatti, il Diritto Romano non dava nessuna protezione legale ai contumaci. E tante altre situazioni processuali attualmente in uso sono dovute al Diritto Canonico, che dava, in sostanza, delle garanzie chiare per l'accusato.

    Ancora: il Diritto Canonico introdusse maggiori garanzie a favore del debitore condannato ed estese i casi di applicazione del riconoscimento dell'impossibilità di pagare tutti i debiti, riducendo l'entità del pagamento da fare (questo riconoscimento è chiamato beneficium competentiae). Non avete idea dell'importanza di questo provvedimento. E' proprio a causa dei debiti contratti che un numero spropositato di gente, rimanendo impossibilitata a pagare, veniva ridotta in schiavitù. Una delle fonti della schiavitù di quei tempi era proprio l'impossibilità di saldare i debiti.

    Happy
    Miyuki Umino, la protagonista di Happy, di Naoki Urasawa. Per rimediare allo spropositato debito in cui si era ridotta la sua famiglia (250 milioni di yen, 2 miliardi di euro!), invece di prostituirsi, sceglie di salire nella classifica delle giocatrici di tennis mondiali per poter avere una quantità di soldi sufficienti a pagare il debito. Anche se è solo un racconto, mostra però quanto il problema debito-schiavitù sia attuale ancor oggi.


    In tema di Diritto Penale, l'influenza del Diritto Canonico permise di modificare il concetto di reato e di pena (ne ho parlato poco prima, qui approfondisco l'argomento) la pena fu vista come lo è oggi: la soddisfazione dell'ordine sociale turbato (un criminale non fa danno solo alla vittima, ma anche ai parenti e amici della vittima, a chi assiste, a chi lo viene a sapere e ne rimane scandalizzato, al cattivo esempio che dà, ecc.) e come emenda del reo: cioè, il colpevole, scontando la sua pena, non è più colpevole come prima e torna ad essere una persona come gli altri. E' equivalente all'idea di "penitenza". In sostanza, il Diritto Canonico, ad ogni reato, come ad ogni peccato, faceva seguire una pena/penitenza, come reazione giuridica e retribuzione morale, mirante all'espiazione della colpa e all'emenda del reo. Invece le penae vindicativae (in sostanza, la condanna a morte) vennero adottate soltanto quando si rendeva necessario, per combattere il delitto, e le azioni più gravi, ricorrendo ai mezzi dell'autorità civile.

    Dobbiamo infine (ma il discorso potrebbe continuare) al Diritto Canonico il fatto della precisazione dei concetti di dolo (cioè "azione dolosa": azione malvagia fatta con intenzione di fare il male), e di azione malvagia fatta senza cattiva intenzione ("azione colposa"); la teoria delle condizioni aggravanti e delle attenuanti, dello stato di necessità, della legittima difesa, l'introduzione delle condanne condizionali e revocabili: tutte cose che rendevano meno severi i giudizi. Anche il fatto di avere elevato all'entità di reato la bigamia, l'adulterio, l'aborto, la violenza carnale, era dovuto al Diritto Canonico (nei tempi pagani, l'aborto non era reato; anche oggi non è più reato: ma questo è un tornare indietro ai tempi pagani, non è un "progresso dell'umanità" come dicono oggi).

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-x.html
  14. .
    ZOROBIN WATER SEVEN ARC 3 - PUFFING TOM

    When Robin left the crew (hence she was "lost"), Zoro, at the same time, in the fight with the CP9, has lost his sword Sandai Kitetsu, which is the "cursed sword" among the three swords of Zoro. And Robin is also called "cursed", just like Kitetsu. Curious as a parallelism, not to mention that Zoro had immediately noticed the presence of the Kitetsu in Chopper's hand: then, Zoro considers the Sandai as an important sword... and it recalls how important Robin is to him.

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    Zoro (to Chopper): Anyway...are you carrying my "kitetsu" sword with you? Chopper: Huh? This katana?! It is true! How did you figure it out? Zoro: I figured it out by myself! It is a cursed sword, after all. Thanks for bringing it to me. Put it in my hand! Soon!


    Also, Zoro's enraged face is similar to Rufy's (they're both equally enraged), only that Rufy learned from Nami the reasons for Robin's actions, while Zoro is still unaware of it. In fact, there was no scene in which Chopper explained to him what lies behind Robin's false betrayal: so Zoro cares about her rescue, even if he doesn't know the truth yet.

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    The shark is the symbol of Zoro (in the pre-time skip period: this). Now, the main carriage of the Puffing Tom train, which will take him to Enies Lobby and then to Robin, has the shape of a shark. Old Kokoro's comment is curious: she said the shark's head was put there as a joke. With this, Oda made it clear that any animal could have been chosen, or even no animal at all. Instead, Oda actually put in a shark. Which certainly doesn't have great importance for the train, but it does for Robin...

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    It is clear that the reason for the fight is Robin: but it is clear that Zoro is the one most focused on the goal. He shows he's in a great hurry: in Dressrosa, even though Big Mom's ship had appeared against Sanji's group, he wasn't so agitated. Yet it was one of the Emperors'ship. It's not that Zoro is disinterested in anyone, but it really seems that this event involves him more, since this time Robin is involved. This can be seen from his own words: "the reason for this battle is to take back what (..) they took from us", and what they took is Robin...

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    Zoro: ...it is right. The reason for this battle is to take back what those four guys took from us. It won't end until we defeat them.



    (it continues with ENIES LOBBY ARC)
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    EP 28: "L'INVASIONE DEGLI UMANOIDI" - COMMENTI
    "I mostri del pianeta Bell" (titolo seconda versione italiana)
    "Un campanello diabolico che risuona nella notte fonda!" (titolo originale giapponese) (da notare che in inglese "campanello" si dice "Bell")

    IL PASSATO DI RIGEL, IL SAMURAI

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    In questa immagine vediamo Rigel coi vestiti ufficiali giapponesi. E' da notare che è un vestito da samurai: si notino le due immagini uguali ai lati del vestito, con tre foglie stilizzate all'interno di un cerchio. Si tratta dei mon, o kamon: erano simboli utilizzati dai clan dei samurai per distinguersi e riconoscersi più facilmente sul campo di battaglia. Di conseguenza, quello è il "mon" della famiglia dei samurai dei Makiba. Per saperne di più sui mon, si veda su Wikipedia. Inoltre, quello che ha Rigel in mano è il kiseru, la lunga pipa tradizionale giapponese (da 15 a 20 cm), usata anche dai samurai e che all'occorrenza può diventare un'arma.

    kiseru
    I kiseru da donna erano ancora più lunghi, da 30 a 60 cm.


    In questo episodio compare Zuril, di cui si sa solo che è il Ministro delle Scienze ed è pari grado a Gandal. Ma il nuovo personaggio occupa poco spazio, mentre ne è stato dedicato invece parecchio a Rigel e al suo passato. Qui, infatti, veniamo a sapere qualcosa di più su di lui. Non molto, purtroppo. Però, intanto possiamo dire che lui, e la sua famiglia, provengono da un villaggio di campagna tra i monti, che Venusia sembra riconoscere: infatti, è lei a dire che "è il villaggio dove è nato mio padre, solo che non c'è più nessuno della nostra famiglia". Quindi, Rigel, oltre ai suoi due figli, non ha altri parenti. Non si sa il nome del villaggio, ma di certo si sa che è un ambiente piuttosto tetro e abbandonato. Infatti, Rigel dice: "Questo villaggio ha una lunga storia. Un tempo aveva molti abitanti, ma ormai è praticamente disabitato. Quegli sciocchi del villaggio hanno voluto andare a vivere in città e hanno abbandonato le loro case."

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    Il villaggio natale di Rigel.


    Forse, l'unico centro abitato è il tempio buddista dove Rigel e gli altri si fermano. Rigel, oltre a mostrare le armi della sua famiglia, rivela che "La nostra famiglia discende da una stirpe di samurai", che probabilmente era la famiglia Makiba. E' da notare che esiste in Giappone il Parco di Makiba, vicino alle montagne dello Yatsugatake, dove si trova il ranch di Rigel.

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    Il tempio buddista dove si ferma Rigel coi suoi.


    Se Rigel viene da una famiglia di samurai, dev'essere una famiglia decaduta, visto che lui è l'unico discendente e non vive più nel suo villaggio di origine, lasciando le armi di famiglia a un bonzo buddista di sua fiducia, di cui ignoriamo il nome.

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    L'interno del tempio buddista e lo sconosciuto bonzo, che però mostra di conoscere bene Rigel e Rigel stesso lo conosce, mostrandogli molto rispetto e deferenza.


    In ogni caso, è notevole in fatto che Rigel inviti, in questo incontro intimo di famiglia, anche Actarus, che non è uno di famiglia. Quindi è segno che Rigel considera Actarus come uno di famiglia, nonostante tutto. Sentiamo cosa dice Gerdha al proposito: "Vorrei notare comunque il fatto assai interessante di Rigel che porta Actarus con la sua famiglia ad un evento molto speciale e privato. La vita sembra andare nella direzione prevista per Actarus: nonostante la guerra e alle sue problematiche, la sua vita personale sta mostrando alcuni notevoli aspetti positivi: il suo rapporto con Venusia sta progredendo e suo padre sta cambiando atteggiamento verso di lui (da un semplice dipendente a "membro della famiglia"). Forse si potrà accendere un lume di candela per la speranza in una vita futura felice."

    L'ASTRONAVE DI ZURIL

    Come potete vedere, è la versione verde del Brain Condor del Grande Mazinga. Un omaggio implicito a quella serie.

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    IL RAPPORTO TRA GANDAL E ZURIL

    Qui Gandal, e anche Lady Gandal, si chiedono chi sia Zuril. Una cosa piuttosto strana questa, visto che lui è nientemeno che il Ministro delle Scienze, non certo l'ultimo arrivato, e Gandal, essendo un Generale di Vega, dovrebbe almeno averne sentito parlare. Invece dice di non saperne nulla: anzi, nell'incontro, mostra di non averlo mai visto in faccia.

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    Questo significa che Zuril è stato nell'ombra e in stretto contatto con Re Vega: lo si vede nell'episodio di Rubina, dove Re Vega mostra di avere molta confidenza con lo scienziato e lui stesso mostra di aver desiderato spesso avere Rubina, la figlia di Vega, con sè. Quindi lo scienziato è stato una specie di eminenza grigia, insomma.

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    Però Actarus mostra di conoscere Zuril: lo si vedrà più avanti. Di conseguenza, è probabile che sia stato Zuril, sotto ordine di Vega, a cercare di avere Goldrake come arma, quando imprigionarono Actarus su Fleed. C'è dell'altro: sempre nell'episodio di Rubina, Gandal canzona Zuril dicendo che il seduttore sta perdendo colpi. Quindi, nel frattempo, Gandal deve aver saputo di più sul suo passato. Sappiamo infatti che si è sposato, ha avuto un figlio, e deve essere stato un gran dongiovanni.

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    ZURIL COME GANDAL

    Anche Zuril ha una "doppia personalità" come Gandal e Lady Gandal. Infatti, ha un computer incorporato dietro la sua benda, che fa i calcoli e parla con una voce tutta sua (ovviamente, una voce meccanica! ).

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    La versione originale di Zuril era ancora più esplicita, con una TESTA installata al posto dell'occhio. :huh: Ma era una versione fin troppo horror, quindi fu cambiata con una più sobria benda.

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    LA PRIMA VERSIONE DEL TFO

    Mentre Alcor si arrabatta per trovare un modo per costruire una nuova astronave, adesso che il TFO è stato distrutto, vediamo che, nell'officina dove lavora, c'è un poster che mostra la prima versione che aveva il TFO durante i lavori di preparazione dell'anime di Goldrake. Successivamente, fu modificato: gli autori gli tolsero la punta, gli diedero un colore giallo più uniforme e un aspetto nettamente discoidale, ottenendo il TFO che conosciamo.

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    Si nota una certa somiglianza del proto-TFO con l'astronave Gattiger di Uchu Enban Daisenso, il prototipo di Goldrake.

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    IL MEDAGLIONE DI ACTARUS

    In questo episodio, ricompare il medaglione di Actarus, che lui aveva usato contro Camargo Ishtar nell'ep24. Non è chiaro perchè lui lo tiri fuori quando stanno per partire al villaggio di Rigel: dice però a Venusia che non deve preoccuparsi, perchè, in caso di emergenza, lo avvertiranno subito. Forse è stato inserito un trasmettitore nel medaglione, che così sostituisce l'orologio che Actarus prima portava e che usava come mezzo di comunicazione.

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    UNA JEEP MULTIUSO

    La jeep di Rigel è una DECAPPOTTABILE. Quando piove, possono tirare fuori un telone che la copre tutta, AGGIUNGENDO PERSINO LE PORTIERE! :huh: Alla faccia della specializzazione! E' un peccato che poi sia finita distrutta alla fine dell'episodio.

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    CURIOSITA'

    Questo episodio è forse l'unico in cui compare un fotogramma preso dalla realtà: avviene quando Zuril parla delle formiche che, insieme, possono attaccare un leone (mah...) :|

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